KISSINGER: RICORDO DEL CILE

di Franco Astengo | Nel momento della scomparsa di Harry Kissinger non possiamo dimenticare il golpe cileno dell’11 settembre 1973. L’11 settembre 1973 in Cile sostenuto dall’amministrazione USA, e orchestrato proprio dall’allora segretario di stato Henry Kissinger il golpe fascista pose fine al Governo di sinistra di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende che era stato democraticamente eletto. Un’esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d’esempio per diversi altri Paesi del mondo. Nixon e Kissinger attuando una repressione selvaggia intendevano estirpare il pericolo rosso dalla Latinoamerica e sperimentare il liberismo assoluto dei “Chicago boys” modello avanzato del futuro reaganismo – tatchterismo. La vicenda cilena, che pure diede origine a un ampio dibattito nel movimento comunista e nella sinistra a livello internazionale e in particolare in quello italiano, deve rimanere nella memoria collettiva. L’11 settembre 1973, il giorno della “macelleria americana” resta intatto nella nostra mente e nel nostro cuore accanto ai grandi passaggi della storia del movimento operaio internazionale. Per noi che continuiamo a credere nell’ideale, è uno dei giorni di quell’“Assalto al Cielo” verso il quale dobbiamo continuare a tendere con la nostra volontà, il nostro impegno, il nostro coraggio. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FRATELLI D’ITALIA: ANCORA SULLA NATURA DEL PARTITO DI MAGGIORANZA RELATIVA

di Franco Astengo | “Il MSI ha la sua ragion d’essere e la giustificazione della sua forza elettorale in un richiamo al fascismo che è veramente caratterizzante” (Aldo Moro relazione all’VIII congresso della Democrazia Cristiana, Napoli 27 gennaio – 1 febbraio 1962). Si riprende questo passaggio dalla poderosa “Storia della Democrazia Cristiana” di Formigoni, Pombeni e Vecchio uscita in questi giorni presso “il Mulino”. Ritorniamo così’ sull’analisi della natura di Fratelli d’Italia, partito di maggioranza relativa, nel momento in cui la segreteria del PD Elly Schlein ha rifiutato l’invito a partecipare alla kermesse di “Atreju” intesa quale sede di elaborazione ideologica e culturale dei giovani di FdI: scelta che può essere giudicata come quanto mai opportuna nella distinzione tra natura partitica e ruolo di governo (quest’ultimo del resto richiamato in alcune esigenze urgenti di collaborazione come nel caso della violenza di genere). Un tema quello della diretta discendenza del partito di maggioranza relativa dal MSI che ci pare sottovalutato nel contesto complessivo del residuo quadro democratico operante nel nostro Paese (come del resto in Europa, proprio nel momento in cui la destra razzista e sovranista appare in forte crescita come dimostra anche l’esito delle elezioni olandesi del 22 novembre). Ricordato il MSI comeun partito politico italiano fondato ufficialmente il 26 dicembre del 1946 da reduci della Repubblica Sociale Italiana come Giorgio Almirante (che ne fu segretario per due volte), Pino Romualdi ed ex esponenti del regime fascista. La sua ispirazione è di destra di stampo conservatore. Dall’anno successivo ha avuto come simbolola Fiamma Tricolore chein molti hanno identificato in quella che arde sulla tomba di Mussolini, riferimento questo sempre contestato. (Luigi Fasce “L’identità dei partiti al vaglio della Costituzione” KC edizioni Genova 2023). In quel testo Fratelli d’Italia è definito ” “Il riferimento statutario è nel solco del conservatorismo della destra storica, con emblematico riferimento alla “Nazione” invece che alla Costituzione e con fiamma tricolore simbolo del MSI di Almirante”. Beninteso: tutto questo non viene ricordato semplicemente nel senso storico del ricollegamento tra Fratelli d’Italia e il Movimento Sociale saltando la fase di Alleanza Nazionale e ignorando il lavacro finiano di Fiuggi (1995). In Fratelli d’Italia non alberga soltanto l’eredità missina, ma anche quella della Nuova Destra anni’70 ed è questo un punto analitico da considerare con attenzione quando ci si riferisce all’estraneità della destra di governo al contesto costituzionale: in questo caso siamo di fronte a qualcosa di diverso rispetto alla capacità di manovra di cui pure il MSI disponeva, ma partendo da una posizione minoritaria e subalterna alle correnti di destra della DC. In eredità dal MSI la destra di governo sta incontrando difficoltà a muoversi sul terreno economico: non basta, infatti, proclamarsi “liberisti” o “conservatori” modello reaganian – tachteriano, pesa infatti la logica populista-corporativa (Brancaccio ha definito bene: equilibrismo al servizio dei due padroni, quello liberista e quello corporativo dei tassisti, dei balneari ecc.) oltre a soddisfare la necessità della “vocazione sociale” del fascismo repubblichino (da questo punto le incertezze sul salario minimo e la vocazione tratta direttamente dall’ultimo Mussolini socializzatore delle imprese di cui Angelo Tarchi, nonno di Marco Tarchi ideologo della nuova destra italiana, era il ministro dell’Economia Corporativa). Egualmente risalta la difficoltà sul piano europeo, dove il “rimando” della manovra italiana appare dettato esclusivamente da ragioni di carattere elettorale: il progetto di trasmigrazione dei conservatori in una maggioranza con i popolari appare di non facile praticabilità e il PPE non appare appieno disponibile. L’esito delle elezioni spagnole, ad esempio, ha indicato come concreta il ripresentarsi della necessità di formare di nuovo la “maggioranza Ursula” cui i conservatori (orbi del partito britannico) non parteciparono anche perché FdI stava all’opposizione del governo Draghi. Adesso, invece, le elezioni europee si svolgeranno con FdI al governo e si tratterà di una situazione molto diversa. Inoltre sarà difficile realizzare il tentativo ultra-atlantista di far coincidere NATO/UE cercando di spostare l’asse verso il gruppo di Visegrad, del resto diviso nell’appoggio all’Ucraina e sempre più orientato nell’esasperazione di un nazionalismo fobicamente sciovinista (Vox in Spagna, PVV in Olanda, Afd in Germania) e bisognerà fare i conti anche con l’incondizionato appoggio a Israele che in questo momento trova esitazioni anche dalla stessa presidenza USA che, inoltre, sembra rendersi conto della necessità di un “appeseament” con la Cina in un quadro di delicatissimo scenario globale. L’analisi dell’effettiva natura di Fratelli d’Italia e di questa destra di governo al di là del fumo negli occhi del “Piano Mattei” e degli accordi con Francia e Germania, potrebbe così rappresentare un contributo di riferimento per l’avvio del dibattito a sinistra in vista della scadenza europea 2024. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL TRAMONTO DELL’ETICA IN POLITICA E LE SUE IMPLICAZIONI SOCIALI

di Davide Passamonti | La storia del capitalismo moderno può essere letta come un progressivo tramonto dell’originale etica borghese sulla quale lo stesso capitalismo si è fondato e ha potuto svilupparsi e prosperare. Questo mutamento analizzato da Hirsch[1] ruota intorno a tre cambiamenti rilevanti: la tendenza del mercato a corrodere la base etica/morale della società; i vani tentativi a scongiurare l’erosione della base etica con incentivi e disincentivi di mercato; la necessità di un recupero morale per interiorizzare le norme sociali di condotta a livello dei singoli individui. Il primo sociologo ad evidenziare la diretta connessione tra «ascesa del capitalismo e l’ascesi puritana» è stato Max Weber in “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo“. Tuttavia, non si sentenzia nessuna relazione univoca o esclusiva tra le due componenti: «Il fatto che lo sviluppo capitalistico non avrebbe potuto affermarsi se non legittimandosi sopra una base morale-religiosa, non significa che esso è figlio della religione: ma che ha bisogno, all’origine, di un ambiente culturale e spirituale che gli apra gli spazi»[2]. Infatti, il nesso tra etica religiosa e capitalismo viene a mancare via via il mercato si diffonde in sempre più ambiti della società. E’ il “mito della crescita” e il suo presupposto di “inesauribilità di risorse al servizio di bisogni insaziabili” a determinare lo strappo e a trasformare la società classista, attraverso la produzione e il consumo di massa, nella società “di massa” odierna. La società capitalista, quindi, diventa amorale e autolegittimata; il suo fine è l’autoriproduzione: cioè la crescita economica. Il mercato perde così la sua “trascendenza” violando i limiti che gli stessi economisti-moralisti, A. Smith e J. S. Mill, gli avevano assegnato. Eppure, tra etica puritana e materialismo consumistico e mercificante «vi è una profonda continuità: ed è il privatismo»[3]. Se nel primo è garantito dall’osservanza del precetto religioso, nel secondo vive nel “conformismo mimetico”. Nelle società di mercato la nuova etica sociale diviene una “falsa etica sociale”, non vi è reale socializzazione. Essa, invece, rappresenta soltanto l’adattamento dell’etica individualistica alla società di massa. Originariamente questo quadro poteva essere identificato solamente nella società degli Stati Uniti. Per la seconda metà dell’Ottocento e tutto il Novecento, infatti, l’ancoraggio ideologico e la trasformazione graduale, nella società odierna, della società classista europea ha attenuato gli effetti di individualizzazione e atomizzazione della società. Ma con la fine delle ideologie e la loro non sostituzione con nuovi paradigmi interpretativi; oltre alla spinta mercatistica, in seguito alla globalizzazione e alle rivoluzioni tecnologiche, hanno portato ad una “americanizzazione” della società europea. «La società di massa è perfettamente compatibile con l’individualismo. L’integrazione dell’individuo si compie non attraverso la politicizzazione (adesione a gruppi portatori di valori sociali diversi) ma attraverso la nemesi del comportamento»[4]. Il conformismo è il nuovo “collante sociale” al posto della fede, non crea solidarietà sociale ma emulazione dei comportamenti individuali. In altri termini, il conformismo individualista è la piena legittimazione dell’ineguaglianza sociale. Il tramonto dell’etica ha come conseguenza diretta il venir meno del principale “collante” sociale: la solidarietà. Il conformismo esalta l’ego, lo rende aggressivo e tendente al successo personale, e quando incapace di emergere determina comportamenti asociali: frustrazione e “aggressiva” indifferenza. Inoltre, con l’esaurirsi delle “basi etiche” della società vi «è la perdita di quella forma laica di trascendenza che è stato il senso del progresso e della storia»[5]. La società industriale autolegittimandosi rinuncia all’idea di progresso e di “nuova società possibile” che dia un senso ai mutamenti radicali nelle forze produttive e agli altri cambiamenti strutturali delle società post-industriali odierne. Complici, e quindi allo stesso modo colpevoli, della deriva etica della società capitalista sono anche i movimenti o partiti “riformisti”, progressisti o di sinistra. Non adeguando il proprio paradigma culturale alle trasformazioni sociali degli ultimi trent’anni, non hanno elaborato una base etica di progresso in nome del pragmatismo politico e della netta rottura con il marxismo. «Il riformismo socialdemocratico affida il progresso sociale non tanto e non più a certe fondamentali opzioni etiche – libertà, eguaglianza, fratellanza – quanto allo sviluppo tecnologico e alla crescita economica»[6]. In questo “lassismo pragmatico” la sinistra si adatta alla involuzione etica del capitalismo; e in nome del “mito della crescita” anche il riformismo non persegue una società giusta, ma una società più ricca. Nella società di massa odierna, consumistica, individualista e cosmopolita, però, in nome del presupposto “di abbondanza per tutti” insito nel “mito della crescita” si accetta l’ineguaglianza come funzione naturale della crescita stessa; abbandonando ogni presupposto etico e/o morale. Inseguendo, quindi, le premesse anti-etiche del capitalismo avanzato la sinistra sfocia nello stesso campo amorale della destra. E in questo nuovo clima sociale, ma che di socialità ha ben poco, «non stupisce che le tradizionali opzioni politiche, della sinistra e della destra, rispettivamente per l’eguaglianza e per la diseguaglianza sociale, perdano il loro valore etico, per assumere valore puramente funzionale»[7]. Destra e sinistra così perdono i loro tratti distintivi assomigliandosi sempre di più. [1]     Hirsch (1981), Social limits to growth, Bompiani. [2]     Ruffolo G. (1985), La qualità sociale. Le vie dello sviluppo, Bari, Laterza. [3]     Ruffolo 1985. [4]     Ruffolo 1985. [5]     Ruffolo 1985. [6]     Ruffolo 1985. [7]     Ruffolo 1985. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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RIDUZIONE DELLA DURATA DEL LAVORO E IL LAVORO DA EROGARE

di Davide Passamonti | La riduzione della durata media delle ore di lavoro è diventata una esigenza del sistema nel suo complesso. Tale esigenza scaturisce dalla necessità di rispondere ai minori bisogni di input di lavoro dovuti alla trasformazione dei processi produttivi. La “terziarizzazione” in atto sta trasformando la società facendole assumere sempre più caratteristiche post-industriali. Ma questo cambiamento non è altro che la risposta della saturazione della domanda di beni industriali e alla sempre più crescente automazione dei processi inerenti a questi beni. Nelle società industriali avanzate sono di tre tipi, almeno, le politiche economiche dedite all’obiettivo della piena occupazione, come standard sociale di garanzia di benessere; ovvero: la politica keynesiana; la “ricetta classica” della deregulation; la “terza via”, il lavoro come lavoro da erogare. In questo scritto si vuole approfondire, come soluzione ai problemi odierni in merito alla disoccupazione, la “terza via”. Il cambiamento nel mondo del lavoro: il lavoro “scelto” e/o “gradito” Una questione di fondo della disoccupazione strutturale odierna riguarda, dal lato dell’offerta di lavoro[1], la valorizzazione del fattore “scelta” piuttosto che del fattore “bisogno”; cioè della scelta libera (personalizzata) del lavoro. Il rifiuto del lavoro industriale o non qualificato, in attesa di un lavoro più consono alle aspettative individuali, è la stretta conseguenza di questo cabiamento. Le fasce sociali più “colpite” da questo fenomeno sono le generazioni più giovani;  l’elevato tasso di scolarità, rispetto alle generazioni precedenti, è il motivo principale di questo comportamento. Tutto ciò crea il “paradosso” che, nonostante l’elevata disoccupazione[2] giovanile, rimangono sacche di “domande di lavoro” non qualificato senza risposta. Non è dunque un caso che, nonostante la crisi dell’occupazione, spesso oggi le imprese incontrino notevoli difficoltà ad assicurarsi certe qualificazioni, anche in presenza di politiche governative molto “attive” in materia di occupazione. [Archibugi, 2002 p.195] Questa stortura, nel mercato del lavoro, segue ad un ritorno di un comportamento   “economico” dal lato dell’offerta in seguito alle continue crisi economiche dagli anni Settanta in poi. I paesi industrializzati devono fare i conti con questo cambio di paradigma motivazionale e dei fattori “non-economici”, delle giovani generazioni, nell’accettare o rifiutare un’offerta di lavoro. Ciò che conta di più non è, quindi, lo status di disoccupato ma il modo o la qualità di vita individuale. E’ questo il quadro di riferimento che bisogna affrontare per riformare profondamente il mercato del lavoro: il lavoro da erogare e la riduzione della durata del lavoro. Il lavoro come lavoro da erogare Il cambiamento strutturale I tassi di disoccupazione odierni, nei paesi sviluppati, hanno raggiunto livelli “di massa”. A differenza delle “grandi crisi economiche”, la crisi occupazionale odierna ha assunto proprietà strutturali e non è accompagnata – o lo sono solo in parte – da peggioramenti sensibili dei livelli reali di vita delle famiglie come invece accadeva nelle grandi crisi del Novecento. I sistemi di Welfare State, erogrando cospiqui «ammortizzatori sociali», sono in grado di attenuare gli effetti deleteri della disoccupazione sui livelli reali di vita, lasciando che tale crisi si riperquota solamente sulle capacità di consumo delle famiglie. Le crisi delle nostre economie occidentali (in quest’ultima fase della terziarizzazione […]) [sono] provocate da un eccesso di produttività dei settori (primario-secondario) «ad alto-tasso di produttività», e – nello stesso tempo – da un difetto di produttività (del sistema in generale) causato dall’aumento della proporzione dei settori (terziari) «a basso-tasso di produttività», sul totale delle attività. […] L’output terziario, infatti, con il suo basso saggio di produttività, è oltretutto apprezzato più sulla base della «qualità» che del rendimento quantitativo. Ecco perchè il cambiamento strutturale […] ha immediatamente una riprecussione sul modo di valutare il benessere economico. [Archibugi, 2002 p.171] Questo significa che la disoccupazione deriva da una pessima distribuzione delle attività di lavoro; si può, quindi, ottenere un un livello di benessere – sia individuale che sociale – maggiore non tramite l’aumento dell’occupazione totale (ammontare generale di ore lavorate) ma redistribuendo con migliore qualità le ore di lavoro fra la popolazione disoccupata, ma potenzialmente occupabile. La nuova occupazione generata deve, però, essere pianificata e guidata verso impieghi con rilevanza sociale, cioè necessari a soddisfare bisogni insoddisfatti. Quando si parla di occupazione, però, si pensa al reddito o al potere di acquisto o ai consumi che ne derivano. Se, cambiando logica, si pensasse all’occupazione come “lavoro da erogare” allora si affronterebbe la questione in termini di quali lavori, quali beni e servizi, quali occupazioni e quali attività sarebbero utili da “creare“. Non affrontando la questione in questi termini, se quindi sul mercato non si manifestasse l’incrocio tra tale domanda e tale offerta – ovvero non venisse offerto il lavoro utile – si esporrebbe la questione occupazionale a due ordini di problemi, spesso concomitanti: [1]Le imprese oggi non possono più aspettarsi di “comprare” lavoro, cioè assumere lavoratori, solo su un concetto puramente economico del lavoro stesso. Ovvero, senza contare i fattori “non economico” e motivazionali ormai sempre più diffusi. [2]In italia il tasso di disoccupazione totale è stabile all’8,0%, quello giovanile al 22,4% (dati ISTAT). ● dal lato dell’offerta di lavoro ci sarebbe disinteresse per i lavori domandati. E ciò porrebbe la questione della disoccupazione non tanto in termini di “disoccupazione generale” ma quanto “disoccupazione specifica”; ● dall’altro lato, dal disinteresse dell’imprenditore; cioè di colui che media tra domanda di beni e servizi e offerta di lavoro per produrli. Che si tratti di un caso o dell’altro o di entrambi i casi insieme, ciò significa che nel mercato non si verificano quelle necessità tali da giustificare un aumento di lavoro erogato che compensi una parte consistente della disoccupazione. Si tratta, quindi, di un “meccanismo economico” che genera nelle varie categorie sociali emarginate, perchè disoccupate, quella situazione psicologica di “disadattato” sociale. Il declino dell’occupazione industriale, in sintesi, può e deve accompagnarsi con la riduzione della durata media del lavoro. Di conseguenza ciò che dovrà applicarsi è un metodo organizzativo che tenda ad immettere nel processo produttivo nuovo personale a tempo parziale; senza, però, creare sconvolgimenti nei redditi individuali e familiari. La selezione della domanda Una politica riguardante il “lavoro da erogare”, però, …

LA RETE TIM A KKR: ANCORA SUL DEFICIT DI STRATEGIA INDUSTRIALE

di Franco Astengo | Il cda di TIM ha venduto il 5 novembre la rete per 22 miliardi al consorzio formato da KKR, Ministero delle Finanze e F21 :il Ministero avrà una partecipazione di minoranza del 20%, circa metà dei dipendenti di TIM saranno trasferiti alla nuova società infrastrutturale. Non possiamo che ribadire il forte giudizio negativo sull’operazione, lanciando un segnale d’allarme e individuando nella politica industriale un vero punto di debolezza dell’opposizione sia da parte del PD sia da parte dell’AVS. Siamo di fronte infatti all’ennesimo passaggio che segnala l’ assenza dell’Italia da una qualche idea di piano di strategia industriale. L’operazione TIM/KKR è un “unicum” in Europa: separazione della rete dai servizi e privatizzazione. Inutile enfatizzare il ruolo dello Stato, come ha cercato di fare il governo: il fondo americano KKR diventerà proprietario al 65% di un asset strategico del nostro Paese e non ci sono stati forniti elementi per capire quali garanzie siano realmente previste per le scelte strategiche, l’occupazione, gli investimenti e la tutela dei dati. Ne avevamo già accennato a febbraio di quest’anno quando era apparsa la notizia dell’avvio della trattativa in questione: senza alcuna concessione “sovranista” così si dimostra tutta la fragilità del contorto processo di privatizzazioni avvenuto in Italia nel settore decisivo delle infrastrutture tecnologiche ( intendiamoci bene: dal tempo dei dalemiani “capitani coraggiosi” discendendo per le rami dal prodiano scioglimento dell’IRI). Da allora si è creata una situazione di evidente scalabilità e debolezza, a dimostrazione di una ormai storica incapacità di programmazione dell’intervento pubblico in economia e di assenza di politica industriale (che coinvolge anche l’Europa). L’opposizione e il sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente inesistente, tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza dell’immediato. Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della politica industriale soprattutto sul delicatissimo terreno dell’innovazione nei settori strategici. Limiti del resto non affrontati neppure nella “possibile”(?) occasione fornita dal PNRR al riguardo della quale il discorso andrebbe affrontato in sede opportuna ma che non può essere sottovalutato o peggio dimenticato. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

MERCANTI D’ARMI

di Franco Astengo | La storia dirà se stiamo vivendo una fase di transizione verso un conflitto globale nel segno dello “scontro di civiltà”. Intanto però gli analisti dei mercati finanziari appaiono super-eccitati ad ogni segnale di rincrudimento della logica bellica. Come rileva Eric Salerno (“Il Manifesto” 22 ottobre) sul sito di uno dei grandi gestori di fondi e investimenti “National Defense Authoriziation” si legge come per il 2024 la difesa statunitense preve 886,3 miliardi di spesa con un incremento del 3,3% rispetto al 2023. Le dinamiche del settore della difesa statunitense sono radicalmente cambiate dal 7 ottobre e alcuni titoli degli armamenti hanno registrato un balzo dall’inizio del conflitto in Israele. Alcune cifre: Tre dei primi 10 importatori di armi nel periodo 2018-2022 sono in Medio oriente e precisamente Arabia Saudita, Qatar, Egitto. L’Arabia Saudita è stata il secondo più grande importatore di armi nel mondo nel 2018-2022 e ha ricevuto il 9,6% di tutte le importazioni di armi in quel periodo. Le importazioni di armi del Qatar sono aumentate del 311% tra il 2013-17 e il 2018-22 rendendolo il terzo importatore di armi al mondo nel 2018-22. Quali sono i paesi esportatori verso questi paesi del Medio Oriente? In testa gli USA con il 54%, seguita dalla Francia 12%, Russia 8,6% e Italia 6,4%. Le esportazioni includevano complessivamente 260 arei da combattimento avanzati, 516 nuovi carri armati (il mercato usato dei thanks è in grande fioritura) 13 fregate. Gli stati arabi della sola regione del Golfo hanno effettuato ordini per altri 180 arei da combattimento mentre 24 sono stati ordinati dalla Russia e dall’Iran (che non ha ricevuto armi importanti tra il 2018-22). Un dato quest’ultimo molto interessante quando si sostiene che l’Iran appoggia Hamas e ci si dimentica di alcuni grandi acquirenti arabi che pure appoggiano il gruppo che ha scatenato l’attacco ad Israele. Insomma attenzione al traffico d’armi in tutta l’area e come silloge ricordare la dichiarazione di Biden “Un investimento intelligente nella sicurezza americana pagherà dividendi per intere generazioni”. Insomma: finché c’è guerra c’è profitto. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PACE UNICO PRESUPPOSTO DI CIVILTÀ’

di Franco Astengo | «Le massime dei filosofi sulle condizioni di possibilità della pace pubblica devono essere consultate dagli stati armati per la guerra.»: questo il testo dell’ “articolo segreto” che Immanuel Kant comprende nel suo “Per la Pace Perpetua”. Invece pare proprio che anche oggi gli stati armati non consultino i filosofi: non li consultano perché non vogliono sentirsi dire che l’unico presupposto per la civiltà è la pace. La pace intesa quale sola condizione preliminarmente indispensabile per avviare una transizione verso un diverso sistema economico e sociale che vorremmo ancora denominare come “socialismo”. Nel pensare il presente modestissimo testo non si intendeva però impancarci nel tentativo di indicare una nuova via verso il socialismo: l’intenzione è soltanto quella di segnalare, ancora una volta, l’assoluta insufficienza nella richiesta di pace che sono capaci di esprimere le forze politiche,la debolezza della mobilitazione sociale, la vacuità nelle espressioni di tensione etica e morale da parte di chi agisce e governa gli strumenti culturali e di comunicazione di massa. In un quadro complessivo che via via si sta drammatizzando sembrano prevalere ancora una volta i giochi di potere, i calcoli di predominio, l’indifferenza di chi pensa ad accumulare ricchezza per rendere sempre più ingiusta la convivenza umana. Non si avvertono i segnali di una inversione di tendenza e neppure l’idea di ritorno ad un equilibrio del terrore (questa volta multipolare) sembra scuotere più di tanto le coscienze. La politica non riesce a fare quella che dovrebbe essere la propria parte: elaborare strategie adatte ad evitare l’imbarbarimento generale. In questo momento sono oltre 50 i teatri di guerra attivi nel mondo, in buona parte misconosciuti dall’opinione pubblica ma se vogliamo riferirci ai casi di maggiore insistenza di esposizione da parte dei mezzi di comunicazione di massa non possiamo non rimarcare la pervicacità dei governi interessati a battere la strada delle armi e l’assoluta incapacità a formulare proposte politiche da parte delle organizzazioni sovranazionali dall’ONU alla Comunità Europea. La Comunità Europea spicca per la sua assoluta sudditanza a una organizzazione militare come la NATO e alle scelte in funzione bellicista che, in quell’ambito, compie la Presidenza USA: la guerra intesa come sola risposta possibile alle prevaricazioni armate come quella russa e al terrorismo di Hamas. Non solo non si consultano i filosofi (nel senso lato del termine) ma li si considera trascurabili “profeti disarmati”. Valutare la richiesta di pace intesa come sinonimo di civiltà quale “profezia disarmata”quasi di pura derivazione religiosa e così trascurandola come stanno facendo anche le forze politiche progressiste italiane ci sembra un vero e proprio punto di arretramento politico ed etico. Per fare esempi legati semplicemente alla stretta attualità: perchè dall’Unione Europea non sorge un invito all’ONU per una interposizione sul fronte russo-ucraino (magari da intendersi come primo passo per la creazione di una zona smilitarizzata al centro d’Europa: zona smilitarizzata che dovrebbe interessare anche la frontiera azero/armena) e per l’avvio di concreti progetti attorno all’idea dello Stato Palestinese? Perché non sfidare l’egemonia delle grandi potenze (come si fece al tempo della crisi dei missili?): senza dimenticare l’Africa che la bramosia di ricchezza della sua borghesia e delle leadership mondiali ha ridotto ormai in condizioni incredibili dal punto di vista economico, sociale, umano. Sarebbe necessario che pace e politica si trasformassero in un binomia inscindibile partendo proprio da un recupero da una visione del futuro attraverso l’elaborazione di una necessaria Utopia da considerare veicolo per rendere possibile un progetto. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIUSTIZIA SOCIALE E LIBERTA’, CONVIVENZA E PACE GLOBALE, PIU’ TEMPO PER GODERE DEI PIACERI DELLA VITA

Perché questa petizione è importante Lanciata da Daniele Delbene Le Elezioni europee siano l’occasione per accelerare nella costruzione degli “Stati Uniti d’Europa” Il mondo sta cambiando velocemente mentre la società rimane costruita su un modello quasi del tutto superato. Viviamo in un mondo globale a portata di click: economia, finanza, conflitti e pandemie non conoscono confini fisici nè politici. Viceversa, regole, democrazia, giustizia, diritti e doveri rimangono confinati in decine di singoli paesi.  Se economia e finanza devono essere strumenti al servizio degli uomini affinchè questi possano sempre più emanciparsi, se pace e salute devono essere un obiettivo globale, se giustizia sociale e libertà diffusa devono essere il presupposto indispensabile per un mondo migliore, il governo del mondo non può essere lasciato alla mercè dei più forti.  Se ieri le religioni e poi le grandi ideologie garantivano di fatto regole e ideali internazionali in un mondo di singoli paesi, oggi questi non sono più sufficienti.  Il mondo globale richiede regole globali democratiche e giuste, che solo Istituzioni rappresentative, democratiche e globali possono garantire.  Le grandi sfide per i prossimi decenni saranno quelle di creare le condizioni per pace, giustizia sociale e libertà globali. Se la vera libertà è realizzabile solo garantendo la giusta emancipazione socio-economica ad ogni individuo, vi sarà necessità di redistribuire meglio la ricchezza affinchè tutti possano vivere dignitosamente, premiando al contempo impegno, capacità e meriti. Se il lavoro è il mezzo per redistribuire la ricchezza e per dare dignità ad ogni uomo, in un futuro che vedrà come conseguenza dello sviluppo della tecnologia, dell’informatica, della robotica e del superamento delle distanze una riduzione della necessità di forza lavoro, bisognerà inevitabilmente far lavorare tutti un po’ meno per poter far lavorare tutti. Ovviamente, senza ridurre le retribuzioni ma, al contrario, adeguandole al reale costo di una vita dignitosa. Lavorare meno, per consentire tra l’altro agli uomini di poter godere dei piaceri della vita, dovrà essere uno dei pilastri di un nuovo modello di società che andrà realizzato già a partire da oggi.  Un nuovo modello fondato su giustizia sociale e libertà, salute e tempo a disposizione per permettere ad ognuno di potersi realizzare nelle proprie aspettative che dovranno essere i pilastri su cui immaginare e realizzare un nuovo mondo di convivenza e pace globale. La prima sfida per puntare significativamente in questa direzione dovrà essere quella di costruire una vera Europa politica. Gli “Stati Uniti d’Europa” dovranno essere l’obiettivo a breve termine per poter immaginare domani degli “Stati Uniti del Mondo”, rappresentativi e democratici. Per redistribuire la ricchezza, per garantire diritti civili e sociali, libertà e giustizia sociale, salute e pace, servono regole comuni e politiche comuni. Finanza, tassazione, commercio, difesa, lavoro, ambiente, salute e protezione civile dovranno essere competenze gestite quantomeno a livello europeo. Ogni stato dovrà cedere un poco della propria sovranità nell’interesse dei propri popoli, del popolo europeo e del mondo intero.  Tra qualche mese si terranno le elezioni europee, che rappresentano l’opportunità per discutere, confrontarsi ed accelerare nella direzione auspicata. Sarà l’occasione per le forze politiche di dimostrare se realmente hanno a cuore la costruzione di un mondo migliore, o se invece prevalgono l’ignoranza, gli interessi e gli egoismi di pochi. Sarà l’occasione anche per tutte le altre grandi organizzazioni sociali, sindacali e non, di imprimere un’accelerazione che, come un salto temporale in avanti, consenta di recuperare il tempo perduto. Promossa da: Daniele Delbene – già Presidente nazionale Costituente PSE Alessandro Tosi  – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Federico Pezzoli – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Vito Fiorino – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Antonio Leanza – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Luigi Rocca – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Maurizio Fabrizio – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Giovanni Tressoldi – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Fabio Picone – già membro del Coordinamento nazionale Costituente PSE Seguono… Firma questa petizione SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISMO LIBERALE COME NUOVO PARADIGMA

di Davide Passamonti | Oggi più che mai la “Sinistra”, nel mondo occidentale, si trova in estrema difficoltà nell’identificazione di ciò che deve e/o vuole essere e rappresentare. Trascorsi trentanni dalla caduta del muro di Berlino, ancora oggi la sinistra non sa dare risposte concrete ai cambiamenti strutturali della società e del capitalismo. Venuto meno l’ancoraggio ideologico e la contrapposizione tra capitalismo e comunismo, chi ha dovuto fare i conti con la propria storia sono stati i partiti di sinistra. In altre parole, la sinistra ancora oggi non è stata in grado e non ha avuto il coraggio di adattare e aggiornare il proprio paradigma culturale di riferimento, così da non avere una chiara e concreta cultura politica. Invece, è proprio in questo momento storico di profonde trasformazioni sociali ed economiche che si possono delineare le condizioni più favorevoli all’affermazione di una nuova cultura di sinistra. Eppure la “Sinistra”, nel mondo occidentale, appare ancora impreparata a confrontarsi con queste trasformazioni profonde e che, volenti o nolenti, costruiranno il mondo di domani. Nonostante la finestra di opportunità che si sta dispiegando all’orizzonte sia potenzialmente assai promettente. E’ necessario, quindi, dare una nuova risposta culturale ai cambiamenti strutturali in corso. D’altra parte una visione aggiornata dell’assetto sociale è il fulcro strategico per i movimenti politici che si ispirano alle tradizioni socialiste e liberali; ovvero, la visione dell’assetto strutturale è il passo fondamentale per avere una prospettiva politica di lungo periodo e un quadro di riferimento chiaro e stabile. Liberalismo (nella sua corrente egualitaria) e socialismo possono e devono fare sintesi dei migliori aspetti delle due tradizioni politico-culturali; costruendo così nuovi strumenti teorico-politici sui quali sviluppare una moderna prospettiva progressista e un nuovo “paradigma socialista”. Il Nuovo Paradigma Socialista A differenza di quanto avvenuto nel campo della destra politica, che hanno interpretato i cambiamenti in chiave populista e “autoritaria”, i partiti di sinistra si sono trovati completamente impreparati ad affrontare le crisi in essere e non sono riusciti a cambiare. Inoltre, nella vasta e varia letteratura politica di sinistra, le trasformazioni sociali non sono state a sufficienza esaminate. Le implicazioni di tali cambiamenti non hanno inciso e non hanno mutato il “paradigma socialista tradizionale” di riferimento (quello marxista o, per certi versi, quello keynesiano dell’ “aumento costante della spesa pubblica[1]”) – che ha continuato da applicarsi come se i mutamenti strutturali non avessero incidenza. Cioè, non ci si è domandati a sufficienza, come socialisti e liberali, “se le nostre politiche tengano conto delle implicazioni che le trasformazioni nelle «condizioni materiali» della produzione hanno sul nostro stesso concetto di riassetto sociale e sui rapporti sociali nuovi che ne emergono[2]”. Il “riassetto” nel socialismo non nasce da principi o postulati astratti, non da certezze aprioristiche ma da un’analisi e valutazione delle situazioni storiche, delle condizioni e dei rapporti sociali che ne derivano. Il primo aggiornamento da fare è quindi sui cambiamenti nelle condizioni e nei rapporti sociali. L’impressione è che manca proprio questo. Le trasformazioni più importanti nella struttura della società odierna si stanno avendo nelle attività produttive e nella tipologia di lavoro; ovvero: 1) fine dell’agricoltura; 2) declino dell’industria; 3) sviluppo delle piccole e medie imprese e declino del lavoro “dipendente”; 4) società “post-industriale”; 5) sviluppo occupazione precaria; 6) la professionalizzazione del lavoro e l’educazione continua; 7) conoscenza e professionalità sostituiscono il capitale come fattore primario della produzione; 8) declino del guadagno come motivazione e esplosione delle attività non-profit (Archibugi, 2007). Queste sono le trasformazioni che stanno portando il capitalismo odierno ad un “post-capitalismo”; cambiamenti che dovrebbero essere la linea guida dello sviluppo del pensiero di una sinistra politica. Il socialismo liberale Il cambio di paradigma, per avere forza e adattarsi alle trasformazioni profonde odierne, deve saper tenere insieme ciò che si vuole oggi rappresentare con il termine socialismo e cosa, invece, con il termine liberalismo egualitario. Paradigma che può essere definito come: socialismo liberale. Il Socialismo liberale per avere ancora quella forza “riformatrice-radicale” (già affermata da Rosselli) congenita nei suoi valori iniziali e per trovare il proprio “momento politico” nel riassetto sociale deve porsi l’obiettivo di ‘andare oltre il Welfare State’[3]. La necessità odierna è quella di integrare le “conquiste” del Welfare con una capacità di gestione e di controllo dello sviluppo dell’intera comunità, da parte delle istituzioni pubbliche, con una più diretta azione di coordinamento programmatico generale (e permanente) di tutti i fenomeni economici in cui si esprime lo sviluppo. Questo modello si basa sul principio di dare allo Stato, nella sua articolazione istituzionale, il compito di ideare obiettivi politico-sociali della comunità e la responsabilità di realizzarli con azioni coordinate e possibili (e quindi con scelte che possono portare a limitazioni o revisioni – più o meno parziali – degli obiettivi). La critica si pone al libero ed autonomo gioco dei poteri ‘privati’, ovvero il “mercato”, il quale non è in grado né di attuare gli obiettivi né di creare quelle uguaglianze di opportunità e quelle solidarietà proprie di una comunità veramente liberale e democratica[4]. Che la programmazione (o pianificazione) sia condizione necessaria per il superamento del Welfare State lo si affermava già nel 1960 nell’opera dal titolo “Beyond the Welfare State. Economic Planning in the Welfare State and its International Implications” di Gunnar Myrdal – premio Nobel per l’economia nel 1974. “Man mano che l’intervento, pubblico ma anche privato (sul mercato), è diventato più frequente e più vasto, e strettamente correlato agli altri fattori di questo possente processo di cambiamento sociale, sono sorte situazioni sempre più complesse, contraddittorie e confuse. E si è fatta sentire sempre più pressante la necessità di un coordinamento razionalizzante da parte dello Stato, inteso come organo centrale di volontà pubblica. Il coordinamento conduce alla pianificazione, o – meglio – è la pianificazione, così come si intende questa parola nel mondo occidentale. Il coordinamento delle misure di intervento implica una loro riconsiderazione complessiva, che valuti come combinarle perché siano utili agli obiettivi di sviluppo dell’intera comunità nazionale, non appena questi obiettivi vengano fissati attraverso il processo politico che fornisce la base del potere. Il bisogno di …

SCHEDATURE E REPRESSIONE

di Franco Astengo | Riassunte nei termini degli interrogativi che seguono le vicende di questi giorni fanno ritornare alla mente gli antichi tempi della schedatura e della repressione delle lotte della classe operaia avvenute nell’immediato dopo guerra, in un ritorno ad un clima che può ben essere sintetizzato dalla proposte di riportare all’esercito la gestione dell’ordine pubblico: “Chi ha filmato la giudice Iolanda Apostolico, durante la manifestazione a Catania dell’agosto del 2018? Chi ha conservato quel video per più di cinque anni? E ancora: qualcuno aveva appuntato i nomi e i cognomi dei partecipanti a quella manifestazione? C’è stata un’identificazione? Una schedatura? Qualche cassetto è stato riaperto in queste ore per poter attaccare la magistrata?” Di “corpi separati e “deviati” si parlò anche all’epoca dei tentativi di colpo di stato, delle grandi stragi a partire da Piazza della Fontana, del rapimento Moro di Ustica. Nessuno, invece, parlò di corpi separati quando, per molto tempo, la polizia di stato svolse una sistematica repressione nei riguardi degli operai delle fabbriche che difendevano i loro posti di lavoro e dei contadini che occupavano le terre dei latifondisti. Non possiamo dimenticare quanto è stata lastricata di sassi la via dell’inferno dentro del quale ci si è trovati nella lotta per la sopravvivenza sociale e politica delle classi subalterne in questo paese. Quanto si è realizzato, di parziale, nell’inveramento del dettato costituzionale è stato precipuamente per opera della classe operaia, dei contadini in lotta, delle persone – donne e uomini – che hanno fatto il loro dovere in un periodo nel quale ogni loro azione di lotta per l’emancipazione sociale era soggetta a feroce repressione. Oggi quei tempi stanno pericolosamente ritornando in una fase in cui compaiono diversi piani di intervento: dalla “carica” alle ragazze e ragazzi che protestano per le vie di Torino alla costruzione di ipotesi da vero e proprio “maccartismo” se non di “caccia alle streghe” come compare sul tema del rapporto con la magistratura (con tanto di odioso “attacco ad personam”). Da qualche parte si comincia a parlare di “fascistizzazione”: sarà il caso di non lasciar cadere questo allarme. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it