I SALARI ITALIANI SONO I PIU’ BASSI DI QUELLI EUROPEI? PERCHE’?
di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | PRO-MEMORIA PER IL FUTURO MINISTRO DEL LAVORO, SIA ESSO DI DESTRA CHE DEL CENTROSINISTRA Nel dibattito pubblico e politico, sta prendendo piede, a seguito della richiesta di introdurre anche in Italia una salario minimo per legge, la narrazione di un impoverimento progressivo della società nazionale (forse, è vero ma come mai l’ISTAT ci comunica che il 1° agosto sono andati in vacanza 36 milioni di italiani e crescono i risparmi delle famiglie, i piu’ alti in Europa in rapporto al PIL?). Dice ISTAT: crescono le diseguaglianze perché aumentano i grandi patrimoni, spesso legati alla speculazione finanziaria piuttosto che all’incremento delle attività produttive, a scapito delle RETRIBUZIONI che sarebbero troppo basse. Siamo d’accordo. Ma i salari e stipendi italiani sono veramente i piu’ bassi d’Europa, anche rispetto a quelli dei Paesi ex-comunisti dell’Europa Orientale, di Cipro, Slovenia, Portogallo? Perché allora rumeni, slovacchi, polacchi, ungheresi, bulgari, assieme a russi ed ucraini, da anni vengono a lavorare in Italia? Sono affermazioni singolari che aiutano il populismo, strano che le abbia fatte anche il Ministro del Lavoro on. Orlando a dimostrazione della superficialità con la quale, anche uomini di governo, affrontano spesso questioni complesse senza puntuali analisi. Abbiamo detto e lo ripetiamo, c’è bisogno di aumentare sia il salario lordo che quello netto (ciò che rimane in tasca al lavoratore), ma l’intervento sul lordo appartiene alla sfera della autonomia contrattuale propria delle parti sociali e non del Governo, il quale puo’ – come ha deciso di fare – intervenendo sul NETTO, riducendo il “cuneo fiscale” oppure – in qualità di datore di lavoro rinnovando adeguatamente i contratti di lavoro (CCNL) del pubblico impiego. Ma quella ancor piu’ singolare – sempre a detta dal Ministro del Lavoro – è l’affermazione che “i salari italiani (unico caso in Europa) sarebbero CALATI anziché aumentare rispetto a 30 anni fa (1992)”. A noi non risulta che ci siano stati “tagli” alle retribuzioni lorde contrattuali o che NON siano stati rinnovati i contratti nazionali e aziendali in questo trentennio. Una dichiarazione sbagliata, non corrispondente alla storia contrattuale del periodo, almeno per la stragrande maggioranza delle categorie dell’industria, dei servizi, del terziario e turismo, della Pubblica Amministrazione e dell’agroindustria. Le statistiche OCSE ed EUROSTAT (l’Istat europeo) si riferiscono al SALARIO MEDIO, ricavato dal valore della massa salariale globale diviso per il numero dei lavoratori e lavoratrici che hanno prestato attività anche ad orario ridotto nella settimana o nel mese o in ragione d’anno. E’ certamente possibile che questo valore MEDIO sia calato rispetto a 30 anni fa, anche se ci sono stati i rinnovi contrattuali con gli opportuni aumenti perché è calata la massa salariale complessiva a parità di lavoratori e lavoratrici occupate. Ciò si spiega per vari fattori, alcuni dei quali chiama in causa anche il Ministero del Lavoro di questo e di precedenti Governi, anche di centro-sinistra: a) Sono cresciuti a dismisura, rispetto al 1992, i rapporti di lavoro PRECARI, perciò non continuativi in ragione d’anno o a tempo parziale e perciò con un reddito complessivo ridotto rispetto ad una retribuzione annuale normale; b) Spesso, in molti settori lavorativi, a basso potere sindacale e contrattuale, i rinnovi dei CCNL non sono sempre avvenuti oppure sono accaduti con notevoli ritardi rispetto alla scadenza triennale e senza il pagamento nelle “more” della indennità di vacanza contrattuale (una specie di anticipazione/acconto dei futuri aumenti), così come previsto dal Patto sociale triangolare del 23/7/1993 sottoscritto con il Governo Ciampi. Questo patto come -in un certo modo – anche quello di S.Valentino sottoscritto nel 1984 con il Governo Craxi impegnava le parti sociali (in particolare le 44 organizzazioni datoriali) a rinnovare alla scadenza i singoli contratti categoriali di categoria. Vorremmo sapere quanti Ministri del Lavoro, a parte Gino Giugni, hanno convocato in questi 30 anni le parti in caso di mancato rinnovo dei CCNL in qualche categoria, come erano usi a fare i vari Donat Cattin, De Michelis, Bertoldi, Anselmi, Toros, Coppo ed altri nella 1^ repubblica? c) Sempre, in settori lavorativi minori sindacalmente deboli (pensiamo ai lavori domestici, ai servizi alla persona o alle famiglie, alle aziende di pulizia, alle cooperative di assistenza, agli ausiliari del trasporto e facchinaggio, all’agricoltura dove operano i “caporali”, etc.) molti lavoratori e lavoratrici sono “sottopagati” con tariffe salariali irregolari non contrattuali ma imposte dal “padrone”; d) Anche nei settori sindacalmente meno deboli vi sono situazioni di inquadramento professionale, e perciò retributivo, NON regolare nel senso che molti lavoratori, in particolare le donne e gli immigrati, sono inquadrati ad un livello inferiore e non corrispondente a quello previsto dal CCNL in base alla mansione svolta, sotto il ricatto – in quanto “precari” della non stabilizzazione del rapporto di lavoro in caso di vertenza; e) Sono cresciuti i CCNL “farlocchi” negoziati (si fa per dire) fra Associazioni padronali e sindacali autonome “farlocche” che stabiliscono trattamenti salariali inferiori rispetto a quelli negoziati fra le grandi organizzazioni confederali datoriali e sindacali; f) A differenza degli altri grandi Paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Benelux e “nordici”) vi è stata negli ultimi anni una regressione nel nostro sistema produttivo e dei servizi della produttività e, quindi, le retribuzioni di fatto, in particolare nella componente aziendale delle stesse, sono cresciute poco o niente. Tutti questi negativi fenomeni, alcuni – come abbiamo spiegato – del tutto irregolari andrebbero perseguiti, sanzionati e corretti. Derivano dalla esplosione del fenomeno del “precariato” e dei contratti “atipici” che vanno decisamente e fortemente ridimensionati nel numero e riscritti nella loro regolazione, riconducendoli alle motivazioni originali di straordinarietà o di eccezionalità, come la stagionalità o in presenza di lavori occasionali e non ripetibili. Questi fenomeni negativi che, molti anni fa non esistevano se non in misura contenuta, abbassano la MEDIA delle retribuzioni italiane ad un livello inferiore alla media salariale dei Paesi dell’Eurozona (moneta unica) perché in dette realtà nazionali non ricorrono, almeno in queste quantità debordanti come in Italia, dove il lavoro a tempo indeterminato e ad orario pieno rischia di divenire l’eccezionalità ed il lavoro precario e non continuativo la norma. Però è sbagliato dire che il loro livello è inferiore anche rispetto a tutti gli altri Paesi facenti parte …
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