CHI SONO GLI “ARDITI DI MILANO” COLPEVOLI DEL DELITTO MATTEOTTI

di Walter Galbusera – Presidente Fondazione Anna Kuliscioff | 10 giugno 1924, il delitto Matteotti: quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. L’intervento di Walter Galbusera, Fondazione Anna Kuliscioff Il delitto Matteotti, quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. Gli atti istruttori del primo processo, di cui è stata ritrovata recentemente una copia negli archivi della Fondazione Anna Kuliscioff, confermano il torbido intreccio di violenze politiche ed affari in cui la CEKA, un gruppo operativo di squadristi (mutuando il nome della polizia segreta politica di Lenin nei primi anni della rivoluzione bolscevica) agiva come longa manus del regime non solo contro gli avversari ma anche contro i dissidenti fascisti considerati “traditori”. Gli uomini della Ceka fascista, insediata da Mussolini, sono ex combattenti, arditi addestrati all’uso del pugnale che hanno rischiato ogni giorno la morte. Dopo la guerra sono divenuti pregiudicati o spiantati in cerca di ruolo e di danaro. In maggioranza fanno parte del gruppo “Arditi fascisti di Milano” anche se nessuno di loro ha partecipato alla riunione costitutiva dei fasci di combattimento in piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919. I sequestratori Amerigo Dumini è il capo della CEKA, toscano di origine, nato in Texas da un pittore fiorentino emigrato. Rientra in Italia per arruolarsi nell’Esercito Regio rinunciando alla cittadinanza USA). Volontario nei battaglioni della morte fatto da arditi, invalido di guerra, medaglia d’argento al VM. Si presenta così: “Dumini, nove omicidi”. Dispone di una stanza al Viminale, allora sede della Presidenza del Consiglio, utilizzata anche come agenzia d’affari. Nel cortile del Viminale parcheggia l’auto del sequestro. La prima cosa che Dumini dice rivolgendosi al magistrato Del Giudice è: “Cosa siete venuti a fare, il Presidente è informato di quanto loro stanno facendo?” Arrestato due giorni dopo il delitto mentre cerca di tornare a Milano in treno, Dumini confessa il 18 ottobre 1924. In carcere ha chiesto una stanza (a pagamento) in comune con Volpi e Viola e un sarto per farsi un abito. Volpi Albino, milanese. Per il ministro degli interni generale De Bono “in guerra Volpi vale tanto oro quanto pesa”. È un “caimano del Piave”, che di notte attraversa il fiume per pugnalare le guardie austriache. Una (falsa) testimonianza di di Mussolini in un processo del 1920 lo salva da una condanna per omicidio. Ebanista, invalido di guerra. Presidente dei 600 Arditi di Milano, curava gli affari di questa Associazione. Legato anche al capo degli Arditi capitano De Vecchi e al poeta Filippo Tommaso Marinetti. Amleto Poveromo, di professione macellaio, volontario in guerra come ardito, è lecchese ma milanese di adozione. Giuseppe Viola, l’assassino materiale di Matteotti, è un ardito milanese anche lui un “caimano del Piave”, già condannato per rapina e per diserzione, poi amnistiato nel 1919. Dopo il sequestro era sul sedile posteriore dell’auto accanto a Matteotti e, per attenuare le sue responsabilità, sostiene di essere stato colpito da un attacco di ulcera. Augusto Malacria, l’autista del sequestro, è milanese, giovane di distinta famiglia. “Un volto diverso dalle facce patibolare degli altri sicari” scrive il magistrato Mauro Del Giudice. Era un ex capitano che dopo la guerra aveva dilapidato la cospicua eredità paterna in una sfortunata attività imprenditoriale, conclusasi con un’accusa di bancarotta fraudolenta. Aiutano i sequestratori ma non partecipano direttamente al delitto Aldo Putato, un milanese che aveva conosciuto Dumini a Roma durante il servizio militare. È il più giovane e l’unico a non essere un ex combattente. Ispettore “viaggiante” del Corriere Italiano per assunzione clientelare. Filippo Panzeri, fa parte della sezione Arditi di Albino Volpi, anche lui ispettore “viaggiante “assunto da Filippelli al Corriere Italiano. Otto Thiershild, detto “il russo”. Il magistrato Del Giudice lo definisce “un relitto umano, la figura più lercia e ripugnante del gruppo.” Nato in Austria, diserta per passare come spia agli italiani, Inizialmente di simpatie socialiste, poi vicino al partito comunista, informatore doppiogiochista, anche lui vive a Milano. A Roma controlla i movimenti di Matteotti presentandosi addirittura a casa del deputato socialista e non manca di avvertire Matteotti che “corre dei rischi”, senza però avvertirlo del progetto di sequestro. Secondo “il russo” Dumini voleva da Matteotti “documenti che toglievano il sonno a una o più persone”. Viene arrestato a Milano nella sede della Camera del Lavoro. In carcere chiede un incontro con i rappresentanti di tutti partiti per raccontare altri delitti e profetizza che “ Il governo dovrà essere trasferito a Regina Coeli.” Il “facilitatore” del sequestro è Filippelli Filippo, nato a Cosenza si trasferisce per lavoro a Milano come segretario di Arnaldo Mussolini al Popolo d’Italia, dove conosce Dumini. Direttore del filofascista Corriere Italiano di Roma è al centro di una intensa attività di affari volta al finanziamento della stampa fascista. Gli interessi sono di varia natura, vanno dal commercio dei materiali di guerra alle banche, da industrie come l’Ansaldo alle Ferrovie. Affitta l’auto usata per il sequestro di Matteotti. Si difende presentandosi come l’ala dialogante del PNF fautore della “Pacificazione”, tramontata nel settembre 1921 per l’intransigenza dei fascisti radicali come Farinacci. Il suo vero progetto politico è probabilmente quella di far nascere un quotidiano filofascista (sostenuto da Ilva, Piaggio, Eridania, Ansaldo e in parte da Fiat) come contraltare del Corriere della Sera del senatore Albertini. Gli intermediari tra il Duce, i sicari e Filippelli Il generale Emilio De Bono, (lombardo di Cassano d’Adda, fucilato a Verona nel 1944) senatore e capo della Polizia. È l’uomo di garanzia del re nel rapporto con Mussolini. Toglie la scorta a Matteotti pochi giorni prima del delitto. Interviene direttamente nell’inchiesta e fa trasferire gli oggetti sequestrati a Dumini ( che contengono le prove evidenti del delitto) al ministero degli interni ma poi li restituisce agli inquirenti. Il suo ruolo fece dire a uno dei figli di Giacomo Matteotti che il vero mandante del delitto era il re che voleva impedire la rivelazione di alcuni affari della casa reale. Cesare Rossi è il consigliere più autorevole di Mussolini, la sua “eminenza grigia”. Di origini toscane, fino al 1915 socialista, direttore della …

86 ANNI FA L’ASSASSINIO DEI FRATELLI ROSSELLI

di Francesco Somaini – Presidente Circolo Carlo Rosselli Milano | CIRCOLO CARLO ROSSELLI MILANO 86 anni fa, il 9 giugno del 1937, i sicari del gruppo fascista francese della Cagoule, assoldati dal regime mussoliniano, assassinavano in una strada di campagna che conduceva al piccolo borgo normanno di Bagnoles-de-l’Orne i fratelli Carlo e Nello Rosselli. I due stavano rientrando in automobile da una gita nella vicina cittadina di Alençon. Una vettura, apparentemente  guasta, li attendeva in mezzo alla strada, in un tratto di bosco poco trafficato. I due fratelli si fermarono per capire di che si trattasse. Ma era un agguato. Un’altra auto sopraggiunse alle loro spalle. E i due Rosselli vennero trucidati.   Cresciuti in una famiglia dai radicati valori patriottici, civili e risorgimentali (Giuseppe Mazzini era morto in casa Rosselli nel 1872), Carlo e Nello, nati rispettivamente nel 1899 e nel 1900, si erano formati – grazie anche alla madre Amelia, figura di raffinata intellettuale, per certi versi anticipatrice delle tematiche femministe – con profonde convinzioni democratiche, supportate anche da una fortissimo senso etico. All’avvento del Fascismo, nel 1922, pur essendo in effetti ancora molto giovani, i due avevano da subito concepito una convinta e spontanea opposizione alla dittatura e alle sue violenze ed ai suoi soprusi squadristici: un sentimento che soprattutto dopo il delitto Matteotti, del 1924, si era poi tradotto in un assoluto e radicale imperativo di dissenso e di resistenza, e che con gli anni non si era certo placato. Dei due fratelli, Sabatino, detto Nello, era il minore.  Nel 1937, quando venne assassinato, era già diventato un brillante studioso. Le sue ferme convinzioni democratiche e antifasciste erano sempre ben vive, ma nel corso degli anni si erano concretizzate più che altro negli studi storici (cui egli era stato avviato dal suo maestro Gaetano Salvemini): in particolare sulle tradizioni politiche democratiche e libertarie (Mazzini e Bakunin) e sulle origini risorgimentali del Socialismo italiano (Pisacane). Egli fu ucciso nell’agguato di Bagnoles-de-l’Orne perché (con un permesso rilasciatogli con sospetta disinvoltura e celerità dalla questura di Firenze) si era recato in Francia a far visita al fratello Carlo, da tempo esule, in quel lontano villaggio termale in cui egli si trovava per delle cure. Carlo Rosselli, che a suo tempo era stato volontario nella Grande Guerra (al pari di un terzo fratello più grande, Aldo, morto in Carnia nel 1916) in quel 1937, era noto come l’infaticabile animatore, nonché come il riconosciuto punto di riferimento, del movimento antifascista di Giustizia e Libertà, da lui fondato a Parigi, assieme ad altri fuoriusciti, nell’agosto del 1929. In precedenza egli si era peraltro messo in luce come colui che nel 1926 aveva organizzato (assieme a Ferruccio Parri e a Sandro Pertini) l’avventurosa fuga dall’Italia dell’anziano leader socialista Filippo Turati, per la qual cosa era poi stato condannato al confino nell’isola di Lipari, da cui però fuggito nel luglio del 1929 con una rocambolesca fuga in motoscafo, che lo aveva portato per l’appunto in Francia. Al momento dell’agguato che gli tolse la vita, egli si trovava appunto a Bagnoles-de-l’Orne, dove era stato raggiunto anche dal fratello, perché aveva dovuto sottoporsi alle cure per una fastidiosa flebite: una trombosi alla gamba che gli impediva quasi di camminare e che lo aveva costretto a lasciare temporaneamente la Spagna, ove era accorso mesi prima alla testa di una colonna di volontari antifascisti italiani, da lui messi in piedi per portare soccorso e sostegno alla causa della Repubblica Spagnola, contro i militari golpisti che stavano tentando di rovesciarla. Prima di recarsi in Spagna, Carlo Rosselli, nella sua veste di capo di Giustizia e Libertà, si era in effetti già da tempo distinto come un indefesso organizzatore politico e come un irriducibile nemico del fascismo (memorabili, tra l’altro, erano state alcune delle imprese da lui promosse, come ad esempio, nel 1930, l’audace volantinaggio aereo su Milano compiuto con un volo partito dal Canton Ticino). Era anche ben noto come una penna dalla fresca e formidabile potenza espressiva. Sin dagli anni giovanili i suoi scritti su testate come la “Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti o come la rivista socialista “Critica Sociale” si erano contraddistinti come dei pezzi ad un tempo forti, lucidi e coraggiosi. E lo stesso poteva dirsi dei giornali da lui stesso co-fondati, come il fiorentino “Non Mollare!” (cui avevano collaborato anche Nello, Ernesto Rossi e lo stesso Salvemini) o come il milanese “Quarto Stato” (con-diretto con il socialista Pietro Nenni), poi entrambi chiusi dal regime mussoliniano rispettivamente nel 1925 e nel 1926. Una volta in Francia aveva poi assunto la direzione della rivista “Giustizia e Libertà”, organo dell’omonimo movimento da lui fondato, dalle cui colonne aveva cercava di dare slancio al fuoriuscitismo antifascista e di tenere in vita, seppure dall’esilio, una ferma voce di opposizione a quel regime che in Italia aveva brutalmente soppresso e soffocato libertà, diritti e democrazia. E non è tutto, perché prima di arrivare ai 30 anni Carlo Rosselli si era rivelato anche un intellettuale di grande e potente lucidità: al tempo del confino liparota (tra il 1927 ed il 1929) aveva scritto infatti il formidabile trattato “Socialismo Liberale” (poi pubblicato in Francia dopo l’evasione), in cui muovendo da una nitida riflessione sui limiti del movimento socialista (spesso prigioniero di un determinismo dogmatico, che lo costringeva ad un’attesa messianica, e non di rado passiva, dell’avvenire), aveva messo in evidenza, con grande capacità analitica come gli ideali di Giustizia e di Eguaglianza propri del Socialismo non potessero in realtà prescindere in alcun modo dalla piena assunzione del principio della Libertà. Le quale Libertà, a sua volta, per essere pienamente tale non poteva evidentemente essere declinata (come troppo spesso avveniva per i Liberali) come una sorta di privilegio riservato a pochi, ma doveva necessariamente estendersi a tutti quanti, per inverarsi quindi proprio nell’egualitarismo dei Socialismo. Il Socialismo Liberale di Rosselli non era quindi da intendersi – come talora lo si mistifica da parte di alcuni sciatti commentatori dei nostri giorni – come una versione blanda e annacquata del Socialismo stesso, ma come una concezione …

SETTANT’ANNI FA: LA LEGGE TRUFFA

di Franco Astengo | 7 giugno settant’anni fa: gli italiani furono chiamati al voto per le elezioni della II legislatura repubblicana. E’ il caso di ricordare quel passaggio proprio adesso mentre è vigente una formula elettorale dai profili incostituzionali (dopo che altre due sono state bocciate dalla Corte grazie all’iniziativa di singoli coraggiosi nel silenzio delle forze politiche): un tema ormai abbandonato quello della formula elettorale (anzi il tema abbandonato riguarda l’insieme delle norme che regolano il diritto di voto che presentano ormai rilevanti “discrepanze democratiche” non soltanto sul punto della formula che dovrebbe tradurre i voti in seggi parlamentari ma anche, ad esempio, come nel caso del voto all’estero). Effetto “rappresentatività del voto” del resto violentato con la stupida riduzione del numero dei parlamentari avvenuta nel 2020. Andando per ordine: il 18 aprile 1948 nelle elezioni per la I legislatura repubblicana la DC aveva ottenuto il 49,8% dei voti e la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, formando un governo quadripartito presieduto da De Gasperi e comprendente i rappresentanti di Unità Socialista che poi nel corso della legislatura avrebbero formato il PSDI, il PRI e il PLI. Prima dell’inizio della II legislatura si svolsero in Italia, in due tornate, tra il 1951 e il 1952, le elezioni amministrative e si compì, tra De Gasperi e il Vaticano uno “strappo” circa la proposta, rifiutata dal Presidente del Consiglio, per la formazione di un “listone” alle elezioni comunali di Roma comprendente anche i neo-fascisti del MSI. L’esito complessivo della tornata amministrativa ’51-’52 mise in allarme la maggioranza di governo. Infatti, la DC vide diminuire il suo consenso di ben 13 punti percentuali rispetto al 1948. Questo significava che, se lo stesso fenomeno si fosse riprodotto al momento delle elezioni politiche, la geografia politica del Parlamento sarebbe stata profondamente modificata. Inoltre, il dato che emergeva in modo chiaro dai risultati elettorali era quello della tendenza di un sistema che nella sua prima manifestazione era apparso fortemente bipolare (il Fronte Democratico Popolare aveva ottenuto il 31%, quindi i due primi partiti assommavano circa all’80% dei voti su di una partecipazione complessiva del 92,23%), a diventare almeno tripolare a causa della forte legittimazione ottenuta nella competizione, soprattutto al Sud, dal Partito Monarchico e dal MSI. Questo risultato produsse nella classe politica di governo e in particolare all’interno della DC quella che viene comunemente definita come “sindrome di Weimar”: ovvero il timore che i partiti posti ai due estremi dell’arco parlamentare possano strategicamente unire le loro due opposizioni contro il governo e rendere, di fatto, il sistema ingovernabile. In questo clima maturò, alimentata anche dal timore che lo scontro Est-Ovest potesse travalicare i confini della guerra fredda e portare il mondo verso un terzo conflitto mondiale, la decisione di “blindare la democrazia”. Scelta fortemente sostenuta dagli Stati Uniti attraverso l’ambasciatrice Clara Boothe Luce, un esempio di vera e propria “ferocia” anticomunista. Il metodo seguito per ottenere questo risultato fu quello di realizzare un cambio del sistema elettorale in modo da permettere alla formula degasperiana del centrismo di mantenere e consolidare la guida del Paese. Si avviò così, sul finire della I legislatura un acceso dibattito in Parlamento e nel Paese. Dibattito avviato attorno al progetto di riforma elettorale presentato dal ministro dell’interno Scelba nell’ottobre del ’52. Il “progetto Scelba” intendeva promuovere l’assegnazione di un premio d maggioranza del 65% dei seggi al partito o alla coalizione di partiti apparentati che avessero ottenuto un consenso pari almeno al 50% più uno del totale dei voti validi (come si può osservare si trattava, comunque, di un vero e proprio premio di maggioranza). La determinazione con cui il governo perseguì l’approvazione del progetto, dimostrata dall’aver posto la “fiducia” in entrambi i rami del Parlamento (come poi sarebbe accaduto nel 2015 nell’occasione dell’Italikum poi bocciato dalla Corte Costituzionale), l’anomalia delle procedure (in particolare nell’occasione del voto finale al Senato) e le accuse di volontà di manipolazione del risultato elettorale che le opposizioni lanciarono a più riprese alla Democrazia Cristiana restarono nella memoria collettiva attraverso l’epiteto appunto – di “legge truffa”, inventato dalla fertile mente propagandistica di Giancarlo Pajetta. Un dibattito arroventato che ebbe anche importanti conseguenze politiche sui partiti che appoggiavano la DC e all’interno dei quali non mancarono le voci di distinguo fino a provare vere e proprie scissioni che sfociarono nella formazione di liste schierate contro l’apparentamento centrista: da PSDI e PRI, Parri e Calamandrei formarono “Unità Popolare”, dal PLI l’ex-ministro Epicarmo Corbino (che aveva sostituito al ministero dell’Economia Luigi Einaudi, quando questi era stato eletto alla Presidenza della Repubblica) fondò l’Alleanza Democratica Nazionale e si schierò contro la nuova legge anche un’altra piccola formazione di ex-PCI usciti dal partito a causa dello “scisma” jugoslavo e guidata dai deputati Cucchi e Magnani formando l’Unione Socialista Indipendente (USI). Tre gruppi che, alla fine, non ottennero seggi al Parlamento ma le cui percentuali ebbero indubbiamente un peso sull’esito finale della vicenda. Anche la campagna elettorale risultò particolarmente “calda”: il responsabile della propaganda del PCI, Giancarlo Pajetta, inventò anche dopo quello della “legge truffa” il celebre motto dei “forchettoni” rivolto ai notabili democristiani e la stessa DC; o meglio un suo giovane astro emergente Umberto Tupini incappò in un clamoroso infortunio, organizzando a Roma una mostra fotografica sulla “Chiesa del Silenzio” per dimostrare le condizioni di vessazione in cui versava la Chiesa Cattolica nel Paesi dell’Est al “socialismo reale”. Fu, però, dimostrato, che la mostra era composta di fotomontaggi e che i sacerdoti ritratti dietro il filo spinato o stretti dalla guardia dei “vopos” se ne stavano tranquillamente a Roma e si erano prestati come comparse. I risultati elettorali non furono quelli auspicati dal Governo. Rispetto ai risultati delle amministrative la DC dimostrò notevoli doti di recupero (perdendo però rispetto al 1948 circa due milioni di voti), ma alla fine i partiti apparentati non ottennero la maggioranza assoluta per uno scarto minimo di 34.000 voti. Come era già avvenuto per il referendum istituzionale si parlò di brogli. De Gasperi, però, non rivendicò il riconteggio delle schede accettando il risultato …

UN ACCORDO EQUO PER I LAVORATORI

Ordine del giorno approvato dal 15° Congresso della Confederazione Europea dei Sindacati a Berlino per una mobilitazione europea Lavoro: Landini, al via mobilitazione sindacati europei Presentato da: CGIL, UIL, USS, CSDL, FO, OeGB, UNSA, UATUC, CFDT, ABVV-FGTB, UGT, ACV-CSC, CGT, CCOO, CGSLB-ACLVB, ZSSS, Eurocadres, EFFAT, EPSU, UNI Europa, IndustriAll Europe, Comitato Giovani, Comitato Donne, ETF, EFBWW Dopo anni di politiche di austerità, culminate in una disastrosa risposta alla crisi economica e finanziaria globale del 2008, le risposte dell’UE e dei suoi Stati membri alle conseguenze sociali ed economiche della pandemia COVID sono state efficaci e solidali.L’attuale proposta della Commissione europea di rivedere la governance economica e il Patto di crescita e stabilità rischia di spingere i nostri sistemi nazionali verso politiche restrittive, che ostacolano i necessari investimenti economici e sociali.   Il movimento sindacale europeo è chiamato a mobilitarsi nella lotta per la solidarietà, per strumenti finanziari europei che sostengano crescita sostenibile e occupazione, e per un’economia che dia risultati concreti ai lavoratori, per salari più alti e posti di lavoro di qualità, per una maggiore protezione sociale, per investimenti in servizi pubblici di qualità che garantiscano i diritti di cittadinanza, per una contrattazione collettiva forte e per il dialogo sociale, per i diritti dei sindacati e dei lavoratori, per un aumento degli investimenti pubblici nelle riconversioni industriali, per una politica fiscale giusta e redistributiva. Le risposte inadeguate dell’Europa alle conseguenze economiche dell’aggressione russa all’Ucraina e al crescente crisi del costo della vita, così come la mancanza di condizionalità sociale nel Piano industriale europeo Green Deal, minacciano di annullare i progressi raggiunti negli ultimi tempi e dimostrano una mancanza di solidarietà.Nel frattempo, i salari reali sono diminuiti drasticamente e i salari effettivi sono molto indietro rispetto all’inflazione, spinta essenzialmente da profitti straordinari e non da aumenti salariali. I salari reali della maggioranza dei lavoratori erano già diminuiti durante la crisi del Covid 19. Non si assisteva a uno sviluppo così disastroso da molto tempo.La massiccia diminuzione dei salari sta determinando un’enorme redistribuzione dal lavoro al capitale. Le conseguenze di questa crisi del costo della vita sono state aggravate dagli attacchi ai diritti sindacali e alle condizioni di lavoro e, contemporaneamente, i tentativi di criminalizzare la solidarietà sindacale internazionale sono sempre più preoccupanti. Negli ultimi mesi, lavoratori e pensionati sono scesi in piazza in tutta Europa con gli stessi obiettivi: per aumenti salariali, per un lavoro sicuro, dignitoso, stabile e non più precario, per investimenti pubblici, per pensioni eque, per la difesa dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza e dei servizi pubblici, per un sistema fiscale equo, che tolga a chi è più ricco e a chi specula; per la parità di diritti e di salario tra uomini e donne, soprattutto perché sono le donne le persone colpite in modo più sproporzionato dall’austerità e dai tagli; per un nuovo modello di sviluppo europeo basato sulla transizione giusta, sulla giustizia sociale, sull’equità, sull’inclusione, sulla democrazia reale a partire dai luoghi di lavoro. Su questi obiettivi, il 15° Congresso statutario della CES riunito a Berlino decide di promuovere un percorso di mobilitazione e di azioni a partire dal mese di giugno con diverse iniziative nazionali che porteranno in autunno a una giornata di mobilitazione europea.Anche i membri della Segretaria e della Presidenza della CES eletti da questo Congresso parteciperanno attivamente a queste iniziative, per dare forza e unità all’azione sindacale europea. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

2 GIUGNO

di Franco Astengo |  La ricorrenza del 2 giugno, fondazione della Repubblica attraverso l’esito del referendum istituzionale merita una particolare attenzione da parte di chi pensa ancora di sollevare il proprio pensiero nel solco di quello dei Padri Costituenti esercitato nel momento in cui si delinearono i principi fondativi della nostra Democrazia Repubblicana. Democrazia Repubblicana sottoposta nel corso degli anni a diversi attacchi, modificata in alcuni suoi aspetti sostanziali in maniera negativa, ma tutto sommato difesa e ancora viva nella prassi politica e nella coscienza di un gran numero di cittadine/i. In questa fase abbiamo però di fronte una grande problema politico: l’attacco che sta arrivando è portato avanti in un quadro di governo i cui esponenti non soltanto risultano estranei a quello che fu il processo costituente negli anni della Liberazione ma si collocano in una – non smentita – continuità ideale con quella parte che all’epoca compì scelte opposte fiancheggiando coloro che avevano invaso il nostro Paese nel mentre. in un delirio di potere e di sangue, stavano perpetrando la più grande tragedia della Storia. Sono passati 77 anni purtuttavia questa “frattura” istituzionale, politica, morale, storica non può essere messa da parte quasi che la scrittura della Costituzione fosse avvenuta come se si fosse trattato di un normale superabile “incidente della storia”. Il giudizio di nettezza che emerge leggendo la nostra Carta fondamentale individuando la separazione tra democrazia e sopraffazione deve essere ricordato con forza, senza tentennamenti o gratuite concessioni in questo prossimo 2 giugno 2023. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LICIO NENCETTI: CAPO PARTIGIANO MARTIRE SOCIALISTA

Il padre Silvio fu vicesindaco Socialista dal 1919 al 1921 del paese natale di Licio, Lucignano nell’articolo. A seguito delle percosse di un feroce pestaggio fascista Silvio mori’ e l’impegno nella guerra partigiana a 17 anni di eta’ del figlio Licio si deve al desiderio di mantenere e riproporre le idee socialiste del padre, come egli scrive in una lettera alla madre che ci e’ pervenuta e con cui giustifica la decisione di prendere le armi contro i repubblichini. Lo ricorda cosi Raspanti, animatore della locale etiope Anpi a suo nome intitolata. E’ un intervento commosso, quello di Raspanti. Che infervora e appassiona la piazza di Talla, rievocando il passato con uno sguardo rivolto al presente. “I giovani di oggi devono conoscere appieno le gesta di Licio e dei partigiani della “Teppa”, comprendere i valori e gli ideali dei resistenti che non erano solo comunisti ma anche socialisti, azionisti, repubblicani, democristiani, liberali, persino monarchici. Tra questi ricordo con affetto un sacerdote, Don Piero Magi, che avevo conosciuto a Foiano della Chiana e che divenne un nostro collaboratore. Ricordo che ci dividevano molte cose, lui cattolico, noi partigiani comunisti, lui leggeva l’Avvenire, noi l’Unità. Don Piero era ‘l’acqua santa’ e noi ‘il demonio’, ma sapevamo comprenderci, collaborare rispettandoci reciprocamente. Licio Nencetti è stato un grande partigiano nonostante la sua giovane età. Ha compiuto azioni memorabili che Radio Londra esaltò. Operò attaccando i fascisti e i tedeschi, uccidendo anche alcuni alti ufficiali germanici come a Ponte a Caiano e a Foiano senza che vi siano state rappresaglie verso la popolazione. Oggi, io ho 85 anni, e non avrei mai pensato che l’Italia sarebbe caduta sotto un nuovo tipo di fascismo, più subdolo ma non meno pericoloso. A pochi giorni dal 2 giugno, Festa della Repubblica, assisto con dispiacere e sofferenza all’avanzare del revisionismo e alla cancellazione dei partiti che dettero vita alla Resistenza con l’oblio delle idealità”. Licio Nencetti Viene ucciso a Talla (AR) 26 maggio 1944 Medaglia d’Oro al Valor Militare Due giorni innanzi, il 24 maggio 1944, il diciottenne Licio Nencetti, proveniente dal Pratomagno dove si era incontrato con Aligi Barducci “Potente” (Comandante la Divisione “Arno”), a seguito di delazione, è catturato da un nutrito reparto della guardia nazionale repubblichina. Tradotto al comando del “distretto militare di Poppi” viene sottoposto a stringenti interrogatori, intervallati da inenarrabili torture, ma egli si rifiuta di fornire ai fascisti di Salò le notizie che essi pretendono. Due giorni durano le torture da parte dei fascisti per avere informazioni. Nencetti, ridotto a rottame umano dalle criminali sevizie, condannato a morte senza processo, il 26 maggio 1944 viene trasportato a Talla e posto di fronte al plotone d’esecuzione. Al momento dell’ordine dell’ufficiale di aprire il fuoco, il picchetto non esegue l’ordine, mentre Nencetti, che non ha voluto essere bendato, grida “Viva l’Italia libera!”. L’ufficiale innervosito per il rifiuto dei militari di sparare scarica la sua pistola sul volto del condannato. Nell’episodio muore anche un ragazzo di nome Marcello Baldi che da dietro la porta della chiesa di Talla seguiva la scena. Viene ucciso da una raffica di mitra sparata dai militi fascisti. Licio Nencetti era nato a Lucignano il 31 marzo del 1926. La figura e le idee del padre contribuiscono alla sua formazione politica, mentre dalla madre, Rita, apprese l’amore e l’altruismo. Quando il padre, Silvio, muore a causa delle percosse dei fascisti, Licio aveva 12 anni. Nonostante ciò continua gli studi a Foiano, dove ha i suoi primi contatti con gli antifascisti del luogo, contribuendo nel contempo al mantenimento della famiglia. E’ ancora studente quando, nel 1940, scoppiò la seconda guerra mondiale. Il trascorso del padre e gli ideali antifascisti lo portano dopo l’8 settembre 1943 ad andare tra i primi nelle montagne del Casentino. In quell’occasione scrive alla madre “io non potevo più stare quassù in mezzo ad una masnada di vigliacchi. Io vado con i ribelli per difendere l’idea di mio padre, che è sempre viva in me e per ridare ancora una volta l’onore alla mia bella Patria”. Presto emergono le sue qualità di combattente e diventa comandante della squadra volante “La Teppa”; compiendo numerose azioni di guerra. A Licio Nencetti partigiano gli è stata dedicata una canzone: “Compagni se vi assiste la memoria ricorderete i tempi d’oppressione quella punta funesta della storia che mise tutto il mondo in perdizione. I popoli fra lor fecero guerra ognuno perse il senno e la ragione la morte dilagò sopra la terra ovunque fu rovina e distruzione. Nel cielo tonò il rombo del cannone l’Italia si dovette inginocchiare i tedeschi vi fecero invasione si videro i fratelli deportare. Per noi non ci fu pace e compassione abbandonati fummo a trista sorte il re tradì per primo la nazione ed al nemico spalancò le porte. Molti fatti di sangue e disumani si videro dovunque consumare famiglie trucidate come cani in ogni strada e in ogni casolare. A quei tempi a Arezzo fu Licio Nencetti che alla ventura gli toccò scappare la sua memoria meriti rispetti e la sua storia ognun deve ascoltare. (…) Etc…. (da STORIE DIMENTICATE-Ti racconto per non dimenticare Comandante Lupo-immagini -Lucignano primi anni 40 Licio Lencetti con la madre Rita Aguzzi-Talla (AR dove perse la vita-targa in memoria in piazza Tribunale 22 (Municipio) – Lucignano, AR. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI EFFETTI DEL CLIMA SULL’EMIGRAZIONE

Premessa Francia e Italia si beccano sull’emigrazione. I commenti spesso riguardano il dito e non la luna. Fuor di parafrasi dobbiamo constatare che l’insistere che l’emigrazione è un’emergenza mette al riparo chi lo dice dalle incapacità a prendere atto che emergenza non è. L’ONU, una decina di anni fa, scrisse che “Le Nazioni Unite considerano che le cause ambientali possano produrre emigrazioni fino a 200 milioni di persone entro il 2050”. E allora che emergenza è un fenomeno previsto in tali dimensioni; un fenomeno che si manifesta continuativamente, in più parti del mondo, per anni, per cause ambientali, cioè per guerre e guerriglie locali, per siccità e alluvioni, per gli effetti del cambio di clima, per persecuzioni religiose, tribali ed etniche, per mancanza di sviluppo e possibilità di vita? Data l’ampiezza del tema limito il mio commento alle conseguenze degli effetti del cambio del clima offrendo un esame del rapporto tra tali effetti e l’emigrazione Quando ascoltiamo o leggiamo l’informazione sul clima commentiamo ma spesso la nostra attenzione si esaurisce lì, o quasi. Greta Tumberg è vista spesso come un fenomeno quasi immaturo, giovanile, soprattutto dai saccenti e paternalisti e dai negazionisti del cambio climatico. La polemica politica su emigrazione e immigrazione è di scena da alcuni anni e anche in questo periodo richiama l’attenzione. Ma siamo sicuri che siamo stati messi nella condizione di sapere tutto o almeno quanto necessario per capire correttamente quel che accade e che accadrà? In Italia abbiamo un precedente causato da eventi climatici; lo riferisco qui in fondo.   La crescita della temperatura media globale La crescita della temperatura media globale del pianeta causa conseguenze fisiche, ambientali ed esistenziali. I trattini del grafico, in basso, sono medie decennali di temperatura dal 1850. il primo trattino a destra in alto mostra la media del decennio 2000-2010. Che vi sia innalzamento medio della temperatura è evidente. La temperatura cresce perché aumenta l’effetto serra. Il calore degli strati bassi dell’atmosfera che avvolge la terra è trattenuto dal vapore acqueo, dall’anidride carbonica e dal metano. Questo è l’effetto serra positivo ed è benefico per la vita sulla terra, altrimenti la temperatura sarebbe troppo fredda e la terra invivibile. Se questi gas aumentano trattengono più calore che è reirradiato sulla terra e aumenta la temperatura. Questo è l’effetto serra negativo ed anche le conseguenze sono pesantemente negative. L’immagine fa vedere che c’è un tetto, un ombrello circolare dell’atmosfera che provoca il rimbalzo del calore verso terra, come indica la freccia spezzata. Il calore aumenta e ne rimbalza sempre di più verso terra aumentando la temperatura, perché sono usati troppi combustibili fossili, gli idrocarburi, che derivano dalla trasformazione di sostanze organiche in forme più ricche di carbonio. Sono il petrolio e suoi derivati (benzine, gasolio, solventi, cherosene, oli lubrificanti, catrame), il carbone e il gas naturale. Tutti questi arricchiscono i cosiddetti gas serra. Da tempo si aggiunge anche il metano del permafrost. Infatti nel permafrost, che è la parte di terra che è congelata nella zona artica dall’ultima glaciazione (16.000/18.000 anni fa), per esempio in Siberia, l’acqua ghiacciata che vi è imprigionata, fondendo a causa dell’aumento della temperatura, libera man mano il metano che anch’esso è lì imprigionato. Il metano ha un potere calorifero maggiore di circa 25 volte quello dell’anidride carbonica e si aggiunge ad essa nell’atmosfera. Una parte dell’anidride carbonica è assorbita dagli oceani e ciò produce l’acidificazione delle acque marine, che è dannosa per il plancton e per il ciclo alimentare animale e umano. Muoiono alghe e coralli. L’acidificazione rende difficile la formazione di gusci di animali marini, anche dei crostacei. Si produce l’alterazione dell’equilibrio nel ciclo alimentare umano con conseguenze sulle persone.   L’aumento della temperatura dell’acqua marina, inoltre, riduce la propria capacità di trattenere l’anidride carbonica. Quindi i mari ne assorbono meno e l’anidride carbonica si aggiunge al resto dei gas nell’atmosfera. Le acque marine si sono innalzate di 25 centimetri in 120/130 anni. Sta continuando l’innalzamento per la fusione dei ghiacci polari che – tuttavia – incidono per ora meno della fusione dei ghiacci montani sull’innalzamento del livello del mare.  La fusione dei ghiacci montani produce conseguenze sulla irrigabilità delle terre a valle dei corsi d’acqua, sulla producibilità di specie alimentari vegetali e alla loro scomparsa produttiva; produce conseguenze a danno dei pascoli e delle persone. Insomma, produce – ha già prodotto – siccità diffusa e inaridimento. E i ghiacciai italiani ? Fondono. Il grafico mostra il comportamento dei ghiacciai alpini sui due versanti, italiano (in blu) e svizzero (in rosso), dal 1925 al 2005. In circa mezzo secolo le Alpi hanno perso il 30% della loro estensione ghiacciata, circa 150 kilometri quadrati. I ghiacciai alpini scompariranno entro 40-50 anni. Le stime del programma alimentare mondiale dell’ONU e della FAO valutano che la produzione agricola, entro il 2050, potrebbe ridursi del 30 per cento in Africa e del 21 per cento in Asia. Quindi l’ONU ha previsto che dall’ Africa si determini uno spostamento migratorio, una fuga dalla fame, di 70 milioni di persone entro il 2030 e di 200 milioni di persone nel mondo entro il 2050. Questa informazione è una di quelle che non consente di considerare emergenza ciò che accade, data la dimensione quantitativa e temporale del fenomeno. Sull’Africa riferisco un dato recentissimo, del 2020. Gli africani emigrati fuori del loro continente al 2020 erano circa 11 milioni in Europa, quasi 5 milioni in Medioriente e più di 3 milioni in Nordamerica. Per un totale di 19 milioni. Ne mancano 51 milioni per completare la previsione dell’ONU. Chiunque abbia un minimo di razionalità capisce che la questione dell’ immigrazione è un dato non di emergenza temporanea, bloccabile, limitabile e su ciò e irragionevole costruire ipotesi di azioni di forza. Invece il dato va assunto come un dato di non breve periodo affinché sia gestito, regolato, con politiche di integrazione e di sviluppo e programmi governativi corrispondenti. Gli effetti del cambiamento climatico sono in corso e penso che siano d’interesse solo tre esempi per entrare in questa tematica con ulteriore approfondimento …

IL TEMPO DELLE CONTRO-RIFORME

Una volta, a cavallo dell’autunno caldo del ’69  diritti, tutele e nuove e piu’ avanzate norme sul piano sociale erano realizzate contrattualmente e per legge (vedi ad es. la Legge 300/70) sulla spinta e con riferimento alla grande fabbrica e alle conquiste sociali realizzate dalle categorie più forti sindacalmente, dove il potere dei lavoratori era consistente. Oggi, da tempo, certe “controriforme” (perché tali appaiono certe norme varate dal Governo Meloni  ed anche da precedenti) spesso hanno come riferimento i settori più deboli sindacalmente o oggettivamente perché in crisi e dove il sistema del mercato del lavoro, per varie ragioni è stato destrutturato. Ha poco da battere la “grancassa” la premier Maroni sui risultati maturati con il discusso “decreto lavoro”. La maggior parte del complesso decreto riguarda la soppressione del reddito di cittadinanza sostituito da nuove misure come l’assegno di inclusione ed altre iniziative tendenti a favorire (confusamente) un percorso di inserimento nel  mercato del lavoro di inoccupati (cronici ?) destinatari dell’assegno. Ritorneremo analiticamente sull’argomento, ma possiamo fin d’ora affermare che la strada per favorire una occupazione “buona” (perché prevalentemente stabile e ragionevolmente  remunerata sulla base dei bisogni sociali esistenti e dei meriti professionali) non si realizza con norme burocratiche, ma con politiche industriali di rilancio dei nostri assetti produttivi, con una politica salariale collegata alla produttività oggi carente nel nostro sistema, con un riassetto dell’apparato produttivo e dei servizi privo di grandi e competitive grandi imprese.   Ciò premesso, il decreto governativo, a parte una serie di norme sulla sicurezza e tutela della salute dei lavoratori in azienda, del tutto insufficienti stante la gravità del fenomeno in atto degli incidenti mortali e degli infortuni, interviene sul lavoro a tempo determinato che – assieme a quello a “part-time” e ad altri rapporti di lavoro flessibili costituisce una entità troppo estesa (chiamata appunto  lavoro precario) che costituisce una condizione negativa sul piano sociale -. I contratti a tempo determinato e a “part time” ci sono sempre stati,  in particolare il primo nei lavori stagionali o in presenza di “commesse” straordinarie non ripetibili acquisite da certe aziende. Oppure, per alcune mansioni specialistiche, il periodo di prova consisteva anche di 4/5 mesi, quindi un contratto “a termine” piu’ o meno riconfermato a tempo indeterminato. Nel secondo tipo di contratti, la richiesta (molte volte nel lontano passato  negata dall’impresa) partiva dai lavoratori (spesso erano  lavoratrici) per ragioni familiari facilmente comprensibili. Erano cioè rapporti di lavoro collegati ad una specifica motivazione. Non era la norma! Oggi, invece, con il “decreto lavoro” meloniano, il caso primo (lavoro a tempo determinato) sta diventando la norma (senza alcuna  motivazione),  per adattare i livelli occupazionali aziendali alle dinamiche del mercato, in particolare in quelle aziende a bassa competitività non in grado di stabilizzare la loro presenza commerciale e quindi produttiva nel mercato globale aperto alla concorrenza sempre più competitiva. Vi è anche, una seconda ragione: in quella parte più retrograda del padronato italiano vi è la tendenza all’uso di questo tipo di rapporto di lavoro per poter contare – con questi rapporti non stabili – su una manodopera non rivendicativa e/o disposta a lavorare a “basse condizioni”. Nel caso del part time (che – però- in % non è superiore alla media europea) esso oggi è preteso dalle stesse aziende come alternativa alla CIG in situazioni di crisi stagionali o di non breve durata alternate spesso a periodi di lavoro straordinario. Un sistema moderno, ma avanzato di relazioni industriali non può escludere il ricorso a questi tipi di rapporti di lavoro, come pure quelli di altre forme di flessibilità lavorativa in determinate situazioni e a determinate condizioni.   L’importante che essi non diventino la norma mentre l’eccezionalita’ diventa il lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno. Come pure essi devono essere legati a motivazioni di reale straordinarietà o di particolarità oggettiva tecnico-organizzativa e commerciale. Sono queste  numerose situazioni di non stabilità o continuità di lavoro e quindi di retribuzione che hanno determinato la pesante regressione del salario lordo medio italiano nelle classifiche che riguardano in materia i Paesi U.E. e OCSE e la continua sempre più favorevole distribuzione del reddito per i ceti abbienti a danno del lavoro dipendente dato che i salari e gli stipendi non crescono da anni  in parallelo con le dinamiche dei profitti delle aziende. Da questo punto di vista, la recente decisione governativa di riduzione del cuneo parafiscale sui redditi da lavoro non risolve la negativa dinamica salariale prima menzionata se:  a)  non saranno rinnovati alla naturale scadenza tutti i CCNL (per alcuni settori la vacanza del rinnovo  contrattuale consta  di vari anni), b) se non sarà estesa ovunque la contrattazione integrativa aziendale o territoriale (come indicato dal patto sociale “Ciampi” deel 23/71993, c) se non saranno corrette le numerose situazioni di violazione contrattuale in materia di inquadramento professionale e quindi di regolare livello di retribuzione. Sono d’accordo che queste negative condizioni di lavoro e salariali non datano dall’inizio di questo governo di destra-destra, ma si trascinano da tempo, dai governi Berlusconi, da quelli di centrosinistra, da quelli tecnici e da quelli a guida Conte e cioè M5S (tanto per non far torto a nessuno) ma, bisogna pur mettere un freno ad una regressione delle condizioni di lavoro. Si parla tanto di reddito di cittadinanza o di altre misure per contrastare situazioni di povertà, si parla molto di sostenere sufficientemente l’accoglienza di profughi stranieri che fuggono dalla miseria e dalla fame, okey, ma vogliamo anche discutere ed affrontare la condizione (nel complesso negativa) della moltitudine di chi lavora e di chi produce la ricchezza nazionale, utile anche per affrontare le indigenze ricordate? Situazioni di questa complessità, però, non possono essere affrontate con decreti “spot” che affrontano isolatamente singole questioni ignorandone altre. C’è un tutto che si tiene: politiche di bilancio, distribuzione equa delle risorse (fiscalità), contenimento dell’evasione fiscale (il 32% della ricchezza nazionale è rodotta in nero), contenimento dell’inflazione, politiche industriali innovative  e riconversione produttiva in settori tecnologicamente avanzati, ricerca ed innovazione, riqualificazione e formazione professionale per incrociare al meglio offerta e domanda di lavoro, rinnovo puntuale dei …

A PAOLO ROSSI NOSTRO COMPAGNO

dai Diari di Nenni Alla università le cose si sono complicate. Lo studente Paolo Rossi è morto. Era un giovane socialista della sezione studentesca alla quale è iscritta anche Maria Vittoria. Ieri sera la facoltà di diritto era stata occupata dagli studenti antifascisti. Il rettore Papi, molto criticato per il suo atteggiamento complessivo, ha chiesto alla polizia di intervenire per lo sgombero: il che è avvenuto senza incidenti. Sulla morte del giovane Rossi corrono due versioni: che fosse stato bastonato e che sia caduto dal muricciolo dove si era rifugiato per un deliquio susseguente alle botte prese; che si tratti di una disgrazia pura e semplice. L’autopsia dovrebbe darci la chiave dell’enigma. Siamo comunque di fronte a un rifiorire di faziosità e intolleranza di destra che può avere gravi conseguenze. È ciò che ho telegrafato al padre del giovane Rossi e ai suoi compagni di gruppo. Stasera c’è stata alla università una grossa manifestazione di protesta. Ho ricevuto a Palazzo Chigi Codignola, Bertoldi, Marisa Rodano, Lelio Basso, Ingrao che erano preoccupati per possibili incidenti notturni in seguito alla occupazione di alcune facoltà. Si sono fatti eco di accuse, mi pare piuttosto fondate, contro il commissario di polizia del quartiere di San Lorenzo, sospettato di simpatie fasciste. Ho telefonato a Taviani e al capo della polizia che se, anche stanotte, il rettore chiede l’intervento della polizia per sgombrare la facoltà occupata lo invitino ad andare lui tra gli studenti, se ha l’autorità per farlo. Così è stato convenuto. Domani Taviani risponderà alla Camera e Gui al Senato alle interrogazioni sugli incidenti universitari. [Dai diari di Nenni 28 aprile 1966] …. Imponenti e commossi i funerali del giovane Paolo Rossi. Vi ho partecipato con l’animo doppiamente oppresso per il mio lutto e per la morte di un giovane che aveva davanti a sé tutta una vita da vivere. All’università il discorso commemorativo è stato tenuto da Walter Binni, ordinario della facoltà di lettere e durissimo con il rettore. E’ vero che l’autopsia ha confermato che la morte risale alla caduta dal muricciolo dove era salito. Ma la responsabilità morale non muta per questo. [Dai diari di Nenni 30 aprile 1966] Testimonianze Ero con Paolo Rossi quando sulle scalinate di Lettere alla Sapienza fu aggredito e ucciso dai fascisti. Aveva 19 anni. Poi conobbi il padre, pittore, che aveva fatto il partigiano nell’appennino umbro. Mi regalò questa foto (immagine di copertina ndr) che conservo con amore da più di 50 anni. [Prof. Franco Maria Fontana] UN ARTICOLO TRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA di Vittorio Emiliani | Non è soltanto per affetto che va ricordato, a 50 anni dalla scomparsa, il ventenne studente di architettura Paolo Rossi, cattolico, non violento, iscritto alla Federazione Giovanile Socialista e all’Unione Goliardica, colpito con un pugno di ferro da aggressori fascisti alla Sapienza e poi precipitato da un muro alto cinque metri. Ma anche per rammentare a tanti giovani inconsapevoli quanto fu difficile conquistare negli Atenei, pur in pieno centrosinistra, spazi di libertà, di discussione pacifica. I genitori di Paolo, entrambi pittori, erano stati nella Resistenza trasmettendo ai figli quel messaggio. Non vollero sapere chi fossero gli autori di quel delitto certo non internazionale. Pretesero però che una sentenza spazzasse via (e così fu) le menzogne della Polizia che, rimasta a guardare l’ennesima aggressione «nera», aveva attribuito la morte ad una malattia del ragazzo (invece sanissimo, uno sportivo, un alpinista). Vergogna subito avallata da un rettore di antica fede mussoliniana, l’economista Giuseppe Ugo Papi, che stava tollerando una serie agghiacciante di atti squadristici, il letterato Walter Binni non volle neppure pronunciarne il nome nell’appassionata orazione funebre, mentre 51 professori di ruolo offrirono al presidente della Repubblica le loro cattedre rifiutandosi di insegnare «in un’atmosfera appestata dal teppismo tollerato e quindi indirettamente istigato», scrisse un anno dopo Bruno Zevi, «dalle massime autorità accademiche». «La mia unica colpa è quella di aver combattuto, sempre, i docenti di sinistra», protestò protervo Papi quando fu rimosso. I funerali furono imponenti. Vicino ai famigliari, Pietro Nenni al quale i lager nazisti avevano portato via la figlia «Vivà». Ferruccio Parri aveva parlato al sit-in degli studenti che si apprestavano ad occupare Lettere e altre facoltà rischiando l’espulsione da tutti gli Atenei. Anche Paolo VI ebbe parole commosse di cordoglio. Nell’ultima fotografia si vede chiaramente Paolo trattenere un compagno che vuol reagire duramente alla violenza squadrista. Alcuni degli aggressori dovevano essere implicati, tre anni più tardi, nelle «trame nere» con le quali si cercò di scardinare lo Stato democratico. Anche per questo Paolo Rossi non va dimenticato. Anzi andrà ricordato, con passione civile ogni 27 aprile, almeno con un fiore, primo caduto di una nuova Resistenza romana. Fonte: Corriere della Sera Paolo Rossi è ricordato nella canzone Giulio Cesare di Antonello Venditti, in cui una strofa recita, in riferimento all’anno 1966, “…Paolo Rossi era un ragazzo come noi”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PERCHE’ HANNO TOLTO IL DIRITTO DI VOTO AI CITTADINI?

Il Gruppo di Volpedo, rete dei circoli socialisti e libertari del Nord ovest, voleva riformare il modo di far politica, privilegiando la dimensione europea e l’attenzione all’ambientalismo politico, che si può sintetizzare nel binomio rosso-verde, ma non ridurre ad una formazione politica specifica nel variegato mondo politico italiano, contrassegnato da un’accentuata mobilità elettorale ed instabilità istituzionale. Questi fenomeni paradossalmente sono stati provocati da quando si è voluto privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentanza, dapprima con la scelta di un sistema misto in prevalenza maggioritario per3/4 dei seggi con le leggi elettorali n. 276 e n. 277 del 1993, il cosiddetto Mattarellum, e l’introduzione alla Camera di una quota proporzionale con lista bloccata per la prima volta nelle elezioni parlamentari italiane. Il sistema elettorale era stato, fino ad allora, basato su un sistema bicamerale paritario, basato su liste con  voto di preferenza alla Camera dei deputati e collegi uninominali al Senato della Repubblica, ma in entrambe i casi con un riparto proporzionale dei seggi, tranne sporadiche eccezioni al Senato.  Un sistema politico, che, malgrado la breve durata media dei governi aveva consentito all’Italia il miracolo economico e la trasformazione da paese agricolo a paese industriale, fino a diventare uno dei sette paesi più industrializzati del mondo, tra quelli ad economia di mercato e negli anni ’70 del XX° secolo di dare l’avvio a una serie di riforme economiche e sociali, che ne hanno dimostrato le capacità di innovazione e modernizzazione.   Diritto di voto e sistema dei partiti sono strettamente collegati dalla nostra Costituzione nel Titolo IV della Parte Prima RAPPORTI POLITICI (ARTICOLI  48 – 54), in particolare gli articolo 48 sull’elettorato attivo e 49 sui partiti politici sono strettamente collegati, mentre il diritto di voto passivo e l’esercizio di pubblici funzioni sono associati negli articoli 51 e 54, mentre gli articoli 52 sulla difesa della patria e 53 sul sistema fiscale progressivo apparentemente non sono immediatamente assimilabili ai rapporti politici, ma leggerli e comprenderli bene confermano una volta di più la saggezza dei nostri padri e delle nostre, troppo poche, madri costituenti. Nell’art. 52 la difesa della patria “è sacro dovere del cittadino.”, di ogni cittadino, uomo o donna che sia, per questo non va confuso con il servizio militare, che non è obbligatorio per il secondo comma, che rinvia ad una legge ordinaria. Nel rispetto della Costituzione si è passato dalla leva generale obbligatoria per gli uomini, con un tardivo riconoscimento dell’obiezione di coscienza soggetta ad un alternativo servizio civile, alle forze armate professionali e volontarie. Il collegamento con i rapporti politici e al loro esercizio è assicurato dalla norma costituzionale con la precisazione che il servizio militare “non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.”, ma soprattutto con l’ultimo comma “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.” Infatti, il lavoro è un diritto e un dovere di ogni cittadino, come il voto è un dovere civico, non un obbligo giuridico, a differenza di altri ordinamenti, anche democratici[1]. Il voto è -e costituzionalmente deve rimanere “libero”e“personale”, come prescrive l’art. 48 Cost. e ha precisato la sentenza costituzionale n. 1/2014, oltre che “eguale” e “segreto”. La legge elettorale n. 165/2017, approvata, in violazione dell’art. 72 c. 4 Cost., con ben 8 voti (3 alla Camera e 5 al Senato) di fiducia a richiesta del Governo Gentiloni e peggiorata dalla legge n. 51/32019 del Governo Conte I, quello della maggioranza giallo-verde, è incostituzionale perché non rispetta il voto libero e personale degli elettori, perché una presunzione arbitraria di coerenza si sostituisce agli stessi quando non votano per una lista bloccata proporzionale o per un candidato uninominale maggioritario. Infatti, decide il legislatore come avrebbe dovuto votare sulla base di scelte di altri elettori, cioè in violazione del voto diretto stabilito senza equivoci dall’art. 56 Cost. per la Camera e dall’art. 58 Cost. per il Senato. Purtroppo non siamo in Germania, dove a differenza dell’Italia è garantito l’accesso diretto alla Corte Costituzionale, la Bundesverfassungsgericht l’avrebbe già fatta a pezzi per violazione dell’art. 38 GG, la loro Legge Fondamentale coincidente con il nostro art. 48 Cost., ancora più rigoroso poiché il voto è personale e diretto e non semplicemente, come in tedesco, unmittelbar, cioè “non mediato”.   Questo Titolo IV della Costituzione ha un’altra particolarità la mancata attuazione con una legge organica, di una legge sui partiti politici, che rispetti i principi costituzionali dell’art. 49, e dell’art. 53 Cost. la nostra tassazione dei redditi è sempre meno progressiva (estensione della flat tax) e non prevedendo un’imposta patrimoniale non “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, quindi la Repubblica non può garantire a tutti i cittadini i diritti fondamentali, da quelli inviolabili ex art. 2 Cost. o, per nominare i principali, ad un lavoro, alla salute e all’istruzione e potere tenere fede al suo impegno solenne preso con l’art. 3 c. 2 Cost.: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Non c’è dubbio che se i programmi e gli statuti dei partiti facessero riferimento alla Costituzione, sarebbe una trasparenza rivelatrice delle reali intenzioni della formazione politica e guida per le scelte degli elettori. Per esempio riferirsi al secondo comma dell’art. 3 Cost. dovrebbe essere obbligatorio per una formazione di sinistra unitaria, larga e plurale, seriamente impegnata per la trasformazione della nostra società: la formazione che manca nel nostro panorama politico dopo la fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani, poi Partito Socialista dei Lavoratori e PSI e fino al 1921. In un certo senso siamo in una situazione paragonabile a quella del 1891 e che trovò soluzione a Genova nel 1892.  Solo che allora c’erano progetti e speranze e la determinazione di due Compagni di ideali socialisti e di vita come Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Ora scoramento e disillusione e gruppi dirigenti dei partiti …