MARIO TURI, INTERNATO MILITARE ITALIANO, DA ZEITHAIN A PESCHICI

di Teresa Maria Rauzino | Gli Internati Militari Italiani (IMI), dopo l’8 settembre 1943, rifiutarono di collaborare con il regime nazista. I loro nomi su LeBi, la banca dati on-line dei prigionieri catturati nei lager fra il 1943 e il 1945. 650mila deportati non tornarono a casa. Fra questi un pugliese, Mario Turi,  tiratore scelto della Regia Marina, i cui resti mortali soltanto nel 1992 furono traslati in Italia, a Peschici, dove era nato. GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI CHE MORIRONO A ZEITHAIN Zeithain è un comune tedesco della Sassonia. Qui, nel Lager denominato Stalag IV B, dove erano già morti migliaia di prigionieri sovietici, giunsero nell’ottobre 1943 dei militari italiani feriti e malati, accompagnati da personale medico. In quello che i tedeschi consideravano un “ospedale militare”, denutrizione, condizioni disumane, mancanza di igiene, assistenza medica insufficiente e lavori forzati facilitarono il diffondersi di epidemie e gravi malattie, soprattutto tubercolosi. Morirono decine di migliaia di prigionieri, tra cui 900 italiani. La loro tragica vicenda ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. Catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e nell’Italia stessa, caricati su carri bestiame, furono avviati a una destinazione che non conoscevano: i lager del Terzo Reich, sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia. Giunti nei lager, dopo un viaggio in condizioni disumane, venivano immatricolati con un numero che sostituiva il nome, inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Formalità d’ingresso: la perquisizione personale e del bagaglio, la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali. Ai prigionieri, circa 650mila, veniva chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò. La maggior parte rifiutò di collaborare, affrontando sofferenze e privazioni. In un primo tempo considerati prigionieri di guerra, i militari internati, il 20 settembre 1943 vennero definiti IMI-Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler che li sottrasse alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro del Terzo Reich. Per ordine del Führer, e con l’assenso di Mussolini, il 12 agosto 1944 il loro status cambiò e furono trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi. Complessivamente, nei campi di prigionia persero la vita decine di migliaia di militari, per malattie, fame, stenti, uccisioni. Chi riuscì a sopravvivere fu segnato per sempre. A partire da febbraio del 1945, le prime avvisaglie del crollo imminente della Germania furono di preludio per la loro liberazione che avvenne in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945. Per i sopravvissuti, il rimpatrio in Italia, tuttavia, non fu immediato e si svolse soprattutto nell’estate e nell’autunno 1945, dalla Germania, Francia, Balcani e Russia. Tra i superstiti, tra cui molti erano gravemente ammalati, alcuni morirono lungo la via del rientro e furono sepolti a Praga. Tutti i reduci provenienti dalle diverse regioni del Reich, una volta varcato il confine italiano, vennero dirottati verso Pescantina, nel Veronese, dove fu istituito un centro di accoglienza e di smistamento verso le destinazioni interne al paese. 1 In particolare, il campo di Zeithain fu liberato dall’Armata Rossa il 23 aprile 1945. Dopo la fine della guerra, il territorio del lager e del cimitero italiano fu adibito a zona di esercitazione militare sovietica e rimase per decenni inaccessibile. Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli Internati Militari Italiani venne presto dimenticata. L’oblio è durato a lungo. Grazie all’instancabile opera di ricerca di alcuni reduci di Zeithain, primi fra tutti padre Luca M. Ajroldi (morto nel 1985), ex cappellano del campo che aveva annotato tutti i nominativi e i dati dei deceduti nel suo diario “Zeithain campo di morte” (pubblicato nel 1962 dalla Scuola tipografica Artigianelli di Pavia) e dell’ex tenente colonnello Leopoldo Teglia, attuale presidente dell’Associazione nazionale ex internati di Perugia, nel 1991 fu finalmente possibile localizzare, riesumare e rimpatriare le spoglie di quasi tutti i caduti italiani di Zeithain sepolti nel cimitero militare italiano di Jacobsthal, e in parte nel cimitero di Mühlberg e Neuburxdorf. Tra le urne rimpatriate in Italia nel 1992, c’era quella di Mario Turi, nato il 15-04-1922 a Peschici (Foggia). Specialista di “direzione di tiro” nel reparto comando Navarino della marina militare italiana, fu catturato sul fronte greco in data imprecisata e internato con il numero di matricola 280743 nello Stalag IV B a Zeithain. La data del decesso è il 12-03-1944. Causa ufficiale: malattia. Prima sepoltura: Zeithain-Cimitero militare italiano. Luogo di sepoltura attuale: Peschici-Cimitero comunale. Tutta la comunità di Peschici in una fredda mattinata del 10 febbraio 1992 accolse l’arrivo dell’urna con le spoglie mortali di Mario Turi. L’evento fu immortalato dal cameraman Mimì Martella e postato su YouTube. Una messa in suffragio fu celebrata dal parroco don Giuseppe Clemente in presenza dei parenti del marinaio (la seconda mamma, la sorella Michelina e il fratello Vito), dei fedeli, delle autorità civili e militari e delle rappresentanze della scuola media Libetta. Molto toccanti le riprese del “planctus” delle donne di Peschici vicino alla piccola urna del marinaio morto a Zeithain, l’accompagnamento al cimitero, scandito dalla lettura di alcune pagine del diario di padre Ajroldi e dei pensieri dedicati a Mario dalle donne di casa Turi: “Sei partito un giorno di sole, bello come eri bello tu. I tuoi occhi brillavano e i tuoi capelli biondi splendevano ai raggi solari, il tuo cuore era colmo di amore per i tuoi cari, per la tua patria. Andavi lontano sul mare, quello stesso mare che guardavi dalla tua casa. I tuoi pensieri vagavano oltre l’orizzonte ma un solo nome era scolpito nel tuo cuore: Italia. La tua Patria, che avresti difeso fino all’estremo sacrificio e l’hai fatto, Mario. Come solo gli esseri eletti sanno fare. A Lei hai donato tutti i tuoi sogni, le tue aspirazioni, la tua giovinezza. Felice di poterlo fare e laggiù lontano, in una terra ostile. Chi ti ha confortato? Chi ha posato sui tuoi occhi ormai spenti l’ultimo bacio? …

L’ ITINERARIO COSTITUZIONALE: 25 APRILE, 1° MAGGIO, 2 GIUGNO

di Franco Astengo | Abbiamo appena ricordato il 25 aprile e abbiamo davanti a noi le date -simbolo di quello che potremmo definire “l’itinerario costituzionale”: 1° maggio Festa dei lavoratori, 2 giugno il giorno della Repubblica.Un filo rosso tiene assieme il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno, date collegate dall’espressione del valore comune dell’affermazione della libertà, dell’uguaglianza, del riscatto sociale. Alle origini del 1° maggio i padroni mandavano la polizia che sparava sugli operai quando si radunavano per celebrare la festa del loro riscatto e della loro dignità umana, poi il fascismo la vietò completamente.Ma arrivò il momento di liberarsi di quelle catene e fu l’ora della Resistenza attraverso la quale si realizzò la Liberazione, con la classe operaia assoluta protagonista e dalla Liberazione il 2 giugno nacque la Repubblica e come conseguenza immediata la Costituzione che nel suo primo articolo richiama proprio il tema fondativo del lavoro. In questo momento storico dove emerge un forte tentativo di cancellazione della memoria e di affermazione di una visione autoritaria del Governo e di nuove ( o antiche?) gerarchie sociali la Costituzione deve essere ripresa in mano riaffermandone i principi di fondo soprattutto nella relazione tra prima e seconda parte laddove si legano assieme i diritti, i doveri e la forma politica che deve assumere quell’intreccio nella visione superiore della democrazia. La centralità del Parlamento è stata proditoriamente messa in mora nel corso di questi anni e adesso si sta tentando di sferrare un colpo mortale mutando la forma di governo introducendo il pericoloso meccanismo dell’elezione diretta sovvertendo così gli equilibri che uniscono le massime magistrature repubblicane. Pensiamoci per tempo come è stato il 25 aprile, anche per 1° maggio, e il 2 giugno non facciamoci cogliere impreparati:Tutto ciò chiama in causa l’esistenza di una sinistra politica capace di vedere il nuovo stando collegata alla grande tradizione del movimento operaio italiano: un discorso che ci porterebbe lontano in questa occasione ma che non può essere abbandonato assieme al tema portante della pace che dovrà caratterizzare la prossima consultazione elettorale europea. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA “RESISTENZA LUNGA” DEI FOGGIANI

di Teresa Maria Rauzino | Sul blog dell’ ANPI provinciale da tre anni è on line il materiale riguardante tremila partigiani e antifascisti di Capitanata. La provincia di Foggia dette il maggior numero di combattenti alla lotta di Liberazione contro il nazifascismo. Molti partigiani erano emigrati al Nord. La Resistenza è stata combattuta nelle regioni del Centro e del Nord Italia, ma vi hanno preso parte anche migliaia di partigiani del Mezzogiorno, che hanno dato un contributo decisivo alla lotta di Liberazione dal nazifascismo. Un lavoro che l’Anpi di Foggia ha intrapreso per consentire ai tanti che hanno notizie o materiali sulla Resistenza di metterli in rete, per lasciare ai posteri un archivio della memoria. Molti di quei partigiani sono sconosciuti, al massimo il loro nome compare sulle fredde lapidi di marmo poste nei tanti luoghi in cui hanno compiuto il loro estremo sacrificio. Una ricerca storica che cerca di ricucire i fili della memoria.  Un’operazione avviata da tempo anche dalla Biblioteca provinciale di Foggia “La magna Capitana”, grazie all’ex direttore Franco Mercurio che  affidò a Maurizio De Tullio una ricerca ( che continua) sui morti per bombardamento di Foggia del ‘43, per restituire almeno un nome a tanti morti ignoti. Perché è importante cercare e lasciare tracce su cose che hanno segnato in maniera così profonda il nostro territorio. La biblioteca di Foggia (purtroppo chiusa da agosto) spesso  è diventata, grazie alla direttrice Gabriella Berardi, un luogo di confronto di idee, collaborazione, organizzazione di eventi e di altre proposte per la città e la Capitanata. La biblioteca provinciale ha ospitato già due mostre dell’Anpi: “La Stampa Libera in Puglia e in Capitanata” e “I Costituenti di Capitanata”, divenuta poi itinerante in diversi comuni della provincia. Perché l’ANPI ha voluto creare un blog che raccoglie i nominativi degli antifascisti, dei partigiani,  e del terzo filone degli ex internati militari italiani in Germania? E’ un impegno che parte da un congresso, tenutosi qualche anno fa. Ma c’è soprattutto  una ragione di fondo: dimostrare, attraverso questa raccolta di dati sul blog, che non è storicamente fondato il giudizio per cui il Mezzogiorno è stato considerato sostanzialmente estraneo  alla  Resistenza e alla guerra di liberazione. Non è affatto così. “Spulciando gli elenchi nazionali – precisa  Michele Galante, presidente ANPI provinciale-  abbiamo potuto rilevare dati ben precisi: la provincia di Foggia, in Puglia sicuramente, è stata la provincia che ha dato il maggior numero di combattenti alla guerra di liberazione. L’Istituto di Storia per la Resistenza piemontese documenta che, a fronte di 1800-1900 combattenti della Puglia, quelli della provincia di Foggia furono quasi 500. Adesso che sono cresciute le fonti, ci accorgiamo che la presenza del Mezzogiorno e dei foggiani  nella lotta di liberazione non è stata limitata al Piemonte, ma ha interessato la Lombardia, la Liguria, la Toscana, l’Emilia Romagna, il Veneto, il Lazio, l’Abruzzo, il Molise (e pure la Campania, anche se in misura inferiore alle altre regioni). Un numero davvero consistente”. A questa partecipazione l’ANPI ha voluto dare voce, facendo conoscere non soltanto i grandi nomi dell’opposizione al fascismo in provincia di Foggia (nomi non solo di rilievo provinciale, ma di rilievo nazionale e internazionale, si pensi soltanto a Giuseppe di Vittorio e a Ruggero Grieco, Allegato e altri antifascisti famosi come Cannelonga, di Virgilio ed altri), ma anche i nomi di tanti pugliesi che in quegli anni si sono spesi per la causa della liberazione dal nazifascismo.  Galante ricorda anche il congresso dei Comitati di liberazione nazionali (CLN) del 28 gennaio 1944, tenutosi a Bari. La Puglia, in modo particolare, è stata la Regione dove si sono poste le basi della riscossa democratica e antifascista. La provincia di Foggia ha dato tanto perché era la più grande enclave socialista prima dell’Avvento del fascismo – ha spiegato Galante – Il partito socialista eleggeva qui oltre un terzo di tutti i deputati meridionali. In questo quadro abbiamo voluto anche mettere gli antifascisti, gli oppositori e cercare di fare luce su quella che noi chiamiamo la “lunga resistenza” della Provincia di Foggia, perché qui la Resistenza non è cominciata con il crollo del fascismo, ma prima che andasse al potere. Con l’eccidio di San Giovanni Rotondo nel 1920,  e con l’eccidio, (il più grande d’Italia), quello del 1920 e poi quello del 15 Maggio 1921 a Cerignola. In quel giorno, in cui si votava per le elezioni politiche, ci furono 8 morti sui 37 nazionali di quella domenica, come ha messo in evidenza Emilio Gentile, lo storico del fascismo oggi più accreditato. Questa resistenza, quindi, non è stata solo la fiammata del 1921. Si è manifestata in diverse forme, il fuoriuscitismo, l’emigrazione politica, la resistenza nei comuni di Monteleone ma anche di Cagnano Varano, San Marco in Lamis e  San Severo. Infine c’è il terzo filone, nuovo per noi,  quello degli internati militari, a dimostrazione del fatto che la Resistenza non è stata affatto un fenomeno minoritario come spesso si dice (erano tutti fascisti e poi sono diventati tutti antifascisti). No, questi uomini non sono mai stati fascisti:  hanno resistito al regime, ma anche alla tentazione di ritrarsi, di isolarsi, del “me ne frego” di quel periodo”. I foggiani che hanno partecipato alla Resistenza non erano solo manovalanza. C’erano persone valide anche sotto il profilo strettamente militare, come Vincenzo Damiani di Vico che è stato Capo di stato Maggiore delle formazioni partigiane. Personalità di primissimo piano che sono diventate la nuova classe dirigente del dopoguerra. “Questo è il succo dell’iniziativa dell’ANPI – conclude Galante – Finora è la raccolta più sistematica della provincia di Foggia. Non è una ricerca conclusa, è una ricerca aperta”. L’auspicio è che il blog diventi uno strumento di servizio per le scuole, per l’Università, per le diverse istituzioni culturali, fondazioni, circoli di cultura e biblioteche comunali. Tutti coloro che hanno materiale possono contribuire ad arricchire questo patrimonio. Anche i sindacati e i partiti possano stabilire un interscambio positivo. Bisogna socializzare questo Archivio che non riguarda soltanto il  passato, ma si immerge nel presente e nel futuro. Vuole parlare del passato …

25 APRILE e 1° MAGGIO: VALORI SU CUI COSTRUIRE GLI STATI UNITI D’EUROPA E UN MONDO MIGLIORE

di Daniele Delbene | …Ma facciano attenzione i giovani leaders politici! 25 Aprile e 1° Maggio rappresentano i valori ed i pilastri su cui costruire gli Stati Uniti d’Europa e un mondo migliore. Giustizia sociale e libertà sono un binomio indissolubile per consentire all’umanità di emanciparsi, di realizzarsi e di vivere in pace (per non ripetermi, rimando alla riflessione sottoscritta con altri compagni in occasione del 25 aprile e 1° maggio del 2023, consultabile al link: [clicca qui]). Non dimenticare è il presupposto indispensabile per progredire ma non bisogna commettere l’errore che l’enfatizzazione del passato offuschi la capacità di leggere il presente. Bisogna fare molta attenzione, ed essere consapevoli che la minaccia alla democrazia ed alla libertà può trovare tra i suoi detrattori due tipologie di forze. Le prime sono quelle più facilmente individuabili, perchè possono essere identificate nei modi e nei metodi già utilizzati nel passato e sono quelle che tendono a comprimere in modo percepibile le libertà. Le seconde sono ancora più pericolose, perchè anzichè comprimere i diritti civili e le libertà, li rendono apparentemente più diffusi e a disposizione di tutti, quando invece nella realtà lo sono solo per i pochi (sempre meno) che hanno il potere, la forza e le disponibilità per farli valere e rispettare. Ed in particolare i giovani leaders, pieni di entusiasmo e voglia di cambiare il mondo, devono fare attenzione a non diventare inconsapevolmente parte del disegno di coloro che ritenendoli, a torto o a ragione, ingenui e privi di esperienza, prima li valorizzano e li usano per destrutturare e poi li “gettano” in malo modo lasciando il campo però a chi meglio si presta al loro scopo. Viva l’Antifascismo, Viva il 25 Aprile e il 1° Maggio, Viva la Libertà e soprattutto Viva la capacità e la consapevolezza di comprendere il presente per garantire libertà e democrazia domani! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RAFFAELE CADORNA IL GENERALE DEI PARTIGIANI

I CADORNA NELLA STORIA PATRIA Raffaele Alessandro Cadorna (Milano, 9 febbraio 1815 – Torino, 6 febbraio 1897) è stato un generale e politico italiano. Fu al servizio prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia Il figlio Luigi Cadorna (Pallanza, 4 settembre 1850 – Bordighera, 21 dicembre 1928) fu capo di stato maggiore del Regio Esercito nel corso della prima guerra mondiale. Noto per la disfatta di Caporetto, ma non solo. L’omonimo nipote Raffaele Cadorna (Pallanza, 12 settembre 1889 – Verbania, 20 dicembre 1973) è stato un generale, politico e antifascista italiano, comandante del Corpo Volontari della Libertà durante la Resistenza italiana. Decorato dagli Stati Uniti con la Bronze Star Medal. Villa Cadorna a Verbania Pallanza Cambio di nome alla scuola Cadorna a Verbania: Gino Strada è una scelta coraggiosa e giusta. nessuna “cancel culture”. Solo cultura.                            6 FEBBRAIO 2024                                                                                                                                                                     Sul caso del cambio dell’intitolazione della scuola “Cadorna”, intendiamo esprimere piena solidarietà alla coraggiosa scelta degli organi collegiali dell’Istituto scolastico. Intitolare una scuola, palestra di democrazia e luogo di formazione culturale e civica, alla memoria di una persona rappresenta una prima, importante testimonianza su quali siano i riferimenti pedagogici e civici con i quali si intende confrontarsi con studenti e famiglie. In questo senso, l’idea di cambiare il nome dell’Istituto “Cadorna” – attualmente dedicato ad un discusso generale, uomo le cui drastiche e inumane modalità di trattamento dei soldati sono state largamente dimostrate dalla storiografia, e nel primo dopoguerra fervente sostenitore del fascismo – e intitolarlo a Gino Strada, uomo che ha dedicato la sua intera vita impegnandosi per la pace al fianco delle vittime dei conflitti, ci pare quanto mai azzeccata.Viviamo un’epoca di tensioni internazionali crescenti, con venti di guerra che soffiano sempre più forti e minacciano il futuro del quale proprio le studentesse e gli studenti del Cadorna saranno protagonisti: dedicare la loro scuola a chi si è sempre opposto, con parole e azioni concrete e significative, alla follia della guerra è un segnale importante. Indica loro la via da seguire e rappresenta una testimonianza dell’impegno della scuola nel campo della promozione della pace e della risoluzione non violenta dei conflitti. In questo senso, troviamo l’accusa di “cancel culture” sbandierata dalle destre decisamente fuori luogo: è solo cultura. Inoltre, come spiegano altrimenti la scelta dell’Amministrazione Comunale di restaurare proprio il mausoleo dedicato a Cadorna, posto sul lungolago di Pallanza? La volontà di fare memoria non deve prescindere dall’approccio critico né dal giudizio storico: meglio quindi che chi frequenta le attuali “Cadorna”, chiedendosi a chi la sua scuola sia dedicata, conosca la vita di un uomo di pace come Gino Strada, il cui esempio costituisce un riferimento importante per il presente e il futuro. Giacomo Molinari, Segretario Circolo PD di Verbania La famiglia Cadorna interviene sulla intitolazione della scuola       Alle accese polemiche e ai numerosi interventi suscitati dal cambio di intitolazione della Scuola Media di Pallanza (da Luigi Cadorna a Gino Strada) si aggiunge con la seguente nota del colonnello Carlo. Ho letto le considerazioni sulla figura storica di Luigi Cadorna e ho dovuto rilevare come è disceso in basso il partito che fu di Giorgio Napolitano, il Presidente che ha avuto l’onestà intellettuale di condannare i crimini di Porzus e Basovizza. Inoltre, la Storiografia della quale Lei si avvale, è già stata condannata dalla Commissione Parlamentare Mitrokhyn, le cui conclusioni, in quanto tale, hanno il valore di un Tribunale. Infatti, essa è basata sulla manipolazione dei documenti storici, che sono:                                                                                     – la Commissione d’inchiesta su Caporetto. Essa scrive: “nessun testimonio ha portato contro di Lui accuse che possano intaccare la Sua onorabilità di uomo, di cittadino e di soldato…”:- Le lettere Famigliari, in quanto la rappresentazione più intima e vera della Sua personalità: Pag. 128 (il tempo è orribile ed è una cosa penosissima per i soldati nelle trincee….); Pag. 148 (attraversiamo tempi troppo gravi perché io possa tener conto di altre considerazioni, che non siano quelle degli interessi supremi del Paese); Pag. 156 (che spettacoli orrendi! Oh la guerra! E pensare che si potrebbe rimaner tutti tranquilli in pace, se gli uomini non fossero sempre invasi dal prurito di prendersi la roba degli altri!); Pag. 188 (La vita di TUTTI i miei soldati mi è ugualmente preziosa); Pag. 291 (Mussolini è stoffa da dittatore, ma di poco equilibrio e misura; è l’italiano ha equilibrio e misura e non vuole dittature); Pag. 299 (Mussolini sta passando un brutto quarto d’ora…. Vengono fuori le gesta della canaglia che lo circonda). Questi documenti dimostrano la falsità delle Sue argomentazioni e la loro inconsistenza storica. E, poiché parliamo di UNA SCUOLA, è molto grave che essa venga educata attraverso la manipolazione della Storia, che dovrebbe, in quanto MAGISTRA VITAE, costituire la base dell’insegnamento e della formazione dei giovani! Per concludere: Lei attribuisce al Gen. Cadorna l’orrore che è proprio della guerra, dimenticando che essa fu dichiarata dal Governo, senza nemmeno ascoltare il parere di Cadorna.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISTA CHE NON TROVO’ MAI IL SOCIALISMO

di Giovanni Princigalli* | La bella politica di una generazione che non c’è più Nel 1964, esattamente 60 anni fa, nasceva il Partito Socialista di Unità Proletaria, il PSIUP. Fu fondato dalle due principali correnti della sinistra del PSI: quella morandiana guidata da Tullio Vecchietti e quella più piccola capeggiata da Lelio Basso. La prima era d’ispirazione marxista-leninista, la seconda s’ispirava al marxismo rivoluzionario e libertario di Rosa Luxemburg. Con questo articolo, ripercorrendo la militanza di mio padre Giacomo Princigalli dal PSI al PSIUP e poi al PCI, provo a ricordare ed elogiare una politica disinteressata, fatta tutta per un partito, comunità che era una sorta di seconda famiglia. I “compagni” erano coloro con cui su condivideva il pane: cum – panis. Non voglio addentrarmi nella storia o nelle ragioni della scissione della sinistra socialista che portò alla nascita del PSIUP, che ebbe vita breve. Anche se ormai è opinione diffusa, anche tra diversi ex dirigenti psiuppini oggi anziani e con cui ho parlato (tra cui Barzanti e Pupillo) che quella scissione fu sbagliata. Eppure, questo partito, che fu definito “provvisorio” dal socialista Gaetano Arfé (come il libro sul PSIUP di Aldo Agosti), una funzione importante la ebbe. Infatti, come mi ha ben spiegato un ex-psiuppino di Bari, Emanuele Ceglie, che poi approdò al PSI diventando uno stretto collaboratore di Rino Formica, il PSIUP diede voce a molti giovani che senza quel partito non avrebbero trovato una casa politica in cui militare. Molti, secondo Ceglie, sarebbero finiti nel nulla o nella sinistra extra parlamentare. Per tanti altri fu una palestra in cui farsi le ossa ed apprendere il lavoro della politica o un’alternativa al PSI ormai impegnato nel centro-sinistra, e al PCI, considerato troppo burocratico e monolitico. Basti pensare a tanti nomi che un giorno saranno ai vertici della politica e della cultura in Italia: Giuliano Amato, Fausto Bertinotti, Giuseppe Impastato, Asor Rosa e molti altri ancora. Tra i pugliesi oltre a Ceglie vanno ricordati Biagio Marzo (passato poi al PSI) e i futuri comunisti Peppino Trulli, Peppino Caldarola, Alba Sasso, Giancarlo Aresta, Rosa Da Ponte, e indirettamente Silvia Godelli. Non va dimenticato lo storico Aldo Giannulli, anche lui barese. Costoro, a detta degli stessi Sasso e Caldarola, furono tutti allievi di Giacomo Princigalli. Il PSIUP è spesso ricordato come un partito dogmatico, ma si dimentica invece che tra i lori dirigenti vi erano Foa (ex Partito d’Azione), Libertini e Basso. Mio padre militava nella corrente dei primi due che erano promotori di un socialismo al tempo stesso libertario e movimentista. Mio padre prese la tessera del Psi nel 1947 all’età di 17 anni nella sezione di Santo Spirito, una frazione di Bari, divenendone in seguito segretario. S’iscrisse alla facoltà di chimica dell’ateneo barese. All’epoca il segretario della federazione era Antonio Di Napoli, il quale chiese a mio padre di lasciare gli studi per lavorare a tempo pieno come funzionario del PSI. Mio padre non voleva abbandonare l’università. Allora Di Napoli lo rimproverò: «Tu allora non credi nella costruzione della società socialista?» Mio padre rispose: «Sì, certo che ci credo, ma anche nella società socialista ci sarà bisogno di chimici, no?». Ma Di Napoli fu intransigente «Ma lo sai che vige il primato della politica?» Sicché mio padre abbandonò gli studi per ordine del partito. Sia lui che Di Napoli erano di formazione morandiana. Tanto è vero che, scavando negli archivi della Fondazione Di Vagno a Conversano in provincia di Bari, ho trovato menzione del fatto che ai funerali di Morandi nel 1955, la delegazione barese, composta da Di Napoli, Princigalli, Masciale e Ricapito «(…) ha chiesto ed ottenuto – scrisse Di Napoli all’epoca dei fatti – l’onore di montare la guardia alla cara salma (…) innanzi al suo corpo gelido (…)». Grazie all’aiuto prezioso dello storico Luca Bergonzi, tra le carte dei fondi dell’istituto Gramsci a Roma, sono emersi molti documenti sulla militanza giovanile del PSI e poi del PSIUP di mio padre. Dal canto mio, come accennavo prima, ho trovato molti documenti presso la fondazione Di Vagno. Tra le altre cose, siamo rimasti impressionati nel vedere lo stipendio che mio padre guadagnava nel PSI (di cui divenne vicesegretario della federazione barese) e poi nel PSIUP (di cui fu segretario per la provincia di Bari, oltre che membro del CC e di tre commissioni nazionali). Orbene percepiva un salario equiparato a quello di un operaio specializzato. Negli anni Cinquanta venne nominato membro dell’ufficio politico nazionale dei giovani socialisti, e per questo gli diedero un’integrazione di 10.000 lire al mese. Senza dimenticare che per il PSI fu anche commissario del partito ad Altamura, funzionario della federazione di Latina e della corrente della sinistra interna a Roma. Si lavorava anche durante il week-end e la sera. Per la famiglia c’era poco tempo, a parte quando i compagni venivano invitati a cena a casa, per continuare a parlare di politica o solo per il piacere di stare assieme, e mia madre cucinava anche per loro. Mio fratello Antonio, il primogenito nato nel 1962, conserva dei ricordi di quei tanti compagni socialisti che frequentavano la nostra casa, tra cui il senatore Masciale e il deputato ed amico fraterno di mio padre Tonino Lenoci. Io per motivi anagrafici non posso avere ricordi che risalgono alla militanza socialista e psiuppina di papà. Ho cercato di ricostruire quel mondo fatto di casa e partito, parlando tra gli altri anche con il figlio di Antonio Di Napoli che passò anch’egli dal PSI al PSIUP. Egli mi ha detto che anche in casa loro vi era un via vai di compagni, cene e riunioni, anche perché non sempre potevano permettersi di pagare l’affitto di una sezione. In un documento trovato sempre da Bergonzi, mio padre si lamentava con la direzione nazionale del PSIUP per il mancato versamento della tredicesima per gli impiegati della federazione barese. Spesso i rimborsi delle spese per andare in giro in provincia per fare comizi arrivavano con il contagocce. Il PSI barese si sosteneva grazie ai doni dei deputati, le sottoscrizioni, le tombole …

IL SIGNIFICATO DI QUELL’ALTRO “18 APRILE”

di Franco Astengo | Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta epocale: nella prima occasione, quella del 1948 quando si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte Popolare. In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) interessava la legge elettorale del Senato. La riforma elettorale era considerata allora, semplicisticamente, la chiave di volta per modificare l’intero assetto del sistema politico scosso dalla caduta del muro di Berlino, dalla stipula del trattato di Maastricht e da Tangentopoli con l’esito della sparizione dei grandi partiti storici a integrazione di massa. In quel momento c’era chi, come il movimento capeggiato da Mario Segni oppure parte del PDS proclamava che l’adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe semplificato il sistema, resa stabile la governabilità, fatta giustizia della corruzione, reso trasparente il rapporto tra eletti ed elettori. Mai promesse da marinaio come quelle enunciate all’epoca hanno causato una vera e propria distorsione nella capacità pubblica di disporre di una corretta visione politica. L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai più avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti. Si è passati da un sistema misto di collegi uninominali e liste proporzionali bloccate a un sistema proporzionale interamente formato da liste bloccate e, dopo aver tentato addirittura di proporre un sistema che avrebbe fornito la maggioranza assoluta con liste bloccate senza alcuna soglia da raggiungere sul modello della legge fascista Acerbo del 1924, ad un altro sistema misto con collegi uninominali, divieto di voto disgiunto e liste ancora bloccate. In due occasioni la Corte Costituzionale su iniziativa di un pool di avvocati coordinati dall’indimenticabile Felice Besostri e nell’indifferenza totale delle forze politiche dichiarò illegittime le formule elettorali (l’una in uso e l’altra in divenire). Un esito quello dettato dalla Corte assolutamente respinto dagli attori istituzionali del sistema politico che hanno continuato a pensare alla stabilizzazione dei propri “cerchi magici” e al mantenimento di quote di potere anziché riflettere sui temi della partecipazione, del rapporto tra governabilità e rappresentanza e sul mutamento delle forme di intermediazione politica come sarebbe stato e sarebbe (urgentemente) necessario. L’elettorato sembra ormai arreso all’idea del prevalere di una logica di “voto di scambio” di massa elargito sulla spinta di una crescente sfiducia nelle istituzioni. Quasi contemporaneamente fu adottato il sistema dell’elezione diretta per i Comuni e successivamente per le Regioni: altri due temi sui quali sarebbe opportuno riformulare qualche valutazione di merito. Il veicolo della personalizzazione della politica per ottenere la stabilità di governo si è rivelato, infatti, irto di complesse difficoltà dal punto di vista della piena espressione della volontà democratica e portato, soprattutto nel caso delle Regioni, ad un vero e proprio spostamento d’asse nella natura istituzionale e nelle finalità legislative (Regioni) e giuridico – amministrative degli enti. Intanto il sistema politico italiano sta ancora trasformandosi cercando un assetto più o meno stabile nella sua quasi infinita transizione. Dopo una concitata fase di crescita esponenziale dell’astensionismo e di esagerata volatilità elettorale dovuta all’impulso populista che ha attraversato il sistema dei comitati elettorali (difficile definirli come partiti) sta prendendo quota una inedita versione del bipolarismo. Non è più il tempo di “centro – destra” e “centro – sinistra”. L’acuirsi delle grandi contraddizioni in un quadro generale di inasprimento delle contrapposizioni sociali e di difficoltà nell’individuare soggetti di riconoscimento politico, ha spinto verso una radicalità che, da una parte, sta originando un fenomeno emergente di formazione di una destra compiutamente conservatrice tendenzialmente egemone sulle forze populiste sia in senso federale, sia in senso europeista “moderato”; dall’altro canto si rileva una spinta in direzione di una sinistra capace di rappresentare il moderno intreccio tra le fratture sociali post-materialiste e quelle che convergono sugli assi tradizionali di riferimento della sinistra storica. L’interrogativo rimane quello del tipo di sistema istituzionale può meglio accogliere questo tipo di tensione in atto. La difesa della democrazia repubblicana imperniata sulla forma di governo parlamentare e il rifiuto di un ulteriore inoltrarsi nella personalizzazione delle figure monocratiche, appare ancora come possibile punto di riferimento per riuscire ad aggregare l’opposizione costituzionale allo sopo di elaborare una proposta che, in questo quadro così complicato, riequilibri governabilità e rappresentanza senza prestare il fianco ad avventure assimilabili a quelle che, in altri Paesi, hanno portato all’esito delle cosiddette “democrature”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TURATI PRIGIONIERO A PALLANZA FU ELETTO DEPUTATO PER PROTESTA

Documento tratto da Il Verbano 1982 A margine delle commemorazioni ufficiali, abbiamo un saggio di dichiarazioni turatiane su temi ancora oggi di attualità. In tutta Italia si commemora Filippo Turati nel cinquantenario della sua morte. Ognuno, come succede in questi casi, cerca di tirarselo dalla sua parte e di accaparrarne la grande carica ideologica e umana.La commemorazione ufficiale sarà tenuta da Craxi che aveva chiesto per questo addirittura il «Teatro della Scala». Per le opposizioni soprattutto comuniste, la cerimonia si svolgerà a Canzo (Como) paese natale del grande socialista riformista nato il 26 novembre 1857 e morto in esilio a Parigi il 29 marzo 1932. Il «curriculum» politico di Turati fu eccezionale: dal giugno 1895 fu eletto continuativamente alla Camera nel V° Collegio di Milano per nove legislature fino alle elezioni del 24 maggio 1924. È per i fatti del 1898 che Turati ha rapporti con la nostra terra: dal Parlamento passò infatti al carcere giudiziario di Milano e poi al Reclusorio di Pallanza dove rimase per 14 mesi fino all’amnistia del giugno 1899. Durante la prigionia di Pallanza Turati venne dichiarato decaduto dalla Camera il 9 luglio 1898 – ma nelle elezioni del 25 marzo 1899 il detenuto, con una candidatura – protesta, veniva rieletto con 4342 voti contro i 669 del Repubblicano Federci. Furono di quegli anni i contrasti fra socialisti massimalisti capeggiati da Enrico FERRI e i socialisti riformisti seguaci di Turati e di Bissolati. E da allora, per alterne vicende, di cui fa parte anche la scissione di Livorno, le due anime del socialismo, quella rivoluzionaria e quella riformista, sono state la «croce e delizia» della nostra democrazia. Ci pare utile offrire ai nostri lettori, come testo per una commemorazione di Turati da parte di una periferia come quella novarese che del socialismo sperimentò fino in fondo lotte, ideali e delusioni, alcuni brani di una franca e illuminante intervista concessa al «Popolo» (giornale dei «popolari») il 1° luglio 1924. Una intervista storica Abbiamo chiesto all’On. Turati se avesse letto la risposta del direttorio fascista alla dichiarazione delle opposizioni e che cosa pensasse della frase che accenna ad una futura «socialdemocrazia popolare ed unitaria». «Penso» ci ha risposto iI deputato unitario «che il direttorio fascista probabilmente qui vede giusto. Non vi è sventura che non abbia un lato benefico «Le vie di Dio sono molte» come voi direste e come scrisse Manzoni, l’estremo male ha in sé rimedi migliori. Sarebbe ingiusto negare al fascismo questo merito esso ha avvicinato milioni di cuori e di intelligenze che si ignoravano o si credevano nemiche, ha dissigillato milioni di pupille, ha spezzato la durezza delle formule intransigenti e settarie e ha rivelato anche ai più refrattari che, di fronte al ritorno alla barbarie, e sinchè l’educazione politica e morale in Italia – massime nei ceti dirigenti – non sia molto più sviluppata, vi sarà un terreno comune non soltanto di difesa, ma anche di azione costruttiva, fra tutte le energie di redenzione democratica veramente sincere e che siano fedeli a se stesse. É notevole che gli stessi massimalisti, la cui nota differenziale fu sempre l’intransigenza -à tout rompre – sono ora cordialmente con noi. Noi potremo dunque fare del cammino assieme, senza perdere nè le nostre caratteristiche fisionomiche nè le nostre peculiari impronte … digitali. Se, almeno, non avremmo al nostro fianco dei pusilli o dei traditori. Libertà religiosa «Eppure osservammo «non è da nascondere, che negli ambienti cattolici si dubita da parecchi che l’attuale collaborazione difensiva (demoliberale popolare, unitaria , ecc) possa avviarsi a divenire, al momento voluto, «una vera col laborazione di governo». Si dubita cioè dell’atteggiamento che, in tale ipotesi, assumerebbero i socialisti, di fronte ai problemi della politica ecclesiastica e religiosa. Fra gli stessi popolari è viva la preoccupazione di un ritorno a posizioni anticlericali vecchio stile delle masse e dei dirigenti socialisti. Ciò turba sinceramente molte coscienze pure e disinteressate, per le quali la libertà religiosa è una esigenza spirituale predominante. Con quale spirito i socialisti (almeno i dirigenti) crede Ella che si accosterebbero a tali problemi? «Senza propormi» ha risposto l’onorevole Turati «di vendere la pelle di un orso che … non è, ancora catturato mi lasci dire che siffatte preoccupazioni – appunto perché l’orso vagola ancora lungi sulla montagna – mi sembrano perlomeno alquanto … premature. Il socialismo, nella sua espressione media e globale, non è nè «anticlericale vecchio stile» (tengo a ripetere testualmente la sua frase) e le ricordo la nostra separazione netta dai massoni – fra i quali pure si trovano, con parecchia zavorra, tanti spiriti nobili e sinceri – nè tanto meno è antireligioso. Certo, siamo ereticissimi del Dio fatto strumento di regno, del Dio messo in organico come generalissimo della «milizia nazionale». La diffidenza o la avversione verso la Chiesa non esiste nelle file socialiste, se non in quanto la Chiesa, qualunque Chiesa, possa erigersi a barbacane del conservatorismo e della plutocrazia, sul terreno della lotta delle classi, abbandonando e consegnando al nemico, in pura perdita anche sua, le masse popolari. La democrazia cristiana è ben altra cosa, e tutte le forze d’avvenire possono e debbono accostarsi e mutuamente aiutarsi, lasciando le dispute teologiche ai canonisti e la filosofia trascendente ai vari Gentile delle cattedre. «Quando alla libertà religiosa, che è libertà assoluta di pensiero e di azione legale, tutte le libertà sono solidali; e ciascuna difende se stessa difendendo le altre». Culto: scuola, famiglia «Ma vi è l’inciampo dei problemi concreti libertà delle manifestazioni religiose e di culto e delle organizzazioni relative; la libertà di insegnamento (esame di ecc.); la integrità dei vincoli familiari (divorzio, ecc.)», «Francamente mi pare che Ella corra troppo le poste. Se non ci accoppano per riconciliarci definitivamente con la Nazione, potremo ritrovarcia discorrerne ancora. Ma sulla libertà, mi pareva di averle già esaurientemente risposto. E la prima delle libertà è quella dell’insegnamento, nel quale noi ripudiamo ogni coercizione o privilegio statale, e difenderemo “sempre (non negando allo Stato quello che è il suo primo dovere: assicurare per suo conto una larga istruzione …

“IO VI ACCUSO. GIACOMO MATTEOTTI E NOI”

GIACOMO MATTEOTTI, IL FANTASMA CHE TORMENTAVA MUSSOLINI – DOPO LA MORTE, IL CORPO DEL DEPUTATO SOCIALISTA FU TRAFUGATO, TORTURATO, STRAZIATO: UCCISO IL 10 GIUGNO DEL 1924, FU RITROVATO DUE MESI DOPO IN UN BOSCO A VENTI CHILOMETRI DA ROMA. ARRIVÒ AL CIMITERO DI FRATTA POLESINE SOLO 4 ANNI PIU’ TARDI. I FASCISTI TEMEVANO CHE LA TOMBA POTESSE FINIRE ALL’ESTERO, E DIVENTASSE META DI PELLEGRINAGGIO – LA TARGA CENSURATA FINO AL 2011, LE LETTERE D’AMORE ALLA MOGLIE VELIA E LE MEMORIE DI PAESE: IL LIBRO-INCHIESTA DEL GIORNALISTA CONCETTO VECCHIO, “IO VI ACCUSO” – di Concetto Vecchio | Prologo Novembre. Il treno mi lascia a Rovigo. Comincio questo viaggio da un corpo. Voglio raggiungere Fratta Polesine. La tomba di Giacomo Matteotti. Campi di grano gelati, pioppi spogli, strade vuote. Ho bisogno di un segno tangibile, qualcosa di concreto a cui aggrapparmi. Mi serve un’immagine. Devo vedere. Le cose si capiscono solo andando sui posti. Matteotti. Il nome di una via o di una piazza, di tante vie e di tante piazze, nessun politico del Novecento ne ha così tante. Ripescato per impreziosire i discorsi, bandiera da sventolare, fumisteria retorica, per il resto è come rimosso dall’immaginario collettivo. Anch’io so quattro cose. Un parlamentare socialista che tra i primi si è opposto al fascismo è stato ucciso cent’anni fa e da allora la sua memoria risulta schiacciata alla sua morte violenta. Dev’esserci dell’altro. Quest’avventura sarà felice scoperta. Non conosco la sua voce. Ignoro la gestualità, gli slanci di amore e di odio di cui si nutrì, un uomo è soprattutto il fuoco delle sue passioni. Non esistono né video né audio, nessuno che è in vita può avere ormai ricordi diretti, restano però i suoi discorsi, ne pronunciò centosei in parlamento, e l’unico film, sul delitto, risale al 1973. Regia di Florestano Vancini, parecchio didascalico, con i rumori da film western a sottolinearne i picchi più drammatici, Franco Nero nei panni di Matteotti e Mario Adorf in quelli di Mussolini. Che fine ha fatto Nero? Googlo. Ha ottantadue anni. Un sole malato filtra tra i rimasugli di nebbia mattutina. Malinconia padana. Mi piace immaginare che Matteotti, scendendo alla stazione di ritorno da Roma, percorresse questa stessa strada secondaria, in macchina, in bicicletta, qualche volta con il calesse. Nelle campagne, durante la bella stagione, poteva scorgere i contadini curvi che lo salutavano con calore. Venerato dagli ultimi, vilipeso dai potenti, incompreso talvolta dai compagni di partito, la sua vita sfocia nel cavalleresco, con tinte da romanzo nero. È sempre stato in fuga da qualcosa, credo anche da se stesso. «Un volontario della morte», lo definì Piero Gobetti. Non so come abbia fatto a barcamenarsi in quel mare di ostilità. Mi chiedo se valga la pena aver preso il Frecciarossa da Roma di primo mattino per arrivare fin quassù. Sul lato della strada scorre un canale, il Pestrina. Uccelli neri volteggiano sull’orizzonte lattiginoso. Tra un po’ sarà inverno fitto, i campi saranno pietrificati. Non incontro anima viva. Allora cosa mi ha spinto a venire? Potrei rispondere che sono venuto per Matteotti, nel tentativo di capire perché un martire del Novecento sia stato dimenticato. Ma so bene che è vero solo in parte. Un libro è sempre una ricerca, di sé anzitutto. E anche questo non fa eccezione. Sto cercando un segno e allo stesso tempo intendo lasciarlo. Il centro abitato di Villamarzana spezza la monotonia della strada dritta. Matteotti vi è stato anche sindaco. Una scolaresca delle elementari si è radunata in piazza, per un po’ mi soffermo a osservare i bambini ascoltare la spiegazione delle maestre. Il 15 ottobre 1944 i fascisti uccisero quarantatré cittadini. Si erano ribellati anche in nome di Matteotti, la cui figura volgeva già nel mito. Sulla facciata del municipio una lapide lo ricorda, una delle tante che punteggiano il territorio e che nessuno legge. Poi, sul rettilineo, in mezzo alla campagna, si schiude il cimitero di Fratta Polesine. Sono arrivato. Percorro il vialetto costeggiato di croci e lapidi, alla cui fine, in posizione centrale, si erge una grande cappella intonacata di un grigio chiaro: FAMIGLIA MATTEOTTI c’è scritto in alto. Sono l’unico visitatore questa mattina. Giacomo Matteotti riposa nella solitudine autunnale. Trovo aperta la porta. La bara è collocata al centro di un piccolo spazio. Un sarcofago di marmo nero con la scritta del nome in caratteri di bronzo. Venne donato dagli operai di Bruxelles, che lo avevano incontrato poco prima del delitto nel corso di una riunione dell’Internazionale socialista. Ora qualcuno l’ha coperto con le bandiere dell’Italia e dell’Europa. E proprio i vessilli, nel contrasto con lo scuro della bara, rendono il luogo come colorato, come allegro.  Ne sono abbagliato. Mi fermo sulla soglia per non calpestare i garofani sistemati ai piedi del sarcofago, raccolgo da terra i biglietti lasciati tempo fa da alcuni visitatori. «Caro Giacomo», c’è scritto su una busta.Come se fosse un amico ancora in vita. Una coppia di insegnanti, Giovanna e Gianfranco, ha vergato queste righe: «Onorevole Matteotti, in questi giorni difficili veniamo a onorare la sua tomba, non mancando mai di onorare la sua memoria, e la sua idea di dignità e altissimo senso civico nelle nostre classi». Quindi qualcuno viene a fargli visita di tanto in tanto. Le bandiere, i fiori, i biglietti, il sole che illumina potente l’interno, fanno di questo mausoleo un luogo vivificato da un caldo spirito.  Uao, penso. È proprio ciò di cui avevo bisogno. La cappella contiene le salme della moglie, Velia Titta, e della madre, Isabella Garzarolo, del padre Gerolamo, dei fratelli Silvio e Matteo, dei figli Giancarlo, Matteo, Isabella, che non ebbero quasi ricordi del padre, tanto erano piccoli quando morì, e che avevano venti, diciassette e sedici anni quando, dopo un’operazione, se ne andò anche la madre. Era il 1938, l’anno della promulgazione delle leggi razziali. Chi si è occupato di loro? Devo scoprirlo. Matteotti giace qui dall’11 ottobre 1928. Vi giunse dopo peripezie, traslochi, trafugamenti, trattato come un appestato. Ucciso il 10 giugno 1924 sul lungotevere a Roma il suo corpo era …

TRASFORMISMO, PERSONALIZZAZIONE, DEMOCRAZIA RECITATIVA

di Franco Astengo | I fatti di Bari, legati alla “questione morale”, colpiscono al cuore l’ipotesi di una nuova alleanza democratica capace di opporsi alla pericolosa ventata di destra in atto nel nostro Paese e sul piano europeo che nella nostra fattispecie punta a demolire la Costituzione e la forma di governo repubblicana. Ancora una volta è necessaria una riflessione di fondo che investa l’analisi delle cause profonde di questi fenomeni purtroppo emergenti. Proviamo ad elencare alcune possibili elementi di dibattito: 1) La trasformazione della “forma – partito” da quella “ad integrazione di massa” via via verso il “catch all party”, il “partito azienda” fino al “partito personale” in un quadro di mutamento del concetto stesso di democrazia passata da “rappresentativa” a “del pubblico” contrabbandando una formula deviata di “democrazia diretta” che avrebbe dovuto essere esercitata quasi esclusivamente attraverso il web (su questo punto però stiamo registrando rilevanti passi all’indietro). In questa situazione il PD appare incapace di porre un filtro e sicuramente non appare sufficiente il radical-movimentismo della segreteria Schlein eccessivamente votata – è il caso di dirlo – all’esercizio della “democrazia recitativa”; 2) E’ stata del tutto sottovalutata la costante diminuzione nella partecipazione elettorale frutto diretto di una profonda crisi nel rapporto tra vita civile e vita politica. Questo elemento è quello che consente facili infiltrazioni di gruppi organizzati che fanno della proiezione istituzionale dell’agire politico il luogo del tornaconto di clan dediti ad affari e all’esclusiva detenzione del potere. Una crisi causata da fattori molto complessi primo fra tutti quello di aver introiettato a suo tempo il concetto di “fine della storia” con relativa adozione del “pensiero Unico” proclamando la “fine delle ideologie” a vantaggio della ventata qualunquista; 3) I costanti tentativi di spostare l’asse di riferimento iscritto nella Costituzione della “centralità del Parlamento” e delle altre assemblee elettive verso una “governabilità” ottenuta attraverso vere e proprie forzature di restringimento dell’agibilità della rappresentanza politica. La riflessione in questo senso deve comprendere, oltre ai diversi meccanismi della formula elettorale, anche quelli dell’elezione diretta (in particolare dei presidenti di Regione) posta in rapporto al fattore di personalizzazione della politica e del già citato esercizio della “democrazia recitativa” (elementi che allentano di molto i filtri invitando oggettivamente i candidati a imbarcare nelle loro fila quanti si pongano ” a disposizione” senza provvedere a valutazioni di merito ma soltanto perché disponibili a offrire pacchetti di voti). 4) Sicuramente non hanno aiutato a considerare come valore la moralità della vita pubblica operazioni trasformistiche di rilevanti dimensioni quali il mutamento di finalità e di denominazione della Lega passata dalla posizione separatista a quella nazionalista con vocazione sovranista e la mutazione (che in altri tempi sarebbe stata definita “genetica”) del M5S passato tranquillamente dall’antipolitica al ministerialismo al pretendere l’egemonia di un ipotetico polo progressista. Ancora una volta debbono essere considerati, almeno dal nostro punto di vista, anche gli effetti concreti di una “vocazione maggioritaria” esercitata, in particolare nelle situazioni locali, esclusivamente dal punto di vista della detenzione del potere magari fortemente venata di dimensioni populiste. 5) Naturalmente non si può dimenticare che il trasformismo è stata componente vitale del sistema politico italiano ancora in precedenza all’Unità d’Italia se prendiamo come riferimento il connubio Cavour – Rattazzi nel parlamento subalpino. Le ragioni che si sono tentate di esporre in questo testo risalgono ai fattori emersi nel post “Repubblica dei Partiti” (da Pietro Scoppola) che hanno reso del tutto inedita la situazione attuale. Uno stato di cose in atto ben meritevole di grande attenzione proprio nel momento in cui in fondo al tunnel della scarsa partecipazione e della proposta di sottolineatura istituzionale del personalismo potrebbe esserci l’ipotesi di una “democratura” autoritaria (una sorta di salazarismo di ritorno con il mantenimento di una sorta pluralismo di facciata, appunto esercitato nel solco di quella “democrazia recitativa” di cui appaiono maestri nell’esercizio diversi presidenti di Regione camuffati da “governatori”). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it