CHI SONO GLI “ARDITI DI MILANO” COLPEVOLI DEL DELITTO MATTEOTTI
di Walter Galbusera – Presidente Fondazione Anna Kuliscioff | 10 giugno 1924, il delitto Matteotti: quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. L’intervento di Walter Galbusera, Fondazione Anna Kuliscioff Il delitto Matteotti, quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. Gli atti istruttori del primo processo, di cui è stata ritrovata recentemente una copia negli archivi della Fondazione Anna Kuliscioff, confermano il torbido intreccio di violenze politiche ed affari in cui la CEKA, un gruppo operativo di squadristi (mutuando il nome della polizia segreta politica di Lenin nei primi anni della rivoluzione bolscevica) agiva come longa manus del regime non solo contro gli avversari ma anche contro i dissidenti fascisti considerati “traditori”. Gli uomini della Ceka fascista, insediata da Mussolini, sono ex combattenti, arditi addestrati all’uso del pugnale che hanno rischiato ogni giorno la morte. Dopo la guerra sono divenuti pregiudicati o spiantati in cerca di ruolo e di danaro. In maggioranza fanno parte del gruppo “Arditi fascisti di Milano” anche se nessuno di loro ha partecipato alla riunione costitutiva dei fasci di combattimento in piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919. I sequestratori Amerigo Dumini è il capo della CEKA, toscano di origine, nato in Texas da un pittore fiorentino emigrato. Rientra in Italia per arruolarsi nell’Esercito Regio rinunciando alla cittadinanza USA). Volontario nei battaglioni della morte fatto da arditi, invalido di guerra, medaglia d’argento al VM. Si presenta così: “Dumini, nove omicidi”. Dispone di una stanza al Viminale, allora sede della Presidenza del Consiglio, utilizzata anche come agenzia d’affari. Nel cortile del Viminale parcheggia l’auto del sequestro. La prima cosa che Dumini dice rivolgendosi al magistrato Del Giudice è: “Cosa siete venuti a fare, il Presidente è informato di quanto loro stanno facendo?” Arrestato due giorni dopo il delitto mentre cerca di tornare a Milano in treno, Dumini confessa il 18 ottobre 1924. In carcere ha chiesto una stanza (a pagamento) in comune con Volpi e Viola e un sarto per farsi un abito. Volpi Albino, milanese. Per il ministro degli interni generale De Bono “in guerra Volpi vale tanto oro quanto pesa”. È un “caimano del Piave”, che di notte attraversa il fiume per pugnalare le guardie austriache. Una (falsa) testimonianza di di Mussolini in un processo del 1920 lo salva da una condanna per omicidio. Ebanista, invalido di guerra. Presidente dei 600 Arditi di Milano, curava gli affari di questa Associazione. Legato anche al capo degli Arditi capitano De Vecchi e al poeta Filippo Tommaso Marinetti. Amleto Poveromo, di professione macellaio, volontario in guerra come ardito, è lecchese ma milanese di adozione. Giuseppe Viola, l’assassino materiale di Matteotti, è un ardito milanese anche lui un “caimano del Piave”, già condannato per rapina e per diserzione, poi amnistiato nel 1919. Dopo il sequestro era sul sedile posteriore dell’auto accanto a Matteotti e, per attenuare le sue responsabilità, sostiene di essere stato colpito da un attacco di ulcera. Augusto Malacria, l’autista del sequestro, è milanese, giovane di distinta famiglia. “Un volto diverso dalle facce patibolare degli altri sicari” scrive il magistrato Mauro Del Giudice. Era un ex capitano che dopo la guerra aveva dilapidato la cospicua eredità paterna in una sfortunata attività imprenditoriale, conclusasi con un’accusa di bancarotta fraudolenta. Aiutano i sequestratori ma non partecipano direttamente al delitto Aldo Putato, un milanese che aveva conosciuto Dumini a Roma durante il servizio militare. È il più giovane e l’unico a non essere un ex combattente. Ispettore “viaggiante” del Corriere Italiano per assunzione clientelare. Filippo Panzeri, fa parte della sezione Arditi di Albino Volpi, anche lui ispettore “viaggiante “assunto da Filippelli al Corriere Italiano. Otto Thiershild, detto “il russo”. Il magistrato Del Giudice lo definisce “un relitto umano, la figura più lercia e ripugnante del gruppo.” Nato in Austria, diserta per passare come spia agli italiani, Inizialmente di simpatie socialiste, poi vicino al partito comunista, informatore doppiogiochista, anche lui vive a Milano. A Roma controlla i movimenti di Matteotti presentandosi addirittura a casa del deputato socialista e non manca di avvertire Matteotti che “corre dei rischi”, senza però avvertirlo del progetto di sequestro. Secondo “il russo” Dumini voleva da Matteotti “documenti che toglievano il sonno a una o più persone”. Viene arrestato a Milano nella sede della Camera del Lavoro. In carcere chiede un incontro con i rappresentanti di tutti partiti per raccontare altri delitti e profetizza che “ Il governo dovrà essere trasferito a Regina Coeli.” Il “facilitatore” del sequestro è Filippelli Filippo, nato a Cosenza si trasferisce per lavoro a Milano come segretario di Arnaldo Mussolini al Popolo d’Italia, dove conosce Dumini. Direttore del filofascista Corriere Italiano di Roma è al centro di una intensa attività di affari volta al finanziamento della stampa fascista. Gli interessi sono di varia natura, vanno dal commercio dei materiali di guerra alle banche, da industrie come l’Ansaldo alle Ferrovie. Affitta l’auto usata per il sequestro di Matteotti. Si difende presentandosi come l’ala dialogante del PNF fautore della “Pacificazione”, tramontata nel settembre 1921 per l’intransigenza dei fascisti radicali come Farinacci. Il suo vero progetto politico è probabilmente quella di far nascere un quotidiano filofascista (sostenuto da Ilva, Piaggio, Eridania, Ansaldo e in parte da Fiat) come contraltare del Corriere della Sera del senatore Albertini. Gli intermediari tra il Duce, i sicari e Filippelli Il generale Emilio De Bono, (lombardo di Cassano d’Adda, fucilato a Verona nel 1944) senatore e capo della Polizia. È l’uomo di garanzia del re nel rapporto con Mussolini. Toglie la scorta a Matteotti pochi giorni prima del delitto. Interviene direttamente nell’inchiesta e fa trasferire gli oggetti sequestrati a Dumini ( che contengono le prove evidenti del delitto) al ministero degli interni ma poi li restituisce agli inquirenti. Il suo ruolo fece dire a uno dei figli di Giacomo Matteotti che il vero mandante del delitto era il re che voleva impedire la rivelazione di alcuni affari della casa reale. Cesare Rossi è il consigliere più autorevole di Mussolini, la sua “eminenza grigia”. Di origini toscane, fino al 1915 socialista, direttore della …
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