GOVERNO, COSTITUZIONE, P2

di Franco Astengo | Numero degli alunni stranieri per classe, test attitudinali per i magistrati: due temi di grande attualità che dimostrano la grande difficoltà della destra a muoversi entro i confini stabiliti dalla Costituzione Repubblicana. Difficoltà rese ancora più evidenti dai due progetti di vera e propria revisione costituzionale: premierato e autonomia costituzionale. Questo elemento viene fatto notare in una intervista pubblicata oggi dall’ex-procuratore della Repubblica di Torino Spataro che, consigliando all’ANM di scioperare in difesa della Costituzione, esegue anche un richiamo al documento sulla “Rinascita Nazionale” stilato dalla loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli nel 1975. Vale la pena tornare allora sull’analisi di quell’antico documento anche perché così potrebbe risultare possibile analizzare meglio il processo in corso di tentativo della destra di portare avanti un processo di “rivoluzione passiva”. Un processo di “rivoluzione passiva” portato avanti per creare l’humus culturale favorevole per arrivare a conseguire il risultato di uscire dalla democrazia repubblicana allo scopo di installare quella sorta di “democrazia illiberale” che rappresenta sul piano istituzionale il vero obiettivo della destra italiana fin dai tempi della fase di vera e propria egemonia esercitata dal populismo personalisticamente spettacolarizzato portato avanti da Forza Italia e da Silvio Berlusconi. Ovviamente i tratti liberali e autoritari di allora si sono naturalmente accentuati con lo spostamento a destra realizzato attraverso l’affermazione di Fratelli d’Italia e la formazione del governo Meloni. Però andando per ordine: Scomporre e ricomporre in una sintesi più avanzata, di vera e propria “rottura” nel rapporto tra società e politica: questo il senso del Documento sulla “Rinascita Nazionale” redatto da Licio Gelli per conto della Loggia P2 nel 1975, raccogliendo quegli spunti teorici cui ho appena fatto cenno. Quel documento, sulla “Rinascita Nazionale” apparentemente ricolmo d’indicazioni pragmatiche (molte delle quali, via, via, attuatesi con grande precisione) rimane, a mio giudizio, la pietra miliare al riguardo del progettarsi e dell’attuarsi dell’avventura della destra in Italia. Il PCI aveva, inizialmente, intuito la portata del pericolo che veniva dal raccogliersi attorno alle istanze della P2 dell’insieme della destra e del “perbenismo italiota”: il convegno di Arezzo, organizzato appunto dal CRS, nel 1982 con le relazioni di Stefano Rodotà e Giuseppe D’Alema (padre) riuscirono a porre la questione in termini dai quali si sarebbe potuti partire per porre il tema dell’alternativa sul giusto terreno della “qualità della democrazia”. La scelta finale, però, fu diversa: quell’idea proprio del “paese normale”, della necessità di superare la doppiezza e di porsi nell’ottica di una “fertile accettazione” dell’egemonia capitalistica. PDS, DS, PD, nel frattempo erano rimasti fermi all’idea della “governabilità” non vedendo l’enorme deficit democratico che si stava accumulando, muovendosi nell’ambito dello scimmiottamento pedissequo della “spettacolarizzazione” di una politica sempre più priva di contenuti, fino a concedere spazio ad altri soggetti che si stanno muovendo sul terreno di Le Bon del dialogo diretto tra il Capo e le Masse. Nascono da questo tipo di analisi le letture di errori che , in apparenza, abbiamo giudicato clamorosi, come quelli riguardanti la mancata legge sul conflitto d’interessi o il varo della Bicamerale nel 1997 ma, soprattutto è risultata errata l’idea del “bipolarismo temperato”, e in questo, della vocazione maggioritaria, concedendo alla destra il vantaggio della formula elettorale, tema del tutto trascurato: errori che non erano tali, se sono riuscito a inquadrare bene il tema, ma frutto di un effettivo fondamento teorico che poi ebbe nel referendum del 2016 il suo punto di realizzazione più alto: senza che respinta l’ipotesi renziana dal voto popolare se ne traessero le dirette conseguenze politiche anche da parte di quanti avevano osteggiato al meglio l’ipotesi portando avanti proprio il progetto della difesa costituzionale. Nel frattempo la crisi finanziaria internazionale divideva la destra italiana in due tronconi: quella populista e quella tecnocratica, uscita dalle costole di Trilateral e Billdeberg. Entrambe però, interne, a quella logica decostruttivista-autoritaria che, come abbiamo visto. ispirava l’ancora cogente documento della Loggia P2: tronconi della destra apparentemente riunificati nell’attuale progetto di governo fondato proprio sulla proposta di deformazione costituzionale- Se l’aggressività del progetto autoritario (neo-salazarista, continuo a definirlo) finirà con il prevalere in quel momento, forse ci troveremo di fronte ad un vero e proprio disvelamento proprio nel senso di un accentramento del potere e uno svillaneggiamento della funzione costituzionale non solo delle assemblee elettive ma dello stesso soggetto -cardine del nostro ordinamento: la Presidenza della Repubblica come diretta emanazione di un voto parlamentare. Tutto questo a futura memoria allo scopo di fornire un contributo a far comprendere l’assoluta decisività del confronto che ci attende a partire dal probabile referendum sul cosiddetto “premierato”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI STATI UNITI D’EUROPA TRA VESTITO DELLA DOMENICA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE E RITORNO AL PENSIERO CRITICO

di Vito Fiorino – www.politicamentecorretto.com | Intervista a Daniele Delbene tra i promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da oltre 15.000 giovani sui social, auspicano un cambio di rotta nel dibattito pubblico. Delbene: “Bisogna rimettere al centro il coraggio del pensiero critico, per leggere i cambiamenti con lenti nuove”. Daniele Delbene, già presidente della Costituente Nazionale PSE, è tra I promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da migliaia di giovani sui social, (consultabile sul sito www.xglu.it). Il Vecchio Continente fatica a ritagliarsi un ruolo da protagonista come interlocutore credibile, in grado di favorire una soluzione diplomatica, tra Gaza e il fronte russo ucraino, sullo sfondo aleggia lo spettro di un conflitto globale. In che modo il sogno degli Stati Uniti d’Europa potrebbe imprimere un’inversione di rotta? “Il fatto è che purtroppo l’Europa politica non esiste, negli ultimi decenni si è costruita l’Europa della finanza e dei tecnocrati che nulla ha a che vedere con il grande e lungimirante sogno degli Stati Uniti d’Europa a cui fai riferimento. Per confondere un poco le acque si sono fatti provvedimenti puramente ideologici, talvolta insensati, ma quando serviva non c’è stata come avvenuto per la pandemia e per gli attuali conflitti. C’è bisogno di rimettere completamente in discussione il modello attuale e porre le basi per la costruzione di uno completamente nuovo.” Secondo il vostro manifesto l’Europa dovrebbe ripartire da una nuova prospettiva sui diritti sociali. Auspicate quindi non solo un rafforzamento della rappresentanza politica degli stati membri e delle loro comunità locali, riprendendo un percorso federale e costituzionale aggiornato, interrotto bruscamente anni fa, ma anche un nuovo modello economico. E’ una prospettiva realistica? “Non è solo una prospettiva realistica ma indispensabile non solo per i popoli europei ma il futuro dell’intera umanità. I diritti sociali non sono un qualcosa che ne dovrebbe fare parte ma il fondamento su cui costruire e per cui costruire un nuovo modello europeo.” Spiegati meglio. “La costruzione degli Stati Uniti d’Europa e in prospettiva degli Stati Uniti del Mondo deve essere finalizzata a garantire a tutti gli uomini la vera libertà. E quando parlo di vera libertà intendo la possibilità per tutti gli uomini di potersi realizzare nelle proprie aspettative in base alle proprie capacità, al proprio impegno e ai propri meriti senza dimenticare che deve essere aiutato nel poterlo realizzare soprattutto chi, pur volendo, non ne avrebbe le possibilità. E qui bisogna fare chiarezza, sgombrare il campo e spiegare ai cittadini che la maggior parte di coloro che parla di libertà li imbroglia perchè quella libertà prospettata è solo per pochi.” Perchè per pochi? “Chi parla di libertà spesso insegue e propone l’affermazione di diritti civili che solo apparentemente sono nell’interesse di tutti. Ma chi è più attento e consapevole ha il dovere di spiegare che quei diritti civili senza diritti sociali ed emancipazione economica resterebbero i diritti dei soli pochi che avrebbero le risorse per poterli fare attuare e far rispettare e quindi un privilegio di pochi a scapito della stragrande maggioranza. Come dico sempre, negli Stati Uniti d’America tutti hanno il diritto a curarsi, ma di fatto si curano realmente solo i pochi che hanno le risorse per poterlo fare e questo vale su tutti i fronti in primis sulla giustizia. Chi può permettersi un buon avvocato vince sempre mentre chi non può si vedrà sempre calpestato nei suoi diritti. Per ritornare alla tua domanda sì, c’è bisogno di rafforzare la rappresentanza politica ed aggiungo democratica degli stati membri e delle loro comunità regionali e locali. L’Europa non può essere oggi semplicemente il superamento degli stati nazionali, ma la sintesi e il compromesso dei loro interessi, per un interesse più grande e collettivo che riguarda i popoli europei e l’intera umanità. Per questo bisogna ragionare su un assetto federale innovativo che però non si limiti ad una fredda ingegneria costituzionale, o alle radici identitarie comuni. Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale in questo contesto? “Il cambiamento non va visto con timore, con la vecchia rivoluzione industriale ad esempio nacquero i sindacati, il socialismo democratico, la coscienza di classe, grandi idee che aiutarono a stemperare l’impatto violento della rivoluzione tecnologica e che portarono grandi conquiste. L’intelligenza artificiale e il progresso in generale se governati da Istituzioni democratiche, fondate sui valori di giustizia sociale e libertà, possono rappresentare il realizzarsi di una società migliore per tutti gli uomini, ad esempio consentendo loro di lavorare meno a parità di salario. Al contrario potrebbe rivelarsi un elemento di involuzione delle loro conquiste socio-economiche.” In vista delle elezioni europee avete dichiarato che non sono sufficienti semplici cartelli elettorali con un generico richiamo agli Stati Uniti d’Europa, ad uso e consumo del momento, ma un nuovo inizio. Cosa intendete. “Se la maggior parte degli europei sentono distanti le attuali Istituzioni europee significa che c’è necessità di un segnale tangibile di discontinuità rispetto agli anni passati.” Come? “Per prima cosa, mi chiedo se chi ha rappresentato l’Europa in primis sedendo nel parlamento europeo non è stato in grado di dare credibilità negli anni passati come si può essere credili riproponendo gli stessi uomini? Quando una squadra non è in grado di vincere e di essere credibile si cambia. Invece leggendo i giornali ci imbattiamo in parlamentari uscenti che alla domanda si se ricandideranno dichiarano: dipenderà dalle condizioni che tradotto significa se sono nelle prime posizioni delle liste forse sì diversamente no. Ma dopo cinque, dieci anni di parlamento europeo c’è bisogno di essere i primi della lista per avere il coraggio di ripresentarsi? Evidentemente sono uomini o donne che sanno di non essere credibili o di aver deluso le aspettative. Se avessero fatto bene, non avrebbero bisogno del primo posto in lista perché il loro lavoro come parlamentari uscenti gli dovrebbe garantire comunque di diventare primi nelle preferenze. Gli Stati Uniti d’Europa che tornano di moda, ma solo come slogan superficiale da puro marketing elettorale, ad ogni consultazione europea, non devono essere il vestito della domenica cucito attorno al vuoto di elaborazione diffuso.” Chi potrebbero essere gli interlocutori …

IL DECLINO DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA

di Franco Astengo | In un quadro generale di fortissima difficoltà del sistema di relazioni internazionali che si trova ormai sull’orlo del conflitto globale e di vera e propria crisi delle democrazie liberali insidiate da “democrature” e autocrazie di vario tipo la democrazia italiana sembra proprio aver imboccato la strada del declino in uno scenario nel quale potrebbero presentarsi variabili imprevedibili. Così con un declino apripista di possibili avventure potrebbe concludersi la lunga transizione avviata fin dagli anni ’90 del secolo scorso con la fine della “Repubblica dei Partiti”: transizione affrontata dell’establishment politico, economico e culturale semplicisticamente attraverso lo spostamento dell’asse di riferimento dalla rappresentanza politica alla governabilità intesa come potere modificando così – a seconda delle reciproche convenienze – il sistema elettorale in modo da rendere l’esito del voto pressoché impermeabile al giudizio di elettrici ed elettori (con conseguenza di larghe intese, governi tecnici, passaggi immediati da giallo verde a giallo rosso ecc.). Ci si sta interrogando sulle cause profonde di questa difficoltà: potrebbe essere allora possibile individuare due elementi fondativi: 1) Il distacco dalla Costituzione Repubblicana vero fondamento della “democrazia antifascista”, trasformata in “democrazia afascista”. Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati (Democrazia afascista – Feltrinelli) la descrivono come preparatoria di un mondo gerarchico e statico; una società della cieca deferenza, dove c’è chi è in alto e c’è chi è in basso e dove chi è in basso, persuaso che le sconfitte sono solo eventi personali, deve piegare il capo rinnegando un secolo di conquiste democratiche. Il grande nemico della democrazia afascista è infatti l’uguaglianza sociale e politica. Crescono così invidia, risentimento, frustrazione e ci si rivolge al populismo rifiutando l’idea della politica come “motore sociale”. In questo modo si anestetizza lo stesso schema bipolare che si sta consolidando come espressione del sistema politico perchè entrambi gli schieramenti finiscono prigionieri di quelle che sono state definite “concezioni avaloriali”, ipermaggioritarie, notabiliari e aconflittuali limitandosi a gareggiare – appunto – per la gestione del potere; 2) L’altro elemento di declino è stato rappresentato dalla presenza (anche dirompente) delle cosiddette “proposte terziste”, nè di sinistra, nè di destra, che hanno portato ad un analogo effetto anestetizzante omologo a quello provocato dal distacco dalla Costituzione antifascista. Nel suo “Categorie della Politica, dopo destra e sinistra” Vincenzo Costa individua nella crisi di legittimazione della democrazia liberale l’incapacità di intercettare i cambiamenti e le istanze di quello che viene definito, riprendendo Habermas : “il mondo della vita”. Così il nè di destra e il né di sinistra si traduce in un ritrovarsi nel manifestare diffidenza verso i ceti popolari cui è attribuita lo stigma di “sconfitti della globalizzazione”. Se la destra è sempre stata intrisa di uno spirito suprematista e “iper classista” la sinistra sembra adeguarsi in un atteggiamento escludente nei confronti di che dispone di minore capitale economico e culturale. Il punto di contrasto di questo stato di cose risiederebbe allora nel reingresso delle masse popolari nella gestione della politica: elemento questo progressivamente assente con la fine dei grandi partiti a integrazione di massa sostituiti proprio dal polverone populista del “nè di destra, né di sinistra” (che non è stato soltanto appannaggio del M5S). Servirebbe un recupero di identità che potrebbe realizzarsi soltanto convincendo che la politica rimane lo strumento più efficace a cambiare la condizione sociale. La riaffermazione della Costituzione Antifascista, della visione che contiene il suo testo dei rapporti sociali, delle forme di strutturazione istituzionale, di disegno per il futuro rappresenterebbe la chiave di volta per delineare la costruzione di una nuova identità democratica: nel frattempo però ci aspettano prove molte ardue e non pare che ci si stia attrezzando a sufficienza per affrontarle adeguatamente. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FELICE BESOSTRI E LA FORMULA ELETTORALE

di Franco Astengo | “La legge elettorale è uno dei codici primari della Repubblica, un complemento essenziale dell’architettura costituzionale, un bene comune della democrazia, proprio come lo sono l’acqua, l’energia, la casa” Il testo sopra riportato rappresenta l’incipit del capitolo “Rosatellum la madre di tutte le battaglie” che apre il volume di Luca Telese dal titolo “Tabula Rasa, storia del PD e della sinistra da Veltroni a Elly Schlein”. Una (finalmente !) giusta valutazione del valore del sistema elettorale ma del tutto inusuale rispetto al normale atteggiamento dei partiti, abituati a trattare la materia semplicemente dal punto di vista delle convenienze occasionali e soprattutto del potere che la formula in uso concede ai vari “cerchi magici” di nominare i membri del Parlamento, sottraendo la libertà di scelta ad elettrici ed elettori. Non è questo però il punto che intendevo toccare in via esclusiva con questo intervento. Infatti proseguendo nel suo racconto Telese ricorda la bocciatura da parte della Corte Costituzionale di ben due formule elettorali, l’una dietro l’altra: la prima, come si ricorderà, in vigore e definita “Porcellum” (2005: utilizzata per le elezioni del 2006, 2008 e 2013), la seconda Italikum (modello Renzi, così definita da Giovanni Sartori) mai entrata in vigore. Ebbene dal testo in questione viene completamento omesso l’iter (faticoso e difficile) attraverso cui si arrivò al pronunciamento della Corte che parrebbe quasi aver agito di “motu proprio” ed è dimenticato il protagonista di quella stagione: Felice Besostri scomparso all’inizio di quest’ anno e del cui lavoro da più parti (non da tutte per fortuna) sembra ormai essersi smarrita traccia. Siamo di fronte ad una stagione molto complicata per quel che riguarda minacciate riforme costituzionali le cui proposte sembrano segnare da un lato un restringimento dei margini democratici fissati dalla Costituzione Repubblicana con una torsione personalistica e un oggettivo complesso riequilibrio di poteri ai vertici dello Stato e dall’altra parte una proposta di sostanzialmente dissolvimento dell’unità nazionale e di accentuazione delle disuguaglianze territoriali. L’obiettivo della destra proponente è quello di arrivare al plebiscito popolare, vista la difficoltà di raccogliere in Parlamento i 2/3 dei consensi: il conseguente referendum potrebbe davvero rappresentare una di quelle “madri di tutte le battaglie” cui non ci si dovrà sottrarre con incertezze e/o proposte di improbabili mediazioni proprio perché l’argine di frontiera è rappresentato dalla Costituzione Repubblicana. Sarà necessario allora che Felice Besostri, epigono di una schiera di sinceri democratici che lo affiancarono in quelle vicende, non solo non sia dimenticato ma affermato come riferimento morale dell’impegno che ci attende. Per concretizzare questo impegno mi permetto di avanzare una proposta immediata: le forze politiche che intendono opporsi al disegno in atto di deformazione costituzionale elaborino assieme una piattaforma comprendente la stesura di una nuova formula elettorale, quale parte integrante della ipotesi referendaria e impegnandosi successivamente a portare il testo in Parlamento (magari dopo nuove elezioni che potrebbero determinare una maggioranza diversa se si riuscirà a realizzare l’opportuna tensione unitaria). Sul tema si tratta di abbandonare le logiche autoconservative che hanno fin qui accompagnato la visione della materia e affrontare finalmente in termini non ideologici (come del resto si evince nel testo Costituzionale del’48) la questione del rapporto tra governabilità e rappresentanza: perchè è vero che il tema della governabilità (trasformato nella logica del potere) è stato portato avanti, fin dalla sbornia referendaria del 1993, in termini di vera e propria “ideologia”, quasi di culto della “stabilità di governo”, sottraendo ad elettrici ed elettori il massimo possibile di possibilità di scelta. Certo quelli erano tempi in cui si pensava che la “storia fosse finita”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STATI UNITI D’EUROPA: “NON BASTA UN CARTELLO ELETTORALE.

di Daniele Delbene | STATI UNITI D’EUROPA: “NON BASTA UN CARTELLO ELETTORALE. SERVE UN MOVIMENTO DI ROTTURA COSTRUTTIVA” I promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da oltre 15.000 giovani sui social, lanciano un appello alle forze politiche. Delbene: “Bisogna ripensare l’Europa partendo da una nuova prospettiva sui diritti sociali, per ribaltare i limiti dell’attuale modello comunitario lontano dai cittadini e sconfiggere il populismo” “Il tema degli Stati Uniti d’Europa sta finalmente tornando al centro del dibattito pubblico, ma è troppo importante per esaurirsi nella costruzione di un semplice cartello elettorale: serve un movimento di rottura che rimetta al centro l’uomo e la giustizia sociale”. Lo ha detto Daniele Delbene, tra i promotori del Manifesto XGLU.IT In queste ore, diverse forze politiche si stanno riunendo pubblicamente per discutere di Stati Uniti d’Europa ed altre ne auspicano la nascita, rilanciando il tema nella loro agenda politica. La costruzione degli Stati Uniti d’Europa è il fondamento del Manifesto (consultabile sul sito www.xglu.it) che ha visto la condivisione da parte di oltre 15.000 giovani sui social. Delbene coglie l’occasione per lanciare una proposta ai leaders delle forze politiche:“Se vi sono realmente delle forze politiche che hanno a cuore la costruzione di un mondo migliore, che intendono impegnarsi a costruire gli Stati Uniti d’Europa quale presupposto di un nuovo mondo di pace e convivenza globale fondato su principi di giustizia e libertà, allora abbiano il coraggio di promuovere un grande movimento di rottura costruttiva con un orizzonte strategico ben definito”. “Bisogna ripensare l’Europa partendo da una nuova prospettiva di diritti sociali per dare alle persone più tempo a disposizione e per permettere ad ognuno di potersi realizzare nelle proprie aspettative. Gli Stati Uniti d’Europa devono essere lo strumento per rimette l’uomo al centro della società, per ribaltare i limiti dell’attuale modello dell’Europa tecnocratica nelle mani di grandi interessi finanziari e di pochi sconosciuti. Serve una discontinuità percepibile rispetto agli ultimi decenni nei quali la politica, le classi dirigenti e l’attuale modello europeo non hanno fatto altro che allontanare una larga parte dei cittadini, in particolare dei giovani, dalla vita politica e sociale”. “Non sono sufficienti semplici liste elettorali ad uso e consumo del momento, ma un nuovo inizio da parte di forze vitali che, animate da un nuovo umanesimo socialista, sappiano coinvolgere guardando ben oltre – conclude Daniele Delbene – Servono uomini e donne nuovi che sappiano sognare e che non siano stati protagonisti nella politica degli ultimi decenni. Gli attuali leaders politici se ne rendano i promotori“. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

A PROPOSITO DELLA ROBOTICA: VOGLIAMO PARLARE COME AFFRONTARE IL FUTURO CHE E’ GIA’ TRA NOI?

La parlamentare laburista Yvette Cooper, ex ministro per il lavoro e le pensioni, sul quotidiano “The Guardian” nel 2018 osservava che i robot e l’intelligenza artificiale possono assicurare un beneficio per i lavoratori, ma anche un risultato negativo. Sta alla politica evitare che ciò accada. E, dopo altre considerazioni, concluse affermando che “Ci sono voluti decenni perché nuove misure legislative, la crescita dei sindacati e l’emergere dello stato sociale affrontassero alcune ingiustizie della rivoluzione industriale e cominciassero a distribuire i benefici a tutti. Non possiamo permetterci di aspettare (nuovamente) tutto questo tempo” Persino Bill Gates -osserva Bernie Sanders in un suo recente libro- propone che i Governi impongano una tassa sull’uso dei robot da parte delle aziende e aggiunge ” Se per un operaio in carne ed ossa che svolge un lavoro in fabbrica del valore di 50.000 dollari, il reddito è tassato, se a fare la stessa cosa provvede un robot , si potrebbe pensare di tassare il robot a un livello simile” A San Francisco si pensa alla fattibilità “di una imposta statale sul ruolo paga per i datori di lavoro californiani che sostituiscono un dipendente umano con un robot. Le società che rimpiazzeranno le persone con i robot dovrebbero pagare una parte dei precedenti contributi lavorativi versandoli in un apposito fondo” Ovviamente sulla destinazione del fondo la discussione è aperta. In California si pensa alla riqualificazione degli operatori espulsi, in Italia si potrebbe pensare al finanziamento della sanità esclusivamente pubblica o al sistema pensionistico. Ciò che importa è iniziare a proporre interventi subito e non dopo per recuperare il tempo perduto. Occorre capire che l’attuale sistema fiscale è volto a tassare la manodopera e non il capitale, ma quando il capitale diventa anche manodopera allora il sistema fiscale va rivisto anche per evitare che l’automazione riduca le entrate fiscali. La questione sollevata può essere affrontata anche con altre proposte, ma è urgente ormai che tra forze politiche, sindacati e Associazioni imprenditoriali si apra il confronto per evitare che le conseguenze siano svantaggiose per i lavoratori. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA GUERRA IN UCRAINA

Il telegiornale del LA7 la definisce una “ritirata momentanea”; Zelensky a Monaco la definisce una scelta intelligente; la Repubblica per la firma di Gianluca Di Feo, inviato in loco, così si racconta:” Quella del centro di Avdiivka non è stata una ritirata, ma una fuga disperata- Molti soldati sono stati uccisi dalle cannonate mentre attraversavano allo scoperto il terreno verso le retrovie; tanti altri sono stati catturati. Le truppe russe hanno filmato i prigionieri, spesso giovanissimi, stremati da settimane sotto le bombe: alcuni tremavano senza riuscire a fermarsi”. La defenestrazione del generale Zaluzhny effettuata da Zelensky, sta lì a testimoniare il fallimento della controffensiva di primavera sfociata nella sfiducia invernale generata dalla mancanza di combattenti di riserva da inviare sul fronte a dare un cambio agli stremati militi attivi ma sempre più affaticati e con decrescente fiducia sulle prospettive future. Zelensky ottiene patti di collaborazione con il Regno Unito, la Germania e la Francia e il nostro ministro degli esteri si appresta ad allinearsi alle scelte degli altri paesi stringendo anche lui, per conto dell’Italia, un patto di collaborazione. Ma a che serve? A sostituirci nei finanziamenti e nella fornitura delle armi agli Stati Uniti? Stiamo per farci carico noi delle difficoltà di Biden, sotto la minaccia di Trump che inviterebbe la Russia ad invadere i paesi NATO non in regola con i contributi pari al 2% del PIL? Siamo seri e non cerchiamo di emulare Mussolini che ha inviato truppe italiane ad invadere l’URSS. Siamo seri e chiediamoci: ● che probabilità ha l’Ucraina di “vincere” la guerra contro l’aggressore? ● in che misura la NATO di Stontelberg sarà coinvolta in questa “vittoria”? ● e quale sarà il livello di coinvolgimento che non sfoci nella terza world war? ● e se l’Ucraina non vince la guerra, con che forza politica siederà al tavolo delle trattative di pace? ● i finanziamenti che diamo, al posto di quelli promessi dagli USA, non dovrebbero essere condizionati a comportamenti razionali dell’Ucraina? ● peggio andrà la guerra per Zelensky, peggio saranno le condizioni per la perdente Ucraina al tavolo della pace; ● e i soldi che diamo a Zelensky non serviranno solo a far morire altri innumeri giovani ucraini? ● ma davvero crediamo che se non vinciamo la guerra in Ucraina, Putin, dopo la figura pietosa che sta facendo con questa guerra, si appresti ad invadere l’Europa libera, ed in particolare quei paesi ex sovietici aderenti a quella NATO che aveva promesso di non oltrepassare il confine dell’Elba? Non vedo queste riflessioni nei commenti degli esponenti politici o dei giornalisti; si riduce tutto alla tra invasore ed invaso e se ne traggono banali conseguenze.  La teorica apertura a negoziati da parte del Cremlino, espressa anche negli ultimi giorni in un’intervista da Vladimir Putin, si basa  sullo status quo dal quale si vorrebbe partire, ossia dal riconoscimento dei territori già annessi, dalla Crimea alle regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizha e Kherson, occupate parzialmente. La posizione ucraina al momento non contempla invece accordi che prevedano la perdita di questi territori. Viceversa Volodymyr Zelensky continua a ribadire l’obbiettivo della riconquista del Donbass e della Crimea sino alla sconfitta definitiva della Russia. Mi pare che la posizione di Zelensky sia assolutamente fuori da ogni concreta logica ed è, a mio avviso, pericoloso continuare ad appoggiarlo rischiando una continua escalation nel conflitto che sempre più coinvolge i paesi NATO. Ma finché alla NATO si persegue una volontà di “vittoria”, si propone una linea che, vista la capacità bellica dell’Ucraina ridotta ad un minimo e sempre più sfiduciata, coinvolga sempre più i paesi NATO, spingendo sempre più verso la terza guerra mondiale. Eppure nella NATO esiste la voce di Erdogan che (sarà quel che sarà sui fatti interni, sarà un dittatore in una democratura, tutto quello che volete) è l’unico a muoversi come dovrebbe comportarsi un paese che nella sua Costituzione ha l’art.11. Al contrario i nostri rappresentanti politici al governo belano come pecore nel gregge dei paesi egemonizzati dagli USA. Ricordo che Erdogan, in risposta al “piano Mattei” che propone un hub italiano dell’energia africana, contropropone, d’accordo con la Russia un hub energetico del gas russo da redistribuire tra i partner occidentali. Certo lo fa pensando ai propri interessi, al proprio paese, cosa che nella politica che il nostro paese sta portando avanti non esiste, neppure a livello solidaristico europeo. Il dilemma sta allora in questi termini: ● si continua la guerra fornendo sempre più armi e sempre più soldi all’Ucraina seguendo la linea Zelensky di perseguire una vittoria che può voler dire lo scatenarsi della terza guerra mondiale; ● o si mettono subito in atto trattative positive con la Russia dove, ribadendo il diritto internazionale, si ricerchi un ragionevole e talora costoso compromesso, atto a sistemare in modo lungimirante la situazione delle province russofone, e ciò prima che la situazione peggiori ulteriormente diminuendo la forza contrattuale dell’Ucraina.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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I FATTI DI AVOLA E L’ORGOGLIO SOCIALISTA

di Giovanni Sarta | I “Campagnoli” rivendicavano la parificazione delle zone salariali, più nota come l’abolizione delle gabbie salariali. Dopo tre settimane di scioperi altalenanti, il due dicembre si proclama lo sciopero generale con il blocco totale della strada “Nazionale” all’ingresso di Avola. Io 14enne, abitavo nel casello ferroviario con il passaggio a livello tra Cassibile e Avola. Quella mattina vidi passare una infinità di macchine, camionette e furgoni, autobus della polizia che andavano a fare la guerra ai lavoratori scioperanti; la sera ritornarono tutte da rottamare per le sassate. La polizia non sparò più in aria per intimorire i manifestanti. Persero la vita: Angelo Sigona, 25 anni di Cassibile e Giuseppe Scibilia, 47 anni di Avola; più ben otto feriti, sempre da arma da fuoco. Perde il posto solo il questore, il prefetto no. Sandro Pertini, presidente della Camera espresse la sua preoccupazione di un contagio nazionale. Infatti nell’aprile del 1969 nello sciopero di Battipaglia, morirono due manifatturieri (dello zucchero e del tabacco). Fu l’ultima volta in cui venne consentito alle forze dell’ordine l’uso delle armi contro i manifestanti. Il ministro socialista Giacomo Brodolini abolì le gabbie salariali. Per la sensibilità riformista decise di adeguare le leggi che regolano il rapporto del lavoratore, del datore di lavoro e della rappresentanza sindacale con il mondo del lavoro. Per questo incaricò il socialista Gino Giugni, già professore in Diritto del Lavoro, a realizzare la più grande riforma in materia: la Legge 300/70 (Fu la legge italiana più copiata al mondo). Lo Statuto dei Lavoratori fu approvato alla Camera con l’astensione del PSIUP e MSI e il PCI. I comunisti non votarono nemmeno al Senato abbandonando l’aula (la volevano migliorare, dicono). Il ministro Brodolini morirà prima dell’approvazione della Legge, sostituito da democristiano Carlo Donat-Cattin.  Il PSI e anche la DC, agirono di grande intuito e prevenzione.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA COMMEMORAZIONE DELL’ON. LORIS FORTUNA

di Romeo Mattioli | In questi giorni ricorrono due importanti anniversari: il 36^ anniversario della scomparsa dell’on. Loris Fortuna, padre del divorzio, e il cinquantennale dell’approvazione e introduzione del divorzio nel nostro ordinamento giuridico una conquista rivoluzionaria dei secolo scorso nel campo dei diritti civili. Fortuna fu un gigante dei diritti civili quando nell’ottobre 1965 presentò alla Camera dei deputati la proposta di legge per il divorzio fu praticamente solo e isolato. Fu una battaglia sostenuta da pochi: i radicali, i giornalisti dell’Espresso e parte dei socialisti. L’iniziativa era molto osteggiata dalla destra cattolica che la vedeva come una “sciagura nazionale”. Non ottenne neanche il sostegno della maggioranza dei partiti di sinistra. Si stava ripetendo quella scelta di “opportunità politica” che, nel 1947, aveva portato il PCI e il PLI a votare, assieme alla DC, l’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione Italiana, abdicando alla cultura laica. Si rese necessario costituire in Italia la Lega per l’istituzione del divorzio (LID) a cui aderii. La proposta divenne legge a fine novembre del 1970 con il voto favorevole di tutta la sinistra italiana e i partiti laici. La destra integralista non si rassegnò e promosse il referendum per la sua abrogazione, ritenendola “nociva” e voluta da “una minoranza degli italiani”. A Udine ci fu una mobilitazione di intellettuali, professionisti, giovani, donne, al di fuori dei partiti, che, riuniti il 6 aprile 1974 in un Hotel cittadino, costituirono un Comitato per il No all’abrogazione della legge sul divorzio, eleggendo a Presidente il prof. Antonio Celotti, segretario l’avv. Antonio Pacatti e il magistrato Giuseppe Mastellone, Luciano Basadonna ed altri componenti del Comitato direttivo. Il risultato del referendum che si svolse il 12 e 13 maggio 1974, registrò una valanga dì NO all’abrogazione della legge sul divorzio con una differenza di 6 milioni in più e Udine addirittura con il 66,8% rispetto 59,1% della media nazionale. Erano intervenuti nella maggioranza del popolo italiano profondi cambiamenti nel costume e nella cultura che pochi, nella battaglia dei diritti civili, seppero interpretare e portare avanti. La maggioranza degli italiani, prima dei partiti, capì che quella legge aumentava fa loro libertà, trattandosi di libera scelta e non di un obbligo. Si spalancò, dopo questa legge, la strada dei diritti civili: la legge per la legalizzazione dell’aborto, di iniziativa dello stesso Fortuna, ben presto andò in porto. Non arrivò, purtroppo, in tempo a fare approvare la legge sull’eutanasia per una dolce morte, contro gli accanimenti terapeutici.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL MONDO IN MANO ALLE PLURICRAZIE. DIALOGO CON CORNELIUS NOON

di Stefano Benni | Il tono paradossale delle risposte del Cornelius Noon è considerato il nuovo genio maledetto della filosofia politica. Nato nel 1943 in Irlanda, è professore alla Trans Allegheny University di Weston in West Virginia. Da anni le sue lezioni sono seguitissime, e si dice sia stato consultato da molti capi di Stato e finanzieri. Finora non aveva mai lasciato una sola riga scritta sul suo pensiero, ma qualche mese fa ha cambiato idea e il suo libro Pluricracy stampato in poche copie dalla Hydra Press ha suscitato polemiche feroci e verrà pubblicato dalle maggiori case editrici mondiali. In esclusiva siamo riusciti ad avere questa intervista, impresa non facile, perché Noon è famoso per il suo carattere intrattabile e la sua bizzarria. Il primo capitolo del suo controverso libro si chiama: “Il cadavere delle democrazie”. Un po’ forte, non crede? «Niente affatto. Le democrazie non esistono più, anche se il pensiero politico si rifiuta di ammetterlo. Per anni, nell’ambitus della differenza tra democrazia e dittatura, è nata e ha prosperato l’illusione di una forma politica “migliore” o “meno peggio” delle altre. L’illusione è caduta, ma la parola democrazia viene ancora abbondantemente usata anche se questa forma di governo, nel senso di “governo del popolo” o di “volontà dei più” non ha più nessun riscontro nella realtà. La pluricrazia è la forma di governo, anzi la forma di occupazione del pianeta che l’ha sostituita. Gli alieni sono scesi sulla terra e siamo noi». Come dobbiamo intendere il suo termine “pluricrazia”? «Sarebbe più corretto dire system of pluricracies o SOP, secondo l’orrenda sigla coniata dai miei divulgatori. Una forma di potere globale non eletta e non elettiva, con fini e mezzi diversi dalla democrazia. Potremmo dire che è parassitaria della democrazia, anche se per i greci il termine “parassita” aveva un significato diverso da quello moderno. Le democrazie rimandavano a una forma di Stato che accoglieva le richieste e i bisogni dei cittadini, prometteva di proteggerli e pur con mille imperfezioni, dava alle diverse morali, e alle contrapposte esigenze, una risposta unica, o ritenuta unica. Ora tutti possono vedere che in ogni parte del mondo sono nate forme di potere-occupazione, strutturate come veri apparati statali, con parlamenti, gerarchie, forze militari, costituzioni interne. Non si ispirano a nessuna idea di democrazia e fanno a meno di lei senza sforzo». Potrebbe farci qualche esempio? «La tecnocrazia, la plutocrazia finanziaria più o meno mafiosa, la teocrazia, persino la farmacocrazia e le ludocrazie-onagrocrazie culturali. Agiscono tutte con progetti, scopi e morali proprie. Preferiscono a volte operare in una finzione di democrazia, o allinearsi a una dittatura, ma la loro ideologia è quanto di più lontano ci possa essere dal rispetto del volere popolare. Il consumatore, il cliente, il connesso, il degente, lo spettatore, il fanatico sono i loro sudditi, non il cittadino. Li chiamano talvolta poteri forti ma sono piuttosto poteri folli, che disprezzano la vecchia ratio del bene comune. Anche se talvolta scelgono un volto per apparire, preferiscono essere invisibili. Ascoltano solo voci selezionate da loro: la banca dati, l’audience, il sondaggio, il call center hanno sostituito la piazza. Recentemente ho sentito il termine social-democrazia, col trattino, per celebrare il web. Invenzione dolce e consolatoria. Il web è un’oligarchia, anzi ha creato gli ultimi monarchi. Steve Jobs è l’ultimo dei semi-dei prometeici». Uno dei suoi concetti più dibattuti è quello di Stato-schermo. Quindi lo Stato esiste ancora? «Anche un anarchico non può fare a meno di una bandiera, diceva De Selby. Lo Stato è uno schermo sul quale le pluricrazie proiettano la loro immagine in modo rassicurante. Ma lo Stato non ha più nessun contenuto, è fatto di trame scritte altrove, di recite dove ruotano i cast di maggioranza e opposizione, di attori brillanti o tragici. Se mi chiedessero a cosa somigliano Trump e Hillary, direi Gambadilegno e la fata di Cenerentola. Ogni vera decisione è presa dal SOP, che la trasferisce allo Stato-schermo perché la trasmetta ai cittadini. Le pluricrazie sanno bene che cose come il voto, la legge, l’esercito, i confini, la bandiera e la Nazionale di calcio sono rassicuranti. Essere in balia dell’informe spaventerebbe. Si accetta che la squadra del cuore venga comprata da un miliardario russo o da uno sceicco, ma guai a cambiare i colori della maglia. Bisogna avere uno schermo su cui proiettare lamenti e rabbia, nell’illusione di essere considerati. L’ultima forma della democrazia è la frenocrazia, la possibilità per ognuno di lagnarsi e dare la colpa a qualcuno della propria infelicità. Ma è un Paraclausithyron, un lamento a una porta chiusa». Lei è totalmente pessimista. Ma è possibile il progresso o la pace con le pluricrazie? «Il progresso di tutti non esiste più, esiste soltanto il progressivo rafforzamento delle pluricrazie. In quanto alla pace la guerra moderna non è più tra Stati, basta vedere la frammentazione del conflitto mediorientale per rendersene conto. È un continuo scontro tra avidità contrapposte, ammantato di motivazioni religiose, storiche o etniche, più complesso e imprevedibile delle guerre del passato. Uno Stato potrebbe volere la pace, ma lo spingeranno in guerra i suoi petrolieri o i produttori di armi, i suoi servizi segreti deviati o un gruppo religioso bramoso di anime e di territorio, un impero mafioso, o un’azienda che ha bisogno di materie prime e nuovi mercati. È più facile immaginare una guerra nucleare tra Google e Microsoft, o tra AT&T e Verizon, o tra Hollywood e Bollywood, che tra Usa e Russia». E le dittature? Neanche le dittature esistono più. Sono film un po’ più pulp, schermi in cui ha grande importanza il primattore, una figura unica di leader, con l’aggiunta degli effetti speciali di un poderoso apparato militare e un controllo dei media più spietato. Ma nessun dittatore può permettersi di andare contro il SOP, nessun tiranno ha più l’esclusiva della tortura, o della censura. Per restare sul suo trono deve piegarsi a una o più pluricrazie, spesso è soltanto un componente del loro consiglio di amministrazione.». Quindi lei non ha soluzioni? «No, e se le avessi me …