I RISCHI DI UN RISVEGLIO BRUSCO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | *L’articolo di Natale Forlani dice cose condivisibili ma non dice cose che invece andrebbero dette. Le cose condivisibili L’autore tende a distinguere le spese dello Stato tra spese correnti ed investimenti, cosa che ancor oggi in Europa non si fa nonostante la sempre citata golden rule di Delors. Le spese correnti (una cattiva interpretazione del keynesismo) sono usate per rispondere a indesiderati effetti dell’andamento del paese, sono usate per dare risposte spesso corporative alle domande di vari condizioni economiche, per far fronte a disastri naturali e pandemici dando un conforto ai cittadini spesso, troppo spesso, per fini elettoralistici. Si veda per esempio il superbonus 110% che ha aumentato il PIL, ha aumentato la occupazione ma che, finiti i cantieri, avrà come risultato l’aumento dell’inflazione, il crollo della occupazione, l’aumento del debito e un reddito redistribuito dai poveri ai ricchi. Se curi gli effetti ma non combatti le cause, la tua azione economica e politica sarà di breve termine, non inciderà sulla struttura e aumenterà il debito pubblico; le categorie che hai favorito ti saranno grate ma il paese rischia un brusco risveglio. Gli investimenti invece costruiscono cose che alla fine produrranno un incremento durevole del PIL, occupazione stabile, rafforzamento dell’apparato produttivo. Giustamente l’autore scrive che “la fase del boom economico accompagnata dalla crescita demografica della popolazione è stata caratterizzata da una quota elevata della spesa pubblica dedicata agli investimenti per dotare il Paese di infrastrutture adeguate e per favorire la costruzione di un sistema di welfare in grado di offrire sicurezza e prestazioni sociali ai ceti sociali coinvolti nel processo di trasformazione dall’economia agricola verso quella industriale” e ciò con il contributo, anche scomposto, delle partecipazioni statali. Le cose che non dice L’economia dei nostri tempi è fondata sulla scienza, sulla tecnologia, sulla ricerca. Tutti elementi che richiedono grandi investimenti di chi abbia una visione lunga e di ampio spettro e che non si aspetti ritorni certi soprattutto a breve termine. Mai un privato potrà fare una centrale nucleare, mai potrà impostare la realizzazione di computer quantistici, creare un sistema basato sull’intelligenza artificiale. Mai potrà farlo un privato e difficilmente lo può fare uno Stato da solo, il CERN lo fa l’Europa e così dovrebbe essere l’Europa a impostare il computer quantistico europeo altrimenti saremo sempre subalterni agli USA o alla CINA. Quindi oggi non basta più fare le infrastrutture perché con le autostrade si sviluppi la Fiat, non basta più favorire la costruzione di un sistema industriale come fanno i bonus Calenda 4.0. Oggi serve una capacità programmatoria che si ponga obiettivi a lungo termine (ce li eravamo posti dopo la crisi energetica programmando 68 centrali nucleari per poi, dopo il referendum, abbandonarci al poter di Gasprom) e li persegua con una logica razionale. Pensare che queste scelte possano essere fatte da una logica fondata sul profitto è l’errore più grande in cui siamo infangati. Sono due logiche contrapposte: l’una basata sul profitto individuale, l’altra basata sulla razionalità programmatoria. Le cose che andrebbero dette L’autore riconosce, di passaggio, il valore della programmazione quando scrive che “la programmazione delle risorse del PNRR rappresenta l’ultima chance per ripensare la funzione della spesa pubblica nella gestione di una complessa fase di transizione degli assetti produttivi per la necessità di conciliare la crescita degli investimenti con il contenimento dei costi sociali derivanti dalle riorganizzazioni produttive.” Ma, a mio parere, non dà alla programmazione quel valore di sistematicità scientifica che è alla base del pensiero socialista. La attuale produzione di centinaia di bonus, di tutte le specie e natura, dalla baby sitter all’innovazione tecnologica, dall’acquisto dei libri al verde dei giardini, dal ristoro da pandemia a quello per la crisi energetica è l’esempio classico di una economia feudale dove il signore offre elemosine ai questuanti. Un sistema vomitevole che noi socialisti rigettiamo (o siamo caduti anche noi nel pensiero unico?). *Link all’Articolo: I rischi di un risveglio brusco e doloroso – di Natale Forlani SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’INVIO DI ARMI E’ INCOSTITUZIONALE?

di Renato costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Art.11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Il primo decreto legge n.14/2022 approvato dal Governo prevedeva l’invio di “mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali di protezione”, mentre il secondo, il n. 16/2022 autorizza “la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore della autorità governativa dell’Ucraina in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185” (legge che vieta “l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato” ex. art. 1, c. 6, lettera a)[2]. I decreti sono stati convertiti in legge. C’è chi si interroga se la legge convertente il secondo decreto, quello che modifica il primo prevedendo l’invio non solo di materiali militari non letali, ma anche di materiali di armamento in deroga alla legge 9 luglio 1990 n. 185, violi o meno l’art. 11 della Costituzione. Indubbiamente l’art.11 contiene due principi: quello del ripudio della guerra (primo comma), e quello limitativo della sovranità nazionale in favore dell’adesione alle organizzazioni sovranazionali (secondo comma). Il primo principio Il primo principio costituisce il principio pacifista voluto dalla Costituzione, uno dei rovesciamenti in positivo rispetto al precedente periodo fascista. Significativa, nel dibattito della costituente, la distinzione tra il termine “rinunzia” rispetto al termine “ripudia”; termine quest’ultimo più programmatico opposto all’altro. Secondo le parole dell’on. Amerigo Crispo, dire che “(…) l’Italia rinunzia alla guerra non riproduce esattamente il concetto di ripugnanza morale per una guerra di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli”  si è quindi preferita la formula finale di “ripudio”, a discapito di quella inizialmente approvata di “rinunzia alla guerra”, che potrebbe suggerire l’esistenza di una facoltà o di un diritto, che uno stato democratico non dispone. Il ripudio tuttavia non è assoluto ma relativo al caso di guerra di offesa alla libertà degli altri popoli o come mezzo di risoluzione di controversie internazionali. La guerra è legittima negli altri casi, il termine guerra, infatti, compare in altre parti della Costituzione, e contempla la deliberazione di uno stato di guerra da parte del Parlamento (art.78 Cost.), con successiva dichiarazione formale da parte del Presidente della Repubblica (art.87,comma 9 Cost.), per l’ipotesi di una guerra difensiva a titolo di sacro dovere di difesa della Patria (art.52 Cost.). Rimane il fatto che l’invio di armi all’Ucraina, ci conferisce lo status di cobelligeranti, in uno scontro che tende a risolvere una controversia internazionale. Il secondo principio Il secondo principio “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Questo consenso alla limitazione di sovranità si rivolge a quelle istituzioni che assicurino la pace e la giustizia fra le Nazioni e che potremmo oggi elencare nelle Nazioni Unite, nell’UEO, nell’OSCE e nella PESD e nella PESC. In linea di principio le decisioni degli organismi elencati hanno il potere di essere superiori alle norme derivanti dalla sovranità nazionale (principio contestato dai paesi e dai partiti sovranisti).Si pone allora la necessità di una lettura del combinato disposto tra gli artt.10 e 117 Cost. Questi, conferiscono uno status costituzionale a quelle organizzazioni internazionali che sono state erette allo scopo di raggiungere un obiettivo di mantenimento della pace, di cui ci parla il secondo comma dello stesso art.11 Cost. Dubbi potrebbero sorgere se la norma fosse emessa dalla NATO che è una alleanza difensiva, non finalizzata al conseguimento della pace, ma al reciproco aiuto in caso di aggressione da parte di terzi, reciproco aiuto escluso nel caso Ucraino che non è parte dell’alleanza. In base a tale norma potrebbe invece ritenersi legittimo il nostro intervento in Ucraina, stante la presa di posizione che è stata fatta registrare in data 2 marzo 2022 dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, che riunita in adunanza plenaria ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina a sua grande maggioranza dei presenti. L’Assemblea dell’Onu ha approvato la risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Sono 141 i voti a favore, cinque i contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del nord, Siria) e 35 gli astenuti, tra cui Cina e India. Un voto che dice tutto l’isolamento di Putin come dimostra il tabellone all’Onu.  Per essere adottata, la mozione doveva essere approvata dai due terzi dei Paesi membri. Il documento non ha valore legalmente vincolante ma è politicamente molto significativa. La risoluzione chiede alla Russia di ritirare le sue forze armate dall’Ucraina e  dà un forte messaggio contro l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il mondo ha massicciamente rigettato questa ingiustificata aggressione. Gli attacchi sono una lampante violazione del diritto internazionale. In conclusione si rileva che la risoluzione dell’ONU, non legalmente vincolante,  pur condannando il comportamento della Russia, e intimando alla stessa di ritirare le sue truppe, non invia i caschi blu né autorizza una guerra. Viene quindi rimosso ogni dubbio sulla prevalenza della determinazione (che non c’è) dell’organismo sovranazionale cui la sovranità italiana dovrebbe assoggettarsi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

11 SETTEMBRE 1973

di Franco Astengo | Finché i popoli continueranno a lottare, là ci sarà un’idea di riscatto sociale e di rivoluzione politica. Non possiamo dimenticare il golpe cileno dell’11 settembre 1973 in un momento così difficile per la ritrovata democrazia cilena: il voto popolare ha respinto il progetto di riforma costituzionale che avrebbe dovuto superare il tipo di ordinamento voluto a suo tempo da Pinochet. Non è questa la sede per analizzare questa situazione che si è determinata dopo la vittoria della sinistra alle elezioni presidenziali, a dimostrazione di una complessità della vicenda politica cilena che ha bisogno di grande attenzione e capacità di riflessione. L’11 settembre 1973 in Cile con il massacro di migliaia di cileni il golpe fascista sostenuto dall’amministrazione USA,e orchestrato dal segretario di stato Henry Kissinger che intendeva estirpare il pericolo rosso dalla Latinoamerica e sperimentare il liberismo selvaggio dei “Chicago boys”, pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto, di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende. Un’esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d’esempio per diversi altri Paesi del mondo. La vicenda cilena, che pure diede origine a un ampio dibattito nel movimento comunista e nella sinistra a livello internazionale e in particolare in quello italiano, deve rimanere nella memoria collettiva. L’11 settembre 1973, il giorno della “macelleria americana” resta intatto nella nostra mente e nel nostro cuore accanto ai grandi passaggi della storia del movimento operaio internazionale. L’11 settembre 1973, il giorno della caduta avvenuta a mano armata con l’assassinio del “Compagno Presidente” ricorda il giorno di una sconfitta.  Per noi che continuiamo a credere nell’ideale, è uno dei giorni di quell’“Assalto al Cielo” verso il quale dobbiamo continuare a tendere con la nostra volontà, il nostro impegno, il nostro coraggio. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RIFLESSIONI PRE VOTO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Emma Marcegaglia, ex responsabile di Confindustria denuncia: “La situazione è tale che gli imprenditori americani pagano oggi l’elettricità sette volte meno di quelli italiani. E questo nonostante il fatto che i promotori delle sanzioni siano seduti dall’altra parte dell’oceano. Di fatto, le sanzioni sono diventate uno strumento di concorrenza sleale per i produttori italiani. Le imprese in Italia vengono distrutte dai “fratelli” d’oltreoceano perché ognuno dovrà sopravvivere alla crisi globale da solo.” Il disegno USA di sfiancare la Russia usando l’Europa con la scusa di riaffermare le ragioni dei paesi liberi in occasione della cazzata fatta da Putin in Ucraina, affiancata dalla provocazione Pelosiana di usare Taiwan come casus belli per un confronto/scontro con la Cina, si sta chiaramente delineando sull’orizzonte dei nostri figli che, poveri loro, vivranno un domani terribile. Il governo Draghi su questo fronte si è sempre posto come completamente allineato all’egemonia statunitense non perdendo occasione di impostare i problemi sulla linea di completa subordinazione alla strategia statunitense. Penso all’allineamento della spesa militare al budget che stava nel dimenticatoio; nell’invio delle armi in Ucraina sfidando il dettato dell’art.11 e violentando quel magnifico incipit “L’Italia ripudia la guerra”; pensando ad un “price cap” che affronta, non si sa con quale successo, il problema del prezzo del gas impostando uno scontro economico diretto tra monopolio russo e un improbabile monopsomio europeo, invece di pensare a mutare il sistema di indicizzazione basato sul TTF e tornando al vecchio sistema pre 2013, che avrebbe evitato una guerra commerciale con la Russia che deve concludersi con un vincitore ed un vinto. La logica di Draghi è questa: puntare ad una vittoria, così spesso evocata da Ursula con quel “vinceremo” che suona così tragico alle nostre orecchie. Non so ancora bene come voterò tra 15 giorni, ma so con certezza chi non voterò; nessun partito che non metta la pace come obiettivo principale della nostra politica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LUCE E GAS COSTI INSOSTENIBILI, DALLA CAMPAGNA ELETTORALE NESSUNA PROPOSTA CONCRETA

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Due flagelli – tra loro collegati – stanno incendiando la situazione economica delle famiglie e delle imprese sia industriali che commerciali: l’inflazione e il costo, in particolare, del gas e –per trascinamento – dell’energia elettrica.La prima sta raggiungendo i livelli del 1983 e la stessa irrefrenabilità della sua dinamica che datava da qualche anno prima. Nel 1980, infatti, con il governo Cossiga l’inflazione era arrivata al 21,2 % e poco erano riusciti a fare i successivi governi Forlani, Spadolini e Fanfani che, alla sua conclusione registrava l’inflazione al 14,7 %. Non solo questo andamento dei prezzi all’ingrosso e al minuto taglieggiava il valore reale di salari e stipendi, ma concorreva ad un forte e grave aumento del debito pubblico per l’alto costo per lo Stato dei titoli pubblici che, per essere piazzati nel mercato, dovevano garantire un tasso di interesse almeno pari all’inflazione.Una situazione che rischia ora di ripetersi nel duplice aspetto di gravità per i bilanci delle famiglie e delle aziende, oltre che per quello dello Stato italiano, il quale – data questa situazione e la permanenza di alcune sue fragilità – rischia le conseguenze negative di manovre speculative di attori dei mercati finanziari. Alla fine del 1983, il governo Craxi che aveva ereditato ad agosto le consegne dal precedente governo Fanfani, decise l’avvio di una energica strategia d’urto, da concertare con le parti sociali, di abbassamento e di rigoroso controllo dell’inflazione, accompagnato da misure riguardanti il FISCO, i PREZZI e le TARIFFE, le POLITICHE INDUSTRIALI e del TERZIARIO, il MEZZOGIORNO, il SOSTEGNO ALL’OCCUPAZIONE, l’istituzione di un Fondo di SOLIDARIETA’, misure a sostegno dei SETTORI PRODUTTIVI e delle aree a sviluppo ritardato, oltre che all’avvio di una POLITICA DEI REDDITI che, oltre a prezzi e tariffe, rendesse coerente la dinamica della parte delle retribuzioni collegata alla scala mobile all’andamento programmato dell’inflazione. Cuore, per l’appunto, di questa strategia antinflattiva era la predeterminazione al ribasso dell’andamento dell’inflazione a cui dovevano strettamente collegarsi l’andamento dei prezzi amministrati e tariffe e la dinamica della contingenza (scala mobile), mentre erano affidati alla responsabilità e a comportamenti coerenti di imprese e sindacati la determinazione dei prezzi liberi e delle retribuzioni contrattuali, pur indicando da parte del Governo qualcosa più di un auspicio affinché dette dinamiche restassero sotto il tasso di inflazione programmato per tre anni.Per di più le tariffe dei servizi pubblici primari ed essenziali, particolarmente rilevanti per i consumi delle famiglie, dovevano tenersi sensibilmente al di sotto del limite prefissato di inflazione (ho citato testualmente il testo dell’intesa). L’accordo, venne firmato il giorno di S. Valentino (14.2.1983) – come è arcinoto – dal Governo Craxi e da 20 Organizzazioni imprenditoriali di tutti i settori e da CISL e UIL, ma non dalla CGIL cui segui l’adesione politica all’accordo della componente socialista della stessa.Gli effetti di questa importante intesa, alla quale seguirono vari incontri (sempre “triangolari”) di verifica e di attuazione degli impegni, per quanto riguarda l’inflazione si registrarono già nel corso dell’anno 1984 con l’inflazione che scese al 10,8 %, nel 1985 al 9,2 %, nel 1986 al 5,8 %. Praticamente dal 14,7 % in tre anni l’inflazione scese di ben 9 punti percentuali con un recupero significativo del potere d’acquisto dei salari, la ripresa produttiva e dell’occupazione, tanto che in quelli anni, l’Italia superò la Gran Bretagna insediandosi al 5° posto tra le sette maggiori potenze industriali del mondo.Ora, di fronte ad una analoga grave situazione, non riesco a leggere o sentire da parte dei vari leaders politici impegnati nella campagna elettorale proposte concrete di tale portata ed efficacia e di un loro impegno – se chiamati a governare – per un immediato varo di misure analoghe (riduzione e blocco delle tariffe pubbliche, in particolare di gas ed energia elettrica, controllo rigoroso delle dinamiche coerenti degli altri prezzi, misure di sostegno a lavoratori, pensionati ed imprese più particolarmente colpite da questa congiuntura che segue quella – altrettanto pesante – delle conseguenze della pandemia). Se l’inflazione non sarà riportata rapidamente a livelli sopportabili e se altrettanto i costi dell’energia (gas ed elettricità), essenziali per procedere con l’attività produttiva di molti importanti settori sia industriali che di servizi e commercio, il Paese rischia la paralisi e risposte ribellistiche incontrollabili.Resta, poi, inspiegabile come, malgrado i recenti accordi con Algeria e Qatar (che hanno ridotto sensibilmente secondo il Governo la dipendenza dal gas russo) vi sia il rischio di rimanere senza scorte nel prossimo inverno ed il prezzo del gas continui a salire vertiginosamente. Siamo in presenza di una odiosa deriva speculativa senza precedenti, basta guardare agli enormi profitti realizzate dalle aziende del settore, compresa l’azienda leader a partecipazione statale!Anche su questo, il Paese reale attende spiegazioni credibili e trasparenza nei comportamenti, il tempo degli slogans e delle battute (al posto di programmi e scelte concrete) è finito! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

REDDITO E TASSAZIONE IRPEF DEGLI ITALIANI. LA TRAPPOLA DELLA FLAT TAX

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Nella campagna elettorale ha preso molto interesse, con toni di aspra polemica, la proposta  della introduzione, avanzata dalla LEGA di Salvini, della FLAT TAX al 15% per qualsiasi scaglione di reddito, e quindi con l’abolizione della progressività, come indicato dalla Costituzione. Socialismo XXI ha già affermato la sua contrarietà considerandola un atto di grave iniquità fiscale e di ingiustizia sociale, anche perché – pur non essendo noto il progetto leghista nel suo complesso, sembra che sparisca la NOT TAX AREA, cioè la fascia dei bassi redditi esenti da tassazione fino agli oltre 8.000 euro annui di reddito (si tratta di oltre 9 milioni di contribuenti, come si evince dalle annotazioni più sotto riportate. Ma c’è di più, sparirebbero tutta una serie di sgravi per deduzioni/detrazioni di legge che, attualmente favoriscono una tassazione ZERO per 10,6 milioni di contribuenti situati negli scaglioni bassi. Se anche il sistema delle detrazioni/deduzioni dovesse essere mantenuto nella proposta della LEGA, vi sono – con l’introduzione della tassa piatta (FLAT TAX) valida per tutti i redditi – una serie di gravi contraddizioni rispetto alla situazione fiscale  attualmente in atto, rappresentate da benefici per le fasce di reddito alte e da penalizzazioni per fasce di reddito basse. Giova prendere in esame la situazione attuale, come ci viene presentata dal rapporto annuale ministeriale sulla campagna fiscale e lasciar parlare i numeri. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’aprile scorso, ha pubblicato i dati sulle dichiarazioni dei redditi presentate dagli italiani ed il loro contributo al Bilancio dello Stato attraverso il pagamento dell’imposta sul reddito nel 2021 relativamente al redditi conseguiti nel 2020. Non sono disponibili i dati di quest’anno e relativi ai redditi maturati nel 2021 perché è ancora in corso la campagna fiscale di detta annualità. I CONTRIBUENTI italiani ammontano a 41.200.000 che hanno dichiarato un reddito complessivo di 865,1 miliardi di euro, una media per contribuente di € 21.600 annui, con la seguente ripartizione di reddito medio annuo per contribuente delle seguenti tre categorie :   LAVORATORI DIPENDENTI  € 20.700,   PENSIONATI € 18.700, LAVORATORI AUTONOMI € 52.900. 22.400.000  contribuenti hanno presentato la denuncia tramite il mod. 730;  9.600.000 tramite il mod. “Unico”; il restante 9.200.000 hanno presentato solo il CUD rilasciato dal proprio datore di lavoro o INPS. Di questi 41.200.000 contribuenti: 4.028 hanno denunciato un reddito NEGATIVO, 947.117 hanno denunciato un reddito pari allo ZERO, 9.098.369 hanno denunciato fino a 7.500 euro/annui (praticamente il grosso della NO TAX AREA che arriva fino a poco più di 8.000 euro) e di questi 2.472.102 hanno denunciato un reddito annuo inferiore a 1.000 (mille) euro, mentre 8.090.485 contribuenti hanno dichiarato un reddito annuo da 7.500 a 15.000 euro. Praticamente più del 46 % dei contribuenti hanno dichiarato un Reddito Annuo inferiore/fino a 15.000 €uro. LA TASSAZIONE IRPEF, QUANTO HANNO PAGATO I CONTRIBUENTI ITALIANI: Aliquota Scaglioni Reddito N° Contribuenti % Pagam.to IRPEF % Pag. IRPEF Tassa Media 23% fino a 15.000 18.004.400 43,7 6.042.000.000 3,8 335,58 27% da/a 15/28.00 14.461.200 35,1 44.202.000.000 27,8 3.056,59 38% da/a 28/55.00 6.839.200 16,6 52.788.000.000 33,2 7.718,44 41% da/a 55/75.000 906.400 2,2 15.264.000.000 9,6 16.804,24 43% oltre 75.000 988.800 2,4 40.704.000.000 25,6 41.165,04 A partire dal 1° gennaio 2022 scattano le nuove aliquote ed i nuovi scaglioni che diventano quattro:  fino a 15.000 € annui il 23%, da/a 15/28.000 il 25%, da/a 28/55.000 il 35%, oltre 50.000 euro annui il 43%. L’importo complessivo dell’IRPEF pagata dai contribuenti ed incassata dallo Stato ammonta a circa 159 mld. Poco più di 30,5 mln di contribuenti hanno pagato le imposte sul reddito, circa 10,6 mln di contribuenti non hanno  pagato alcunché (si tratta di persone con livelli di reddito sotto le soglie di esenzione oppure per sgravi personali per detrazioni, deduzioni, previste per legge, etc). La tassazione media (ultima colonna)  è virtuale come tutte le medie, anche perché i contribuenti dello stesso scaglione non hanno le medesime detrazioni/deduzioni, ma serve per fare un confronto con le tassazioni che scaturirebbero con la FLAT TAX. Con la TAX FLAT lo Stato incassa 129,765 mld (quasi 30 mld in meno rispetto all’attuale sistema. Con la disastrosa situazione del debito pubblico che conosciamo, questa riforma rappresenterebbe un duro colpo alla sostenibilità del debito. Prendiamo ora due redditi MEDI annui sopra riportati, quello generale di 21.600 euro e quello riferito ai soli lavoratori dipendenti che è di 20.700 €. Del primo registriamo che la flat tax 15% ammonta ad € 3.240 annui mentre con l’attuale sistema l’imposta netta è di 3.091 euro meno il benefico del bonus Draghi di € 960 che comporta un maggior aggravio per il contribuente medio di 1.109 euro annui a seguito dell’introduzione della FLAT TAX. Del secondo registriamo che la FLAT TAX 15% ammonta a € 3.105 mentre con l’attuale sistema l’imposta netta è di € 2.868 meno il beneficio del bonus Draghi di 960 €uro che comporta un maggior aggravio, rispetto ad ora, di € 1.332 all’anno. Abbiamo tolto il beneficio del “bonus Draghi” perché fino ad ora le indiscrezioni parlano che la proposta leghista abolirebbe le detrazioni e deduzioni in atto. Comunque, anche senza la detrazione del “bonus” la FLAT TAX sarebbe superiore all’attuale imposta netta. Riportiamo ora una tabella con NOVE diversi livelli  di reddito annuo coincidenti con le medie di redditi di fasce di riferimento proposte dal Ministero Economia e Finanze: Fascia di Reddito Medio Imposta FLAT TAX Imposta Attuale meno Bonus € 960 Differenza +/- 10.900 1.649 -170 + 1.819 13.490 2.024 250 + 1.774 17.640 2.646 1.140 + 1.506 22.830 3.425 2.440 + 985 26.500 3.975 3.383 + 592 Il bonus spetta ai contribuenti con reddito fino a 26.600, che potrebbe essere abrogato con la eventuale nuova legge sulla FLAT TAX. Comunque per le prime quattro fasce anche senza la detrazione del BONUS, l’attuale imposta è inferiore della FLAT TAX. Invece, a partire da un reddito di 27.440 per andare ai seguenti livelli di reddito 31.690, 37.270, 44.240,  52.370 la FLAT TAX produce ai corrispondenti contribuenti un beneficio annuale rispettivamente di € 544, 1.357, 2.540, 4.124 e 5.995 euro, anche perché a costoro non scatta il “bonus Draghi”. Praticamente l’introduzione …

PER RICOSTRUIRE LA SINISTRA OCCORRE PARTIRE DAL SOCIALISMO

di Luigi Ferro – Presidente Socialismo XXI | La messa in liquidazione nel 1994 del P.S.I. pose fine all’esperienza politica del primo partito in Italia nato nel 1892. Senza indagare sulle cause che portarono alla fine del P.S.I., da allora nel nostro Paese è mancata una forza di ispirazione socialdemocratica. Ancora oggi valutando con attenzione gli schieramenti politici, ovviamente il centrosinistra, nessuna coalizione o nessuna forza politica è la diretta promanazione del socialismo democratico europeo. Non lo è il PD che ha accantonato negli anni “la terza via” al socialismo scegliendo di correre verso il centro per rappresentare un nuovo ceto borghese per la crisi della classe operaia conseguenza della new economy. Non è un caso che il PD oramai sia lontano anni luce dalle periferie della nostre città dimostrando la sua incapacità nel legare pezzi di società diversi tra loro, con interessi diversificati, cosa che riusciva molto efficacemente al P.S.I. Questo non significa solo una mancanza di cultura socialista, significa anche che le politiche degli ultimi anni, anche, e non solo, per il timore di trasformarsi in una forza socialdemocratica in Italia, messe in campo dal PD non appartengono di certo al mondo della sinistra. Basti pensare al taglio dei parlamentari e della democrazia, inseguendo quei populisti del M5S, e a tutto quello che recentemente è successo nel comporre l’elenco dei candidati, che avrà sicuramente degli strascichi. Allo stato attuale il PD non rappresenta la sinistra nel nostro Paese e non basta dire semplicemente che il partito combatte contro le disuguaglianze sociali se poi sul fronte del lavoro e dello sviluppo, e delle tutele o dei diritti, le scelte operate rasentano l’iperliberismo. Non è un caso che l’elettorato PD sia più avanti negli anni, mentre i piu’ giovani preferiscono guardare ad  altre forze politiche, quasi sempre di centrodestra. Non lo è neanche il Psi , o meglio quello che rimane in Italia del socialismo dal punto di vista istituzionale. Queste elezioni hanno cancellato di fatto la presenza, seppur sparuta, dei socialisti, i quali non si presenteranno nel proporzionale, certificando quel ruolo sempre più marginale nella società italiana. Anche il suo segretario nazionale n° 2 della lista “democratici e progressisti” rischia con molta probabilità di non farcela. Del resto, nel suo ultimo congresso il Psi si è guardato bene dall’invocare all’unità dei socialisti, invitando il segretario del PD Letta al solo fine di ottenere una candidatura non particolarmente blindata per Maraio, oggi unico plenipotenziario di ciò che resta del Psi nel nostro Paese. Si può uscire da questo pantano politico-istituzionale? Sicuramente occorrerebbe una modifica della legge elettorale in senso proporzionale con la doppia preferenza, per restituire identità e dignità alle forze politiche, ma altra cosa è ricostruire una sinistra in Italia di stampo socialdemocratico. In questi giorni ho letto diversi commenti, articoli, aventi ad oggetto l’assenza di un soggetto politico di ispirazione socialdemocratica. Questo è vero, ma quali le cause? In parte le abbiamo già indicate ed affrontate, ma non basta. Innanzitutto sono i socialisti che dovrebbero per primi farsi sentire. Ma quali? Certamente non i furfanti o quelli che ritengono, perché ho letto anche questo, che si può essere socialisti anche in qualsivoglia formazione politica. Né con quelli che ritengono che il socialismo non tornerà mai più in Italia o che provano vergogna a definirsi tali. Tutto questo è errato perché  ammettere la mancanza di una forza di ispirazione socialista nel nostro Paese cancella di fatto dette obiezioni.  E allora come procedere? Unificare tutte le schegge socialiste è un lavoro difficile, complicato, non impossibile, ma occorre la buona volontà di tutti i soggetti, anche di quei soggetti che provengono da altre esperienze politiche, ma che hanno delle affinità con il mondo socialista. Anche il PD può recitare un ruolo importante, ma deve prevalere la sua anima socialista: o il PD avvia una fase costituente aprendo al variegato mondo socialista senza pregiudiziali, senza calcoli elettoralistici, senza alcun processo di fagocitazione, oppure la sua parte più socialdemocratica dovrà guardare necessariamente oltre il PD. Non può bastare un semplice esercizio dialettico di sdoganamento della parola ”socialismo” per risolvere ogni questione. O il semplice richiamo alla ricorrenza della nascita del  P.S.I., fondato nel 1892. O, peggio, a dichiarazioni di facciata. Insomma, occorre avviare una costituente socialista con “chi ci sta”, formula concreta ed esaustiva, ed attraverso tavoli di concertazione costruire un soggetto politico unitario in Italia che si ispiri alla migliore tradizione socialdemocratica europea. Un socialismo moderno, riformista, europeo, autonomo, per ricostruire la sinistra in questo Paese che questo PD non rappresenta più , così come i tre  cespuglietti di SI, Verdi e Psi. Attraverso il socialismo sarà possibile ricostruire una sinistra in Italia. Questa è la vera sfida. La vera alternativa politica che manca in questa campagna elettorale. Vi è di piu’. Il socialismo che intendiamo costruire si fonda su alcuni principi ineludibili che costituiscono il Manifesto del Socialismo del Terzo Millennio: partecipazione democratica; istruzione veramente inclusiva; sanità; lavoro, sviluppo e tutela ambientale; difesa dei diritti e lotta al precariato ed alle disuguaglianze sociali; previdenza;difesa della Costituizione; immigrazione; siccità; crisi alimentare; lotta ai cambiamenti climatici rispettando in primis gli Accordi di Parigi del 2015. Il lavoro che tutti siamo chiamati a svolgere si muove in tale direzione. Costruire una alternativa socialista nel nostro Paese, dopo gli anni bui, sul modello  delle socialdemocrazie europee come il Portogallo, Spagna, la Svezia, la Finlandia e la Germania a dimostrazione che il socialismo “è vivo e vegeto”, e “non morto e sepolto” come qualcuno vorrebbe farci intendere. Possiamo avere in italia una esperienza simile, ma occorrono impegno e buona volonta’. E resilienza. Un atto di fede. Laico, ovviamente. Ma è l’unica via da percorrere, non abbiamo alternative:  ricostruire la sinistra in Italia attraverso il socialismo. E se oggi, seppur timidamente, si parla di socialismo in questa fase elettorale, è evidente che esiste “una questione socialista nel nostro Paese” che investe tutta la cd. Sinistra o ciò che ne resta, con la quale, prima o poi, tutti dovranno confrontarsi. A riprova della bontà della nostra missione. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che …

AUMENTARE LE RETRIBUZIONI, SI MA COME? RIDUZIONE DEL “CUNEO FISCALE” O PARAFISCALE?

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | L’aumento delle retribuzioni italiane, per le ragioni che abbiamo ricordato in un articolo precedente, è una esigenza reale che andrebbe realizzata con sollecitudine, anche se l’attuale fase politica con un Governo dimissionario ed in carica per “gli affari correnti” non è la più propizia. Puo’ essere però l’occasione per riflettere – da parte delle forze politiche e delle forze sociali – rifuggendo dalle semplificazioni e dagli slogans sul modo piu’ opportuno per realizzare l’obiettivo, sul quale manca chiarezza. In un Paese dove, da molti anni, vige una diffusa pratica ed esperienza di relazioni industriali la via maestra resterebbe la contrattazione tra le parti sociali, articolata per contratti nazionali di categoria accompagnata da una contrattazione integrativa aziendale e/o territoriale per le piccole imprese, anche se questa forma di contrattazione integrativa investe una minoranza di aziende e di lavoratori. Anche la contrattazione nazionale – spesso – lascia scoperti settori minori a debole presenza sindacale, i cui contratti non sono rinnovati alle loro naturali scadenze oppure sono disapplicati dai datori di lavoro inadempienti. Accordi interconfederali in materia di regolazione della contrattazione fissano che l’aumento salariale a livello nazionale faccia riferimento all’andamento dell’indice dell’inflazione europea depurata dai costi dell’energia, arrotondato da un leggero incremento economico a titolo di produttività media. Oggi, questo procedimento sembra non essere accettato dalle Organizzazioni sindacali perché il fortissimo aumento dei costi energetici toglierebbe qualsiasi spazio ad aumenti e, quindi, per superare il pericolo di forti contrasti e tensioni tra le parti, tra chi non intende offrire alcunché (datori di lavoro) e chi vuole andare oltre a questo meccanismo (sindacati dei lavoratori), è emersa  l’idea di intervenire sul “cuneo fiscale”, cioè scaricando sullo Stato l’onere dell’adeguamento di salari e stipendi. Operazione peraltro anticipata con primi provvedimenti da precedenti Governi ed anche dall’attuale. Taglio del cuneo fiscale o anche dei contributi previdenziali (cuneo parafiscale)? A parte, una domanda che sorge spontanea in ordine al finanziamento dell’operazione, per il quale il segretario generale della CGIL Landini ha proposto di tassare i grandi patrimoni, con questa operazione il ruolo di “sovranità salariale” passerebbe dalle parti sociali a quello dello Stato e l’aumento o adeguamento delle retribuzioni non sarebbe più collegato alla quantità e qualità della prestazione lavorativa, ma ad una generica risposta ai bisogni delle famiglie del lavoratore dipendente, una specie di “risarcimento” statale  per un incontrollato aumento dell’inflazione che erode i salari reali. Il Governo Draghi, nell’ultima riunione con i tre Sindacati, ha risposto con una offerta minima considerata inaccettabile ed offensiva (una mancia) come si evince dalla dichiarazione del segretario generale della UIL Bombardieri (vedi articolo su questo sito). Comunque, prescindendo dal problema del “come” finanziare un tale eventuale  provvedimento senza allargare a dismisura la spesa pubblica corrente, è importante ragionare sulla attuale situazione del “cuneo fiscale” affinché esso possa investire l’intera platea dei lavoratori di- pendenti/contribuenti senza creare contraddizioni. L’ipotesi più probabile è il taglio dell’IRPEF, una tassazione che registra però situazioni molto diversificate tra i lavoratori interessati (cioè quelli dipendenti perché la richiesta sindacale ovviamente non riguarda i lavoratori autonomi o indipendenti se non una piccola entità di percettori di  redditi assimilabili al lavoro dipendente classico). Ciò in relazione a determinate  condizioni personali, familiari, di reddito che portano in base al  gioco delle detrazioni, delle incapienze, dei bonus a tassazioni minime, all’esenzione e persino  a imposte “negative”, cioè a credito del contribuente. Sono circa 8.200.000 i lavoratori dipendenti con redditi denunciati da o fino a 15.000 euro/annui pari al 38% del totale dei dipendenti classici più la quota degli assimilabili, oppure il 43/45 % circa dei dipendenti propriamente detti (poco meno di 18 mln nel 2021 e poco più di tale cifra nel 2022). Tra i 15.000 euro/annui e 20.000 euro/annui troviamo altri 3 milioni di dipendenti che, per le ragioni summenzionati pagano una imposta media di 1.260 euro/annui, un po’ meno di 100 € mensili, ulteriormente  limati dalla recente riforma Draghi delle aliquote. Dunque, il provvedimento del taglio del cuneo fiscale non interesserebbe la metà poco più dei lavoratori dipendenti, quelli a basso reddito che  non  hanno IRPEF da tagliare se non entità molto modeste per la minoranza di costoro. Perciò il taglio delle imposte sulle retribuzioni riguarderebbe operai ed impiegati con redditi superiori ai 20.000 euro/annui. Una disparità all’interno del mondo del lavoro, a sfavore degli ultimi, che suscita qualche evidente perplessità. Un risultato più consistente e valido per tutti i lavoratori dipendenti potrebbe essere rappresentato, invece, dal taglio dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori, come ipotizza – non come proposta, ma come “esempio di scuola” – un intelligente ricercatore ed esperto di mercato del lavoro e pensioni della Fondazione Kuliscioff il compagno Claudio Negro, per un valore del 7,2/7,5 % residuale dopo gli sgravi operati in materia dal governo Draghi con la Finanziaria 2022 e con il recente decreto “Aiuti bis”. Un aumento del SALARIO NETTO di queste dimensioni sarebbe una misura apprezzabile di grande peso positivo nell’economia di una famiglia dei lavoratori dipendenti. Ho detto, però, che si tratta di un “esempio di scuola” perché l’altra faccia della medaglia sarebbe rappresentata da un equivalente fabbisogno di spesa pubblica  corrente per coprire il mancato introito da parte dell’INPS dell’ammontare dei contributi pensionistici. Oppure, in alternativa, non vi è che la riduzione dei trattamenti pensionistici in atto per un ammontare corrispondente al mancato introito dei contributi. Una ipotesi, però, inimmaginabile in un Paese in cui le pensioni sono diffuse ma mediamente basse e perciò oggetto, semmai, di richieste di aumento perché rappresentano per diverse famiglie l’unica entrata e sostegno economico. L’ammontare in cifra assoluta, quindi, di detta operazione a carico della finanza pubblica sarebbe attorno ai 12 miliardi (sempre che gli autonomi continuino a versare il loro dovuto)  che si aggiungerebbero ai 2.670 mld che già finanziano gli sgravi già intervenuti decisi dall’attuale Governo. Una cifra non eccessivamente rilevante, ma che in una fase di forte aumento della spesa pubblica corrente e del debito, sarebbe in controtendenza alle indicazioni del PNRR che prescrive impieghi di finanza pubblica per investimenti produttivi e l’occupazione, per il risanamento ambientale …

LA CAMPAGNA ELETTORALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Dirò subito che questa campagna elettorale non mi entusiasma (per usare un eufemismo), mentre, d’altra parte, mi interrogo sullo stato della democrazia nel nostro paese. Parto da un concetto di democrazia che implichi soprattutto il concetto di “partecipazione”, ovvero corresponsabilità di analisi e di proposta da parte di ciascun cittadino, eliminando il privilegio per il quale solo alcune classi o categorie siano preposte alla guida del paese. Questo obiettivo della partecipazione mi pare si sia ridotto al solo istituto del “voto”, ultimo residuo simbolo di un ben altro concetto. Inoltre, al voto partecipa la metà della popolazione. Ciò denuncia l’insufficienza di quel solo strumento per realizzare l’idea di democrazia. I temi che si prospettano sul fronte internazionale, sulla trasformazione del modo di produzione, sulla crescente disuguaglianza, sui diritti civili, sulla fiscalità, richiedono che la “partecipazione” diventi mezzo di corresponsabilizzazione, di crescita culturale e politica dei cittadini, che mette in moto l’ascensore sociale non solo nel campo economico corporativo, ma nel processo di trasformazione dei ceti subalterni in ceti dirigenti. Eppure, negli anni passati, con esiti diversificati, si erano creati istituti che diffondevano la democrazia reale: nei posti di lavoro, nella scuola, nella sanità, nei quartieri, nei partiti, etc. La spinta propulsiva di questi istituti di democrazia di base si è venuta affievolendo, anche se ancora sopravvivono, lasciando spazio ad una indifferenza che è causa ed effetto di una crisi della democrazia. Le ragioni concrete di questo declino non sono state analizzate, a mio parere, in modo approfondito; sono state subite su un fronte difensivo sempre più debole. Che solo la metà della popolazione si rechi al voto, e che la maggioranza voti a destra, ci rivela un mondo che evidenzia soprattutto l’indifferenza, la sfiducia nella soluzione sociale dei problemi, privilegiando un atteggiamento per il quale si desidera non essere disturbati dall’esterno, si ritiene che lo stato mantenga e conservi i valori consolidati, sia nella famiglia che nei rapporti di lavoro, mantenga l’ordine e risolva con efficacia e senza tante discussioni i problemi che non si è in grado di risolvere individualmente, senza però modificare l’esistente, eventualmente rafforzandolo istituzionalmente. Indifferenza, sfiducia, rifiuto di innovazioni, individualismo, delega ai competenti che interferiscano il meno possibile con la sfera privata. Non è la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia a preoccupare; è invece il deserto partecipativo creato dall’astensione e dalla destra, deserto che, nel centro e in quel che rimane della sinistra, non trova nessuna scintilla di rilancio di iniziativa partecipativa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

OSSERVAZIONI ALL’ARTICOLO DI SILVANO VERONESE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Ho letto, con grande interesse, l’articolo di Silvano Veronese “I SALARI ITALIANI SONO I PIU’ BASSI DI QUELLI EUROPEI? PERCHE’?” che ha stimolato la mia attenzione in questo periodo ferragostano. Condivido, e mi limito a questa parte dell’articolo, le cause che di fatto vanno a deprimere il livello salariale e vorrei fare un paio di osservazioni: a) Tutte le cause che Silvano elenca denunciano una debolezza del mondo del lavoro (dipendenti e sindacato) come contraente nel mercato del lavoro. Sono la presenza: dei contratti precari, del mancato tempestivo rinnovo dei contratti, dell’esistenza di contratti farlocchi, a dimostrare quei fenomeni che denunciano la soccombenza del mondo del lavoro nei confronti del contraente “capitale”. Non era certo così anni fa, quando il mondo del lavoro riusciva a conquistare diritti salariali, ma non solo, riuscendo a costruire un ambiente dove si arrivava addirittura (ricordo la lotta sulla prima parte dei contratti) a far trasparire una possibilità di una cogestione aziendale, anche se limitata e circoscritta. La mia osservazione, diciamo storica, è che la stagione diciamo “turatiana” (uso questo termine per indicare la stagione del riformismo) delle conquiste lente, ma indiscutibili, che in effetti ci sono state, è finita in corrispondenza cronica delle difficoltà del capitalismo. Tutte le crisi più recenti, da quella del 2007, a quella pandemica, alla attuale crisi energetica stanno smantellando quelle riforme a suo tempo conquistate, mettendo mondo del lavoro, sindacati compresi, in un angolo, sulla difensiva. La domanda è quindi se sia ancora valida una strategia “turatiana” in attesa di tempi migliori o non sia il caso di adeguare la strategia del mondo del lavoro puntando non agli aspetti sovrastrutturali ma a obiettivi strutturali che modifichino i rapporti tra capitale e lavoro. b) Il punto (f) che Silvano indica è quello che più sollecita il mio interesse. Da noi i salari crescono meno che negli altri paesi (Francia, Germania, Benelux e nordici) perché la produttività del nostro sistema produttivo cresce meno (o meglio quasi non cresce) di quanto cresca in quei paesi. E’ ovvio che se la produttività aumenta questo non è un fatto naturale ma è la conseguenza di una attività di ricerca, di formazione, di imprenditorialità che ama rischiare e innovare; ma è soprattutto, come ha dimostrato Mariana Mazzucato, il frutto degli investimenti che fa lo stato in quelle attività di ricerca di base che hanno un alto rischio di successo che comunque, quand’anche queto arrivasse, richiede tempi estranei ai parametri di pay-back di un capitalismo retrogrado. Si aggiunga però che l’aumento di produttività permette con lo stesso lavoro (e lo stesso salario) di produrre più beni che quindi sono in eccesso rispetto alla domanda aggregata. Di qui discendono due soluzioni; o si applica la golden rule per cui i salari debbono aumentare con lo stesso ritmo della produttività (alimentando quindi la domanda) o ci si rivolge all’esportazione (modello mercantilista). Bene, nel nostro paese, e rimando sempre ad un bellissimo articolo di Leonello Tronti, la differenza tra incremento della produttività e incremento dei salari fa segnare uno scarto sostanzioso, che è alla base di tre effetti: mancato aumento dei salari, buon andamento dell’export, modello produttivo basato sul basso costo della mano d’opera. Va bene salario minimo, va bene la riduzione del cuneo fiscale, ma questi provvedimenti draghiani non dovrebbero farci dimenticare cose più strutturali come: protagonismo dello stato nella ricerca, forte innovazione produttiva, modello industriale tecnologico, golden rule produttività/salari, insomma, come dicevo prima alzare lo sguardo alla struttura. c) Ma il punto che più mi sta a cuore è quello della robotizzazione, tema che dovrebbe scatenare le emozioni dei socialisti e che, al contrario vedo come una lenta e magmatica guerra di avanzamento del capitale contro il mondo del lavoro, avanzamento di cui il mondo del lavoro, come spesso gli capita, non si accorge. La questione è complessa, cerco di riassumerla: il futuro è un futuro tecnologico, la robotizzazione è lo sbocco più vicino a costituire il nuovo modo di produzione, l’intelligenza artificiale ed i computer quantistici daranno un contributo eccezionale a questo modo di produzione, questo modo di produzione porterà un mutamento sostanziale nei rapporti di lavoro, la robotizzazione comporterà l’eliminazione di moltissimi posti di lavoro, non in assoluto, ma creando qualche posto di lavoro tecnologicamente qualificato in più ma eliminando posti di lavoro (fisico e intellettuale) non qualificati in quantità massive, al limite (e alcuni autori hanno affrontato questo tema) si può immaginare un modo di produzione che non necessita del lavoro umano. Marx immaginava questo sbocco come lo scopo del socialismo, di un mondo cioè in cui gli uomini non sono obbligati a vendere il loro tempo per poter campare; ma Marx vedeva questo risultato come la risultante dell’eliminazione del dominio del capitale. Quello che invece non vedo nelle nostre discussioni è una indicazione, un progetto che possa gestire questa rivoluzione senza che essa sbocchi in un neo-schiavismo gestito dal capitale. Su questo fronte si è mosso Calenda con i bonus 4.0, ovvero regalare soldi al capitale se questo investe in tecnologia. Il PNRR prevede ben 38 miliardi di simili regali. Piccola riflessione: e se quei soldi invece di regalarli fossero erogati in cambio di azioni societarie, l’impresa produttiva non avrebbe nessuna conseguenza negativa, ma la comunità invece sarebbe la legittima proprietaria della tecnologia in più e non la generosa distributrice dei soldi che provengono per la più gran parte dalle imposte pagate dal mondo del lavoro.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it