ALLA RICERCA DEI SOCIALISTI PERDUTI

di Raffaele Romano – Nuovo Giornale Nazionale | Col terzo articolo il nostro giornale si immergerà in alcune interviste con le quali si tenterà di avviare un esame storico politico tuffandosi nella galassia di ciò che è rimasto del Partito Socialista Italiano. Partendo da una considerazione obiettiva oggi metà Europa è governata da politici socialisti e, nell’altra metà europea, sono di solito il maggior partito di opposizione. Ad oggi la fotografia dell’Europa ci dice che in Portogallo il primo ministro è il socialista Antonio Costa che si può permettere di andare tranquillamente alle elezioni politiche anticipate nonostante ci sia da gestire il PNRR. In Spagna Pedro Sánchez segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo, PSOE, fa il Primo ministro e guida il primo governo di coalizione nella storia della democrazia iberica post-franchista con Podemos, PSC e IU. Magdalena Andersson, anche lei socialista, è stata eletta premier della Svezia ed è la prima donna a ricoprire questa carica a Stoccolma. Lo stesso dicasi per il primo ministro Jonas Gahr Store socialista che attualmente guida la Norvegia. Senza dimenticare la Sanna Marin, padre veneto, che guida da socialista la Finlandia e, dopo 16 anni, guidata dalla democristiana Merkel la grande Germania si è affidata al socialista Olaf Scholz. Lo stesso dicasi per la Danimarca guidata dalla socialista Mette Frederiksen e di Martin Abela, anche lui socialista, nonché primo ministro di Malta. Portogallo, Spagna, Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania, Danimarca e Malta sono guidate dal partito socialista e in altre nazioni come la Francia, Gran Bretagna, Israele, Belgio, Olanda, Grecia, Austria, Bulgaria, Croazia ed Irlanda rappresentano l’opposizione. Oggi intervistiamo Vincenzo Lorè al quale chiediamo: come mai in Italia non c’è più una significativa traccia di un partito socialista? Caro Raffaele sarò estremamente sintetico, non certo per glissare la domanda, ma credo che sull’argomento si siano sprecate fiumi di parole in questi anni. Parlo in virtù dell’esperienza fatta attraverso il percorso avviato da Socialismo XXI, impegno che mi ha fatto conoscere diversi soggetti spacciatisi per socialisti in realtà dediti esclusivamente a blindare una loro posizione nell’agone politico; direi una sorta di merchandising al solo scopo di promuovere se stessi. La Seconda è legata alla fondazione del tuo gruppo: che risultati ha portato dalla fondazione? Collegandomi al primo quesito posto, direi che è stato possibile anche cogliere aspetti positivi in questo percorso politico/organizzativo. Se non ci fosse stata la possibilità di conoscere compagni seri, tenaci e preparati non saremmo riusciti a promuovere l’azione di Socialismo XXI. Con Aldo Potenza, con il compianto Dario Allamano e il sottoscritto in un incontro ci siamo posti una domanda: è mai possibile che in Italia non sia possibile ricostruire una forza socialista? E’ tutto partito da lì! Scartata l’opzione elettoralistica verificatasi fallimentare – poiché abbiamo sempre pensato che il socialismo in Italia non potesse rinascere attraverso un’elezione – a dispetto di altri, per i quali, anche recentemente si è riscontrato l’ennesima inconcludenza; noi invece abbiamo da subito stabilito che il percorso da fare era quello di individuare tre step: il primo un’assemblea generale lanciando un appello in rete ai compagni. Nel 2018 a Livorno si è tenuta anche con esiti insperati. Era necessario capire in quanti fossero d’accordo circa il percorso da intraprendere. Nel 2019 il secondo step a Rimini con la Conferenza programmatica. Il terzo è in itinere, bloccati come si può immaginare dalla condizione sanitaria. La terza non vuole essere assolutamente provocatoria ma realistica: avete fatto passi in avanti per avviare alla ricomposizione della diaspora socialista visto e considerato la diffusa presenza in tutta Europa? Nonostante l’impraticabilità attuale, legata alle cause sopra citate, abbiamo avuto la possibilità di costituirci formalmente come associazione, ancor prima dei blocchi, Socialismo XXI ha una copertura su quasi tutto il territorio nazionale, questo grazie ai coordinatori regionali e ai coordinatori dei circoli territoriali. In questo frangente abbiamo utilizzato per ovvie necessità, l’ausilio del supporto tecnico ai fini della comunicazione. Circa la ricomposizione di una forza socialista – come dicevo – è in itinere, poiché lo step finale prevede un congresso rifondativo. E’ stato possibile avviare attraverso una serie di contatti, il Tavolo di Concertazione, al quale partecipano diverse organizzazioni di ispirazione socialista, ma anche soggetti che non provengono strettamente dallo storia socialista, ma con noi condividono ideali e finalità. Una menzione particolare è indirizzata verso l’attuale “psi”. La sua dirigenza si è dimostrata assolutamente inetta, vista l’indisponibilità a partecipare al Tavolo e ai suoi reiterati fallimenti tutti incentrati a seguire chimere elettorali e/o alleanze spurie. Ci parli di te? Sono estremamente orgoglioso di far parte di una famiglia storica socialista. L’antico lignaggio parte dal mio bisnonno uno dei fondatori del PSI locale, mio nonno, zii, cugini, mio padre. Dall’era del segretario toscano un Lorè, dopo più di 120 anni, non ha più una tessera socialista, tuttavia uno di loro si dedica alla ricostruzione. Abbiamo da sempre donato la nostra disponibilità all’ideale, senza chiedere nulla. Personalmente ho sempre dato un contributo – attualmente da responsabile comunicazione di Socialismo XXI essendo esperto di web e grafica –, nel passato sono stato candidato nel mio comune di residenza in Puglia, sono anche stato candidato per il Psi (all’epoca il segretario era Boselli) alle Politiche del 2008. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IN MEMORIA DEL PROFESSOR LAURENT BOUVET, SOCIALISTA REPUBBLICANO

di Nicolino Corrado | Il 18 dicembre, a Parigi,  si è spento a 53 anni il politologo Laurent Bouvet, una delle personalità più brillanti del dibattito pubblico francese. A Bouvet nel 2019 era stata diagnosticata una SLA o sindrome di Charcot che in breve tempo lo ha privato dell’uso degli arti e della parola, fino a condurlo alla prematura morte.   Bouvet dal 2002 al 2011 ha insegnato al’università di Nizza, per poi trasferirsi a quella di Versailles. Per oltre vent’anni ha militato nel Partito Socialista e dal 1988 al 2001 è stato il redattore capo della sua rivista teorica, La revue socialiste. Nel 2010 entra nella redazione della Jean Jaurès, la fondazione culturale del PS. Bouvet si è allontanato dal Partito Socialista nel 2016, dopo gli attentati islamisti del 2015, criticandone “le posizioni liberiste sul piano economico e multiculturaliste sul piano culturale”, per fondare nel 2016 assieme a Gilles Craveul ed a Denis Maillard Printemps republicain (Primavera repubblicana). “movimento che vuole promuovere ciò che è comune ai cittadini e la laicità nel panorama politico francese”, una iniziativa contro l’estrema destra e contro l’islamismo politico. Era una delle rare voci della sinistra francese impegnate nella lotta per la laicità e contro l’islam politico, il relativismo culturale ed il pensiero de-coloniale. L’insicurezza culturale Laurent Bouvet ha creato il concetto di “insicurezza culturale”, che definiva come “l’espressione di una inquietudine, se non di una paura, di fronte a ciò che si vive, vede e percepisce e prova, qui e ora, degli sconvolgimenti dell’ordine del mondo, dei cambiamenti nella società, di ciò che ci può essere, allo stesso tempo, vicino o lontano, familiare o estraneo” (L’insecuritè culturelle, Fayard, 2015). Una insicurezza che si aggiunge a quella economica e sociale, strettamente legata alla globalizzazione ed ai suoi sviluppi conseguenti, quali la violenza del terrorismo jihadista. L’insicurezza culturale è un concetto che descrive bene  alcune rappresentazioni che i cittadini si fanno dell’attuale società francese contemporanea.   Infatti, ad una analisi attenta, ci si accorge che popolazioni a priori molto differenti  manifestano identiche preoccupazioni in termini d’insicurezza culturale.  I Petits blancs (i bianchi impoveriti) del périurbain subi (le periferie dimenticate e sofferenti) si esprimono spesso nello stesso modo come  le popolazioni provenienti dall’immigrazione che vivono nelle banlieues: parlano di abbandono e di  oblio da parte dell’”alto” della società, dei responsabili politici ed economici, dei mass-media; vivono nella stessa maniera il confino territoriale e le difficoltà economiche. In definitiva, le distingue solo l’esperienza della discriminazione etnico-razziale.   Sinistra e popolo  Per Bouvet, una parte della sinistra – francese, ma il discorso si potrebbe allargare ad altre realtà nazionali – si è allineata al neoliberismo ed alla cosiddetta concorrenza libera e non falsata, imposta dall’attuale costruzione comunitaria europea, a cui sono state devolute crescenti quote di sovranità economica. Ciò conduce alla distruzione dei servici pubblici, che altro non sono se non salario indiretto che corregge le diseguaglianze. Svoltando a destra, questa sinistra ha rinunciato alla propria eredità ed alla propria ragion d’essere, lasciando nella disperazione i più bisognosi. Ma aggiungeva Bouvet: “Le sinistre, che si tratti della socialdemocrazia o della sinistra radicale, hanno progressivamente dato la priorità ai ceti popolari  provenienti dall’estero nei loro rispettivi progetti” (Marianne, 10/12/2016).  Gran parte della sinistra s’è rivolta verso il multiculturalismo allo scopo di rendere le minoranze, di genere, etniche, d’orientamento sessuale, il più visibili possibile, privilegiandole nelle politiche pubbliche sulla scuola, sulla città, sull’uguaglianza uomo-donna in nome delle discriminazioni che queste minoranze subiscono. Così, nella sinistra la lotta per l’uguaglianza sociale si è a poco a poco trasformata, sia sul piano del discorso pubblico, sia sul piano dell’azione di governo, in una lotta per il riconoscimento identitario delle minoranze nello spazio pubblico. Le contraddizioni nella “nuova coalizione progressista” delineata dal think-tank progressista Terra nova, e fatta propria dal Partito Socialista, (donne, giovani, laureati, banlieue..)  sono così  subito venute alla luce al momento della discussione tra “mussulmani di sinistra” e militanti per le nuove forme familiari o per lo sviluppo del “genere”. Ovviamente, l’arcobaleno multiculturalista  che doveva fungere da base  elettorale alla sinistra per sostituire le classi popolari e medie si è velocemente disgregato. L’idea di uguaglianza, del resto, è  totalmente estranea agli interessi specifici dei gruppi culturalisti che si riteneva lo costituissero.   Ciò ha determinato il blocco della crescita sociologica della sinistra. Una grande parte del suo elettorato tradizionale (l’elettorato composto dalle classi popolari e medie) non si è più sentito rappresentato né economicamente né “culturalmente” e si è ritirato nell’astensione o ha votato per le più rassicuranti parole d’ordine dell’estrema destra. Popolo, comunità, laicità e Repubblica Bouvet ha ricordato che la nazione e la sovranità popolare sono il fondamento della sovranità nazionale. Ciò grazie alla Rivoluzione francese, che alla nazione dell’Ancien Régime, fondata su usi e consuetudini sacralizzati dalla religione, ha sostituito la nazione comunità di diritto, formata da cittadini che danno a se stessi le proprie leggi. Il sovrano ormai non e più il re, ma il popolo. Il luogo di ciò che è comune non è più solo lo Stato o lo spazio istituzione precostituito, è la comunità dei cittadini, un insieme che non può esistere che in modo collettivo e sovrano allo stesso tempo. Nella comunità dei cittadini si ritrova la definizione originale della repubblica e della libertà repubblicana, che permette di opporsi filosoficamente e nella pratica  alla sola definizione liberale di libertà (quella dell’individuo e delle comunità identitarie). Lo Stato laico,  per garantire la loro libertà, deve proteggere le persone da ogni pretesa di metterle sotto tutela da parte delle comunità identitarie. Per Bouvet, dire di una persona che la si confonde con le sue credenze e farne derivare l’idea che bisogna rispettare queste ultime è una forma di cedimento, se non di disprezzo; è la negazione della tolleranza civile. Si tradiscono in una volta la laicità e la libertà d’espressione. Bouvet cercava di mettere in guardia la sinistra ed il Partito Socialista contro la deriva identitaria di cui era vittima da molti anni, finalizzata a soddisfare le rivendicazioni di un’accozzaglia di minoranze, invece di portare avanti un discorso repubblicano.: “Se si vuole resistere alla pressione di …

RINO FORMICA “REVISIONISMO E POPOLO”

Vieste 21 settembre 2008 a cura di Elio Ceglie direttore di Socialismo è Libertà | L’autunno della Costituzione ha inizio quando l’unità dell’atto fondativo della Repubblica, la Costituzione, viene spezzata: da un lato la prima parte, considerata nobile e intoccabile; dall’altro lato una seconda parte catalogata come superata, ingombrante perché causa dell’ingovernabilità e dell’instabilità politica ed istituzionale. Ed è così che la Carta costituzionale diventò per una metà “mito e storia leggendaria” e per l’altra metà “realtà scaduta e storia deperita”. Questa arbitraria divisione soddisfa conservatori e innovatori: si cambia il contenitore che diventa “valore” e si lascia marcire il contenuto in attesa che si riduca in residuo secco. L’oblio della storia Ha avuto ragione Giovanni Spadolini quando, agli inizi degli anni ’90, denunciò prima l’oblio della storia risorgimentale durante gli anni ruggenti del Sessantotto e, successivamente, l’opera di corrosione dell’intera esperienza del Risorgimento nella nascita e nello sviluppo dell’Italia democratica, come il presupposto teorico, la ragione pseudo-storica e l’atto di nascita del leghismo, del disegno di disgregazione nazionale, di disarticolazione dei fondamenti dell’unità civile e politica del Paese. Citiamo Giovanni Spadolini in un passaggio significativo e appassionato della sua riflessione. Al suo tempo era giustificato il punto di domanda sulla consapevolezza delle classi dirigenti dei pericoli della deriva leghista, sul legame stretto che i vari leghismi emergenti stringevano tra l’attacco al Risorgimento e l’attacco conservatore alla crescita democratica e unitaria. Oggi quell’interrogativo è una conferma. Scriveva Spadolini: “Dobbiamo domandarci: questo processo al Risorgimento, questo rifiuto del Risorgimento ha qualche radice profonda nell’anima italiana? O nasce da un movimento politico improvvisato e contraddittorio, il quale raccoglie fermenti di scontentezza e di protesta dalle più varie parti e si fa forte del maggiore livello economico delle province lombarde quasi per aprire un processo nei riguardi delle dispersioni e delle dilapidazioni nel Sud? Oppure c’è una stanchezza dell’unità nazionale proprio nel momento in cui essa dovrebbe essere più solida che mai di fronte ai doveri dell’integrazione economica europea, che non potrà essere soltanto economica ma diventerà certamente politica?” Il nemico alle porte Oggi sappiamo quanto cammino hanno fatto gli umori dell’anti-Risorgimento. Ha dismesso i panni del negazionismo storico per indossare la divisa politica del federalismo e per alzare surrettiziamente la bandiera della riforma dello Stato. Si tenta in questo modo di trascinare con sé l’intero moto riformatore, si rischia invece di precipitarlo in un processo inarrestabile e sciagurato di regressione civile. Attenti però al pericolo opposto, al quieta non movere, infaticabile guardiano dell’antiriformismo nazionale. Il nemico è alle porte. Oppure, come variante del primo allarme, v’è un’altra versione: la Destra è in agguato. Sono le grida che si sono levate nel nostro paese e continuano a levarsi ad ogni batter di volontà revisionistiche della Costituzione. Se si escludono le grandi discussioni istituzionali che nel corso di un intero trentennio si sono svolte nelle varie commissioni bilaterali (ben quattro: dalla Buozzi alla D’Alema, passando per quella presieduta da De Mita e poi dalla Iotti), pensate e volute più che da menti riformatrici da una classe politica incline al gattopardismo o, ad esser più precisi, a fuggire davanti alle contraddizioni sistemiche accumulatesi via via che il paese cresceva senza i necessari adeguamenti costituzionali; se si escludono, dicevamo, i momenti ufficiali dedicati alla riflessione (che si colloca sulla sponda opposta della decisione), restano i toni allarmistici sui progetti di scardinamento ed eversione dei principi democratici della Carta e degli equilibri delicati in questa incardinati quando si è solo accennato a riscritture. Chi insidia la Costituzione? Non è il caso qui di riprendere la storia di una particolare guerra dei Trent’anni nazionale giocata sul fronte rispettivamente della difesa e della revisione, che è stata al contempo guerra di trincea e di movimento seconda della congiuntura politica e che ha avuto come unico risultato la formazione per stratificazioni successive di prassi, procedure e principi che hanno interpretato, modificato e a volte anche stravolto pezzi non secondari della Costituzione. Questo movimento di revisionismo a bassa intensità (riformatrice) è stato denominato e ha determinato la cosiddetta Costituzione materiale. Ma se non è opportuno rifare la storia dei tentativi mai riusciti di riforma e di quelli sempre ben approdati di blocco delle riforme, è utile dire che ancora oggi, nel presente anno e legislatura, s’è mosso un Comitato di esperti e di politici (primo tra tutti l’ex presidente della Repubblica Scalfaro in compagnia di ben noti costituzionalisti) intenzionato a “mettere in sicurezza” la Carta costituzionale presidiando opportunamente l’articolo 138. Così come va ricordato, sempre per memoria storica, che tentativi di revisionismo costituzionale, intesi non come mera razionalizzazione tecnica delle parti andate obsolete della Carta, ma come operazione di ridiscussione dei principi e dei compromessi politici che la alimentarono e la disegnarono con le culture politiche e i condizionamenti del dopoguerra (a partire dalla distinzione di valore tra la prima e la seconda parte), furono prima snervati e poi battuti anche quando gli animatori di tale opera furono partiti di provata fede democratica (nonché originari sottoscrittori del patto costituzionale) come il PSI della Grande riforma degli anni ’80 e un presidente della Repubblica (Cossiga) con il suo messaggio alle Camere degli inizi del ’90. Della Grande riforma socialista si disse, soprattutto a Sinistra, che era il tentativo malpensato di spostare l’asse democratico su un piano autoritario e cesarista, per Cossiga si fece ricorso addirittura all’ingiuria. Il Sessantotto e i primi colpi all’unità antifascista Ma andiamo per ordine. Quando si intravvedono i primi segni di invecchiamento della Carta? Il primo segnale di affievolimento delle ragioni nazionali della Costituzione unitaria, unitaria perché scaturita dal compromesso delle ideologie contrapposte che diedero vita alla lotta di Liberazione e alla forma di Stato post-fascista, proviene dall’interno della società, dall’evoluzione dei rapporti sociali, dei costumi, delle culture, delle convenzioni e delle convinzioni. Quel movimento che fu impetuoso, che coinvolse tutto l’occidente è il Sessantotto. Il Sessantotto italiano, ai fini delle tematiche che qui vogliamo discutere e che si riferiscono alle vicende del (mancato) revisionismo costituzionale, aprì il primo varco alla ridiscussione, dal punto di vista oggettivo, …

STIAMO ANCORA VIVENDO IN UNO STATO DI EMERGENZA!

    di  Gianmarco Rodighiero – Circolo Bruno Buozzi Socialismo XXI Vicenza |   Di certo il nostro futuro alla luce di questo dramma dovrà essere un futuro che mette in discussione in primo luogo il nostro modello di sviluppo, e poi le scelte scellerate sul diritto alla salute di questi ultimi decenni. Pertanto la politica dovrebbe avviare tempestivamente una inversione di rotta abbandonando la scelte passate di riduzione dei posti letto negli Ospedali pubblici, e quello di cedere alla sanità privata  importanti segmenti di servizi sanitari. Stiamo pagando il mancato avvio e potenziamento della medicina territoriale, non siamo stati in grado di ripensare alla cura dell’età anziana, si sono evidenziate invece  in maniera drammatica le carenze strutturali dell’assistenza alle persone anziane nel nostro Paese, in particolar modo per quanto riguarda le cure a lungo termine, e nemmeno di  riattivare i consultori e  una seria prevenzione sanitaria e ambientale che l’emergenza Covid ha evidenziato in modo drastico. Tra le città più inquinate d’Europa, quattro sono italiane e a poca distanza tra di loro. Si trovano tutte in Pianura Padana: il centro abitato più inquinato d’Italia (e il secondo del continente) è Cremona, seguita da Pavia, Brescia e Vicenza. La riforma fiscale dovrebbe servire anche a finanziare quei beni pubblici fondamentali (scuola, sanità, trasporti, casa) che sono la vera riforma di struttura che serve al paese per tornare ad essere civile. Condivido la riflessione di Alberto Leoni del 17 dicembre quando sostiene che nulla è paragonabile a un anno fa (almeno per ora!) e che bisogna cambiare strategia perché così si sta minando la coesione avvenuta anche attraverso  una molteplicità di decreti-legge, che di volta in volta, hanno introdotto misure destinate al contrasto dello stesso e che hanno inciso sempre di più sulla sfera individuale di tutti noi. Lentamente questa lunga emergenza ci sta rendendo consapevolmente disposti  a sacrificare e a limitare le nostre condizioni normali di vita, mi riferisco ai nostri rapporti sociali, al lavoro, alle amicizie e ai nostri affetti familiari finanche alle nostre convinzioni religiose e politiche, con il timore che vi sia il pericolo di ammalarci. La domanda che mi pongo è:  quanto siamo disposti a cedere e a ridimensionare la nostra vita in tutti i suoi aspetti pur di salvaguardare le nostra salute e la nostra vita? Molti di noi si stanno sempre più chiedendo che cosa ne sarà del nostro futuro. Il filosofo Foucault nei corsi tenuti a Parigi negli anni  1977e 1979 aveva sviluppato una riflessione oggi tristemente attuale su quali possono essere le trasformazioni delle forme di potere politico governando semplicemente sui fenomeni naturali come la salute. Forse non è il nostro caso, ma certamente non fa male riflettere su quali drammi politici e sociali  potrebbe causare il perdurare per molto tempo di questa emergenza pandemica. Mi chiedo in che modo sia possibile affrontare e superare questo “stato d’eccezione”, tenendo bene a mente ciò che il Presidente della Corte costituzionale ha ribadito in modo semplice e chiaro (la nostra Carta fondamentale non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza) anche se non è insensibile al variare delle contingenze anzi prende atto della possibilità dell’emergere di situazioni di crisi o di straordinaria urgenza, dando la possibilità al Governo di adottare provvedimenti “provvisori” con forza di legge. In altri momenti gravi la nostra Repubblica ha attraversato situazioni di emergenza e di crisi, che però sono state sempre affrontate senza mai sospendere l’ordine costituzionale. Ci si rende conto di quanto la Carta costituzionale sia perfetta così e di come essa metta a disposizione, sempre, strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche esigenze. Non è possibile immaginare un diritto eccezionale, figuriamoci un diritto eccezionale perpetuo, perché se fosse così diventerebbe strumento di controllo politico. Sta a noi vigilare con la massima attenzione che questa pandemia con le suo innumerevoli varianti rimanga sempre e solo un problema sanitario con lo scopo precipuo di bloccare e reprimere la diffusione del virus.  E, scusami Alberto se prendo ancora in prestito una tua riflessione (sarebbe molto opportuno che nessuno (a differenza di quanto successo nel 2021) dicesse “questa è l’unica arma che abbiamo”, le cose non stanno così. Non esiste un ‘unica arma. Ma ci deve essere una strategia sanitaria, sociale, economica per imparare a convivere con il virus). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

EUTANASIA E DINTORNI

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Premetto di avere firmato on line con spid la richiesta di indizione del referendum per l’abrogazione degli articoli che penalizzano il suicidio assistito, e che sono favorevole ad una legge che regolamenti lo stesso. A chi afferma che “L’istigazione al suicidio e l’omissione di soccorso saranno legali”, cosa che non risulta dal testo provvisorio di legge che, dice “Le disposizioni contenute negli articoli 580 e 593 del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario e amministrativo che abbiano dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita nonché a tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a terminela predetta procedura, qualora essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni di cui alla precedente legge”. La non punibilità è ben limitata soggettivamente e nelle modalità in cui essa viene svolta. Inoltre occorre ricordare che: “La Corte costituzionale, ha provveduto a dichiarare l’art. 580 cod. pen. costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Sul fronte costruttivo va riconosciuta la serietà di una legge che depenalizza il suicidio assistito di fronte a chiare condizioni, quali: 1- La richiesta di essere assistito nel proprio suicidio deve essere formulata da persona nel possesso delle proprie facoltà mentali, libera da ogni pressione o condizionamento esterno; 2 – La richiesta deve essere approvata dal personale medico che riconosca l’esistenza di: 2.1 un morbo irreversibile derivante da patologie contenute in un elenco elaborato dall’ordine dei medici. Tale elenco va periodicamente rivisto per eliminare patologie che grazie alla medicina siano divenute reversibili o aggiungerne di nuove col carattere della irreversibilità; 2.2 la sofferenza fisica o psichica del soggetto che renda inaccettabile il proseguimento di una non vita. Una simile legge è in vigore da 20 anni in Olanda e le uniche problematiche nascono nel caso di demenza. Infatti prima che la demenza sopravvenga manca l’elemento richiesto al punto (2.1) mentre dopo la sopravvenienza della demenza viene a mancare l’elemento di cui al punto 1. Ecco perché è pensabile il ricorso al testamento biologico che attesti le volontà del soggetto per un tempo futuro quando il soggetto fosse incapace di esprimere quella volontà. Questa legge viene incontro con le persone che soffrono di morbi irreversibili e disperanti, penso ad esempio ad Eluana Englaro, ma soprattutto al suo magnifico padre che tanto ha sofferto e tanto si è dato da fare per introdurre un minimo di umanità nelle traversie umane.    Nella realtà quotidiana, inoltre, ho ragione, per esperienze vissute, di credere che l’assistenza al por termine alla vita di chi è vittima di casi disperati sia già operante senza leggi ma nel silenzio complice della grande ipocrisia.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PER UNA GIUSTIZIA GIUSTA E PER UNA MAGISTRATURA CHE STIA AL SUO POSTO

Pubblichiamo questo coraggioso articolo del compagno Claudio NEGRO, che va valutato e diffuso perché denuncia puntualmente come si sia giunti ad una modifica di fatto del nostro sistema democratico ed istituzionale con il consolidamento al vertice dello Stato di un potere quasi assoluto di una parte dell’Ordine (quello giudiziario) che sovrasta – con i suoi comportamenti – gli Organi democratici istituzionalmente previsti dalla Costituzione e votati dai cittadini. Il problema è racchiuso in quelle poche, ma illuminanti affermazioni dell’autorevole ex-giudice costituzionale e già Ministro Sabino CASSESE, insigne giurista, riportate nell’articolo. Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI LA GROTTESCA PACIFICAZIONE TRA LA MAGISTRATURA E I SUOI CRITICI SOLLECITATA DAL CORRIERE DELLA SERA E LE SUE FINALITA’ di Claudio Negro – Fondazione Kuliscioff Milano | Il Corriere di sabato 20 ci riserva un coup de theatre nella discussione su Mani Pulite e la crisi della Giustizia: un’esortazione all’armistizio tra fazioni e tesi contrapposte, la cui esistenza, par di capire, è all’origine dei guai in cui si trascina da trent’anni il rapporto tra il sistema giudiziario e il Paese e della crisi di credibilità che sta colpendo la Magistratura. In sostanza, teorizza un’articolessa nella pagina di Commenti, è necessario che la Politica la pianti di pensare di essere stata vittima di un golpe con finalità di sovversione istituzionale e politica, e che da parte sua la Magistratura smetta di pensare di essere stata impedita a compiere la sua opera di pulizia da una congiura tra Partiti e poteri istituzionali. Di questa seconda recriminazione, a dire il vero, non esistono tracce percettibili: ferve infatti festosa l’offensiva della Procura di Firenze sul caso Open, è recentissima la notizia delle attenzioni rivolte da Gratteri all’on. Cesa, non accenna a finire la caccia della Procura di Milano a Berlusconi e al Sindaco Sala. Francamente sembra un artificio retorico per poter mettere sullo stesso piano la Magistratura e i suoi critici e poter invocare un bel pareggio e vogliamoci di nuovo bene tutti. Un punto di vista talmente patetico e fuori dalla realtà da chiedersi a cosa miri effettivamente. Mani Pulite ha provocato la morte politica dei Partiti che hanno fondato la Repubblica (nonché quella fisica di un po’ di persone); ha generato il dilagare nella Magistratura della dottrina Davigo: il giudizio è quello del PM alla fine dell’indagine, il processo è uno strattagemma per allungare i tempi e consentire a qualche colpevole di farla franca (infatti, ha sempre sostenuto lo stesso Piercamillo, “non esistono innocenti ma soltanto colpevoli non scoperti”); ha creato un clima barbarico nel quale tutta una serie di PM hanno potuto inseguire trame di fantasia, sbizzarrirsi in indagini surreali, cercarsi pubblicità tentando di incriminare personaggi pubblici, inondare i mezzi d’informazione di dossier e intercettazioni intese a creare opinione pubblica, e infine usare le inchieste come strumento di intervento nella politica. Come ha detto un autorevole collaboratore del Corriere, Sabino Cassese, già giudice costituzionale “La magistratura è diventata uno stato nello stato. L’indipendenza è diventata autogoverno, l’accusa del PM  è diventata giudizio e i poteri, invece di essere separati, sono concentrati all’interno dell’ordine giudiziario. Non c’è più consonanza tra il paese e la giustizia”. Un effetto collaterale di questa situazione è la guerra per bande che dilania la Magistratura, dal “sistema” rivelato da Palamara alle recenti dichiarazioni di Di Matteo. In queste condizioni non si capisce davvero chi e su cosa dovrebbe fare la pace con l’0rdine giudiziario. La priorità appare decisamente un’altra: riformare il sistema, riportandolo al dettato costituzionale, bonificare gli Organismi che lo reggono, ricreare fiducia nell’operato della Magistratura, al posto della compiaciuta soddisfazione a seconda di chi colpisce. Resta il dubbio su perché il Corriere abbia ospitato con tanto spazio da lasciar pensare che si tratti di un’idea condivisa ai piani alti del giornale un monito così surreale e inverosimile come quello dell’articolo in questione. Certo, se teniamo conto dell’atteggiamento sempre più palesemente ostile a Renzi che emerge dagli articoli più recenti, della benevola tolleranza di cui godono Letta e Conte, della riesumazione di Rosy Bindi, del contegno signorilmente riservato con cui si commenta l’operato di Draghi, viene il dubbio che il Corrierone fiuti l’odore di opportunità a esercitarsi nel vezzo congenito dell’editoria italiana: quello di sentirsi la missione storica di influenzare, con più o meno understatement a seconda dell’editore, la Storia del Paese. In questo contesto una baggianata come l’articolo in questione acquista un suo senso, dislocando il Corriere su un terreno condivisibile da chi si sta adoperando per unire PD e M5S in un “Nuovo Ulivo” e fornendo a questo scopo un argomento sfruttabile. Di solito queste strategie elaborate nelle Redazioni o nei salotti che le pagano finiscono in gran pugni di mosche! Ho fiducia che finisca così anche stavolta. Nel frattempo privilegerò la lettura della Gazzetta dello Sport. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

OLTRE I CONFINI DELL’IMPROPRIAMENTE DETTA “SECONDA REPUBBLICA”

    di  Alberto Leoni – Coordinatore regionale Socialismo XXI Veneto |   Ieri mattina, sorseggiando un caffè al bar, un amico che segue poco le vicende politiche, persona semplice, mi diceva con irritata ironia, in dialetto veneto: ..ma per fare il Presidente della repubblica abbiamo solo Draghi e Mattarella? Tra 60 milioni di italiani possibile che non ce siano altri capaci di svolgere questo ruolo? E perchè? Confesso che, al momento, non ho trovato parole giuste per i suoi dubbi. Nemmeno ora le ho. Ma alla fine, passeggiando come faccio ogni giorno nella campagna breganzese, mi è passato davanti il film di questi trenta anni della vita politica italiana – l’ascesa ed il declino degli “eroi” di Mani Pulite, il volto radioso di Berlusconi del marzo 1994 e le sue “volontarie” dimissioni nel drammatico novembre 2011; lo sguardo apparentemente bonario di Prodi e la lunga lista di privatizzazioni varata dal suo Governo tra il 1996 ed il 1999. La grinta lucida e spregiudicata di Renzi che prende il campanello dalle mani di un Letta cupo, febbraio 2014; l’ascesa e la caduta del fiorentino inciampato su un referendum istituzionale gestito male e l’arrivo della “rivoluzione” del 4 marzo 2028: un movimento antistema che con il 33% dei voti intende aprire il Parlamento come una scatola di sardine –. Come stia finendo è sotto gli occhi di tutti, socialisti europei compresi che oggi devono decidere se accogliere un manipolo di scappati di casa nelle loro fila per far mettere loro la “testa a posto” o lasciarli andare al loro destino. In 30 anni sono nati e morti decine e decine di piccoli partitini, spesso legati ad una persona. Sono nati da scissioni parlamentari e poi squagliati nelle cabine elettorali. Oggi di fatto ne esistono 5: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Pd, Movimento 5 Stelle. Tutti gli altri sono sotto alla soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. Chi sono stati e da dove sono venuti i politici più influenti? Dalla Banca d’Italia e dalle grandi Banche d’affari (uno per tutti Ciampi, ma anche Monti, oggi Draghi), dal mondo dei boiardi di Stato, dalla Magistratura che ne ha forniti a iosa (uno per tutti Di Pietro), dallo spettacolo-intrattenimento (Grillo), dall’impresa legata alle concessioni pubbliche (Berlusconi), dagli apparati di partito (Lega e Pd). Dopo la caduta della Prima repubblica una nemesi storica ha colpito i partiti. La parola partito è quasi diventata impronunciabile. E sono diventati, nella migliore della ipotesi, comitati elettorali dove l’unica vera funzione era quella di predisporre le liste elettorali. Ma è finita la stagione dei partiti che selezionavano la classe dirigente, dalla sezione del piccolo paese fino a Roma. E la selezionavano abbastanza bene: – non facevi il Sindaco, il consigliere comunale, regionale, il parlamentare, l’amministratore di enti pubblici se non facevi gavetta e se non sapevi ciò di cui ti saresti occupato. – L’errore tragico è stato quello di non regolamentare la vita dei Partiti, certificare i bilanci, verificare gli Statuti ed il funzionamento degli organismi direttivi. E’ da trenta anni che la classe dirigente politica o è il residuo della Prima Repubblica sopravvissuta o è fatta da persone completamente inesperte e spesso con scarse competenze. I “migliori” disdegnano l’impegno politico preferendo altri mondi ed incorrendo in quella giusta critica che Platone muoveva nel IV libro della Repubblica: non lamentatevi per essere governati da gente peggiore di voi se avete deciso di non impegnarvi nella cosa pubblica. Quando dico “i migliori” mi riferisco alle persone portatrici di saperi, di competenze, ma anche di visione politica (non tutti possono farla, questo il grande inganno), dell’arte di organizzare la convivenza civile, di trovare l’equilibrio tra i vari portatori di interessi. Fare politica, essere dirigente politico non è uno scherzo. Richiede sacrificio, tempo da dedicare, passione. Sì, una parola che farà sorridere i miei improbabili lettori: passione! Senza passione non fai politica. E allora aveva ragione il mio amico breganzese: possibile che se discutiamo di Presidenza della Repubblica abbiamo solo Mattarella o Draghi? Forse esagerava, forse alla fine qualche altro nome prestigioso uscirà, ma la conclusione è chiara: l’Italia che si aggrappa all’uomo solo al comando ha certo bisogno di rassicurazioni e solidi riferimenti umani e politci. Ma se vuol uscire dalla palude in cui ci dibattiamo da trenta anni deve tornare ad impegnarsi. La scelta è tra chiudersi nelle proprie mura domestiche e spendere un po’ di tempo nelle sedi dove si contribuisce al bene comune. Non so se i partiti toneranno ad occuparsi di questo. Se non lo faranno saranno sostituiti da altre lobbies che gestiranno la selezione dei rappresentanti nelle istituzioni. E’ una sfida che tocca anche noi socialisti, famiglia inquieta, ma appassionata. La partecipazione, a partire dai nostri Comuni, dalle nostre Regioni, anche con un comune impegno a fianco di altre forze sociali  contigue ai nostri valori, è sempre stato un nostro valore. Non lasciamolo appassire.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA PERNICIOSA IDOLATRIA DELLA GOVERNABILITA’

    di  Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI |   Sul sito web e sui social, nei giorni scorsi, il nostro Presidente Aldo Potenza ha lanciato un grido d’allarme (che merita di essere ripreso e meditato) sulla preoccupante deriva che sta prendendo la crisi della democrazia rappresentativa ed in particolare quella del sistema politico-partitico incapace di reagire al tentativo – non nuovo come Egli stesso ha ricordato – di promozione di  un governo del Paese al di fuori del contributo delle  rappresentanze politiche parlamentari come evocato dall’Avv. Agnelli in una famosa intervista al Corriere della Sera nel 1975. Perché siamo giunti a questa deriva? Senza dubbio l’azione sconsiderata di una parte della Magistratura, dietro al comprensibile proposito di colpire un uso illegale del finanziamento dei Partiti, di devastare – anche con procedure discutibili –  il sistema politico-partitico dell’epoca creando un  grave vuoto di rappresentanza che non sarebbe stato piu’ coperto da un  sistema partitico tradizionale (pur rinnovato), ma collegato alle grandi culture democratiche del ‘900, ha aperto la strada, inconsapevolmente o meno, ad una serie di movimenti partitici, qualcuno anti-sistema, ma i piu’ ridotti a comitati elettorali utili alla gestione del potere da parte di interessi particolari o lobbistici più che capaci di affrontare con successo e competenza  le criticità economiche, sociali e di finanza pubblica esistenti e irrisolte.   L’idea di determinati grandi poteri finanziari ed industriali di poter dar vita ad una soluzione istituzionale-tecnocratica, in nome della governabilità in via di principio, ma nei fatti per ripristinare un equilibrio di poteri e di distribuzione del reddito, non si concretizzò, ma creò le condizioni per un impoverimento della politica, anche in termini di bassa competenza ed affidabilità di governo, tanto che di fronte alle manifeste incapacità di certa classe politica a fronteggiare la crisi di bilancio pubblico e alle pressioni comunitarie europee si giunse con il Governo Monti  – anche se per un tempo limitato – ad un “governo tecnico” pur accettato dalla grande maggioranza del sistema politico dell’epoca. L’emergenza che ha investito la vita nazionale a causa dell’’esplosione della epidemia virale, che ha messo in crisi tutte le grandi e piccole economie del mondo, ha allargato la crisi di rappresentanza e della “politica governante” con l’esplosione di due fenomeni diversi, ma egualmente dannosi: il populismo ed il nazionalismo esasperato fino a raggiungere livelli di irresponsabile antieuropeismo.  La necessità di offrire alle Istituzioni Europee e finanziarie opportune garanzie a livello di governo del Paese sia per fronteggiare con efficacia la crisi pandemica sia per stabilizzare l’economia ha riportato nuovamente  ad una situazione di “commissariamento” della politica con l’affidamento della guida di un governo di unità nazionale all’apprezzato ex Presidente della BCE, già governatore di Bankitalia, già direttore del Tesoro e già  autorevole esponente del mondo finanziario a livello mondiale. In una delicatissima situazione di emergenza, non solo del nostro Paese, ma di tutta Europa, questa scelta puo’ apparire – come abbiamo piu’ volte affermato – una via obbligata in uno stato di necessità, ma nel rispetto di un ruolo sostanziale del Parlamento che, invece, viene “sacrificato” nelle sue prerogative dalle scelte di governo considerate incontestabili e, soprattutto, se questa scelta fosse  considerata a “tempo determinato” per riportare nel breve tempo  alla normalità funzionale (e costituzionale) il ruolo del Governo, del Parlamento, delle Regioni e, perché no, delle stesse forze sociali in una logica di concertazione sociale che, per esempio, il Presidente  Ciampi inauguro’ e valorizzò trovandosi nelle stesse condizioni del Presidente Draghi lasciando la carica di governatore di Bankitalia nel 1993. Invece, con una disinvoltura istituzionale piu’ unica che rara, qualche giorno fa il Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti – non so quanto “in linea” con il segretario del suo Partito – ha lanciato l’idea di un Draghi Presidente della Repubblica – e fin qui niente da obiettare data l’autorevolezza ed il consenso diffuso che per ora gode il “premier” -, ma con compiti di supervisione e di indirizzo dell’azione di governo. Una forma di semipresidenzialismo di fatto….. “all’amatriciana”, ma non previsto dalla Costituzione e che relegherebbe il ruolo del Parlamento a semplice notaio di decisioni irrevocabili, anche perché se Esso dovesse  sfiduciare su un determinato provvedimento legislativo il Governo estenderebbe la sfiducia anche al Presidente della Repubblica, quale “tutor” del Governo. L’aspetto piu’ sorprendente è rappresentato che non si sono viste molte ed articolate negative reazioni, quasi che la proposta fosse la “cosa” piu’ normale di questo mondo. Quando il generale De Gaulle, richiamato al potere per gestire una grave emergenza politica, propose per la Francia una forte modifica istituzionale semipresidenziale con elezione popolare del Capo dello Stato  – pur nel quadro di un sistema che rimaneva democratico – lo fece con una apposita legge di modifica costituzionale da ratificare poi con un apposito referendum popolare, che vinse. L’Italia repubblicana, che non si fa mancare niente, ha sempre avuto in ostilità forme istituzionali di presidenzialismo (a parte Pacciardi, pezzi del già Partito d’Azione ed il MSI ora anche FdI), salvo praticarlo per i Comuni e le Regioni ed ora – secondo l’on. Giorgetti,  – ma anche “sotto traccia” da parte di altri politici – lo si vorrebbe praticare in via di fatto, in barba alla Costituzione e alla volontà popolare! Ma, allora, perché non andare in piazza per rivendicare il ritorno ad un corretto democratico sistema istituzionale in armonia con la Costituzione, il ripristino di una rappresentanza popolare effettiva (una testa, un voto) a tutti i livelli istituzionali, rappresentativa del pluralismo politico –culturale  e territoriale esistenti?     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA POLITICA ITALIANA

    di  Aldo Potenza – Presidente Socialismo XXI |   Come spesso accade, i commenti dei partiti e dei movimenti, sono propagandistici e fuorvianti. Il centro sinistra canta vittoria per i successi conseguiti nei grandi comuni, dimenticando i valori assoluti dei voti conseguiti e accontentandosi delle percentuali su un numero di votanti che ha raggiunto il minimo storico. Il centro destra brinda per la conquista di diversi piccoli e medi comuni e per il successo ottenuto in Calabria, ma compie lo stesso errore di valutazione, ancora più grave a causa della pesante sconfitta elettorale. Ma, pur considerando la caratteristica di queste elezioni, per il numero degli elettori coinvolto e la rilevanza delle aree economiche e sociali, a mio avviso si può affermare che la vera debacle è  della politica. L’astensionismo, infatti, come in precedenza ricordato, ha raggiunto percentuali preoccupanti che rivelano una sfiducia generalizzata verso tutte le formazioni politiche. Nella impropriamente definita seconda repubblica, gran parte degli elettori si illuse della promessa “rivoluzione liberale” evocata da Berlusconi; poi si orientò verso l’ulivo che presto appassì; la ribellione che seguì verso la politica trovò nel vaffa di Grillo l’approdo che avrebbe dovuto rappresentare il grande cambiamento, ma, come era prevedibile, il movimento di protesta e il personale politico che lo ha rappresentato erano inadeguati a governare, come è qualsiasi movimento che sia la sommatoria delle insoddisfazioni. Sono seguite altre speranze con la crescita elettorale della Lega e più recentemente di FdI. Ma sostanzialmente gli elettori sono demotivati e sfiduciati. Gradualmente si è affermata la raccomandazione elaborata dalla Trilaterale nel 1975 con il documento “Crisis of governability e crisis of democracy” secondo cui la governabilità è un obiettivo ideale da imporre a una società recalcitrante, arrivando a sostenere che il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma addirittura il segno della funzionalità del sistema e l’apatia è indice di buona salute delle istituzioni democratiche! Pochi credo ricordino ciò che, il 30 gennaio 1975, in una intervista concessa al Corriere della Sera, Gianni Agnelli affermò: “Probabilmente avremo dei governi molto forti che siano in grado di fare rispettare i piani cui avranno contribuito altre forze oltre quelle rappresentate in parlamento; probabilmente il potere si sposterà dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina economica; probabilmente i regimi tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libertà personali.” Insomma dalla democrazia dell’art.49 della Costituzione, mai pienamente attuato, si preannunciava l’affermazione di una democrazia autoritaria dove un ruolo determinante sarebbe stato assegnato alla tecnocrazia e dove, in nome della governabilità, il ruolo del Parlamento sarebbe diventato sempre meno rilevante a vantaggio del Governo vero centro decisionale e spesso guidato da un rappresentante della tecnocrazia finanziaria. Così, ma solo per memoria, si iniziò con Ciampi e a seguire Mario Monti (esecutore delle disposizioni della famigerata lettera firmata dal presidente della BCE Trichet e Draghi) fino all’attuale presidente del Consiglio. Nel frattempo sono avanzate forze che hanno teorizzato l’inutilità della rappresentanza parlamentare (esemplare è l’intervista rilasciata a La Repubblica il 21-8-2018 da Giorgetti “Il Parlamento non conta più nulla….se continuiamo a difendere il feticcio della democrazia rappresentativa non facciamo un bene alla stessa democrazia) come i grillini vessiliferi del superamento del Parlamento. Quest’ultimi riuscendo a far cambiare orientamento al Pd che votò  la riduzione dei parlamentari con la promessa, non mantenuta, di approvare subito dopo una legge elettorale proporzionale. Il risultato è la realizzazione di quanto aveva preannunciato Agnelli nel 1975. In conclusione una classe politica mediamente inadeguata, incapace di indicare orizzonti sociali ed economici, inaffidabile, capace di smentire se stessa persino quando ha dovuto affrontare questioni di rilevanza costituzionale, ha consegnato il Governo alla tecnocrazia e ha favorito la rassegnazione degli elettori creando le condizioni per la crescita del rancore di una parte del Paese in difficoltà economica, sempre più preoccupata del futuro e priva di un riferimento politico affidabile. Eppure in Italia ci sono energie capaci di fare cose straordinarie anche di fronte a tantissime difficoltà che avrebbero bisogno di una adeguata rappresentanza politica. Che fare? La speranza è che il PD e i partiti della sinistra italiana non confondano il risultato ottenuto come il segnale di una inversione di tendenza e invece si interroghino sulle difficoltà che nascono dalla incapacità di offrire una alternativa alla affermazione delle idee neo liberali e sappiano rigenerarsi traendo forza dal risultato ottenuto. Che altrettanto sappiano fare i partiti della destra abbandonando populismi, ricordi di un passato  condannato dalla storia, e sappiano ricostruirsi interpretando il forte segnale di sfiducia e disagio proveniente dal Paese. E’ un auspicio nell’interesse generale dell’Italia per superare una transizione politica senza fine.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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ASTENSIONE E DECLINO DEL POPULISMO

di Franco Astengo | Questa volta ha colpito verso l’astensionismo quell’alto tasso di volatilità che ormai caratterizza almeno da un decennio l’esito delle diverse tornate elettorali che si sono svolte in Italia . Uno “scambio” nel voto di tale portata al punto da rendere difficoltosa una qualche accurata analisi del voto. Si preoccupano gli analisti : tra il complesso dei voti validi espressi alle Europee 2019 e il totale dei voti validi espressi nelle comunali 2021 in17 capoluoghi di provincia si rileva un calo di quasi il 4% (dal 51,63% al 47,90%) e ci si colloca al di sotto della soglia psicologica del 50%. Minore preoccupazione era emersa quando milioni di voti trasmigravano tranquillamente da un’elezione e l’altra dal populismo renziano a quello del M5S e poi alla Lega soltanto in ragione di proclami urlati più forte da magici interpreti della democrazia “recitativa”. Intendiamoci bene: non è possibile effettuare comparazioni organiche fra diversi livelli di elezione, passando tra politiche, europee e amministrative. Purtuttavia quando il flusso assume dimensioni così all’ingrosso una qualche ragione comune nell’esprimersi del fenomeno ci deve pur essere ed è il caso di indagare, anche se con i mezzi di disposizione lo si può fare soltanto superficialmente. Succede, tanto per fare qualche esempio, che la Lega nel suo sbarco al Sud perda evidenti colpi a Napoli scendendo (tra il 2019 e il 2021) da 36.657 voti a 9.175 e, sempre sotto il Vesuvio, il M5S fletta tra le europee (dove già aveva accusato un secco calo rispetto alle politiche 2018) e le comunali (dove si è presentato in alleanza con il PD) da 118.221 voti a 31.805. A Roma situazione analoga anche se la “tenuta” del M5S appare maggiore che altrove: da 194.545 voti (2019) a 111.624 (2021). Più evidente la frana della Lega calata da 285.318 a 60.143 voti. A Bologna il M5S perde tra un’elezione e l’altra più di 15.000 voti (da 20.008 a 4938) e la Lega scende da 40.282 a 11.346. Rimini: Lega da 23.058 a 8293; M5S da 10.219 a 1.509. A Milano dove si registra una caduta complessiva di più di 90.000 voti validi il M5S scende da 48.958 voti a 12.517 e la Lega (nella sua culla, dove Formentini vinse nel 1993) da 157.227 suffragi a 48.283. Varese: la Lega perde 10.000 voti e il M5S 3.000. Infine Torino: il M5S dimezza (con il Sindaco uscente) da 52.803 a 24.058 e la Lega perde più o meno 70.000 voti (da 106.657 a 29.593). Spiace per chi coltiva l’idea dell’alleanza strutturale tra PD e Cinque Stelle quale embrione del “Nuovo Ulivo” o qualcosa del genere: ma la caduta del Movimento appare strutturale e figlia dell’esito di una stagione. Ci sarebbe da pensare a formare un connubio organico con un soggetto in così evidente declino, rispetto ad un passato che può proprio essere definito di pretto stampo populistico. Un fenomeno quello della caduta del M5S che può essere accomunato a quello che riguarda la caduta della Lega che, difatti, ha al suo interno chi pensa a un ritorno alla cura degli interessi della “Fortezza Nord”. Questa prima tornata delle Comunali 2021 ci dice allora, prima ancora del successo di alcuni candidati del centro – sinistra, che la volatilità elettorale che ha caratterizzato il decennio ‘10 del XXI secolo (2014, 2018, 2019) sembra arrestarsi sulla soglia della crisi del populismo riprendendo la strada dall’astensione mentre si affacciano da qualche parte i NO-VAX e sembrano spariti i soggetti dell’ultradestra. In sostanza esiste una questione urgente di ristrutturazione dell’offerta politica a fronte del permanere di una “inquietudine della domanda”. Di fronte a problemi sociali enormi le elezioni, massima liturgia della democrazia liberale, non hanno incrociato le grandi mobilitazioni sociali in atto, da quelle sull’emergenza ambientale a quelle per la difesa del lavoro dal ritorno della tracotanza padronale. Ha vinto l’astensione e una sinistra “riflessiva” dovrebbe cominciare a farsi sentire (e ascoltare). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it