RICCARDO LOMBARDI A SALVADOR ALLENDE

28 luglio 1971 (Nota a matita: non spedita) | Caro compagno presidente, Il prossimo viaggio in Cile del compagno Moreno mi offre la possibilità di anticipare per lettera alcune considerazioni che stanno alla base del vivissimo e preminente interesse che non solo io e i miei compagni della Sinistra socialista, ma tutto il Psi hanno per l’esperienza da voi guidata nel Cile. Tale interesse sarebbe del tutto astratto è privo di conseguenze politiche se esso si limitasse alla constatazione di una rilevante correlazione (anche se forse non sarebbe esatto parlare di identità) ideologica. Questa ultima infatti, che nel passato anche recente, cioè durante la sciagurata esperienza dell’unificazione socialista, poteva e doveva essere messa legittimamente in dubbio, appare oggi, anche sotto l’impulso determinante della sinistra Socialista, come una realtà che ha via via guadagnato tutto il partito e ne informa, sia pure con qualche residua contraddizione, la prospettiva e la strategia. La correlazione e la omogeneità invece dipendono soprattutto dalla constatazione che pur nelle grandissime differenze di situazioni sociali, ovvia conseguenza di una diversa storia, i problemi di prospettiva, di strategia e forse anche di tattica che il Partito Socialista cileno si trova ad affrontare. Oggi sotto la vostra guida, sono fondamentalmente gli stessi che il Psi, anzi la sinistra classista italiana, si trova ad affrontare oggi o a proporsi come prospettiva non storica è lontana, ma politica e perciò ravvicinata. Questi problemi si riassumono sostanzialmente in quelli che pone il passaggio graduale, ma risoluto al socialismo in una società capitalistica; ma questo, che è un problema generale di paesi capitalistici fino a oggi storicamente non risolto, ha una sua specificità nella situazione italiana, specificità che avvicina molto le soluzioni possibili in Italia a quelle possibili in Cile. Difatti, l’Italia, pur appartenendo globalmente ormai all’area dei paesi capitalisticamente sviluppati, presenta tuttavia zone non marginali di sottosviluppo ove dominano situazioni di paleocapitalismo, di precapitalismo o addirittura di Feudalesimo, e basta accennare a questo – del resto universalmente noto- fatto, per comprendere come la situazione che voi affrontate nel Cile, pur non identica, presenti aspetti e problemi abbastanza simili, pur con dimensioni diverse, a quella italiana. Anche in Italia la classe operaia è non solo minoritaria, ma concentrata in zone delimitate, certo non nella stessa misura che da voi, ma tuttavia in misura tale da creare un grosso problema politico e sociale; anche in Italia l’esistenza nella società di Grossi strati intermedi di piccola e media borghesia in parte inserita nella produzione capitalistica avanzata e perciò accessibile (ma non ancora acceduta, se non parzialmente) ad una solidarietà con la classe operaia ed in parte invece, la più rilevante, a carattere parassitario e subalterno, crea problemi per la sinistra analoghi, anche se ancora una volta di dimensioni diverse, a quelli esistenti nel vostro paese; anche in Italia una massa confusa e disperata di sottoproletariato, parte del quale in corso di inserimento nelle nuove attività industriali, crea la minaccia permanente di offrire, con la sua protesta politicamente non egemonizzata, una base a possibili e sempre minacciose tentazioni autoritarie e fasciste; anche da noi, nelle grandi città industriali, l’addestramento periferico di lavoratori provenienti dalla campagna crea problemi economici, politici e sociali che nel Cile sappiamo bene avere raggiunto il massimo di acuità. Diversi, invece, almeno nei loro aspetti di breve periodo sono i problemi connessi al influenza economica e politica dell’imperialismo che sappiamo bene configurarsi nel Cile e in tutto il Sud America in condizioni tali da costituire Il problema prioritario, non risolto il quale nessuno dei problemi interni economici e politici potrà esserlo. La situazione italiana è certamente diversa dato che la colonizzazione americana si serve di strumenti più indiretti e sofisticati che non siano quelli diretti e brutali, classici nel sud America. Tuttavia, pur nella difformità delle situazioni, esistono problemi di lotta comune per l’indipendenza, con strumenti diversi: ritengo che la diversità delle situazioni, sotto questo aspetto, offre possibilità positive di azioni coordinate differenti, ma convergenti allo stesso fine e che potrebbe consentire una articolata concentrazione di sforzi diretti ad attaccare l’obiettivo dei diversi lati, alcuni dei quali più accessibili a voi nel sud America, altri più accessibili a noi europei. Non voglio dilungarmi sulla gamma di considerazioni, lo ripeto, non solo astratte ed ideologiche ma politiche che la situazione suggerisce e sulle conseguenze operative da trarne; concordo perciò ampiamente con il compagno Moreno sull’utilità, direi sulla necessità che il contatto fra i nostri due partiti non sia occasionale, e direi così rituale, ma posso concretarsi in modo continuativo ed assumere manifestazioni non tanto celebrative e propagandistiche, quanto politiche ed operative su tutti i terreni, ivi compreso quello della soluzione dei problemi economici che sappiamo benissimo essere oggi nel vostro paese il punto più esaltante del vostro programma, ma anche il fianco più esposto all’attacco dell’imperialismo, e perciò richiede un apprestamento difensivo che certamente una solidarietà internazionale organizzata può concorrere a formare. Desidero ricordare, non fosse altro per memoria, l’acuto problema del controllo e della neutralizzazione del potenziale reazionario e fascista annidato in gangli essenziali dello Stato (esercito, polizia, magistratura, burocrazia) senza di che ogni avanzata anche graduale è legale verso forme di socialismo rimarrebbe precaria (ragione per cui seguiamo con ansia lo svolgersi della vostra esperienza, specie nell’attuale fase); nonché i problemi dell’inserimento economico internazionale che certamente si configurano i nostri due paesi in maniera differente, ma che consente interpretazioni non divergenti: Per noi si tratta di provare un esperimento socialista probabilmente limitato a un solo paese immerso in un oceano di capitalismo avanzato, per voi il problema è forse più semplice, ma non perciò più facile. A tutti questi fini ci stiamo adoperando per sollecitare un’attenzione meno distaccata e occasionale degli organi dirigenti del PSI verso i problemi dell’America del Sud è più esattamente di quello fra questi paesi, cioè il Cile, ove si svolge l’esperimento per noi più interessante e il cui successo è strettamente legato al successo o al fallimento della prospettiva politica che ci poniamo in Italia. Con il compagno Moreno, al suo ritorno, elaboreremo un programma per …

L’INAFFIDABILITA’ DEL GRUPPO DIRIGENTE NAZIONALE DEL PSI

Comunicato | Recentemente abbiamo diramato la notizia che con l’avallo del segretario nazionale del PSI, Enzo Maraio, in Calabria, in vista del prossimo rinnovo del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta, si era raggiunta l’intesa politica tra il PSI, Socialismo XXI e il Forum Liberal-Socialisti per il sostegno alla candidatura di centro-sinistra Amalia Bruni. Purtroppo abbiamo appreso che il PSI ha compiuto, senza alcuna spiegazione, un’altra scelta rinnegando l’accordo raggiunto con Socialismo XXI e il Forum Liberal-Socialisti. Non siamo sorpresi, perché altre volte è capitato, in altre regioni, di imbatterci in situazioni analoghe. Il nostro rammarico riguarda la politica. Infatti l’obiettivo esclusivo che Socialismo XXI persegue è, sin dal primo atto a Livorno e dalla sua costituzione ufficiale a Rimini, il superamento delle divisioni dei socialisti e l’ampliamento del perimetro di consenso necessario per ricostruire una forza politica di orientamento socialista che forte della matrice culturale e politica che ha caratterizzato il socialismo democratico, possa ritornare a svolgere il ruolo che i socialisti hanno avuto in Italia e in Europa. La scelta del PSI è un grave errore perché invece di promuovere insieme alle altre Organizzazioni socialiste, e quindi rafforzare la presenza socialista ricostruendo il proprio insediamento elettorale, cerca ancora adesioni spurie che indeboliscono la credibilità del disegno politico perseguito e allontana gruppi di elettori che invece sono espressione della tradizione politica e culturale del socialismo italiano. Il rischio è che alla lunga le divaricazioni aumentino e il risultati elettorali del PSI siano sempre più deludenti come è avvenuto nel corso degli ultimi anni. Insomma un grave errore politico che dimostra la scarsa propensione del PSI a lavorare per la ricomposizione dell’Unità Socialista ed è anche un grave atto di slealtà verso coloro i quali hanno creduto alla parola data e al disegno programmatico che era alla base delle intese raggiunte. Socialismo XXI, malgrado le reiterate dimostrazioni della scarsissima affidabilità dei vertici del PSI, è convinto che tra i compagni militanti socialisti la voglia di unità è forte e pertanto continuerà a lavorare per il Comitato di Unità Socialista sia a livello nazionale che territoriale, fedele alle scelte che portarono alla costituzione della nostra associazione. Colgo l’occasione per ringraziare i compagni di Socialismo XXI per la passione e il lavoro svolto, i compagni del Forum Liberal-Socialista e i soli compagni del PSI che hanno creduto alla validità del disegno politico che ci aveva motivati. Santoro Romeo – Coordinatore Socialismo XXI Calabria SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I PARTITI SONO MORTI DA 25 ANNI

di Marco Tedesco – Italia Oggi| Le attuali forze politiche infatti non possono assolutamente essere definite dei partiti. Lo dice Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta. Se le Regioni non sono in terapia intensiva, poco ci manca. La pandemia ha indebolito il nostro regionalismo per due motivi: «Le continue tensioni e fratture tra centro e periferia e l’incapacità delle Regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro». A dirlo è Sabino Cassese, giurista, giudice emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Funzione pubblica. Il governo Draghi ha saputo instaurare una modalità più serena e collaborativa tra i governatori, e non è poco, ma i problemi restano, perché – spiega Cassese – a vent’anni di distanza dalla riforma costituzionale del 2001 «è giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato». Con lui abbiamo parlato anche di green pass, Pnrr ed elezione del capo dello Stato («lunga vita al governo Draghi»). Ma è ai partiti che Cassese riserva parole tombali. È inutile la loro ansia di rimanere in partita, soprattutto nella gestione del Pnrr, perché «i partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti». Domanda.Lo stato di emergenza, che lei ha ampiamente criticato quando non ne ha ravvisato i presupposti, vige fino al 31 dicembre. A che cosa – o a chi – serve? Risposta. Ho criticato la dichiarazione dello stato di emergenza, a pandemia inoltrata, perché utilizza il codice della protezione civile, che non dovrebbe applicarsi alle epidemie, e perché uno Stato moderno dovrebbe avere strumenti ordinari per affrontare situazioni difficili. Aggiungo che l’emergenza dichiarata da ultima ha anche un’ulteriore peculiarità: è stata deliberata con decreto legge, mentre il codice della protezione civile richiede soltanto una deliberazione del Consiglio dei ministri. Ancora una volta, si ricorre a strumenti eccezionali perché quelli ordinari non funzionano, invece di cambiare questi ultimi. D. Perché il governo non ha ancora introdotto l’obbligo vaccinale per legge ed è ricorso al green pass, con tutte le difficoltà che ne sono scaturite? R. In realtà il cosiddetto green pass è un obbligo vaccinale, disposto con legge, per ora limitatamente alle persone addette alla sanità, a chi vuole utilizzare i trasporti, alla scuola. In sostanza, con atto con forza di legge, è disposto un obbligo non generalizzato, ma limitato ad alcune categorie. Questo modo di procedere risponde al principio di proporzionalità, secondo il quale, quando vi sono strumenti meno invasivi, si fa ricorso a questi, invece che a quelli generali. D. Come mai da quando c’è il governo Draghi delle Regioni non si è più sentito parlare, se non nelle classifiche di vaccini e contagi? R. Merito del presidente Mario Draghi e del ministro Mariastella Gelmini che hanno saputo stabilire procedure di regolare consultazione con le Regioni, ma anche dei presidenti regionali che hanno capito l’errore di tirare troppo la corda. D. Il nostro sistema regionale esce rafforzato o indebolito dal Covid? R. Esce indebolito perché sono apparsi chiari due punti deboli. Da un lato, le continue tensioni e fratture tra centro e periferia. Dall’altro, l’incapacità delle regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro. Occorre invece che le regioni che hanno buone gambe aiutino quelle che zoppicano. D. Su centralismo e regonalismo si sono consumati dibatti infiniti. La pandemia dovrebbe aggiornare l’agenda delle riforme? R. Le regioni hanno mezzo secolo di vita e 20 anni di esperienza del nuovo regime che fu introdotto con la riforma costituzionale del 2001. È giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato. Il punto debole principale è costituito dalla difficoltà di prendere decisioni che siano veramente nazionali, come richiesto per la gestione nel servizio sanitario nazionale, del sistema scolastico nazionale, del sistema statistico nazionale, e di tutti gli altri sistemi definiti nazionali dalla legge. D. Il Pnrr imporrà all’intero paese una gestione commissariale. Quale sarà il ruolo delle Regioni? R. Per quanto già deciso, non mi pare che vi possano essere sovrapposizioni. Le regioni hanno una funzione di programmazione e di coordinamento, i commissari una funzione di esecuzione. D. Sarà il Pnrr, per lo stesso motivo, a rappresentare il de profundis per i partiti? R. I partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti. C’è un aspetto semantico che va ricordato: solo una delle forze politiche presenti in parlamento conserva nella sua denominazione sociale la parola partito. I partiti erano associazioni con molti iscritti, un’articolazione territoriale, una vita continua delle sezioni, congressi nazionali, organi centrali. Tutto questo non esiste più: ad esempio, il numero degli iscritti ai partiti e oggi 1/8 del numero degli iscritti ai partiti di 70 anni fa. D. Ultima domanda. La situazione nella quale ci troviamo rende plausibile un mandato bis di Mattarella e una permanenza di Draghi a palazzo Chigi fino al ’23? R. Penso sia utile che Draghi ci conduca fuori della crisi sanitaria e poi anche da quella finanziaria che seguirà. Lunga vita al governo Draghi. Pubblicato su SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COMITATO UNITA’ SOCIALISTA PER LE REGIONALI IN CALABRIA

di Natalino Spatolisano – Quotidiano del Sud | Costituito con l’avallo del segretario nazionale del Psi Enzo Maraio il Comitato per l’Unità Socialista in Calabria, che spiana la strada per la presentazione di una lista socialista unitaria collocata nel centrosinistra nella prossima tornata elettorale di ottobre, a sostegno della candidata a governatrice della Calabria Amalia Bruni. I militanti di Socialismo XXI se lo erano infatti prefisso come obiettivo, sin dall’incontro tenutosi a Livorno nel mese di marzo 2018, “ricomporre la diaspora socialista restituendo al Paese un partito socialista in grado di riannodare il filo del dialogo con i cittadini italiani”. Finora ci sono riusciti soltanto in parte, facendo convergere nel neo comitato soltanto tre anime politiche di estrazione socialista, Psi, Forum liberal – socialista e Socialismo XXI. Entrano a pieno titolo nel nuovo sodalizio, in rappresentanza del Psi, la coordinatrice nonché vicesegretaria nazionale del Psi Francesca Rosa D’Ambra ed i membri Scipione Roma, Mattia Caruso, Gianni Milana, Gian Maria Lebrino, Gregorio Buccolieri e Domenico Tomaselli, di Forum liberal – socialista il responsabile regionale Francesco Maviglia, infine di Socialismo XXI il coordinatore regionale del movimento Santoro Romeo ed i componenti Domenico Ferrò, Giovanni Sculli, Giuseppe Frasca, Pietro Sgrò, Francesco Morano, Franco Danilo e Giuseppe Femia. “Il neo comitato è aperto a tutti i soggetti di estrazione socialista che volessero aderire, ivi compresi i singoli compagni che vi si riconoscessero”, sottolinea il coordinatore regionale di Socialismo XXI Calabria Santoro Romeo, “siamo infatti coscienti”, prosegue il sindacalista della UIL ed ex amministratore al Comune di Africo, “della condizione in cui versa la sinistra italiana, considerata l’assenza di un autorevole partito socialista, e sempre più  convinti  che il socialismo si costruisce con la dedizione e la passione degli aderenti e con la costituzione di un collettivo pensante al servizio dei cittadini. Saremo presenti con la nostra lista in occasione delle elezioni regionale di ottobre, ci batteremo fondamentalmente per quattro punti programmatici, sanità, turismo, infrastrutture  e forestazione, bisogna porre fine ai cosiddetti ‘viaggi della speranza’ al Nord e garantire cure uguali a tutti i cittadini riaffermando il principio di una sanità pubblica ed efficiente, serve investire ed operare nel turismo quale settore economico trainante ma anche nelle infrastrutture, ma necessita intervenire urgentemente nella forestazione, anche alla luce delle recenti devastazioni per mano di anonimi piromani, attraverso un nuovo Piano di forestazione nazionale, in linea con le direttive europee. Un progetto basato su due pilastri, protettivo e produttivo, bisogna realizzare le opere necessarie per il consolidamento del territorio, poi serve garantire la salvaguardia del bosco esistente con lo sfruttamento del legname ma anche delle biomasse per produrre energia pulita, rimboschendo gradualmente parte dei 570mila ettari di terreno forestale calabrese, al fine di ottenere”, conclude Santoro Romeo, “il massimo della produttività e del livello occupazionale possibile, soprattutto giovanile”.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOCIALISMO XXI: CAMPAGNA TESSERAMENTO PUGLIA

OGGETTO: Campagna di tesseramento 2021/2022 Carissimo compagno, E’ ormai noto a tutti che il “golpe” del pool di Mani Pulite, altro non è stato, che l’obiettivo di far fuori dalle istituzioni democratiche quei partiti che dal dopoguerra hanno retto le sorti democratiche del nostro Paese. Poiché, se più che giusta è stata la lotta alla corruzione e al malaffare della/nella politica e nella pubblica amministrazione, è inaccettabile che tutti i maggiori partiti siano stati perseguiti meno il PCI, che analogamente agli altri aveva avuto finanziamenti occulti ed illegali. Da quella vicenda, il PSI (nato a Genova nel 1892) si disgregò in mille rivoli la cui conseguenza, ancora oggi irrisolta, è la cosiddetta “DIASPORA SOCIALISTA”. Prendendo atto di questa situazione, un nucleo di compagni, non volendo arrendersi all’idea che sulla scena politica non esista un FORTE partito di chiara ispirazione SOCIALISTA, il  24 Marzo 2018 tenne, in quel di Livorno, una riuscitissima autoconvocazione di socialisti (ovunque collocati) per dare vita ad un percorso di ricomposizione della diaspora socialista.  L’obiettivo finale era quello di costituire, non l’ennesimo partitino socialista, ma un soggetto politico, che sullo scenario e con i contenuti valoriali del socialismo contemporaneo, riaggregasse (sulla base di contenuti programmatici condivisi) socialisti, socialdemocratici, ambientalisti, circoli e culture della sinistra non massimalista, realtà civiche, e che sintetizzammo con la definizione di una “EPINAY ITALIANA”, memori di quella che fu l’esaltante esperienza Francese. Convinti che un nuovo soggetto politico ovviamente non può nascere dal nulla, nei giorni di Febbraio 2019, si è tenuta a Rimini una Conferenza Programmatica su 12 “Tavoli tematici” e alle cui conclusione si è dato anche l’abbrivio per la costituzione formale della Associazione Socialismo XXI Secolo. Oggi, la Associazione XXI Secolo è il soggetto promotore, nonché uno dei partners, dei Comitati di Unità Socialista necessari per la aggregazione dei vari soggetti di ispirazione socialista e dalla cui unione si darà vita al nuovo PARTITO SOCIALISTA. Tuttavia, nelle more di questa gestazione, Socialismo XXI, come associazione, ha bisogno di rinnovare il suo tesseramento e, pertanto, con questa mia, ti invito a rinnovare la tua adesione alla Associazione  con la nuova tessera il cui importo è stato fissato in € 10.00 a valere per il biennio 2021-2022. Conto sulla tua collaborazione, Compagno. Massimo Lotti – Coordinatore Regionale per la Puglia di Socialismo XXI SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOCIALISMO XXI: ORIGINI, ORGANIZZAZIONE, FINALITA’ ED OBIETTIVI

    di  Luciano Vita – Coordinatore Socialismo XXI Marche |   PREMESSA A scanso di equivoci ed incomprensioni, che pure ci sono state all’indomani della sua costituzione, va detto che Socialismo XXI secolo non è un partito, nè è contro l’attuale PSI, pur non condividendone la sua politica degli ultimi dieci/dodici anni. Lo Stesso è un’associazione politico – culturale di chiarissimo orientamento di sinistra, i cui valori fondamentali si richiamano al socialismo democratico, aperto a tutti coloro che si riconoscano nell’obiettivo di quella che chiamammo “l’Epinay Italiana”, PSI compreso, tant’è che gli stessi due candidati alla segreteria nazionale Vincenzo Maraio e Luigi Iorio, alla vigilia dell’esito congressuale, si dichiararono disponibili ad un confronto ed approfondimento su tale prospettiva. LE ORIGINI E’ ormai noto a tutti che il “golpe” del pool di mani pulite, altro non è stato, che l’obiettivo di far fuori dalle istituzioni democratiche il PSI e la DC poichè, se più che giusta è stata la lotta alla corruzione e al malaffare della/nella politica e nella pubblica amministrazione, è inaccettabile che tutti i maggiori partiti siano stati perseguiti meno il PCI, che analogamente agli altri aveva avuto finanziamenti occulti ed illegali. Da quella vicenda, la Democrazia Cristiana si è ricollocata, passando per la Margherita di Rutelli, dentro e con il PCI, PDS, DS, dando forma e sostanza a quel PD che Emanuele Macaluso definì “il Capolinea delle ragioni teoriche ed ideali del Socialismo“, e che lo stesso Massimo D’Alema declamò come una “fusione a freddo” che non avrebbe portato da nessuna parte. Il PSI invece si disgregò in mille rivoli; chi andò con Forza Italia, il neo partito conservatore di Silvio Berlusconi; chi si trasferì nei DS; chi in altre piccole formazioni della sinistra, e chi infine si rifugiò nei vari circoli politico culturali del socialismo, sparsi in tutto il territorio nazionale, intitolati ai vari Pertini, Lombardi, Nenni, Turati, i Fratelli Rosselli, ecc. la cui conseguenza ancora oggi irrisolta è la cosidetta “DIASPORA SOCIALISTA”. Da allora ad oggi sono trascorsi quasi trent’anni, e quello che è rimasto del vecchio, glorioso PSI è meno di un prefisso telefonico, anche per responsabilità dei suoi dirigenti, sopratutto per la gestione del partito negli ultimi 10/12 anni. Di fatto, dal congresso del 2008 a Montecatini, il simbolo del partito è scomparso dalle schede elettorali nazionali e via via da quelle regionali , sempre “ospite” del PD per qualche strapuntino personale di qualcuno; da ultimo sia in Parlamento che alle ultime regionali ospite dentro il partito del neo-liberista Matteo Renzi; un’indecenza insopportabile! La sfiducia nel gruppo dirigente è cresciuta sempre più, sia in gran parte degli iscritti al PSI (oggi ridotti al minimo storico, meno di 20.000 ) che dai tantissimi socialisti sparsi nel Paese; per tanti di noi non era più accettabile che l’Italia, fosse l’unico Paese d’Europa dove non esiste più una forza politica che si richiamasse al socialismo, posto che, arbitrariamente, il PD ha preteso di rappresentarlo definendosi socialista soltanto nel Parlmento Europeo e mai in Italia. LA PRIMA TAPPA Su iniziativa di un primo nucleo di compagni, partì l’idea di non arrendersi all’evidenza del tempo; bisognava tentare un percorso nuovo per superare, dopo oltre vent’anni di tentativi andati a vuoto, le divisioni del mondo socialista e superare la” DIASPORA SOCIALISTA”. Il 24 Marzo 2018 in quel di Livorno, una riuscitissima autoconvocazione di socialisti, iscritti e non al PSI, dopo un appassionato e partecipato dibattito tra gli oltre 250 autoconvocati, decise di avviare un percorso per la ricomposizione della diaspora socialista. L’obiettivo finale era quello di costituire, non l’ennesimo partitino socialista, ma un soggetto politico, che sullo scenario e con i contenuti valoriali del socialismo contemporaneo, riagregasse sulla base di contenuti programmatici condivisi, socialisti, socialdemocratici, ambientalisti, circoli e culture della sinistra non massimalista, reltà civiche, che sintetizzammo con la definizione dell’ “Epinay Italiana”, memori di quella che fu l’esaltante esperienza Francese. LA SECONDA TAPPA Un nuovo soggetto politico ovviamente non nasce dal nulla; bisognava creare un organismo che elaborasse proposte programmatiche, confronti politici, momenti organizzativi, reti di contatti, tappe e percorsi per raggiungere quell’ ambizioso traguardo. A tal fine nei giorni 8, 9 e 10 Febbraio 2019 venne convocata una assemblea nazionale a Rimini che, dopo un confronto sviluppatosi su ben 12 tavoli tematici: –costituì l’Associazione Socialismo XXI Secolo, –approvò un documento di sintesi dei 12 documenti programmatici, –elesse il suo primo Presidente, nella figura del compagno Aldo Potenza, –una segreteria nazionale, –una segreteria organizzativa, –lo Statuto e gli altri organismi previsti dallo stesso.  L’ORGANIZZAZIONE Partendo dal presupposto che, come sancito dallo Statuto, una volta raggiunto l’obiettivo finale della costituzione di un nuovo soggetto politico, Socialismo XXI secolo si scioglie, essendo nato esclusivamente come braccio operative per quel risultato finale, bisognava radicarsi sul territorio per “farsi conoscere” e sensibilizzare le varie “anime sparse nel Paese”. E’ così che la presidenza nazionale comincia a muoversi organizzando incontri tematici in varie parti d’Italia, focalizzandosi su due tappe intermedie: 1 – L’organizzazione territoriale di Socialismo XXI Secolo; 2 – La costituzione di un organismo di rappresentanza e coordinamento delle varie realtà politico-culturali di orientamento socialista e socialdemocratica, che favorisse l’incontro ed il confronto tra le stesse, finalizzandole alla compartecipazione, senza pretese egemoniche di alcuno, alla costruzione del nuovo soggetto politico del socialismo Italiano. Sull’organizzazione bisognava: a – Costituire circoli di Socialismo xxi nelle città più importanti;  b – Costituire coordinamenti di Socialismo XXI provvisori regionali; c – Individuare coordinatori dell’Associazione del Nord, Centro, e Sud d’Italia; d – Avviarne il tesseramento. La pandemia da coronavirus, ha rallentato e per certi aspetti ostacolato questo percorso; tuttavia l’associazione Socialismo XXI alla data odierna può vantare:  –Circa 500 iscritti –Tre coordinamenti interregionali per le regioni del Nord, Centro e Sud d’Italia; –Una presenza organizzativa,tra circoli e coordinamenti Regionali su ben 17 regioni; –25 coordinamenti tra circoli cittadini e regionali. –Ha organizzato tre iniziative regionali su altrettanti argomenti tematici a Rimini, Formia e Roma; Ha elaborato, discusso ed approvato, durante tutto l’anno 2020 e fino ad oggi, attraverso attività in teleconferenza a causa del Coronavirus, …

GIACOMO MATTEOTTI E BRUNO BUOZZI: L’AUTENTICO RIFORMISMO SOCIALISTA E SINDACALE

    di  Silvano Veronese – Vice presidente Socialismo XXI già  Segretario Confederale della U.I.L.|   Ricordare oggi i martiri e gli eroici sacrifici di Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi, trucidati il primo il 10 giugno 1924 per mano della marmaglia fascista, andata al potere tramite un golpe con la connivenza dell’allora monarca, ed il secondo fucilato il 6 giugno 1944, mentre iniziava la liberazione di Roma, dall’invasore nazista e dai suoi complici fascisti italiani, non significa soltanto onorare la memoria di due grandi democratici, antifascisti e socialisti, ma è anche il modo migliore per collegare la vita ed il pensiero autenticamente riformista dei due martiri alla nascita della U.i.l. CHE CELEBRA  il 70° (+ 1) anniversario della sua nascita. Questo collegamento non è un atto arbitrario, anzi, è un atto di riparazione di un errato luogo comune riguardante la  storia sindacale e del socialismo del nostro Paese. La nascita della UIL (come d’altronde quella della CISL),  anche se avvenuta nel 1950,  ha infatti radici  ben più profonde rispetto ai fatti politici che la provocarono all’epoca. Per quanto ci riguarda esse affondano nel patrimonio culturale ed ideologico del socialismo riformista e del “socialismo” risorgimentale mazziniano delle S.M.S. ai quali la UIL si è sempre ispirata fin dal suo sorgere. Non è casuale, allora, che la UIL, in occasione e nella sede del suo XVI° Congresso Nazionale tenutosi a Roma nel 2014, volle dedicare una sala per esporre un’importante mostra documentaria su Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi, così come oggi è allestita a cura della UIL veneta nella Casa-Museo a Fratta Polesine un’altra mostra per affermare che – unitamente ad altri importanti esponenti di un lontano passato anche di altre credenze ideologiche ma contigue – i due grandi dirigenti del socialismo riformista rappresentano il Pantheon della UIL, non solo per la testimonianza della loro opera e del loro sacrificio, ma per i valori e l’ideologia da essi professati, che costituiscono, grazie al loro esempio, l’identità ed il modo di essere della Unione Italiana del Lavoro. Giacomo Matteotti ed il riformismo in anni difficili Giacomo Matteotti, quando fu rapito e poi brutalmente ucciso da una squadraccia fascista, era Segretario nazionale del PSU di Turati, Treves, Modigliani, Buozzi ed altri, tra cui i sindacalisti Rinaldo Rigola, Ludovico D’Aragona ed Arturo Chiari che ventisei anni dopo i primi due favorirono ed il terzo partecipo’ da protagonista alla fondazione della UIL. Il PSU era stato costituito nel 1922, dopo che la corrente minoritaria comunista del PSI facente capo a Bordiga, Gramsci, Terracini e Togliatti, su ordine di Lenin, aveva deciso a Livorno la scissione fondando il PCdI, mentre la maggioranza massimalista del PSI, guidata da Menotti Serrati, aveva disposto nel contempo “per pareggiare i conti”  l’espulsione dei riformisti dal partito. Giacomo Matteotti venne eletto Segretario del PSU, su proposta di Modigliani, perché considerato uno dei dirigenti più autorevoli, colto e molto preparato in materia economica e sociale. Non sempre era in sintonia con l’atteggiamento un po’ “morbido di Turati” e dei turatiani, soprattutto con l’avanzare della tragica esperienza fascista, e parimenti fu sempre molto dura e continua la sua polemica e la sua opposizione ai massimalisti di Menotti Serrati. A quest’ultimi rimproverava il sogno sterile di una rivoluzione socialista irrealizzabile, sia come fine che come mezzo, mentre ai turatiani ammoniva di concepire la via delle riforme (cioè la costruzione, sia pure graduale, di una società socialista) come fine anziché come mezzo. Un mezzo che – per Matteotti – andava riempito di contenuti concreti rivendicativi per elevare la condizione economica e sociale dei lavoratori, i loro diritti e la loro dignità di cittadini. Fin dai tempi del suo impegno politico e sociale a livello territoriale nel poverissimo Polesine, Giacomo Matteotti aveva indicato la via del “primato delle organizzazioni sindacali di classe” sulle sovrastrutture partitiche (nel suo caso il PSI), le quali con la loro lotta contrattuale potevano mettere in discussione gli equilibri di reddito e di potere determinati dalla borghesia industriale e finanziaria del tempo. Alle leghe, alla cui costituzione nel Polesine aveva dato un grosso contributo, e alle OO.SS. affidava il compito di promuovere il progresso e l’avanzamento sociale, mentre al partito il ruolo di dare a queste lotte sindacali uno sbocco politico ed un indirizzo verso la costruzione di una società socialista. Un riformismo quindi molto forte, radicale si direbbe oggi, e per niente moderato e rinunciatario come i massimalisti del PSI ed i comunisti di Gramsci e Togliatti gli rimproveravano. Il suo impegno fu sempre ispirato al binomio pensiero/azione, ovvero la ricerca di strumenti e metodi adeguati, ma molto concreti per poter conquistare, a favore delle classi più umili, benefici reali e duraturi. Rifuggiva invece da orizzonti astratti e dal disegno rivoluzionario perseguito prima dagli anarco-insurrezionalisti e poi dalle frazioni massimalista e comunista dell’allora PSI. Giacomo Matteotti, pur dotato di una profonda cultura, non era per sua scelta metodologica né un ideologo né un dottrinario: il suo impegno politico consisteva nell’andare al cuore dei problemi sociali ed economici per affrontarli con proposte concrete e per arrivare a risultati certi, possibilmente rapidi e misurabili con la gente. Era un progetto politico che, vari anni dopo, Riccardo Lombardi avrebbe chiamato “le riforme di struttura”. “Non ho tempo da perdere in dispute teoriche o filosofiche, devo impegnarmi nella valutazione dei bilanci degli EE.LL. e dello Stato, esaminare gli atti di chi ci mal governa ed il merito delle loro nefandezze”, era uso ad affermare coi collaboratori ed i seguaci, mentre gli avversari interni – che nel PSI erano in maggioranza – si attardavano nella retorica protestataria e demagogica volta a “predicare la rivoluzione” sull’esempio russo. Se rapportato a ciò che assistiamo in questi ultimi anni di sfrenato populismo, possiamo ben dire che l’immagine ed il pensiero  del grande esponente socialista sono di una formidabile attualità. Anche nella lotta al fascismo montante la sua opposizione non fu solo una contestazione ideologica contro una svolta dittatoriale e socialmente reazionaria del quadro politico di allora, ma anche un’incessante, dura e concreta azione di denuncia del malgoverno, dei brogli …

L’USO PROPAGANDISTICO DELLA STORIA

di Franco Astengo | Nello spazio di 48 ore proprio in Liguria abbiamo registrato due esempi di uso propagandistico della storia. A Savona la signora Sindaco intervenendo ad una cerimonia dedicata a Pertini ha ritenuto di doverne omettere le vicende legate all’antifascismo e alla Resistenza descrivendo l’ex- Presidente della Repubblica come un tranquillo avvocato di provincia prestato alla politica; a Varazze un consigliere regionale (ex-Sindaco) parlando del libro scritto da un esponente socialista su Matteotti ha pensato bene di dimenticare come la fine della vita di Matteotti fu dovuta ad un assassinio perpetrato dalle squadracce fasciste. C’è da riflettere perché sicuramente non siamo davanti a distorsioni dovute da ignoranza dei fatti. In realtà stiamo assistendo ad una evoluzione di quel revisionismo storico sorto fin dagli anni’80 (pensiamo a Nolte) in reazione ad un “uso politico della Storia” che sicuramente, nel caso delle vicende dell’antifascismo e della Resistenza in Italia, ha attraversato un lungo periodo del dopoguerra: un “uso politico della Storia” dovuto e giustificato dalle particolari condizioni di “bipartitismo imperfetto” che ha contraddistinto il nostro sistema politico, coinvolgendo anche (e fortemente) l’intero impianto della riflessione dell’intellettualità italiana, all’epoca per la gran parte impregnata di storicismo . Anche lo stesso fondamentale saggio di Claudio Pavone sulla “moralità” della Resistenza non è stato poi utilizzato nel senso del recupero di un equilibrio storico – politico nel giudizio complessivo ma usato, al momento del mutamento del quadro internazionale e del relativo smottamento della “Repubblica dei partiti” come punto di giustificazione dell’affermarsi di un revisionismo “a maglie larghe” attraverso le quali non sono passati soltanto i romanzi di Pansa, ma anche – e soprattutto – la logica dei “ragazzi di Salò”. Ci troviamo ormai ben oltre quella fase storica e stiamo approdando ad un particolare uso propagandistico della memoria storica: il metodo utilizzato in Liguria nel corso delle due occasioni citate da parte di esponenti istituzionali rappresenta un fenomeno che arriva da più lontano e interessa ormai l’insieme del “modello politico”. Più o meno da trent’anni, infatti, il “modello politico” italiano ha mutato segno, da luogo di forte partecipazione politica e sociale a terreno di “esclusione” per larghe fette di popolazione lasciata, in particolare dalle diverse forme di comunicazione che avevano accettato la filosofia della “fine della storia”, in balia di una forma continua di propaganda basata sulla paura e sulla miseria culturale. Questi fattori hanno fatto cadere la realtà di una cultura politica” forte” che sbarrava la strada a certi modelli e a determinati meccanismi comportamentali anche usando, perché no, l’ideologia ma soprattutto proponendo un sistema di valori non destinato, nella loro espressione, semplicemente alla raccolta indiscriminata del consenso. L’analisi dei fatti di cui si sta discutendo deve servire a far riflettere su quando e come sia stata abbandonata la strada della ricerca storica intesa come elemento fondativo dell’analisi politica. Le possibilità di riprendere questo metodo passano attraverso un progetto di vera e propria riorganizzazione culturale dell’agire politico. La cultura, anche quella classica degli “studi solidi” di definizione gramsciana non può essere usata per costruire fittizie “élite” ma come fattore di pedagogia di massa. Il rapporto tra cultura e politica da realizzarsi attraverso il passaggio dell’analisi storica deve essere ancora considerato come il vero e proprio punto di discrimine di fondo nella diversa qualità che si rinviene nel proporre l’intervento pubblico come risultato del nesso tra teoria e prassi in luogo dell’improvvisazione retorica destinata all’immediatezza dell’intreccio perverso tra opportunismo e utilità. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IN RISPOSTA ALL’ARTICOLO DI ALDO POTENZA

di Claudio Martelli | Caro Aldo Potenza, cari amici e compagni di “Socialismo XXI° Secolo” vi ‘ingrazio dell’attenzione e rispondo volentieri alla vostra sollecitazione a “confrontarci”. Voi mi chiedete e chiedete “ai socialisti dispersi in mille rivoli in una diaspora insopportabile” e anche a quelli convinti a percorrere un “ipotesi aggregativa” liberal socialista “perché come primo atto non danno anima e corpo ad una Epinay italiana come quella originale transalpina la quale — oltre a riunire i vecchi pezzi separati della tradizionale SFIO (Sezione francese dell’Internazionale Operaia) ovvero il partito del socialismo francese — portò nuove linfe al socialismo libertario francese come i radicai repubblicani di Mitterand e Mendes France, i cristiano sociali di Délors, Maire e Chereque, i giovani sessantottini socialisteggianti di Rocard?” Potrei rispondervi che tutto o quasi tutto del mondo politico di allora — cioè dei primi anni ’70 – o è scomparso o è così cambiato da risultare irriconoscibile. Potrei aggiungere che lo stesso PS francese reinventato e unificato dal radicale Mitterand (che prese la prima tessera nel momento in cui fu eletto segretario) dopo l’apoteosi di due settennati e varie peripezie si è via via isterilito sino a subire le scorrerie e le amputazioni elettorali procurategli a sinistra dal social-comunista Melenchon e a destra dal liberale Macron così ridicendosi a poca cosa. Potrei, ma preferisco illuminare ciò che della vostra suggestione storica mi sembra vitale e cioè l’idea o meglio il proposito di “un progetto rifondativo di un soggetto politico di ispirazione, socialista, democratica. e libertaria. Ebbene, sì, sono d’accordo sul progetto ma non sulla scansione temporale “prima tentare di rimettere insieme i frammenti dispersi della diaspora socialista per poi “innestare il socialismo In un soggetto collettivo, più ampio e aperto”. Se non bastasse proprio l’esempio francese che voi richiamate a sconsigliare l’eterna politica dei due tempi ricordo quel che è accaduto a noi, socialisti italiani, dopo il crollo della Prima Repubblica, dei PSI come di tutti gli altri partiti storici. Quante volte in tutti questi anni avete, abbiamo, provato a superare la diaspora e a ricomporre l’unità dei socialisti? Quante volte ci siamo illusi anche tu ed io caro compagno Potenza? Quante volte abbiamo assecondato i tentativi di lntini e De Michelis, di Del Turco, di Boselli, Nencini? A quante sigle e simboli di partito han dato vita i socialisti in trent’anni di diaspora — SI e PS, SDI e Nuovo PSI e poi -ancora PSI, per non contarne -altri e gli ancor più vari e mutevoli raggruppamenti regionali e locali? E quante diverse, contradditorie alleanze abbiamo visto stringere da tutte quelle sigle in tutte le vigilie elettorali? Alleanze poi sciolte come neve al sole ingenerando in molti socialisti il dubbio di calcoli opportunistici e di mere ambizioni personali. Di recente ho chiesto a Mauro Del Bue di tratteggiare sull’Avanti! un sommaria censimento di questi tentativi, una storia che per quanto infinitamente più piccola del nostro passato glorioso e doloroso è pur sempre la storia di socialisti se non una storia socialista: Quei che ne é risultato è un coacervo di annunci, un labirinto di intenzioni e, in un paio di occasioni, qualche seggio in Parlamento senza conseguenze politiche. Invece quel che ancora vive e dura dopo tanto peregrinare e naufragare è la memoria diffusa, il socialismo delle famiglie che ne trasmettono il gusto ai figli e ai nipoti, da fede tenace, indomita di compagni di base, nuclei ed esperienze locali, sezioni e gruppi sparsi in cui giovani sopravvenienti hanno preso il testimone dai più anziani. Quella che non è mai morta è l’idea socialista o, meglio, le tante idee ed esperienze che hanno animato e popolato le vie maestre del socialismo che certo non sono quelle del massimalismo confusionario e inconcludente, della subalternità alla sinistra comunista e post comunista e tantomeno quelle confuse e corrive con un grigio e indistinto liberismo o con la destra populista, e sovranista. Magari deperite nell’Europa in cui nacquero quelle idee risorgono nell’America che un secoIo fa le estirpò con la violenza. Risorgono nel programma di Biden perché erano il manifesto” del socialista americano Bernie Sanders senza il quale la Clinton aveva perso con il quale Biden ha vinto. Di queste esperienze, di queste idee si è occupato l’Avanti! da quando è rinato manifestandosi e dichiarandosi quale loro voce: vice del socialismo liberale, voce del socialismo repubblicano, voce del socialismo tricolore, voce del socialismo ambientalista, voce della rinascita socialista. Noi siamo gli scampati da un naufragio che ha inghiottito la Repubblica e tutti i suoi partiti con i loro vascelli e le loro casamatte, le loro scorie e le loro culture politiche. “Quanto è durato quel naufragio? Dieci venti, trent’anni? Se grazie al passato possiamo insegnare rudimenti di navigazione ai tanti impudenti ignoranti che occupano la scena politica dobbiamo a nostra volta tornare a imparare, dobbiamo ri-conoscere la società e il mondo di oggi così cambiati così diversi. La rinascita socialista non è una questione di organizzazione: se bastasse l’organizzazione basterebbe affidare il nostro nome e il nostro simbolo a un’impresa di marketing et voilà ecco ricomparire il PSI. La rinascita socialista è questione di idee e di leadership, ma sopra ogni altra cosa è legata, dipende, è possibile se esercitiamo una funzione, se facciamo politica. Pietro Nenni diceva politique d’abord, la politica innanzitutto, e fare politica significa esercitare un ruolo, una funzione determinante o, almeno, incisiva. Significa pensare qui e ora, concretamente all’interesse della Repubblica, della democrazia, della società. Caro Aldo, cari compagni, non c’è proprio ragione di dividerci tra chi vuole prima l’unità socialista e chi pensa di raggiungerla dentro l’unità dei riformisti. Non è questo il punto, il punto è fare politica. L’Avanti! appena rinato nel maggio del 2020 ha fatto campagna politica reclamando che di emergenza sanitaria e poi di vaccini si occupasse l’esercito italiano e non il finanziere Arcuri. Ha fatto politica contestando la gestione della sanità lombarda e quella del governo centrale, l’abbandono della medicina territoriale coi suoi dottori e i suoi presidi. Ha fatto politica contestando Salvini e Meloni quando …

BUON COMPLEANNO

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Il 75° compleanno della Repubblica ci spinge a riflettere sullo stato di salute delle nostre istituzioni, ed in particolare sul governo del paese. Prima riflessione E’ il governo Draghi una crisalide di un “governo forte”? Il governo Draghi nasce dal fallimento della governance dei partiti incapaci di trovare una soluzione efficace per dare una guida al paese. Certo osservando la seconda repubblica rileviamo come l’elettorato sia diventato estremamente volubile; si sono succedute elezioni in cui il raggiungimento di un consenso superiore al 30% è stato tanto inatteso quanto effimero. Durante la prima repubblica la Democrazia cristiana faceva registrare permanentemente questo risultato, solo il PCI, dopo anni di avvicinamento a quel traguardo, riuscì a raggiungerlo per poi dissolversi con l’avvento della seconda repubblica. Ricordiamo allora le meteore sfrecciate nel cielo elettorale scomparse poi dopo aver raggiunto l’apice sopra il 30%: Forza Italia, il Pd di Renzi, i cinque stelle e infine la lega di Salvini. La volatilità delle preferenze elettorali impedisce il costituirsi di maggioranze capaci di governare per una intera legislatura in grado di uscire dall’emergenza e dalla quotidianità delle problematiche affrontate e quindi ci costringe in una gabbia nebbiosa incapace di guardare ad un orizzonte ampio e proiettato nel futuro, costretto ad una sopravvivenza di bassa lega. Neppure il maggioritario è riuscito a creare due schieramenti che si contendono la guida del paese, limitandosi a proliferare partitini e a proporre ammucchiate eterogenee. Oggi osserviamo l’ascesa della meteora dei Fratelli d’Italia significativo messaggio della richiesta di un governo “forte”, messaggio che sembra trovare una risposta nel governo Draghi. Governo che basato su una adesione di quasi tutti i partiti al messaggio del capo dello stato, ma che non rappresenta per nulla una unità nazionale. Draghi se ne rende conto e predispone un centro decisionale fatto da lui e dai ministri tecnici di sua scelta affiancati da un governo ufficiale dove i partiti sono rappresentati ma subordinati alle scelte del centro decisionale. E l’operare del centro decisionale sembra marcare successi nei due obiettivi fondamentali che il centro decisionale si è posti: lotta alla pandemia e Pnrr. In un mondo dominato dalla tecnologia, i tempi di reazione di un governo sono diventati la discriminante tra gestibilità e decadenza; il fallimento della politica culminato con l’affossamento del Conte 2 è lì a dirci che serve un esecutivo efficiente e forte, e che è impossibile, dopo l’esperienza Draghi, tornare alle vecchie castranti liturgie politiche, o se vi si ritorna ciò sarà la notarizzazione del decadimento del paese. Serve un esecutivo forte, efficace, efficiente, lungimirante. E questo è quanto il governo Draghi dà l’impressione di essere, impressione confermata dai sondaggi di gradimento. Inconsapevolmente si sta realizzando un mutamento non preordinato, ma che sta accadendo. Una rivoluzione passiva? Seconda riflessione   I governi forti non significano necessariamente governi autoritari, ma non c’è dubbio che in tutti i paesi la funzione dell’esecutivo si rafforza sospinta dalla necessità di dare risposte tempestive alle questioni che via via emergono, ma sospinta anche dalla visione di un obiettivo, un orizzonte da raggiungere. Nella attuale fase storica, tuttavia, ci sono due diverse configurazioni che un esecutivo forte può assumere, e la differenza sta negli obiettivi che l’esecutivo si pone. La prima configurazione, di natura neoliberista, consiste in un esecutivo che si pone come obiettivo quello di garantire il buon funzionamento del mercato, tutelandone lo spazio di attività ed intervenendo solo in caso di incidenti al funzionamento del mercato stesso derivati da cause endogene (come, per esempio, la crisi del 2007) ovvero da cause esogene (come, per esempio, la crisi pandemica che stiamo attraversando). Ci si sorprende per il comportamento del presidente Draghi che si dimostra convintamente favorevole a spendere fondi in sussidi ed aiuti espandendo il debito al di là di ogni prevedibilità; lui che scrisse con Trichet la famosa lettera di carattere austero, ora si lascia trascinare nella spesa facile. Fino al punto da far ritenere i suoi provvedimenti come provvedimenti di sinistra. Nulla di più falso; i suoi provvedimenti non sono affatto di sinistra ma sono la conseguente attuazione della logica neoliberista che richiede l’intervento dello stato in caso dei cosiddetti “fallimenti del mercato” derivanti, come ricordavo, da cause endogene o, come nel nostro caso, da cause esogene. Ma osserviamo il Pnrr, la parte più rilevante relativa al futuro economico del paese, quella dove sono stanziati più euro, è quella del finanziamento dei contributi fiscali a favore delle imprese che investono in tecnologia. Si offrono cioè consistenti aiuti gratuiti alle imprese che vogliono investire in tecnologia ma ci si astiene in modo assoluto dall’indicare un progetto di futuro, una scelta di campi da rafforzare lasciando completamente alle scelte individuali delle imprese il destino economico del paese. Si fanno investimenti infrastrutturali (alta velocità e decarbonizzazione), si programma un ammodernamento della burocrazia (semplificazioni e digitalizzazione delle procedure), si ricerca un rafforzamento nella creazione di capitale umano (asili nido e università) si opera cioè nel contorno, nel miglioramento e nel rafforzamento di ciò che è di supporto alle imprese e che le aiuti a meglio operare. Un servizio prono all’egemonia del mercato neoliberista che ignora la funzione propositiva del settore pubblico, dello stato. Basti vedere quanto poco viene stanziato per la ricerca, per la gestione dei capitali pazienti che rappresentano oggi il vero futuro del paese e che per loro caratteristica sono operabili unicamente dal governo stante l’alta percentuale di insuccesso, unita all’alta potenzialità di sviluppo, e stante il lungo periodo di pay back richiesto anche nel caso di successo dell’investimento stesso e ciò sia sul piano strategico che sulle prospettive europee. La seconda configurazione, di natura socialista, vede invece un governo programmatorio, che si pone come protagonista dello sviluppo economico e non come facilitatore dell’iniziativa privata. Ciò non esclude un ruolo dell’impresa privata, ma una cooperazione in campi contigui: la gestione dei capitali pazienti e degli investimenti a lungo termine da una parte e la gestione delle applicazioni commerciali dall’altra con in mezzo il tema della traslazione della …