CHE COS’È CIO’ CHE NOI CHIAMIAMO “EPINAY ITALIANA”

di Vincenzo Lorè – Responsabile comunicazione Socialismo XXI | UNA SINTESI Il Congresso di Epinay in Francia del giugno 1971 segnó la rinascita del Partito Socialista francese. Quel congresso chiamato “dell’Unificazione” puntò a costruire una formazione SOCIALISTA UNITARIA, dopo le divisioni tra le varie organizzazioni e la disfatta della SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia). Qualcuno ci ricorda che il ’71 è passato, – come se non lo sapessimo – ma desideriamo ricordare a TUTTI che le dinamiche adottate durante la preparazione di quell’assise sono tutt’ora validissime. Ecco spiegato i “Tavoli di Concertazione” che SOCIALISMO XXI ha lanciato per coinvolgere collegiamente le altre organizzazioni socialiste, ambientaliste, del civismo ecc. per definire le modalità di avvicinamento al congresso italiano dell’UNIFICAZIONE. Un altro aspetto fondamentale del congresso francese, fu che non ci fossero leader’s in pectore, né predestinati, né tanto meno messianici. Ad Epinay inizialmente furono presentate 17 mozioni, ma il congresso concentrò il dibattito solo su cinque di esse. Mitterrand divenne leader del Partito Socialista Francese, solo dopo aver dato seguito, con i compagni e insieme alle altre organizzazioni, a tutto questo percorso. Non fu calato dall’alto! Anche in questo caso qualcuno solleva critiche e perplessità: non c’è un “Mitterrand”!! Perchè, ci deve essere obbligatoriamente un Mitterrand? Noi al contrario auspichiamo che possa esserci “UNA MITTERAND”. Il congresso di Épinay fu davvero l’ultima fase di un lungo processo di riavvicinamento tra un vecchio partito socialista SFIO, indebolito, e una serie di circoli, associazioni, movimenti creati agli inizi della quinta Repubblica che rivendicavano istanze di socialismo. Jacques Moreau I Compagni socialisti francesi non vollero annegare nell’irrilevanza e in meno di sette anni, dal 1969 al 1976, il PS francese passò dal 5% al 27% dei suffragi, quintuplicò i propri effettivi, è diventò il primo partito di Francia, in posizione dominante nel cartello delle sinistre. Oggi l’Italia, dopo la fine dei partiti della così detta prima Repubblica e la scomparsa di un forte partito socialista, ciò che resta nella sinistra italiana appare sempre più smarrita e in condizioni precarie. E’ incapace di rappresentare sia un saldo punto di riferimento con una chiara identità socialista, sia una guida per una comunità nazionale. In questa sintesi, oltre agli spunti storici, ci sono le motivazioni per cui SOCIALISMO XXI porta all’attenzione degli scettici della Epinay Italiana cosa in effetti rappresenti: La Epinay per noi rappresenta il tentativo di UNIRE in un unico partito tutti coloro i quali hanno medesime sensibilità sociali e politiche e, per quanto ci riguarda, la voglia di riscoprire il valore del socialismo democratico attraverso un chiaro percorso e un METODO, simile a quello adottato dai compagni francesi che costituì un importante passo e l’elemento chiave di quel congresso, scevro da ogni tentazione da appelli inconcludenti. Tutti coloro ritengono che il socialismo sia tuttora una risposta necessaria ed attuale, ai Circoli, alle Associazioni, a coloro che si sentono socialisti, ad altre esperienze del Movimento Operaio, alle Fondazioni di area socialista, al Partito Socialista Italiano, all’ecologismo, al mondo del civismo affinché si rendano disponibili ad un confronto aperto ed inclusivo, per lanciare e sostenere, una campagna politica per la «EPINAY DEL SOCIALISMO ITALIANO», che per noi socialiste e socialisti di SOCIALISMO XXI ha un solo scopo, la ricostruzione di una casa per tutti coloro i quali sono e saranno interessati a dare una nuova e salda prospettiva politica di ispirazione socialista all’Italia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PUGLIA, ORA SCONTO IN BOLLETTA

di Onofrio Introna – già Presidente del Consiglio regione Puglia | Condivido la visione di Tonio Tondo sul ruolo strategico assunto dall’Italia nella sfida per gli approvvigionamenti di materie prime energetiche dal Caspio. I tempi sono cambiati: gli interessi nazionali non si difendono più schierando le navi da guerra al largo degli Stati che si vogliono indurre a buon partito. Dalla politica vittoriana delle “cannoniere” si è passati alla politica dei “gasdotti”, nei quali corre metano, ma anche complessi scambi economici e commerciali. L’esempio, tanto vicino a noi, è quello della Trans adriatic pipeline, la nota (e per qualcuno “famigerata”) Tap. La ragione di Stato prevale sulle vocazioni paesaggistiche e turistiche: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito non poche volte la centralità strategica dell’accordo con l’Azerbaijan, per l’approdo in Puglia del “tubo”, che dai giacimenti azeri alimenterà parte dell’Europa. Quel gasdotto s’ha da fare, avrebbe detto Alessandro Manzoni (1785-1873). Ed è stato praticamente fatto, sbarcando in una delle nostre coste più belle, a San Foca di Melendugno. La Tap ormai è finita, sta per entrare in funzione, dobbiamo farcene una ragione: la Puglia non ha vinto la sua battaglia, che nasceva dalla preoccupazione di ferire un territorio eccezionalmente attrattivo sotto l’aspetto turistico. Devo riconoscerlo, mio malgrado e a malincuore, essendo stato com’è noto tra i primi a contestare l’approdo nella spiaggia gioiello. Cosa fatta capo ha: ecco perché mi sembra sensato, a questo punto mettere in campo – distaccandomi parzialmente dal pensiero di Tonio Tondo – la questione altrettanto strategica delle compensazioni. Se lo fanno i sindaci dei Comuni della valle petrolifera lucana esclusi dal “bonus gas”, mi sembra giusto rivendicare agevolazioni per i cittadini pugliesi. Il danno arrecato al territorio con l’estrazione di petrolio in Basilicata viene compensato: perché quindi trascurare i pugliesi, che sopportano un peso gravoso, collaborando come “azionisti di maggioranza senza dividendi” alla produzione energetica nazionale? L’elettricità generata bruciando fossili a Cerano e Taranto risponde solo in minima parte al fabbisogno regionale, il resto soddisfa le altre regioni. E che dire della risorsa fornita dagli impianti “puliti”, non inquinanti ma inguardabili, disseminati in tutta la Puglia? I campi di pannelli fotovoltaici e i piloni delle turbine eoliche non sottraggono forse terreno all’agricoltura? E al fossile e al rinnovabile, si aggiungono ora altri due metanodotti, Tap da Melendugno e Poseidon da Otranto. Senza trascurare l’indifferibile decarbonizzazione dell’Ilva, i sacrifici dei pugliesi e gli impatti ambientali considerevoli legittimerebbero la richiesta di uno sconto adeguato dei costi dell’energia, a cominciare dalle imprese. Sarebbe un aiuto concreto e intelligente, perché aziende che pagano meno l’energia elettrica per alimentare gli stabilimenti sono più competitive, evidentemente. E perchè non prevedere un bonus nella bolletta di gas ed energia elettrica degli utenti privati? Per primi, dovrebbero avanzare richieste in tal senso i Comuni pugliesi, coordinati dall’Anci. E sono certo che il Consiglio regionale, prima della conclusione della legislatura, vorrà adottare a sua volta, auspicabilmente all’unanimità, una proposta che concretizzi questa legittima aspirazione dei pugliesi. Uno sconto in bolletta sarebbe un beneficio “democratico”, perchè generalizzato, oltre che un risparmio per le famiglie. Se poi non lo si volesse riconoscere a tutti, si potrebbe limitarlo alle fasce di reddito più basse, a chi è in affanno, alle prese con la disoccupazione. Un segno di attenzione e di rispetto per i cittadini di una regione che, in silenzio, produce energia per tanti ma paga il conto da sola. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL GOVERNO CRAXI E L’ACCORDO DI SAN VALENTINO (14 FEBBRAIO 1984)

  di Silvano Veronese – Vice presidente Socialismo XXI |   In questi giorni, in occasione dell’anniversario della morte di Bettino Craxi, si sono sviluppate moltissime occasioni di dibattito pubblico  sulla rivalutazione positiva – anche da parte di alcuni suoi avversari del passato – sulla Sua opera di statista, sul piano nazionale ed a livello internazionale, rivalutazione che non esce affatto offuscata dalle vicende giudiziarie che l’avevano colpito.   Non si è ricordato in questi eventi uno dei primi ed importanti risultati del suo Governo, e cioè l’accordo “triangolare” Governo/Imprese/Sindacati del Patto sociale del 14 febbraio 1984, detto anche “accordo di S.Valentino” che fu sottoscritto in quel giorno, dopo varie e complesse trattative, da tutte le Organizzazioni Imprenditoriali dell’industria, commercio e servizi, artigianato, agricoltura e cooperazione (comprese quelle c.d. di “sinistra”), da CISL e UIL e con la manifestazione di consenso della corrente socialista della CGIL. Non venne firmato, all’ultimo momento (dopo aver concorso in precedenza con i suoi segretari confederali  a scrivere molte pagine dell’intesa),  dalla sola CGIL).   Solamente alcuni strumentali e superficiali servizi giornalistici e televisivi hanno ricordato quell’evento, ma definendolo ancora una volta come il “decreto sul taglio della scala mobile” o, addirittura, con l’infamante bugia del “taglio dei salari” come lo presentava a quel tempo nella polemica politica la vulgata comunista per giustificare il ricorso al referendum voluto dal segretario del PCI on. Berlinguer, con il dissenso della corrente “migliorista”. Referendum che venne sconfitto nella consultazione popolare.  Se questo “patto sociale” si fosse limitato a questa determinazione, ci sarebbe stato bisogno di scrivere ben 25 pagine dell’intesa?  Crediamo, perciò, opportuna un po’ di chiarezza per rendere – anche su questo aspetto – giustizia sull’operato del compagno Craxi, Presidente del Consiglio dell’epoca, nonché di Gianni De Michelis che – in qualità di Ministro del Lavoro – promosse e  coordinò le trattative.  Intanto la scala mobile, che era il meccanismo di tutela del potere d’acquisto dei salari e la cui dinamica era collegata all’andamento dell’inflazione,  non fu né “tagliata” né tantomeno “soppressa” dall’accordo di S.Valentino (come affermava  l’infamante propaganda del PCI dell’epoca).  Per la cronaca,  la sua “soppressione” – con il trasferimento della sua funzione ad uno specifico strumento dei C.C.N.L. – avvenne anni dopo nel contesto degli  accordi “triangolari” con i Governi  Amato e Ciampi, rispettivamente del 1992 e 1993, questa volta anche con la firma della CGIL.  L’accordo di  “S.Valentino”, nato all’inizio come verifica  del precedente patto sociale detto “accordo Scotti” (dal nome del Ministro del Lavoro che l’aveva promosso), prese la forma di un vero e proprio patto di concertazione sociale sotto l’impulso di Craxi e De Michelis  per concordare con le parti sociali una complessa manovra tendente a sviluppare una vigorosa azione anti-inflattiva (non va dimenticato che il Governo Craxi ereditò una grave  situazione con l’inflazione del 20%) e di rilancio delle attività produttive, della ricerca e dell’occupazione per poter agganciare il sistema economico nazionale ad una ripresa mondiale mentre la nostra economia reale marcava all’epoca (come ora) una preoccupante stagnazione.  Con l’accordo di concertazione 14 febbraio 1984 vennero convenuti e sottoscritti determinati obiettivi per ognuno di vari fattori: aumento annuale del PIL, della produzione, dell’occupazione, degli investimenti e della produttività, contenimento del costo del denaro e dell’andamento dell’inflazione. Le parti sociali ed il Governo si impegnarono in comportamenti virtuosi coerenti con gli obiettivi convenuti.   La riduzione dell’inflazione (per difendere  il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi) e conseguentemente della dinamica  prevedibile della derivante  contingenza, vennero programmate attraverso la “prederminazione” per il solo anno 1984  dei futuri scatti di contingenza o “scala mobile” e la parallela “predeterminazione” delle dinamiche delle tariffe e dei prezzi controllati e con un impegno da parte delle imprese a “muovere”  i prezzi liberi in coerenza con tali obiettivi.  L’inflazione – a seguito di questi virtuosi comportamenti – scese rapidamente e sensibilmente, mi sembra attorno al 4/5%. Tale risultato portò a far coincidere il tasso reale di inflazione con quello programmato, anzi a rendere inferiore il primo rispetto al secondo. Dov’era dunque il “taglio” dei salari blatterato dalla propaganda comunista?  Al limite si poteva parlare di contenimento dei futuri aumenti di scala mobile!  L’accordo di “S.Valentino” non trascurò il fattore “lavoro”:  fu determinata una importante riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di nuove tipologie di contratti per favorire nuova occupazione, fu introdotto il “contratto di solidarietà” per mantenere l’occupazione nelle aziende in crisi, fu prolungato (al contrario di ora) il periodo della CIG e della mobilità. Vennero istituite nuove società pubbliche per la promozione di nuove attività in sostituzione di quelle decotte e salvare così  l’occupazione ivi esistente.  Vennero affrontate positivamente  alcune questioni riguardanti  il  FISCO e lo sviluppo della DOMANDA PUBBLICA (all’epoca come ora bloccata), ma una parte considerevole del “patto sociale” affrontò la decisa materia della Politica Industriale per dinamicizzare l’economia  attraverso l’individuazione di nuovi strumenti e di vari interventi pubblici, con il concorso di quelli privati, a carattere settoriale e/o territoriale con particolare riferimento alle aree depresse ed a settori in crisi di competitività e di mercato.  Da allora, a parte i succitati patti sociali “triangolari” con i governi Amato e Ciampi del ‘92/93, non si è piu’ prodotto uno sforzo programmatorio di questa qualità e quantità di interventi, tanto che all’epoca il “sistema Italia” superò al quinto posto la Gran Bretagna nella classifica delle sette maggiori economie del mondo. Un esempio positivo ed importante di socialismo riformista, di “una sinistra di governo” capace di coniugare obiettivi di crescita economica con la salvaguardia dei bisogni sociali fondamentali.  Oggi purtroppo, l’Italia si trova in coda persino in Europa nell’andamento del PIL, della produzione (in calo) e  della produttività! Un quadro economico e sociale che appare desolante al confronto della situazione di quel periodo. Un motivo in piu’ per aggiungere anche l’accordo “S.Valentino” nella rivalutazione di Bettino Craxi come uno dei maggiori statisti del dopoguerra italiano.  Una campagna di chiarificazione. Avanti!  Febbraio 1984 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e …

RINO FORMICA AI SOCIALISTI

I SOCIALISTI SOPRAVVISSUTI ALLA GRANDE GLACIAZIONE DEVONO DARE VITA AD UNA CONCENTRAZIONE SOCIALISTA, DELLA SINISTRA RIFORMISTA E REVISIONISTA, DISTINTA E DISTANTE DAL RENZISMO E DAGLI ASSALITORI DELLA COSTITUZIONE. (Cit. Rino Formica) Il contributo che i socialisti possono dare è enorme. Non ci si può esimere nel dare voce alla gente che patisce l’imposizione dell’austerity neoliberista, con l’eliminazione dei diritti sociali conquistati e delle regole democratiche con l’assalto alla Costituzione. Proporre sulla base di giustizia sociale, democrazia, libertà, tutela dei diritti, tutela del patrimonio artistico e paesaggistico del Paese. Quest’ultimo preso di mira, dopo la svendita (liberalizzazioni) delle migliori realtà del Paese nel settore industriale. C’è bisogno di un’alternativa concreta a tutto ciò, che ridiano speranza e fiducia, che richiamino alla voglia di partecipare tutti quei cittadini che ormai da tempo vedono nella politica non lo strumento della risoluzione dei problemi, ma il problema principale. (abnorme astensionismo e potere nelle mani di pochi). Dovrà essere questo il punto d’incontro tra soggetti per un Socialismo del XXI secolo, un punto di forza che ci permetta il massimo sforzo unitario per reagire con vigore all’attacco in qualunque forma si presenti il sistema finanz-capitalista, ormai elemento asfissiante che con il suo peso, diventato insostenibile, ha stretto nella morsa gli spazi di democrazia e dei diritti sociali.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VIA INTITOLATA A CRAXI: “QUANTA IPOCRISIA SERPEGGIA A MILANO”

Intervista a cura di Vladimiro Poggi – Telereporter | Dopo il pasticcio andato in scena sulla via da dedicare a Bettino Craxi con la maggioranza che ha ripassato il cerino nelle mani del sindaco Beppe Sala, il Consiglio comunale è tornato a dividersi sul ricordo di Tangentopoli. Lite in Consiglio comunale sull’idea di dedicare una strada al capo del pool Mani pulite Francesco Saverio Borrelli.Interviene il presidente nazionale di Socialismo XXI, Aldo Potenza. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

OGGI TUTTI “RIFORMISTI”, MA VERSO LA DISUGUAGLIANZA SOCIALE

grafica a cura di Mauro Biani |   di Marco Raveggi– Socialismo XXI Toscana |   Rispondendo ha una considerazione di un compagno, un responsabile nazionale di partito, ha scritto citando Renzi elevandolo a riformista di rango della “sinistra”, nel solco del socialismo e ne ha tessuto le lodi, accostandolo a Macron (altro grande riformista “socialista“) per poi lodarne le riforme come gli 80€, il Job’s Act o le modifiche costituzionali, per poi dire che oggi il socialismo deve guardare ai nuovi ultimi che non sono più gli operai o i contadini, bensì i “40enni professionisti precari” (parole sue).  Ho risposto ponendo questa riflessione: “leggendo la querelle di post e risposte, ho finalmente capito molto bene la differenza fra essere socialista oggi od essere un riformista moderato. Io sono uno di quelli che non ha apprezzato il Job’s Act ed ha contrastato la “riforma” costituzionale, vincendo il referendum. “L’appecoronamento” sulle posizioni renziane è evidente che non ha fatto bene certamente in special modo al Psi. Sono state quelle le scelte che ci hanno oramai relegato non alla marginalità politica, ma alla totale inesistenza. Inutile oltremodo citare Macron (amato da Renzi non dai socialisti), non è l’esempio del socialista moderno, anzi, è l’esempio tipico del socialista “ancien regime“, trasformista, opportunista, sempre pronto al salto della quaglia. Il socialismo difende i deboli e questi non sono i “giovani professionisti precari fino a 40 anni“, è veramente una affermazione insulsa (aggiungo qui, quasi offensiva), i deboli sono i “riders“, i deboli sono i ragazzi che fanno i promoter nei centri commerciali, i deboli sono le donne e gli uomini che fanno lavori di pulizia notturna per conto delle cooperative sociali (sociali de’ che?), i deboli sono i 50/60enni che si ritrovano senza lavoro e che non godono di nessun aiuto per reinserirsi, di nessun contributo formativo, i deboli sono gli anziani rimasti soli che improvvisamente scoprono che dopo anni e anni di passione, lavoro, attivismo, non sono più niente, per nessuno. Questi sono i nostri target da socialisti, non i 40enni professionisti precari. Il Socialismo non è un’associazione professionale è un movimento di liberazione ed emancipazione, certo nel senso odierno e occidentale ma è questo, non è un club di prescelti.”  Aggiungo qui che una riflessione vera su quali siano oggi i settori sociali che dobbiamo affiancare, tutelare e aiutare la dobbiamo fare.  Appare evidente che tutte le parole spese su Bettino e il suo operato politico, forse sono state inutili e gia disperse al vento. Il riformismo tanto sbandierato è una parola vuota se non indica quali sono le riforme che realmente vogliamo fare e per quali strati sociali le vogliamo fare. La riforma della prescrizione dei 5 stelle è riformismo?, la riforma di Berlusconi sul falso in bilancio è riformismo?, il famigerato Job’s Act di Renzi è riformismo? l’abolizione dell’Art. 18 è riformismo? la cosiddetta “buona scuola” è riformismo?…e si potrebbe continuare.Ma sono riforme di destra o di sinistra? Per capirlo basta riflettere su chi è il reale percettore dei benefici di queste riforme. Il socialismo è riformista?  Certamente si, ma le riforme che il socialismo deve produrre devono avere dei beneficiari ben individuabili negli strati più deboli della società e migliorarne le condizioni. Ovviamente anche le imprese e l’economia devono essere tutelate ed oggetto di queste riforme, ma il socialismo sta prima di tutto con la gente e fra la gente, non nelle segrete stanze del potere, oppure no?  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UNA RIFLESSIONE STORICA E POLITICA SULLE RADICI DELL’ITALIA MODERNA

di Bettino Craxi | Marsala, 25 aprile 1982 Penso innanzitutto che la celebrazione del centenario di Garibaldi non debba risolversi in una pura parata di soli simboli, tutti scontati, freddi ed insignificanti. Essa offre piuttosto l’occasione per una grande riflessione storica e politica, sulle tradizioni e sulle radici dell’italia moderna, dalla quale trarre motivi morali che possano valere per i nostri compiti ed i nostri doveri di oggi… Chi non è capace di trarre insegnamenti dalla storia, difficilmente può avere di fronte a sé un grande avvenire. Una nazione che non conosce o ha dimenticato le proprie radici difficilmente riuscirà ad essere veramente tale e ad esprimere sempre, in ogni circostanza, in ogni momento difficile, la forza necessaria per superare gli ostacoli e per vincere le difficoltà che gli si parano dinanzi. Eppure talvolta sembra che conosciamo meglio e più in dettaglio la storia degli altri Paesi che non la nostra. Ci entusiasmiamo per esempio alle vicende di avventure storiche e di eroi d’Oltralpe e di Oltreoceano e non conosciamo o dimentichiamo i nostri, i loro grandi sacrifici, le loro dolorose esperienze, la grande passione e la genialità che essi seppero infondere alla lotta che condussero per fare dell’Italia una nazione libera e indipendente. Talvolta, quasi come ipnotizzati e colonizzati dalla invadente produzione cinematografica e televisiva di massa di altri Paesi, siamo sospinti a conoscere tutto dei personaggi dell’epopea del West o della Rivoluzione francese, e non sappiamo, faccio un esempio, che dopo l’impresa del Mille, Abramo Lincoln, difettando di grandi generali, si rivolse a Garibaldi per offrirgli il comando delle armate federali americane all’inizio della guerra di secessione, invito al quale Garibaldi rispose: “Non posso andare pel presente negli Stati Uniti. Ma se la guerra dovesse per mala sorte continuare nel vostro Paese, io mi affretterò a venire alla difesa di quel popolo che mi è tanto caro”. O che nella guerra francoprussiana del 1870 Garibaldi, accorso in difesa della Francia e del governo rivoluzionario della Comune, vinse la sola battaglia vinta dalla Francia in quella guerra e fu poi eletto deputato all’Assemblea nazionale francese in ben sei circoscrizioni di quel Pese. Per non parlare dei tanti personaggi straordinari, famosi ed oscuri, con le loro storie umane, eroi che, dolorose, fantastiche, che riempiono la epopea garibaldina in Italia e nel mondo, e ognuno dei quali meriterebbe una storia ed un racconto a parte. I problemi sono certo oggi di natura diversa, in un contesto che è profondamente mutato ed enormemente progredito, ma – per la loro complessità e gravità – sono anch’essi tali da richiedere egualmente, prima di ogni altra cosa, la qualità degli uomini, ed un alto grado della loro volontà, del loro senso di giustizia, del loro spirito di sacrificio, di lavoro, di solidarietà, di responsabilità e di lotta. Cento anni fa Garibaldi moriva a Caprera, la piccola isola accostata alla Sardegna, dove aveva trascorso lunghi periodi e poi tutti gli ultimi anni della sua vita. Da tempo ormai egli era all’opposizione della nuova Italia ufficiale di cui disprezzava e denunciava la corruzione pubblica, le ingiustizie sociali, la inconcludenza parolaia del mondo politico. Di fronte al problema dell’unità d’Italia aveva sostenuto la monarchia piemontese dei Savoia. Egli lo ricorda nel suo “testamento politico” quando dice di essersi attenuto “al gran concetto di Dante”: “fare l’Italia anche col diavolo”. Ma ora, di fronte al governo monarchico è tornato repubblicano: “potendolo, e padrona di se stessa, l’Italia deve proclamarsi repubblica, ma non affidare la sua sorte a cinquecento dottori, che dopo averla assordata con ciance, la condannano a rovina”. Il legame con la Sicilia Dalla sua morte passeranno ancora 65 anni prima che si realizzi l’ideale della Repubblica mentre ad un secolo di distanza, di quel tipo di dottori di cui egli parlava, politicanti di bassa taglia, ce n’è purtroppo in circolazione ancora un numero eccessivo a rendere più fragile e pericolosamente inquinata la vita delle nostre istituzioni democratiche e repubblicane. L’ultimo viaggio che fece, due mesi prima di morire, vecchio e quasi paralizzato, fu proprio in Sicilia nell’aprile del 1882. Contro il parere di tutti, degli amici e dei medici, Garibaldi decide di partecipare alle celebrazioni dei Vespri Siciliani a Palermo. Tornando nella terra che era stata ventidue anni prima teatro della più grande impresa della sua vita, ritrova un popolo che lo ama, i compagni d’arme, le donne siciliane di cui egli aveva conosciuto il coraggio e lo spirito patriottico. Si rivolge a tutti scrivendo personalmente messaggi di saluto con grande fatica, per la mano rosa dal male. Saluta la Sicilia “terra della grandi iniziative”, “ai miei cari prodi messinesi”, dice “io mi trovo qui in famiglia”; saluta Palermo “maestra nell’arte di cacciare i tiranni” e i palermitani “veri rappresentanti dell’Italia”, si rivolge ai “picciotti”: “Credete forse che io vi abbia dimenticato? lo mi ricordo che coi vostri poveri fucili, ma col cuore da leoni, voi caricavate i borboni e li fugavate”, saluta “di cuore gli operai di Palermo che seppero sempre tenere alta la bandiera della libertà, della indipendenza, della patria”. i “picciotti”, le donne siciliane, i patrioti siciliani in particolare erano stati protagonisti al fianco dei “Mille” nella vittoriosa impresa che da Marsala al Volturno aveva travolto il regno del Borbone, sconfitto uno dei più forti eserciti dell’Europa dell’epoca; realizzata la congiunzione unitaria tra il nord ed il sud dell’Italia. L’impresa dei Mille partì dallo scoglio genovese di Quarto, ma la scintilla politica e rivoluzionaria dell’impresa scaturì qui in Sicilia ad opera dei patrioti siciliani. Come nacque l’impresa dei Mille Senza la scintilla siciliana non ci sarebbe stata né l’idea, né la realizzazione dei progetto di una spedizione di volontari in Sicilia. L’anno è il 1860. Nel principio dell’anno precedente, con la guerra vittoriosa dei franco-piemontesi sull’Austria, e con i plebisciti in Toscana e in Emilia, il regno di Sardegna era arrivato a Milano, a Bologna e a Firenze. Si era formato una specie di stato del nord senza le Venezie, al centro lo Stato pontificio, al sud, il Regno delle due Sicilie. Tutte …

SOCIALISMO XXI SU RADIO IN BLU

Intervista a cura di Chiara Placenti – RadioinBlu | Aldo Potenza, nasce a Bari il 11 novembre del ‘43.Umbro di adozione da oltre 50anni, risiede a Perugia. Dal 1978 segretario della Federazione perugina del PSI e dal dicembre del 1978, fino alle elezioni regionali del 1980, segretario regionale del Psi umbro.Dal 1980 fino al 1995 è stato consigliere regionale e per 9 anni assessore regionale.Attualmente è presidente dell’Associazione Nazionale Socialismo XXI che ha l’obiettivo di restituire all’Italia un autorevole Partito Socialista adeguato ai cambiamenti avvenuti nel XXI secolo e soprattutto a quelli che l’economia 4.0 sta già producendo non solo nel mondo del lavoro.In passato la sua attività professionale è stata la promozione dell’internazionalizzazione delle imprese umbre. Qui è possibile ascoltare l’intervista: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IN RICORDO DEL VENTENNALE DELLA MORTE DI CRAXI

  di Alberto Leoni –  Coordinatore Socialismo XXI Veneto |     Un grazie a Don Beppino per questa Messa e questa opportunità. Un grazie alle persone intervenute e a chi ha deciso di fermarsi anche dopo la fine della Messa. Da 20 anni Benedetto Craxi riposa nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet, sotto le mura della Medina, in Tunisia. In un fazzoletto di sabbia che nel ’70 la moglie Anna gli aveva indicato sussurrando “Sarebbe bello riposare qui insieme un giorno” e lui annuì. Sulla tomba bianca sta inciso “ La mia libertà equivale alla mia vita”. La sua vita, breve, (65 anni) segnata dalla esperienza della guerra, dei morti, visti da bambino, cui portava e porterà, anche adulto, un fiore, senza fare alcuna distinzione politica, fece della libertà e del rispetto della persona un punto di riferimento. E’ stato un uomo potente, lui che da ragazzino ribelle e dal carattere ruvido, tipico dei timidi, aveva frequentato un collegio religioso a Milano e voleva seriamente diventare sacerdote (lo svelò in una confessione nel 1997 ad Hammamet). Lui che con una fionda, in un gesto di ribellione, rompeva un vetro del collegio (il che gli costerà l’espulsione) come da adulto ruppe altri equilibri. Ha segnato un pezzo importante della vita politica italiana degli ultimi vent’anni del secolo scorso. Probabilmente uno degli ultimi veri statisti di questo paese. La giustizia umana non è stata tenera con lui, quella divina io credo lo abbia accolto e ne abbia rimesso anche le sue umane debolezze e gli inevitabili errori. Dopo tanti anni, il nostro ricordo di oggi, da persone che hanno condiviso la visione socialista della comunità nazionale ed internazionale, che ne hanno ammirato le capacità di governo, è focalizzato soprattutto su un aspetto: la visione ampia dei problemi del mondo e dell ‘Italia, la capacità di anticiparli, la consapevolezza della loro connessione. Ricordiamo bene il suo impegno per gli oppressi, dagli esuli cileni, ai desaparacidos argentini, ai ragazzi della Praga invasa nel 68. E fu proprio lui, in qualità di incaricato Onu, tra il 1989 ed il 1992, a fare una proposta importante di abbattimento del debito dei Paesi più poveri al mondo onde favorirne lo sviluppo e la permanenza delle rispettive popolazioni. Aveva previsto l’ondata migratoria, allora agli inizi ed esigua nei numeri, ed i problemi che avrebbe aperto. Ritorna insistentemente, nel pensiero e nella azione, il valore della libertà: economica (la redistribuzione giusta della ricchezza), civile, religiosa (fu lui a volere e firmare l’importante Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1984, ma al tempo stesso a garantire opportunità per altri orientamenti religiosi). E lo volle perché, pur laico, era fortemente ancorato (e direi anche orgoglioso) delle radici giudaico cristiane della nostra Comunità nazionale, dei valori ad essa connessi: oggi, nella nostra Comunità smarrita, c’è bisogno di una riscoperta di quelle tradizioni e di quei valori su cui si è fondata e si dovrebbe fondare l’identità nazionale ed europea. Valore importante questo della libertà nella sua vita, legato indissolubilmente a quello della responsabilità, a quello dell’eguaglianza delle opportunità che devono avere tutti,a quello infine dei diritti e dei doveri. Ne fece la strada maestra: non sempre riuscì a percorrerla ma spesso e con successo sì. Che cosa resta ancora di lui? Craxi ha intuito come pochi la crisi della politica (intesa nel senso vero del termine come organizzazione della Polis) e la necessità di superare vecchie ideologie (il merito ed il bisogno diventano per lui due categorie valoriali nuove) , la necessità di rinnovare le istituzioni (da qui la proposta allora molto innovativa della grande riforma istituzionale). Ha capito il grado di sofferenza del sistema economico negli anni 80, la necessità di nuovi rapporti tra imprenditori e lavoratori, la necessità di un nuovo dialogo tra chi produce ricchezza (l’importante accordo sul costo del lavoro e sull’inflazione del 1984 nasce da questa visione) Resta, infine. il suo forte credo nell’impegno civico e polico. Benedetto Craxi amava la politica. Senza la politica (Paolo VI la definiva una delle più alte forme di carità) una comunità vede i deboli soccombere. Ecco perchè, nel dibattito odierno è utile che torni l’impegno civico, sociale, politico. Rinnovato nei contenuti (siamo nel 21° secolo) ma radicato a solide tradizioni culturali e valoriali. E che faccia, senza retorica, del bene comune non una parola vuota, ma una scelta concreta da parte di chi ha responsabilità publiche. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PROUDHON E IL MANIFESTO DI CRAXI

Il pensiero di Proudhon   di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |   Proudhon rifiuta la sintesi hegeliana come risultato tra tesi ed antitesi. Secondo il filosofo-economista francese, tesi ed antitesi continuano a coesistere con equilibri diversi, espressione dell’evolversi della Storia. In questo quadro l’economia studia le contraddizioni che sono l’inverso della sintesi hegeliana, perchè è dal bilanciamento delle contraddizioni che si evolve, con le oscillazioni perpetue di tesi e antitesi, il cammino della Storia e dell’economia. Ne consegue che in Proudhon si fa sempre più avversa la sua posizione nei confronti dell’intervento diretto (o peggio rivoluzionario) dell’uomo, dei partiti, dei movimenti nelle cose della politica. Se quindi l’evoluzione dei fatti e il continuo ritrovarsi di equilibri sono in grado di disegnare il corso della storia, si conclude logicamente che l’obiettivo da perseguire, l’organizzazione del lavoro, non vada ricercato con l’azione della politica che nel suo operato non rispetta il suo evolversi naturale. Le posizioni logiche e metafisiche di Proudhon, conseguenti alle sue riflessioni sopra riportate, lo portano ad elaborare la proposta del mutualismo basato sulla teoria del credito gratuito e reciproco, che abbatterebbe alla radice il meccanismo dell’accumulazione capitalistica ed indirizzerebbe la società sulla via del progresso più di quanto possano fare le sterili azioni politiche e sarebbe premessa per la progressiva eliminazione dell’ingerenza dello stato sulle libertà individuali, realizzando l’istituzione dell’anarchia. Pertanto, anche la democrazia fondata sul suffragio universale non è altro che il tentativo di sopravvivenza dello status quo. Solo l’anarchia, cioè la soppressione di ogni autorità statale e sovrana e l’autogoverno dei lavoratori per mezzo dell’organizzazione dell’economia è in grado di realizzare quelle riforme cui condurrà il cammino della Storia. L’anarchia persegue la strada della demopedia , l’educazione del popolo tutto, ai valori del lavoro universale, all’autogestione e alla cooperazione dei lavoratori . E l’autogestione viene perseguita con l’emissione di “buoni di lavoro” che, al di fuori dell’intervento dello Stato, divengono la moneta del mondo del lavoro. Nasce così il progetto della Banque du peuple che emette, senza alcun intervento statale, come sua unica moneta, buoni lavoro utilizzabili per l’acquisto di prodotti o servizi e che rappresentano il vincolo di mutualità tra i contraenti permettendo lo scambio diretto, senza interesse, di materie prime e prodotti. L’interezza del pensiero di Proudhon si puà ridurre a una sola categoria: la legge delle cose ovvero il progresso. Progresso che è espressione del movimento universale insito in seno alla società umana. L’idea del movimento universale deriva dalla sintesi tra correzione e bilanciamento. Per Proudhon affermare il progresso equivale a negare l’Assoluto, ovvero l’“affermazione di tutto ciò che il Progresso nega”. Il Progresso è “movimento”, l’Assoluto è immutabilità, immobilità ed è in contraddizione con la stessa esistenza. Questa tesi ontologica è alla base del rifiuto, in filosofia politica, del principio di autorità e l’affermazione dell’anarchia. La risposta di Marx La risposta alla “Filosofia della miseria” di Proudhon si trova nella “Miseria della filosofia” di Marx, che, ai nostri fini, si può riassumere nell’utopismo del filosofo francese e con la sua sconnessione con la materialità della realtà. Riportiamo da pagina 28 dell’edizione dall’edizione degli Editori riuniti del 1973: “L’opera del signor Proudhon non è un puro e semplice trattato di economia politica, un libro ordinario; è una Bibbia: «Misteri», «Segreti strappati dal seno di Dio», «Rivelazioni», non vi manca nulla. Ma poiché ai nostri giorni i profeti sono discussi più coscienziosamente degli autori profani, è pur necessario che il lettore si rassegni a passare con noi attraverso l’arida e tenebrosa erudizione della Genesi, per librarsi poi con il signor Proudhon nelle regioni eteree e feconde del supersocialismo”. Il documento di Craxi Sulla base di queste posizioni filosofiche Proudhon ha, con notevole anticipo, previsto le perversioni del movimento comunista che volendo sostituirsi al naturale svolgimento della Storia, e intervenendo con la forza dello Stato nei rapporti economici, non faceva altro che sostituire i ricchi borghesi nella proprietà dei mezzi di produzione e con ciò violentando l’autogestione operaia. Il suo famoso motto “la proprietà è un furto” si applica sia al borghese come allo Stato proprietario, anche se lo Stato ammanta di “collettivismo” il suo titolo proprietario. Il documento di Craxi riprende questa tematica; riporto un passo che ben riflette la distinzione tra un socialismo libertario e il socialismo statalista: “La profonda diversità dei «socialismi» apparve con maggiore chiarezza quando i bolscevichi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono concezioni opposte. Infatti c’era chi aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l’azione dominante dello Stato e c’era chi auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali. Riemerse così il vecchio dissidio fra statalisti e antistatalisti, autoritari e libertari, collettivistici e non.” Ritengo che la critica che Craxi fa al socialismo “totalitario” sia condivisibile come peraltro la Storia ha dimostrato; certo la critica va modulata nei vari periodi attraversati dal regime sovietico, così come va modulato in considerazione dei regimi comunisti al di fuori dell’URSS, senza sottacere le posizioni dei vari partiti comunisti in particolare di quello italiano. La domanda è quindi se la carenza di democrazia nei paesi del comunismo reale sia estendibile a tutti i partiti comunisti, in particolare a quelli che sono stati in prima linea nella guerra partigiana, nella costruzione della Costituzione, nella concreta vita parlamentare finchè sono stati ivi presenti. I miei due punti  Vorrei comunque soffermarmi su due punti posti da Proudhon e riportati da Craxi: • Quando Proudhon si affida ad un deterministico equilibrio tra tesi ed antitesi che porterà al progresso e alla liberazione dell’autogestione operaia, quando cioè “ l’evoluzione dei fatti e il continuo ritrovarsi di equilibri sono in grado di disegnare il corso della storia, si conclude logicamente che l’obiettivo da perseguire, l’organizzazione del lavoro, non vada ricercato con l’azione della politica che nel suo operato non rispetta il suo dipanarsi naturale”. Il filosofo nega quindi l’utilità della funzione della politica, ne sottolinea anzi la negatività in quanto altro non farebbe che intralciare la naturale evoluzione del progresso. Rimarcato l’ottimismo utopistico che la …