IL VANGELO SOCIALISTA
Quarant’anni orsono, il 27 agosto 1978, comparve sull’Espresso un lungo articolo di Bettino Craxi dal titolo: “Il vangelo socialista” in risposta ad un precedente intervento di Enrico Berlinguer sul leninismo. Il contenuto segnò una forte divisione tra le due anime della sinistra di allora ed in verità, come ricordato da Massimo Pini in: ”Craxi, una vita un’era politica” le idee del testo furono stese da Luciano Pellicani, ex comunista e docente di sociologia politica, in una raccolta di contributi in onore di Willy Brandt. Inoltre fece epoca l’introduzione forte del pensiero di Proudhon nel pantheon socialista. “La storia del socialismo non è la storia di un fenomeno omogeneo. Nel corso di travagliate vicende sotto le insegne del socialismo si sono raccolti e confusi elementi distinti e persino reciprocamente repulsivi. Statalismo e antistatalismo, collettivismo e individualismo, autoritarismo e anarchismo, queste e altre tendenze ancora si sono incontrate e scontrate nel movimento operaio sin da quando esso cominciò a muovere i suoi primi passi come unità politica e di classe. In certe circostanze storiche le impostazioni ideologiche diverse sono addirittura sfociate in una vera e propria guerra fratricida. È così avvenuto che tutti i partiti, le correnti e le scuole che si sono richiamate al socialismo, si sono poste in antagonismo al capitalismo, ma ciò non è quasi mai stato sufficiente ad eliminare divisioni e contrapposizioni. I modelli di società che indicavano come alternativa alla società capitalistica erano spesso antitetici. La profonda diversità dei «socialismi» apparve con maggiore chiarezza quando i bolscevichi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono concezioni opposte. Infatti c’era chi aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l’azione dominante dello Stato e c’era chi auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali. Riemerse così il vecchio dissidio fra statalisti e antistatalisti, autoritari e libertari, collettivistici e non. La divisione si riflesse a grandi linee nell’esistenza di due distinte organizzazioni internazionali. I primi, eredi della tradizione giacobina, si raggrupparono sotto la bandiera del marxismo-leninismo, mentre i secondi volevano rimanere nell’alveo della tradizione pluralistica della civiltà occidentale. A partire dal 1919 il socialismo, anche dal punto di vista organizzativo, sarà attraversato da due grandi correnti e da molti rivoli collaterali, che si potrebbero meglio definire solo analizzando la storia dei singoli partiti. Non sono pochi a ritenere che la scissione, vista nelle sue grandi linee, viene da lontano. C’è chi ne vede le radici nella stessa Rivoluzione francese, durante la quale, mentre era in atto la guerra contro l’Antico Regime, si scontrarono due concezioni della società ideale; quella autoritaria e centralistica e quella libertaria e pluralistica. Già nelle analisi di Proudhon per esempio si tenta l’individuazione delle radici etico-politiche del conflitto latente, che lacerava la sinistra. In Proudhon c’è infatti un’appassionata difesa non solo delle radici ideali della protesta operaia contro lo sfruttamento capitalistico ma anche una percezione acuta della divaricazione sostanziale tra la società socialista e la società comunista. Da un lato il comunismo che vuole la soppressione del mercato, la statalizzazione integrale della società e la cancellazione di ogni traccia di individualismo. Dall’altra il socialismo, che progetta di instaurare il controllo sociale dell’economia e lavora per il potenziamento della società rispetto allo Stato e per il pieno sviluppo della personalità individuale. Proudhon considerava il socialismo come il superamento storico del liberalismo e vedeva nel comunismo una «assurdità antidiluviana» che, se fosse prevalso, avrebbe «asiatizzato» la civiltà europea. Lo stesso Proudhon ci ha lasciato una descrizione profetica di che cosa avrebbe generato l’istituzionalizzazione del rigido modello statalista e collettivistico: «la sfera pubblica porterà alla fine di ogni proprietà; l’associazione provocherà la fine di tutte le associazioni separate e il loro riassorbimento in una sola; la concorrenza, rivolta contro se stessa, porterà alla soppressione della concorrenza; la libertà collettiva, infine, dovrà inglobare le libertà cooperative, locali e particolari». Conseguentemente sarebbe nata «una democrazia compatta fondata in apparenza sulla dittatura delle masse, ma in cui le masse avrebbero avuto solo il potere di garantire la servitù universale, secondo le formule e le parole d’ordine prese a prestito dal vecchio assolutismo riassumibili: Comunione del potere Accentramento Distruzione sistematica di ogni pensiero individuale, cooperativo e locale, ritenuto scissionistico Polizia inquisìtoriale Abolizione o almeno restrizione della famiglia e, a maggior ragione, dell’eredità Suffragio universale organizzato in modo tale da sanzionare continuamente questa sorta di anonima tirannia, basata sul prevalere di soggetti mediocri o perfino incapaci e sul soffocamento degli spiriti indipendenti, denunciati come sospetti e, naturalmente, inferiori di numero». Qui, come si vede, Proudhon indica che cosa non doveva essere il socialismo e contemporaneamente che cosa sarebbe diventata la società se fosse prevalso il modello collettivistico basato sulla statizzazione integrale dei mezzi di produzione e sulla soppressione del mercato. La storia purtroppo ha portato qualche elemento di fatto a sostegno della sua previsione. Il socialismo di Stato, messi in disparte tutti i valori, le istituzioni e i principi della civiltà moderna, li ha sostituiti con un modello di vita collettivistico, burocratico e autoritario, cioè con un sistema pre-moderno. E ciò è tanto vero che molti rappresentanti della cultura del dissenso spingono la loro critica sino al punto di vedere nel comunismo, così come storicamente si è realizzato, una vera e propria «restaurazione asiatica». Ma, per venire ad analisi più recenti, ricordiamo che molti altri intellettuali della sinistra europea hanno sviluppato questo filone critico. Da Russell a Carlo Rosselli a Cole ci perviene un unico stimolo che ci invita a non confondere il socialismo con il comunismo, la piena libertà estesa a tutti gli uomini con la cosiddetta libertà collettiva. Il superamento storico del liberalismo con la sua distruzione Il carattere autoritario di ciò che viene chiamato il «socialismo reale o maturo» non è una deviazione rispetto alla dottrina, una degenerazione frutto di una data somma di errori, bensì la concretizzazione delle implicazioni logiche dell’impostazione rigidamente collettivistica originariamente adottata. L’esame dei fondamenti essenziali del leninismo non può che confermare tale tesi. Fino alla pubblicazione di «Che fare?» Lenin fu sostanzialmente un marxista ortodosso: credeva che …