I SALARI ITALIANI SONO I PIU’ BASSI DI QUELLI EUROPEI? PERCHE’?

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | PRO-MEMORIA PER IL FUTURO MINISTRO DEL LAVORO, SIA  ESSO DI DESTRA CHE DEL CENTROSINISTRA Nel dibattito pubblico e politico, sta prendendo piede, a seguito della richiesta di introdurre anche in Italia una salario minimo per legge, la narrazione di un impoverimento progressivo della società nazionale (forse, è vero ma come mai l’ISTAT ci comunica che il 1° agosto sono andati in vacanza 36 milioni di italiani e crescono i risparmi delle famiglie, i piu’ alti in Europa in rapporto al PIL?). Dice ISTAT: crescono le diseguaglianze perché aumentano i grandi patrimoni, spesso legati alla speculazione finanziaria piuttosto che all’incremento delle attività produttive, a scapito delle RETRIBUZIONI che sarebbero troppo basse. Siamo d’accordo. Ma i salari e stipendi  italiani sono veramente  i piu’ bassi d’Europa, anche rispetto a  quelli dei Paesi ex-comunisti dell’Europa Orientale, di Cipro, Slovenia, Portogallo? Perché allora rumeni, slovacchi, polacchi, ungheresi, bulgari, assieme a russi ed ucraini, da anni vengono a lavorare in Italia? Sono affermazioni singolari che aiutano il populismo, strano che le abbia fatte anche il Ministro del Lavoro on. Orlando a dimostrazione della superficialità con la quale, anche uomini di governo, affrontano spesso questioni complesse senza puntuali analisi. Abbiamo detto e lo ripetiamo, c’è bisogno di aumentare sia il salario lordo che quello netto (ciò che rimane in tasca al lavoratore), ma l’intervento sul lordo appartiene alla sfera della autonomia contrattuale propria delle parti sociali e non del Governo, il quale puo’ – come ha deciso di fare – intervenendo sul NETTO, riducendo il “cuneo fiscale” oppure – in qualità di datore di lavoro rinnovando adeguatamente i contratti di lavoro (CCNL)  del  pubblico impiego. Ma quella ancor piu’ singolare – sempre a detta dal Ministro del Lavoro – è l’affermazione che “i salari italiani  (unico caso in Europa) sarebbero CALATI anziché aumentare rispetto a 30 anni fa (1992)”. A noi non risulta che ci siano stati “tagli” alle retribuzioni lorde contrattuali o che NON siano stati rinnovati i contratti nazionali e aziendali in questo trentennio. Una dichiarazione sbagliata, non corrispondente alla storia contrattuale del periodo, almeno per la stragrande maggioranza delle categorie dell’industria, dei servizi, del terziario e turismo, della Pubblica Amministrazione e dell’agroindustria. Le statistiche OCSE ed EUROSTAT (l’Istat europeo) si riferiscono al SALARIO MEDIO, ricavato dal valore della massa salariale globale diviso per il numero dei lavoratori e lavoratrici che hanno prestato attività anche ad orario ridotto nella settimana o nel mese o in ragione d’anno. E’ certamente possibile che questo valore MEDIO sia calato rispetto a 30 anni fa, anche se ci sono stati i rinnovi contrattuali con gli opportuni aumenti perché è calata la massa salariale complessiva a parità di lavoratori e lavoratrici occupate. Ciò si spiega per vari fattori, alcuni dei quali chiama in causa anche il Ministero del Lavoro di questo e di precedenti Governi, anche di centro-sinistra: a) Sono cresciuti a dismisura, rispetto al 1992, i rapporti di lavoro PRECARI, perciò non continuativi in ragione d’anno  o a tempo parziale e perciò con un reddito complessivo ridotto rispetto ad una retribuzione annuale normale; b) Spesso, in molti settori lavorativi, a basso potere sindacale e contrattuale, i rinnovi dei CCNL non sono sempre avvenuti oppure sono accaduti  con notevoli ritardi rispetto alla scadenza triennale e senza il pagamento nelle “more” della indennità di vacanza contrattuale (una specie di anticipazione/acconto  dei futuri aumenti), così come previsto dal Patto sociale triangolare del 23/7/1993 sottoscritto con il Governo Ciampi. Questo patto come -in un certo modo – anche quello di S.Valentino sottoscritto nel 1984 con il Governo Craxi impegnava le parti sociali (in particolare le 44 organizzazioni datoriali) a rinnovare alla scadenza i singoli contratti categoriali di categoria. Vorremmo sapere quanti Ministri del Lavoro, a parte Gino Giugni, hanno convocato in questi 30 anni le parti in caso di mancato rinnovo dei CCNL in qualche categoria, come erano usi a fare i vari Donat Cattin, De Michelis, Bertoldi, Anselmi, Toros, Coppo ed altri nella 1^ repubblica? c) Sempre, in settori lavorativi minori sindacalmente deboli (pensiamo ai lavori domestici, ai servizi alla persona o alle famiglie, alle aziende di pulizia, alle cooperative di assistenza, agli ausiliari del trasporto e facchinaggio, all’agricoltura dove operano i “caporali”, etc.) molti lavoratori e lavoratrici sono “sottopagati” con tariffe salariali irregolari non contrattuali ma imposte dal “padrone”; d) Anche nei settori sindacalmente meno deboli vi sono situazioni di inquadramento professionale, e perciò retributivo, NON regolare nel senso che molti lavoratori, in particolare le donne e gli immigrati, sono inquadrati ad un livello inferiore e non corrispondente a quello previsto dal CCNL in base alla mansione svolta, sotto il ricatto – in quanto “precari” della non stabilizzazione del rapporto di lavoro in caso di vertenza; e) Sono cresciuti i CCNL “farlocchi” negoziati (si fa per dire) fra Associazioni padronali e sindacali autonome “farlocche” che stabiliscono trattamenti salariali inferiori rispetto a quelli negoziati fra le grandi organizzazioni confederali datoriali e sindacali; f) A differenza degli altri grandi Paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Benelux e “nordici”) vi è stata negli ultimi anni una regressione nel nostro sistema produttivo e dei servizi della produttività e, quindi, le retribuzioni di fatto, in particolare nella componente  aziendale delle stesse, sono cresciute poco o niente. Tutti questi negativi fenomeni, alcuni – come abbiamo spiegato – del tutto irregolari andrebbero perseguiti, sanzionati e corretti. Derivano dalla esplosione del fenomeno del “precariato” e dei contratti “atipici” che vanno decisamente e fortemente ridimensionati nel  numero e riscritti nella loro regolazione, riconducendoli alle  motivazioni originali  di straordinarietà o di eccezionalità, come la stagionalità o in presenza di  lavori occasionali e non ripetibili. Questi fenomeni negativi che, molti anni fa non esistevano se non in misura contenuta, abbassano la MEDIA delle retribuzioni italiane ad un livello inferiore alla media salariale dei Paesi dell’Eurozona (moneta unica)  perché in dette realtà nazionali non ricorrono, almeno  in queste quantità debordanti come in Italia, dove il lavoro a tempo indeterminato e ad  orario pieno rischia di divenire l’eccezionalità ed il lavoro precario e non continuativo la norma. Però è sbagliato dire che il loro livello è inferiore anche rispetto a tutti gli altri Paesi facenti parte …

APPELLO AL VOTO

di Ufficio di Presidenza di Socialismo XXI | INVITO AGLI ITALIANI A VALUTARE SCELTE ELETTORALI CHE NON PORTINO L’ITALIA ALL’AVVENTURA E ALLO SCONTRO INTERNAZIONALE. INDICHIAMO ALCUNI NO DECISI: – NO alle privatizzazioni spinte di servizi pubblici essenziali importanti, come la sanità, l’acqua, l’istruzione Perché la produzione/erogazione di questi servizi, che devono soddisfare bisogni primari dei cittadini, non possono essere occasioni di profitto privato a scapito dell’universalità dei servizi stessi, della loro efficienza, di creazione di diseguaglianza tra cittadini, tra ceti e regioni del Paese. Nella Sanità vanno ripristinati i livelli di presenza in servizio dei medici e paramedici, dei posti letto e degli ospedali di territorio continuamente ridotti da cinque anni nonché ridotte le erogazioni di risorse per le convenzioni con cliniche private. – NO a riforme fiscali che arricchiscano i ricchi a danno di tutti gli altri, come sarebbe la “flat tax” Perché si imporrebbe la peggiore delle diseguaglianze, annullando un atto di giustizia fiscale rappresentato dalla “progressività”; perché sarebbero favori i redditi più alti a scapito dei redditi dei cittadini meno abbienti che sarebbero tassati con una % uguale per i ricchi, ma in proporzione al proprio reddito subirebbero una maggiore iniquità. – NO alle proposte di federalismo fiscale che squilibrino ancor di più le Regioni Perché, oltre a creare ulteriori difficoltà alle Regioni povere con l’aggravamento degli squilibri territoriali già esistenti nel nostro Paese con la riduzione delle possibilità di soddisfare adeguatamente in alcune realtà regionali a sviluppo ritardato bisogni sociali essenziali, verrebbe meno il principio di solidarietà nazionale, e si creerebbero anche per lo Stato Centrale enormi difficoltà e certezze alla determinazione del bilancio pubblico e delle sue entrate. – NO al lavoro precario, insicuro, irregolare Perché impedisce alle giovani generazioni, destinatarie principali di questi iniqui rapporti di lavoro, di avere stabilità di reddito e le possibilità di crearsi una famiglia. L’enorme diffusione di questo ricorso a questi contratti discontinui ed irregolari o ad orario parziale, e quindi a retribuzione ridotta rispetto ad una normale, ha rappresentato in questi anni la deprecabile situazione in Europa che vede l’Italia – terza potenza economica e industriale della U.E., ritrovarsi con un SALARIO MEDIO fra i più bassi nella U.E.  e sotto la media europea. – NO allo strapotere economico dannoso delle multinazionali  Divenute un potere straordinario che si sovrappone alla stessa sovranità delle Istituzioni Pubbliche che governano gli Stati sostituendosi alla politica e alla rappresentanza democratica espressa dalla volontà popolare. – NO ad eletti scelti dai capi di partito, attraverso le liste bloccate, e a modifiche della Costituzione di tipo presidenzialista Urge una Riforma del sistema elettorale vigente che, oltre a creare una stortura democratica con il sistema maggioritario uninominale che permette vantaggi alle prime minoranze determinando un “vulnus” ad una giusta rappresentatività dei singoli partiti proporzionale al loro peso elettorale, impedisce al popolo elettorale sovrano di eleggere attraverso il voto di preferenza i parlamentari che preferisce.   Non condividiamo ipotesi di Costituzione presidenzialista, perché ridurrebbe le funzioni dei parlamentari eletti dai cittadini e concentrerebbe poteri in una sola persona, come già avviene in Paesi che hanno disgraziatamente visto nascere le “democrature”, con forti limitazioni di diritti in vari campi, nei diritti civili, nell’amministrazione della giustizia, nella libertà di parola e di pensiero. E INDICHIAMO ALCUNI SI DECISI: – SI ad investimenti nella sanità pubblica In particolare per incrementare il numero delle presenze a pieno tempo del personale medico, specialistico, e paramedico, le cui prestazioni sul piano della cura ed assistenza ai pazienti nonché della ricerca, secondo un recente rapporto OCSE, pongono l’Italia al terzo posto nel mondo e al secondo in Europa. Oggi questa eccellenza può essere fortemente compromessa per i continui minori finanziamenti al S.S.N. Servono altresì investimenti per estendere e sviluppare la medicina di territorio per venire incontro alle necessità quotidiane di assistenza ordinaria, ridurre il negativo fenomeno delle liste di attesa anche per esami e prestazioni minime e ordinarie e gli intasamenti dei “Pronto Soccorsi” ospedalieri. – SI ad investimenti in Ricerca ed Istruzione Occorre evitare la “fuga di cervelli” e stabilizzare la qualità dell’insegnamento. – SI al totale impegno per la transizione ecologica e per maggiore copertura energetica nazionale e tutela dell’ambiente Vanno recuperati i ritardi nell’uso di fonti energetiche meno inquinanti e nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento da paesi esteri. – SI a provvedimenti ed iniziative contro la povertà, il precariato, l’insicurezza sociale di lavoratori dipendenti, professionisti, artigiani e commercianti Il nostro Paese spende per attività assistenziale uno dei maggiori stanziamenti pubblici e, forse, il maggiore in % rispetto al P.I.L. Ci sono troppe e disparate tipologie, spesso frutto di scelte non razionali e dettate da motivazioni elettorali e di una disordinata regolamentazione per definire i destinatari realmente bisognosi di sostegno, le condizioni e i controlli. Il risultato porta ad erogare spesso provvidenze a destinatari non bisognosi e ad erogare misure insufficienti a bisognosi reali. Va ridefinito con razionalità questo importante settore del WELFARE, agevolando anche le forme sempre più diffuse di un Welfare complementare affidato a soluzioni contrattuali da parte delle categorie in uno con l’impegno in materia di Regioni e Comuni. – SI al ruolo politico, efficace e sostanziale, dell’Europa per la pace e l’equità sociale e ad una funzione propositiva dell’Italia nella NATO Chiediamo la fine della guerra in Ucraina. Si dovrà pervenire nel mondo ad un complesso di rapporti tra gli Stati fondato sul multilateralismo e la coesistenza – anche economica – tra diversi sistemi. E’ possibile che si creino alleanze pacifiche fondate su comuni culture e sistemi politici dei singoli Stati. L’Italia e l’Unione Europea si collocano in un ambito che va riconfermato nelle sue appartenenze e strutture, come ad esempio è la NATO. Ma questa alleanza non deve operare in sostituzione della politica degli Stati membri. Il rafforzamento dell’Unione Europea dovrà emancipare l’Europa stessa e creare le condizioni per un ampio rapporto di collaborazioni a fini difensivi tra Europa e Nord America. – SI ad un sistema elettorale proporzionale con le preferenze espresse dagli elettori Il sistema proporzionale puro è quello che garantisce le rappresentanze …

I “RODITORI” DELL’ARCA PERDUTA

di Anna Rito – Coordinatrice Socialismo XXI Basilicata | La crisi di governo ha mostrato la persistente vitalità del populismo e la necessità di continuare la battaglia che da tempo abbiamo ingaggiato contro di esso e l’antieuropeismo “a prescindere”. Il deciso “no” alla domanda di Draghi, che chiedeva alla coalizione di governo se si sentisse pronta a proseguire il cammino delle riforme iniziato nel febbraio 2021, evidenzia le paure del M5Stelle di perdere ancora parte di quei consensi ricevuti con promesse assistenziali che non hanno mai avuto il controllo di legittima e, si potrebbe anche aggiungere, condividendo in linea di principio alcuni provvedimenti, doverosa destinazione, e la preoccupazione di quelle componenti del Centro Destra che hanno dovuto assistere all’ampio vantaggio lucrato da Fratelli d’Italia, stando all’opposizione. Il rifiuto è stato motivato dal M5Stelle in forza dei fantomatici “nove punti” di Giuseppe Conte che non sarebbero stati tenuti nel debito conto da Draghi, provocando una sbandierata, vittimistica mortificazione del gruppo più numeroso in Parlamento che avrebbe visto “smantellato” ogni suo provvedimento a favore dei cittadini in difficoltà. Il centrodestra, con a capo Matteo Salvini e di rincalzo, Silvio Berlusconi, hanno opposto al fermo discorso di Draghi richieste alternative irricevibili: non si può pretendere da chi auspica una ritrovata collaborazione al governo di unità nazionale di farne fuori una delle componenti, né si potevano esigere ulteriori rottamazioni di pagamenti da chi aveva appena indicato la gigantesca somma di danaro mancante, dovuta all’erario. Entrambe le motivazioni addotte per respingere l’appello di Draghi, risultano infondate rispetto a quanto nel suo breve e preciso discorso aveva disegnato. Nel caso dei provvedimenti del M5Stelle si trattava di apportare correttivi e di riformularli in buona legge, cosa che non era avvenuta a suo tempo. Nel caso del Centro Destra, lo abbiamo già detto: Draghi aveva richiesto la continuità dell’azione di governo, non un nuovo governo senza il M5Stelle. L’interesse di parte è stato da entrambe le componenti del governo anteposto al bene comune dell’Italia e alla nostra collocazione in Europa. Il centrodestra di governo non ha esitato, di fronte alla situazione drammatica dell’Italia, a cedere a calcoli elettorali(stici) per riequilibrare il vantaggio accumulato nel frattempo dalla propria componente antigovernativa (quanto questa unità nella divisione o divisa-unità sia un animale politico assai “singolare” è cosa su cui riflettere). Quelle forze politiche hanno così rotto proditoriamente il patto che aveva dato all’Italia un governo di unità nazionale autorevole, anche se con obiettivi limitati e comunque ben chiariti all’inizio. Con il loro rifiuto a proseguire l’azione di governo hanno lasciato milioni di lavoratori, di famiglie, di disoccupati nella tenaglia della crisi economica che si farà purtroppo più stringente. Noi socialisti non lo dimenticheremo. Alle manovre della “disinformatia” e alla retorica demagogia populista dovremo opporre sempre un linguaggio chiaro e un’azione che abbia come obiettivo, oltre che di alleviare il disagio economico e sociale della nostra gente, anche quello di mantenere l’Italia nel centro dell’Europa e delle politiche internazionali, posizione conquistata dal governo Draghi. Obiettivi già raggiunti nel passato della storia socialista. La situazione attuale chiama allo stesso sforzo, alla stessa intelligenza e tenacia, allo stesso amore per sé stessi, per la propria storia e dell’Italia che permisero quei raggiungimenti. I tanti fiumi e fiumiciattoli devono riunirsi e volgere alla stessa foce. Le voci divise farsi coro per partecipare a proposte fattive per il nostro Paese.    SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

QUALE SOCIALISMO NEI PAESI EUROPEI ?

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Da l’IDEOLOGIA SOCIALISTA La disastrosa esperienza sovietica del socialismo, oltre ad aver generato, dopo il suo crollo, uno dei paesi più autocratici e reazionari, ha anche generato, a mio parere, una avversione al socialismo che ne ritarda l’avvento di qualche secolo. I paesi satelliti sono stati facile preda della NATO ed hanno cancellato l’apparato socialista aderendo in gran parte alla UE la cui connotazione liberista in economia è egemone. Nei paesi occidentali i partiti socialisti e comunisti hanno abbandonato gli obiettivi che si erano prefissati prima del crollo dell’URSS, perdendo identità perseguendo una vaga e idealistica promozione di nuovi diritti. Rimane il socialismo scandinavo, esempio di un virtuoso ed efficace welfare, ma che ha visto scomparire il mitico piano Meidner per una diffusione della cogestione senza espropriazione. Il socialismo sembra aver più successo a Cuba e nei paesi sudamericani, e conosce una potente esperienza nella Cina, nella forma di una intelligente fissazione di obiettivi economici e sociali da raggiungere anche con forme imprenditoriali da capitalismo di stato. Ovviamente i modelli di socialismo sudamericano o cinese non sono applicabili nei paesi europei tenendo conto del diverso sviluppo politico e culturale creatosi nei diversi contesti. Per quanto riguarda il modello sovietico, Gramsci definì la rivoluzione russa come una rivoluzione contro “Il capitale” sottolineando le differenze sostanziali fra le società arretrate come la Russia e le società sviluppate come quelle dei paesi a capitalismo avanzato, che richiedevano dunque tattiche differenti per conseguire il medesimo risultato strategico. Si tratta di un Gramsci giovane che non conosceva gli sviluppi del modello sovietico crollato poi sotto il peso delle sue contraddizioni, ma che correttamente evidenziava i diversi modi di procedere alla costruzione del socialismo in paesi dal diverso sviluppo economico e culturale. Anche per quanto riguarda il soggetto chiamato ad avviare l’accesso al socialismo, esso varia in funzione dello stato in cui si trova il paese; in Russia fu un partito guidato da Lenin seguito da masse di operai e contadini, nei paesi sudamericani il soggetto è generalmente di fonte militare mentre in Cina è la grande personalità di Mao che trascina le masse contadine dietro di sé. Riflettendo con pacatezza sembra poter concludere che il soggetto della rivoluzione è sempre un intellettuale o una figura emergente che si appoggia sulle masse diseredate; si può ritenere che il soggetto rivoluzionario si appoggi od adoperI la massa di operai e/o contadini in modo strumentale e che mai la classe subalterna, sia essa operaia o contadina, è soggetto egemone nella fase rivoluzionaria. Sia inoltre chiaro che quando parlo di rivoluzione non mi riferisco alla rivoluzione ottocentesca dell’ottobre, ma al concetto rivoluzionario gramsciano di passaggio dalla guerra guerreggiata alla guerra di posizione, in sintesi una rivoluzione culturale in cui il cuore sta nel trasformare le masse subalterne in classi dirigenti. Qual è, oggi, lo stato delle masse subalterne in Europa? Le osservazioni di Pasolini, autore del quale non amo la diffidenza verso l’evoluzione, mi sembrano, allo scopo del presente lavoro, dare un aiuto nella diagnosi dello stato delle masse subalterne nel presente momento storico. A fronte di una maturità delle masse durante la Resistenza (senza dimenticare che salvo poche eccezioni nei decenni precedenti le masse erano asservite con scarsa dialettica nei confronti dell’asservitore) le masse odierne presentano una mutazione che sintetizzerei in un divenir “consumatori” e per ciò focalizzati sul fronte economico-corporativo anziché politico-dirigente. Lo scenario consumistico premia obiettivi di affermazione sociale fondata sul successo individuale o ristretto familiare o di gruppo che affronta la scalata nello scenario sociale su un fronte di lavoro autonomo. La frase “diventare imprenditori di sé stessi” esprime la sociologia odierna di vaste masse di subalterni. Questa dissoluzione delle masse, se paragonate a quelle degli anni cinquanta, si traduce in una spaccatura tra lavoratori regolari a tempo indeterminato, lavoratori a tempo determinato con un continuo scontrarsi con periodi di non lavoro, lavoratori stagionali, lavoratori a part-time, precari che lavorano senza tutele né prospettive di miglioramento, lavoratori in nero ed infine lavoratori schiavizzati (penso ai raccoglitori di pomodori nel mezzogiorno). A questa dissoluzione la pandemia covid ha aggiunto lo smart worker, che ha perso ogni contatto con i compagni di lavoro, opera isolatamente gestendosi i propri tempi di lavoro, gestione che spesso si traduce in più ore di lavoro (fosse anche per il tempo risparmiato per recarsi sul posto di lavoro) che necessariamente fa rivivere un modo di lavoro (il cottimo) misurato sul prodotto consegnato. Politicamente poi, le masse subordinate o si astengono dal voto, o votano anche per la Lega, Forza Italia o Fratelli d’Italia, se poi votano anche per il Partito Democratico lascio a voi immaginare quale contenuto rivoluzionario possa rappresentare questa scelta. In sintesi, ritengo che nell’equilibrio tra soggetto intellettuale e masse subalterne, oggi riscontriamo una disgregazione delle masse subalterne, disgregazione che mina la solidarietà di classe e che quindi riversa la valanga della responsabilità rivoluzionaria sul soggetto intellettuale. Ma sul fronte degli intellettuali, purtroppo, va verificato che la responsabilità rivoluzionaria stenta a trovare accoglienza. Vorrei, a questo punto, fare una digressione che riguarda la capacità di analisi e quindi di previsione e dunque di governo degli economisti in questo ultimo secolo, tanto per dare delle date dal 1929 in poi. Non a caso ho indicato il 1929, l’anno della grande crisi di cui gli economisti non capirono nulla se non Keynes. Ma l’incapacità degli economisti si è ripetuta recentemente nel 2007 quando la crisi dei subprimes ha messo in crisi tutti gli economisti (solo Roubini ci capì qualcosa) con la memorabile domanda che la regina Elisabetta pose loro “Ma perché non avete previsto tutto ciò?”. Se andiamo a tempi più recenti ritroviamo che per anni, immettendo liquidità (quantitative easing) si cercava di creare, senza riuscirci) quell’optimum di inflazione vicino al 2%, ma poi, per esempio gli USA, dopo aver stampato moneta per 4.900 miliardi di dollari (3.000 Trump e 1.900 Biden) si trovano ad affrontare una inflazione vicina al 10%, mentre in Europa l’inflazione, vicina all’8%, non è causata dalla domanda …

FINE DEL MOVIMENTO “5 STELLE”

di Anna Rito – Coordinatrice Socialismo XXI Basilicata | La scommessa Una domanda tra il serio e il faceto di tanto in tanto mi si è presentata nei   pensieri. Pazienti interlocutori hanno perfino dovuto seguirne il corso.  La mia immaginazione, non esente da un sottotraccia polemico, ha costruito un quadro d’interni dov’è protagonista il comico Grillo.  Seduto al tavolo di un ristorante noto (a Parma, a Marina di Bibbona?) con sodali importanti e influenti, dispensa esoteriche riflessioni, saltando dalla politica alla finanza e dall’ inquinamento all’energia pulita, dallo spettacolo all’informazione. Le sue iperboli, dosate sapientemente con il tono dell’attore, incantano, le sue metafore trascinano. Il consenso che ottiene in teatro e sui più recenti mezzi d’informazione, dei quali egli è già un maestro, gli dimostrano che non ha più bisogno di provare il suo talento persuasivo. Ed ecco che una sera d’inverno, sempre seduto in uno dei ristoranti di cui sopra, davanti ad un bollito eccellente e a un lambrusco non meno eccellente… o forse no, forse nell’altro ristorante dove il mare alleva pesce di fine pastura ordinando una tatara di tonno come antipasto, fulminea balena l’idea: l’apriremo come una scatoletta di tonno! Chi che cosa? “Ma il Parlamento, ovviamente, poveri di spirito e incapaci d’immaginazione!” Silenzio, facce perplesse. E lui memore del Mefistofele di Goethe: “Scommettiamo?” Vincerà la scommessa. In pochi anni, piazza dopo piazza, comizio dopo comizio con “voce chioccia” come il Pluto dantesco, “bravi ragazzi” cui si aggiungono “bravi ragazzi”, inventerà il movimento “5 Stelle”.  Tutto quello che è accaduto dopo è storia nota. I “bravi ragazzi” hanno dato inconfutabile prova che volenteroso ma non preparato in politica si traduce in danno. Danno per chi? Non per lui che ha vinto la scommessa, non per i “bravi ragazzi/e” che mai prima avevano sperato in mensili tanto pingui e inebriate videate televisive. Allora per chi? Scommettiamo che ci indovinate? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONSIDERAZIONI E PROPOSTE SULLA EMERGENZA SALARIALE CHE RISCHIA DI  DIVENIRE ESPLOSIVA

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | La questione salariale è diventata un punto centrale dell’agenda non solo sociale, ma anche politica del Paese e merita dunque una valutazione oggettiva  della situazione anche per saper indicare sul “dove” e sul “come” intervenire. Questione non piu’ rinviabile per evitare il rischio di un autunno “esplosivo”. Martedì prossimo, infatti, a Palazzo Chigi il Governo incontrerà le parti sociali alle quali – come abbiamo appreso da una intervista alla “Stampa” del 7 luglio del Ministro del Lavoro Orlando – saranno  sottoposte alcune proposte che riguarderebbero sia il basso livello delle retribuzioni, sia la questione del “lavoro povero”, sia il rinnovo dei contatti ai quali il Ministro del Lavoro intenderebbe  affidare il compito di fissare il valore del “salario minimo” come indicato dalla proposta di direttiva della Commissione Europea per i Paesi – come il nostro ed i “nordici”  – ove è presente una consolidata ed estesa tradizione contrattuale a livello nazionale. Si tratta di affrontare le problematiche in un contesto complessivo rifuggendo da slogans, da interpretazioni sbagliate di una realtà moto articolata, di difesa di “bandierine”. Si legge,  ad esempio, sempre più frequentemente affermazioni tipo “L’Italia fanalino di coda in materia di salari (i più bassi) in Europa” tenendo presente che quando si parla – in termini di statistiche e di comparazioni in materia retributiva  fra i vari Paesi della U.E. – si fa riferimento al salario medio  dei vari Paesi distinguendo tra  quelli che appartengono all’intera Unione e quelli (in numero inferiore) che appartengono al sistema monetario unitario (Eurozona). Che i salari e gli stipendi italiani fossero mediamente piu’ bassi degli altri grandi Paesi europei (Spagna esclusa) è una dato negativo purtroppo noto da tempo ma non risponde alla realtà che siano i più bassi dell’intera U.E. e neppure dell’ Eurozona. In testa alla classifica vi è il Lussemburgo con un salario annuale MEDIO (al netto delle trattenute fiscali e sociali) di 41.239  euro, seguono i Paesi Bassi con 39.089 euro, poi la Danimarca, Finlandia, Germania (31.831 €), Belgio (29.389 €), Francia (quest’ultima con 27.768 euro). La media U.E. è di € 24.005. Viene quindi, sotto la media europea, l’Italia con 21.463 euro seguita da Spagna, Cipro e Malta, Grecia e Portogallo.  E poi a seguire con valori assai inferiori altri undici Paesi appartenenti alla U.E. Buone ultime Romania (8.495 €) e Bulgaria (6.385,89 €). Il Lussemburgo è preceduto in testa alla classifica dalla Norvergia con € 42.433, ma questo Paese non aderisce – come è noto –  alla Unione Europea, alla pari di Svizzera e Islanda il cui salario medio annuale è più o meno come quello norvegese. Non siamo perciò  all’ultimo posto, ma è doveroso sottolineare che i Paesi che ci seguono, dopo i cinque che abbiamo elencato in precedenza, appartengono tutti al blocco ex-sovietico, le cui retribuzioni – al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia – erano molte basse dato un sistema economico bloccato esistente all’epoca in quei Paesi e basse  sono rimaste anche se hanno migliorato in %, rispetto al dato di allora, molto più dei Paesi dell’Europa occidentale e dell’Italia che è, persino, regredita come documentato dall’OCSE. Ma un Paese, come l’Italia (appartenente alle sette economie di mercato più importanti del mondo), con il terzo PIL della U.E., secondo esportatore europeo  dopo la Germania e terzo finanziatore attivo dell’Unione non può relegare le retribuzioni dei suoi lavoratori  quasi in coda tra le situazioni salariali della gran parte dei  Paesi dell’Eurozona (sotto la media !!) ed in particolare dei quattro maggiori Paesi della U.E. stessa. Nell’Eurozona il salario medio lordo annuale è pari a 37.400 euro , in Italia è a 29.440 euro, mentre in Germania è di 44.468, in Francia  è di 40.170, in Spagna (che ci segue) è di 27.404. Da rilevare che questi dati, censiti nel 2020, vedono allargarsi il divario in peggio per la situazione italiana rispetto a quella degli altri tre Paesi citati e della stessa media registrata tra i Paesi dell’Eurozona. Certamente in Germania ed in Francia il costo della vita è più alto che in Italia, ma il divario è sensibile ed in ogni caso l’Italia – a differenza degli altri Paesi – non ha recuperato i livelli esistenti prima dello scoppio dell’epidemia COVID-19. Le cause che spiegano questo fenomeno negativo, dato che la maggioranza delle categorie dell’industria, terziario e turismo, servizi, esercizi pubblici e pubblico impiego hanno rinnovato (a volte in ritardo) in questi anni i loro contratti (anche sul piano salariale) sono da ricercarsi in particolare nelle  condizioni del mercato del lavoro. Abbiamo, sempre per fare una comparazione con i restanti Paesi, un alta % di basse qualificazioni professionali e quindi una maggiore concentrazione – rispetto agli altri Paesi – di lavoratori e lavoratrici collocati nelle qualifiche più basse e perciò a più bassa retribuzione ( Italia 13 %, eurozona 9,9 %, Francia 9,8% e Germania 7,7%, solo la Spagna ci supera di poco). Poiché le comparazioni delle statistiche riguardano i salari/stipendi medi è evidente che,  se anche le retribuzioni contrattuali dei vari Paesi presi in esame  fossero più’ o meno uguali a livello della stessa mansione/qualifica,  la maggiore consistenza in Italia del numero  di basse qualifiche abbassa anche il  valore medio delle retribuzioni annuali del nostro Paese. Il fenomeno – per me non virtuoso – di un apparato produttivo nazionale di piccole e micro imprese a bassa innovazione tecnologica (salvo poche eccellenze) produce anche una più ridotta presenza rispetto ad altri grandi Paesi  di mansioni e qualifiche elevate inquadrabili  nella parte alta dell’inquadramento professionale e retributivo. Abbiamo poi in Italia un’alta percentuale di occupati con contratti a “tempo parziale” non volontario, abbiamo una più alta % – rispetto a questi Paesi – di occupati “a termine”, che quindi in ragione d’anno non lavorano e quindi non percepiscono retribuzione con continuità  per tutti i mesi correnti. Il fenomeno del ricorso in eccesso del lavoro “flessibile” o “precario” – anche fuori da circostanze organizzative aziendali  che lo richiederebbero –  è un dato tipicamente italiano che abbassa notevolmente il valore …

L’EDITTO DI UN DITTATORE SULLA NATO

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Non so se la famosa affermazione di Pietro Nenni “politique d’abord ” – con la quale motivava scelte a volte discutibili per vari compagni –  abbia ispirato la decisione del Presidente Draghi nel condividere il compromesso di Madrid al vertice NATO con il quale si è ottenuto il “placet” del dittatore Erdogan all’ingresso di Svezia e Finlandia a fronte dell’estradizione in Turchia di profughi curdi residenti nei due Paesi baltici. “La politica prima di tutto”,  secondo il compagno Nenni, consisteva nel non aver pregiudiziali tattiche rispetto alle grandi scelte politiche e che un leader che puntava a grandi obiettivi non doveva farsi condizionare sui mezzi da impiegare. Ritengo però che questa massima non possa essere compatibile con questo compromesso. Una alleanza, pur militare (detta anche “di difesa”), dovrebbe associare Paesi con comuni valori e principi e sistemi politici comuni da difendere e tutelare, altrimenti è un’altra cosa! Lo “scambio politico” intervenuto con la Turchia  – penso su pressione anglo-americana – appare semplicemente osceno e se la Svezia procederà all’instradamento verso la Turchia di esuli curdi residenti, in quanto rifugiati, nel suo Paese ciò rappresenterà una macchia nera su questa grande democrazia, per noi spesso un esempio di socialità, di accoglienza, campione di diritti civili. Sono sicuro che Olof Palme, avendolo conosciuto ed apprezzato il suo pensiero, non avrebbe accettato e concordato un simile fatto. Gli USA non sono nuovi, invece, a compromessi del genere con i peggiori personaggi del mondo per raggiungere i propri obiettivi, ma l’Europa occidentale ha dimostrato tutta la sua crisi anche valoriale oltre che di ruolo accettando la pretesa turca di un’inaccettabile contropartita affinchè Erdogan togliesse il suo veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. I Paesi europei hanno accettato un diktat da parte di una nazione sul cui sistema di brutale repressione interna  del dissenso hanno piu’ volte manifestato profonda avversione negando ad Ankara qualsiasi eventuale richiesta di entrare nella U.E., una nazione- quella turca – con una economia disastrata con il 73 % di inflazione e con una moneta “carta straccia” tanto che sarà costretta quanto prima a richiederci aiuti economici per evitare un pauroso “default”. Una pretesa di questo genere sarebbe stata impossibile fino a qualche anno fa, ora il fatto che possieda il secondo esercito, dopo gli USA, della NATO per uomini e mezzi, con il quale – a differenza della U.E. – argina la potenza russa in Siria che sostiene il dittatore Assad ed in Libia dove i russi appoggiano il regime secessionista di Bengasi e Tobruk contro Tripoli, permette ad Erdogan di dettare legge agli europei, arrivando anche a trivellare gas nelle acque territoriale di Cipro, Paese della U.E. La debolezza dell’Europa, in parte dovuta anche ad un certo declino sul piano economico, deriva particolarmente da una divisione tra i suoi  Paesi aderenti sul piano della politica estera e sull’assenza di una propria forza militare unitaria e perciò incapace di svolgere un ruolo e di sopportare impegni nei teatri bellici e/o instabili del Medio Oriente, avendo delegato agli USA tale funzione  ma , con ciò, relegandosi ad  un ruolo subalterno. Di questo declino ne ha preso consapevolezza anche la Russia che – nella crisi ucraina – non ha dato minimamente retta ai ripetuti interventi fatti da Germania, Francia ed anche dell’Italia che si erano proposti come possibili sollecitatori di un “cessate il fuoco” nel martoriato Paese. E’ possibile, certamente sarebbe auspicabile, che dopo  un “cessate il fuoco” in Ucraina o per facilitarlo, grazie anche ad un eventuale impegno della Cina, che si apra una Conferenza mondiale che – sulle ceneri dei vecchi accordi di  Yalta – porti ad un grande intesa  per una nuova “governance” del pianeta tra le grandi potenze, con il coinvolgimento di nuovi importanti attori, tra sistemi di alleanze politico-militari tale da assicurare un minimo di coesistenza pacifica nel globo. In questo contesto l’Europa non potrà  essere presente solamente come entità unitaria monetaria o economica perché, diversamente – il suo ruolo politico non potrà che essere marginale e subalterno. Il prossimo Consiglio Europeo – se non vorrà giungere ad un nuovo fallimento – dovrà fare un deciso passo in avanti sul piano dell’unità politica della U.E., in particolare sul piano delle relazioni e dei rapporti internazionali e della comune difesa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONVEGNO REGIONALE SULLA TRANSIZIONE ENERGETICA IN UMBRIA

di Mauro Scarpellini – Resp. Amm.vo Socialismo XXI | Ringrazio dell’invito che l’Associazione Socialismo XXI secolo ha gradito e di essa confermo l’adesione della Presidenza nazionale; mi complimento per l’iniziativa molto importante. Devo spiegare perché un’Associazione politica ha aderito. Perché la nostra Associazione sta costituendo movimenti regionali – che saranno federati nazionalmente in un movimento nazionale o partito nazionale – basati su contenuti programmatici qualificati che siano caratterizzati: – da forte socialità e temiamo che in autunno possa manifestarsi una crisi sociale, – da forte tutela dell’ambiente senza no e senza si dati pregiudizialmente e per la realizzazione della transizione energetica, – da forte valorizzazione delle esperienze comunali civiche, serie, non clientelari, per l’apporto che possono dare alla individuazione di bisogni e di soluzioni locali – da forte valorizzazione delle politiche antirazziste e antidiscriminatorie, di ogni tipo e per i diritti civili e per le pari opportunità effettive, – per la distensione e la pace di cui avvertiamo tutti l’importanza, – per un’Europa non liberista, non in mano alla grande finanza speculativa, che non ripeta condizioni di lavoro non tutelate, – per un recupero della partecipazione dei cittadini alle elezioni, alle scelte di movimenti e partiti; al recupero di fiducia e di impegno per il miglior funzionamento delle istituzioni e per la partecipazione al cambiamento ecologico, – per spiegare che sovranismo e populismo sono medicine tossiche, – per un adeguato ruolo di ricerca e istruzione pubblica ad ogni livello, – per non subire le proposte di federalismo fiscale differenziato, un piano di discriminazioni a danno delle regioni del centro e del sud di cui raccomando di prendere coscienza. Da questa sintesi nasce il complesso di valori e di programmi che chiamiamo di tendenza socialista e democratica, ambientalista, civica, popolare da cui il nome della nostra Associazione Socialismo XXI secolo. Abbiamo scelto di impegnarci a riassumere e coordinare le idee in tutti i campi per avere buona politica, superando in avanti una settorializzazione che non è più funzionale, è parziale per definizione: solo i diritti civili, solo l’ambiente, solo l’energia, e così via. C’è un’interconnessione che richiede una visione complessiva della società. Uniamo i pezzi, perché tutte le tematiche siano evidenti e affrontate in una logica complessiva. Siamo convinti che impegnarsi anche in modo qualificato per un solo problema, ma non all’interno di una visione politica complessiva, rischi di vanificare gli sforzi e gli impegni profusi. Siamo partiti dal febbraio 2019, bloccati dalla pandemia, ora siamo in rilancio molto spedito in tutta Italia. Nella nostra visione la transizione energetica – oltre ad essere una necessità – può essere il principale volano di sviluppo dell’Umbria per le attività che può mettere in movimento nei vari campi della produzione, per la protezione ambientale che può garantire e per le occasioni di lavoro che può creare. L’Umbria ha potenzialità che sono determinanti a questo fine. Non restiamo indietro. Perfino l’aeronautica militare sta contribuendo con l’istituto che si occupa dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di CO2 del CNR al compimento della transizione. Sul caccia MX è già stato provato un combustibile sintetico, biologico, che rende prestazioni al motore e agli impianti identiche a quelle dei combustibili inquinanti. La realizzazione della transizione energetica, con i suoi investimenti, avrà l’effetto del moltiplicatore keynesiano, cioè si potrà avere un aumento di reddito maggiore degli investimenti fatti, se si programma e si realizza.     Dico al Professore Franco Cotana che il 20 maggio scorso, su TGR, ho goduto l’intervista-lezione sul perché e come la decarbonizzazione possa essere volano di sviluppo, di recupero, di innovazione, di occupazione qualificata. Ho condiviso considerazioni e arricchito conoscenze. Era completamente chiara e del tutto convincente e dovrebbe essere usata per informare i cittadini e gli attivisti politici e i volontari.. Il ruolo del bosco, dell’agricoltura e la produzione e l’uso dell’idrogeno verde prodotto da fonti rinnovabili sono funzionali alla transizione energetica insieme alle altre fonti rinnovabili note.Tale visione dovrebbe comporre un progetto, un programma politico-gestionale regionale di rapida realizzazione. Occorre passare dai convegni che parlano di politica agli impegni della politica. Io la penso così. Nella transizione sono coinvolti tutti i livelli istituzionali, a partire dai Comuni. E sono coinvolti i cittadini. Penso alle iniziative per le comunità energetiche locali che vanno bene per i vantaggi tecnici ed economici possibili – per la trasmissione dell’energia stessa, per l’efficienza, per i costi ridotti ed altro – e perché possono aiutare l’autonomia umbra all’interno di una sperabile aumentata autonomia energetica nazionale. Senza enfasi errate né illusioni, facendo i preventivi dei costi-benefici sempre, ad ogni livello. Io confermo qui l’impegno culturale e politico della nostra Associazione, dei Sindaci e Consiglieri comunali e degli attivisti, a sostenere le linee e i progetti che vadano nella direzione di decisi impegni per realizzare una transizione ragionata e consapevole di utilità prossima e duratura. Assisi, 1° Luglio 2022 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SVEZIA, FINLANDIA, NATO E LE BUONE PRATICHE PER LA DISTENSIONE E LA PACE

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Appena un mese e mezzo fa l’Assemblea dell’Associazione SOCIALISMO XXI scriveva, tra l’altro, nel documento relativo alla situazione di guerra in UCRAINA: <<Non sono accettabili le minacce nucleari reiterate dalla Russia, poi smentite, poi riaffacciate. Esse indicano un alto livello di nervosismo politico e militare e di tensione che devono essere celermente superati. Sono criticabili le dichiarazioni in libertà di vari esponenti politici italiani e stranieri, governanti nazionali e dell’Unione europea sull’adesione di altri Stati alla NATO, omettendo di valutare ciò che il trattato NATO prevede e cioè che siano gli Stati già aderenti a invitarne altri ad aderire dopo aver compiuto l’esame se ulteriori ammissioni elevino le condizioni di sicurezza. Mancano un esame da parte del Parlamento italiano ed un voto di indirizzo su questo delicatissimo punto.>> Il 28 giugno 2022, a Madrid, i Capi di Stato e di Governo hanno deciso che Svezia e Finlandia possano essere ammesse nella NATO. Desidero commentare sotto due profili questa scelta. Il primo profilo riguarda l’attenzione dedicata a questa scelta dalla politica italiana e il ruolo dei partiti e movimenti e del Parlamento. Racconta la storia che quando il Parlamento italiano discusse la proposta di adesione alla NATO formulata dal Governo De Gasperi, nel 1949, la sensibilità generale degli italiani era pervasa dagli effetti della recentissima guerra mondiale e dei danni, lutti e dolori causati a persone e cose. Non fu facile parlare di patto militare a breve distanza di tempo dai tragici fatti militari. La sensibilità generale, tuttavia, fu fortemente influenzata anche da altre considerazioni e timori. L’Unione Sovietica aveva avviato una totale opera di costruzione della cosiddetta “democrazia socialista” in diversi Stati europei che con gli accordi di Yalta erano entrati definitivamente nell’area di influenza dominata dell’U.R.S.S. Clamorosa fu la vicenda di comunistizzazione violenta della Cecoslovacchia nel 1948, ma non furono risparmiati gli altri Paesi dell’Europa orientale con elezioni alterate nei risultati, intromissioni della polizia segreta e altri meccanismi di pressione e di esclusione di tutte le tendenze politiche non comuniste. Gli italiani erano influenzati dalle valutazioni dei partiti politici la cui carica ideologica espressa non riusciamo neanche ad immaginare ai nostri tempi. La carica ideologica portava a schierarsi per l’alleanza occidentale (centro, destra, sinistra laica), per la preferenza con l’URSS (comunisti), per il neutralismo militare (socialisti). Il voto in Parlamento fu preceduto da dibattiti accesi, pubblici, diffusi e animati. Il voto rispettò gli schieramenti e alcuni parlamentari democristiani e socialdemocratici e tutti quelli socialisti e comunisti non votarono la proposta. Oggi il dibattito di ammissione di Svezia e Finlandia ha visto estranei i cittadini, e questo è grave. Ha visto estranei i partiti e i movimenti. All’interno di questi ultimi, poi – con riferimento ai movimenti maggiori, quello leghista e quello grillino – in contemporanea alle decisioni della NATO il dibattito è stato ben preso da altro. Nei leghisti l’attenzione e la preoccupazione è stata tutta sulla temuta conseguenza dell’insuccesso della Lega nella tornata elettorale amministrativa di alcuni Comuni. I risultati potrebbero anticipare la non guida del Segretario della Lega dell’alleanza di centro-destra alle prossime elezioni politiche. Cioè Meloni sostituirebbe Salvini. Nei grillini la preoccupazione al culmine della crisi scissionista ha riguardato se i parlamentari possano essere ricandidati per la terza volta oppure no. La depressione indotta dal constatare la qualità della politica che sto descrivendo per i due citati movimenti non viene attenuata dall’assenza di discussione da parte degli altri partiti. Quasi tutti sostanzialmente zitti. Il Parlamento sostanzialmente delegante al Governo (leggi al Presidente del Consiglio) le scelte strategiche e militari. Il secondo profilo che richiede una riflessione è il comportamento di governi e governanti in campo internazionale. Che l’Italia, appartenendo alla NATO, non possa che essere leale all’alleanza è una corretta considerazione. Vale per l’Italia e dovrebbe valere per tutti i paesi membri dell’alleanza, inclusa la Turchia, tanto per indicarne un altro. Stare nella NATO dovrebbe significare anche che nessun Paese dovrebbe auto assegnarsi un ruolo verbale (di norma seguito da atti politici e fatti militari) di accensione dei rapporti critici, inclusa la Gran Bretagna, anche qui tanto per indicarne un altro i cui comportamenti del suo capo di governo sono assimilabili a quelli del capo di una tifoseria. Egli cerca di apparire grintoso sulla guerra in Ucraina dopo che la sua grintosità per la Brexit ebbe successo nelle urne e sta avendo conseguenze indesiderate e indesiderabili per i suoi cittadini. Mi domando quanto valga ritornare sul trattato dell’ alleanza, dato che di esso non sembra che interessi un gran che. Il trattato – è così scritto – prevede che sia la NATO ad invitare un paese a far parte dell’alleanza militare dopo aver compiuto – è così scritto – un esame se l’ingresso del nuovo paese aumenti o migliori la sicurezza dei paesi già alleati. Nessun atto pubblico di partito e di movimento abbiamo letto a tal riguardo e nessun atto di governo. La mia opinione è che l’ingresso di Svezia e Finlandia non aumenti la sicurezza dei paesi già membri dell’alleanza. Serve ai due paesi per sentirsi coperti da un’alleanza militare e quindi aumenta solo la loro sicurezza a scapito di una riduzione della sicurezza degli altri. Sono convinto di questo per la considerazione che la Russia vedrà aumentare i confini con i paesi aderenti alla NATO. E’ stato usato a ripetizione il ricordo dell’evento esattamente parallelo del 1962, allorquando l’URSS stava piazzando missili a Cuba e l’occidente ritenne – Stati Uniti per primi – che alla porta di casa non avrebbe tollerato missili avversari. Poco vale discettare se la Svezia consentirà l’installazione di armi nucleari nel proprio territorio entrando nell’alleanza. E’ l’iniziativa politica e diplomatica che sta dimostrando la propria incapacità che non è incapacità tecnica ma è volontà. Ho l’impressione, forse ho solo la presunzione di temere (me lo auguro fortemente) che i poteri forti occidentali, quelli che effettivamente comandano, cioè la grossa finanza speculativa e l’industria militare, abbiano una propria visione ed una strategia di espansione e conquista di mercati commerciali …

SOCIALISMO XXI: AUTONOMIA DIFFERENZIATA, LE RAGIONI DEL NOSTRO NO

di Luigi Ferro – Presidente Socialismo XXI | La legge Quadro che sarà a breve presentata dal governo è stata pensata per garantire alle Regioni a statuto ordinario maggiore autonomia. Ovvero, per consentire alle Regioni una certa potesta’ legislativa per le materie di legislazione concorrente e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato. Alla attribuzione della potesta’ legislativa è connesso il trasferimento delle risorse finanziarie, cioè, parte del gettito fiscale verrebbe trattenuto dalle regioni per spenderli sul proprio territorio. Le materie a legislazione concorrente sono quelle previste dall’art. 117 co. 3 Cost.: rapporti internazionali e con la UE delle Regioni; commercio con l’estero; istruzione e formazione professionale; professioni; tutela della salute; protezione civile; ordinamento sportivo; casse di risparmio, casse rurali  e istituti di credito a carattere regionale; valorizzazione dei beni culturali ed ambientali; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; coordinamento delle comunicazioni; alimentazione; ricerca scientifica ed innovazione tecnologica. A queste materie le Regioni possono aggiungere giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; tutela dell’ambiente; giustizia amministrativa limitatamente alla organizzazione della giustizia di pace. Si tratta a ben vedere spesso di materie di interesse nazionale di competenza esclusiva del Governo nazionale e del Parlamento. La legge quadro che il Governo si accinge a presentare consentirebbe alle Regioni di indicare su quali materie esercitare la potesta’ legislativa  trattenendo sul territorio regionale buona parte delle risorse necessarie per finanziarie ogni intervento.  Inutile sottolineare che la legge quadro nasconde quel federalismo /separatista gradito a talune forze politiche , e non solo, se consideriamo che buona parte dei Governatori regionali sembrerebbero favorevoli  al testo normativo che il Governo si appresta a licenziare per un motivo semplicissimo: avere più competenze, più voce in capitolo, controllare le  risorse finanziarie locali, il territorio e il consenso elettorale. Diciamo subito che questa legge è incostituzionale perchè contraria all’art. 5 della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Ne consegue che la Legge quadro di cui si discute creerebbe una sorta di federalismo o, meglio, di iper-autonomia, fino a minare l’Unità Nazionale tutelata dalla nostra Grundnorm. Vi è di più. Al Governo centrale verrebbero destinate sempre meno risorse necessarie per l’attuazione di programmi di sviluppo del Paese, per garantire l’ordine pubblico, la difesa, e la politica estera ed energetica. Francamente si costituirebbero diversi centri di potere e quel “disordine istituzionale” dove si annida lo spettro della dissoluzione dell’ordinamento statale costruito sapientemente dai nostri Padri Costituenti. L’esercizio della potestà legislativa inoltre richiederebbe l’impiego di risorse finanziarie e quindi la conseguente richiesta di trattenere buona parte del gettito fiscale da impiegare nei territori regionali. In questo caso gli effetti negativi sono di due tipologie: la prima, avere maggiore disponibilità finanziaria non si traduce nella automatica risoluzione dei problemi poiché ciò passa attraverso le scelte che la classe dirigente locale è chiamata a prendere, non sempre coerenti e risolutive; la seconda, ci sono Regioni con maggiore reddito rispetto ad altre e più organizzate sui territori, disomogeneità economica talune volte presente anche nelle stesse regioni con la conseguenza che i territori più deboli avrebbero sempre meno risorse finanche a trovarsi nella condizione di essere costretti a tagliare i servizi locali (welfare cittadino) per questioni di bilancio. Strettamente collegato quindi alle due problematiche innanzi affrontate è il tema delle risorse finanziarie o concernente il gettito fiscale: come saranno assegnate le risorse? Con quali criteri? Non possiamo tollerare l’approvazione di siffatta legge. In caso contrario, siamo pronti a raccogliere le firme necessarie per sottoporla a referendum abrogativo nella speranza che il governo non decida di inserire la Legge Quadro sulla Autonomia Regionale nella legge di stabilità. Si sa che le leggi di bilancio non possono essere sottoposte a referendum abrogativo, anche se ritengo che sia sempre possibile ricorrere all’istituto referendario poiché si affrontano temi che riguardano complessivamente l’architettura costituzionale del nostro Paese e non la finanza pubblica. Mi auguro che vi possa essere il dibattito Parlamentare su una materia di interesse nazionale, ma non deve mancare, ritengo, una grande spinta dal basso per pretendere da chi ci rappresenta una discussione pubblica, trasparente. Insomma, una mobilitazione generale: Sindacati, società civile, associazioni etc. etc., per spingere gli organi rappresentativi nella direzione che auspichiamo di assoluto rifiuto per una legge contraria al “vivere insieme”, come membri di uno Stato unito e indivisibile. Da non trascurare, infine, la probabile proliferazione dei  conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni dinnanzi alla Corte Costituzionale se  la norma venisse varata, con l’inevitabile paralisi istituzionale. In definitiva, per le anzidette ragioni, siamo contrari alla Legge Quadro sulla Autonomia Differenziata Delle Regioni. Si tratta di una Legge che attenta all’Unità Nazionale, che accentua gli egoismi territoriali e mina quel principio solidaristico voluto e posto a fondamento della coesione e della identità nazionale. Alla classe dirigente chiediamo di occuparsi della grave crisi sociale del nostro Paese, certificata dai recenti dati ISTAT, di combattere le disuguaglianze sociali, di contrastare i danni provocati dal neoliberismo politico e finanziario, non di demolire la nostra Carta Costituzionale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it