NUMERI FRIULANI

di Franco Astengo | Ribadita ancora una volta la necessità di procedere all’analisi degli esiti elettorali attraverso il confronto tra le cifre assolute e non tra le percentuali misurate soltanto sui voti validi anche l’esito delle elezioni regionali friulane del 2/3 aprile 2023 ha confermato il trend di discesa nella partecipazione al voto palesando anche ulteriori segnali di volatilità, in alcuni casi molto evidenti. Candidature presidenziali e di lista hanno continuato a navigare in un mare magnum di crescita delle astensioni particolarmente evidente nel caso del raffronto con le elezioni politiche svoltesi pochi mesi or sono. Il 25 settembre 2022 si sono avuti nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia 591.880 voti validi su 936.273 aventi diritto (58,25%), il 2/3 aprile 2023 in occasione delle elezioni regionali abbiamo avuto 490.056 voti validi per i candidati presidenti su 1.109.395 aventi diritto (lo scarto rispetto alle politiche negli aventi diritto è dovuto alla nota questione degli iscritti all’estero): 44,17% con un calo 14,08%. Le liste concorrenti hanno ricevuto 394.953 voti validi (95.103 suffragi in meno rispetto a quelli destinati ai soli candidati presidenti): nel complesso i voti validi per le liste sono stati il 35,60% (il calo rispetto alle politiche, in questo caso, è stato del 22,65%). Nel raffronto tra elezioni regionali 2018 ed elezioni regionali 2023 troviamo questi dati: 2018, 537.950 voti validi per i candidati presidenti (iscritti nelle liste 1.107.415: 48,57%, quindi nel 2023 si è registrato un 4,40% in meno) e 422.075 voti validi per le liste (41,48% quindi nel 2023 le liste hanno ricevuto un 5,88% di suffragi in meno sul totale degli aventi diritto). Particolarmente netta la vittoria della candidatura Fedriga che sale in voti assoluti tra il 2018 e il 2023 dal 307.118 a 314.824 (in percentuale sul totale degli aventi diritto: 27,73% nel 2018; 28,37% nel 2023 con un incremento dello 0,64% effettivo). Diverso il discorso relativo alla coalizione di centro-destra: nel 2018 le liste del centrodestra avevano ottenuto 281.343 voti (25,40% sul totale degli aventi diritto con una grande prevalenza della Lega con 147.340 voti pari al 52,37% della coalizione); alle elezioni politiche il centrodestra aveva ottenuto 295.157 voti (pari al 31,52% sul totale degli aventi diritto con un rovesciamento nella leadership con FdI a quota 185.234 voti pari al 62,75% dell’intera coalizione). Le elezioni regionali del 2023 la coalizione di centrodestra ha avuto 250.903 voti (22,61% sul totale degli aventi diritto, quindi in calo sia rispetto al 2018 sia alle politiche del 2022). Da segnalare ancora rispetto al centrodestra un ulteriore rimescolamento delle carte all’interno con una sostanziale tripartizione tra FdI, che tra il settembre 2022 e l’aprile 2023 ha perso più di 100.000 voti; un guadagno della Lega di poco più di 10.000 voti e a quota 70.192 voti a lista personale del candidato Presidente. Se si aggiunge il forte e continuo calo di Forza Italia passata da 50.908 voti nel 2018, a 39.599 voti nel 2022 e scesa a 26.329 in occasione di queste regionali è possibile confermare, rispetto al centro destra, due elementi di valutazione ricorrenti: le vittorie del centro destra avvengono in discesa, in un quadro di costante calo nella partecipazione elettorale di cui questo schieramento soffre meno; in un quadro di sostanziale staticità della coalizione si registrano spostamenti anche significativi all’interno secondo logiche di contingenza e seguendo lo schema, ormai usuale, di punizione per chi è maggiormente esposto al governo (naturalmente nel caso del Friuli va considerata anche la contingenza locale e il voto alla lista di Fedriga ne è testimonianza). Sul versante del PD e alleati rimane da constatare l’ennesima sconfitta della combinazione con il M5S (era già accaduto in Liguria nel 2020, poi in Lombardia a febbraio 2023). La candidatura Moretuzzo rimane ai livelli di quella Bolzonello nel 2018, quando i 5 stelle si presentarono con un proprio candidato (Ceccotto: 23.696 voti) : sul totale degli iscritti nelle liste Bolzonello aveva ottenuto il 13,03% (144.361 voti) mentre Moretuzzo ha avuto il 12,53% (139.018 voti). All’interno della coalizione il PD ha registrato questo andamento: 76.423 voti nel 2018 (6,90% sul totale degli iscritti), 108.870 voti nelle politiche del 2022 (11,62% sul totale degli iscritti), 65.143 voti nel 2023 (5,89% sul totale degli iscritti). Il M5S è passato dai 42.575 voti delle politiche 2022 ai 9.486 voti delle regionali 2023; così come l’Alleanza Verdi-Sinistra è scesa da 26.986 voti nel 2022 a 8.029 nel 2023. L’alleanza PD-Verdi/Sinistra-più Europa (quest’ultima presentatasi con il centro di Azione e Italia Viva alle regionali 2023) aveva avuto alle politiche 152.400 voti (pari al 16,26% sempre sul totale degli aventi diritto): la coalizione PD-Autonomie-M5S-Verdi Sinistra- Sx open e sloveni alle regionali 2023 ha avuto 117.469 voti (pari al 10,60% con un calo del 5,66%). Assolutamente negativa la performance dei “centristi” cui, con Azione e Italia Viva si era aggiunta più Europa: il candidato Maran si è fermato a 13.374 voti (superato anche dalla candidatura dei no-vax triestini sponsorizzati da Italexit: 22.840 voti alla candidata, 15.712 voti alla lista) e la lista ha ottenuto 10.869 voti (pari allo 0,97% sul totale degli aventi diritto): forse su questo versante un ragionamento sul secco spostamento a destra frutto dell’inasprirsi delle contraddizioni sociali e sulla sostanziale inutilità di posizioni centriste (accomunando in questo discorso anche Forza Italia senza dimenticare il risultato di Noi Moderati alle politiche andrebbe aperto). In conclusione: 1) anche il Friuli, che ricordiamo è regione a statuto speciale, ha confermato il trend di crescita nella disaffezione al voto; 2) il centro destra è rimasto più o meno fermo, con un successo da registrare per il suo candidato, mentre continua il rimescolamento di forze all’interno (deve essere ancora ricordato con forza il peso avuto dalla formula elettorale nella vittoria delle politiche 2022); 3) l’alleanza che dovrebbe raccogliersi attorno al PD oltre a fare i conti con i problemi interni al principale partito dovrebbe riflettere sull’insufficienza, almeno al Nord, dell’alleanza con un M5S che prosegue nel suo veloce ridimensionamento; 4) al centro dovrebbe aprirsi una riflessione molto profonda considerata l’irrilevanza realizzata con le ultime presentazioni elettorali (a …

IL PIANO DI PACE CINESE (PARTE 4)

Proseguo con la pubblicazione del piano di pace cinese 4. Avviare colloqui di pace. Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere la crisi ucraina. Tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti. La comunità internazionale dovrebbe attenersi alla giusta direzione per persuadere la pace e promuovere i colloqui, aiutare tutte le parti in conflitto ad aprire la porta a una soluzione politica della crisi il prima possibile, e creare le condizioni e fornire una piattaforma per la ripresa dei negoziati. La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso. Il primo immediato obiettivo è quello di un cessate il fuoco. Questo articolo 4 tende a conseguire questo risultato senza indicare tra le premesse quello che le parti vorrebbero come soluzione finale. La pretesa delle parti, da una parte trovare un accordo che riconosca l’autonomia di Crimea e Donbass, dall’altra di aprire i negoziati se le truppe russe ritornano nei loro confini pre 2014, è un assurdo negoziale che pretende come premessa ciò che dovrebbe essere un risultato finale. Anche le forze politiche italiane dovrebbero andare oltre all’infantile dilemma mandare o non mandare armi. Occorre superare questa stupida posizione per farsi portatoti all’interno della UE di una proposta che ponendo al centro del tavolo delle trattative l’ONU, dia all’Europa quella figura politica autonoma e responsabile tale da farne un soggetto politico e non un cagnolino al guinzaglio. Anche Pd e 5 stelle dovrebbero superare il punto dell’invio o meno delle armi (una decisione è stata presa per il 2023) e dedicarsi in toto alla elaborazione di una proposta che darebbe peraltro peso alla posizione dell’Italia all’interno della UE. Penso che sia strategicamente costruttivo, se questa iniziativa italo-europea viaggiasse di concerto con il piano cinese, l’unione di intenti, se aderissero anche tutti i paesi che nel voto all’ONU si sono astenuti, sarebbe la posizione della maggioranza dei paesi mondiali, e quando si parla di pace, non è un fatto da poco. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FASCISMO E INCOMPATIBILITA’ COSTITUZIONALE

di Franco Astengo| La derubricazione a “Italiani” dei martiri delle Fosse Ardeatine (senza nemmeno la capacità di trovare la scorciatoia di “patrioti”) rappresenta una sorta di punto terminale nella determinazione di una evidente incompatibilità costituzionale della presidente del Consiglio e del suo partito. Si tratta di un tema che nella sua gravità era già evidente da tempo e che l’insieme delle forze politiche non ha saputo o voluto affrontare con sufficiente determinazione nel corso della campagna elettorale. Adesso si tratta di porre una vera e propria “questione costituzionale” al centro del dibattito politico e culturale, aggregando attorno ad esso le forze necessarie per una incisiva opposizione nel Parlamento e nel Paese. Occorre ricordare le ragioni fondamentali per una iniziativa di questo tipo, partendo da una seria valutazione sulle origini ideologiche del partito di maggioranza relativa e dalla riaffermazione della natura della Costituzione Italiana dal punto di vista delle idealità. La Costituzione italiana è una costituzione compiutamente antifascista, non perché è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra. I costituenti sentirono il bisogno e seppero farlo, di rovesciare completamente le categorie che avevano caratterizzato il fascismo. Come il fascismo era alimentato da uno spirito di fazione e assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento del loro ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla massima distribuzione, articolazione e diffusione dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti le hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale e alla convivenza con la guerra, così i costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra. I principi fondamentali della Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo. L’osservare fin qui spirito e lettera della Costituzione ha reso fin qui impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo motivo si reiterano i tentativi per modificarla che ancora risulteranno all’ordine del giorno: la Costituzione è vissuta come un impaccio, una serie di vincoli fastidiosi, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza dei decisori politici ed è questo il punto che ci divide da chi non può, per propria cultura intrinseca personale e collettiva, dichiararsi antifascista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PIANO DI PACE CINESE (PARTE 3)

Continua l’esame del documento di pace cinese. 3. Cessare il fuoco e smettere di combattere. Non ci sono vincitori nelle guerre di conflitto. Tutte le parti dovrebbero mantenere razionalità e moderazione, non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo, sostenere Russia e Ucraina affinchè si incontrino, riprendere il dialogo diretto non appena possibile, promuovere gradualmente l’allentamento e il rilassamento della situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale. L’auspicio contenuto nel terzo punto sembrerebbe essere l’auspicio di tutti, ma non lo è; mi riferisco alle parole “non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo” e penso alla recente notizia secondo la quale la Gran Bretagna starebbe inviando proiettili all’uranio impoverito. Faccio una domanda ingenua: la Gran Bretagna avrà consultato gli Stati Uniti prima di prendere questa iniziativa? E secondo voi gli USA che hanno risposto? E continuo; la Gran Bretagna avrà consultato il nostro governo (beh non esageriamo) avrà consultato l’Unione Europea? E per finire: quale sarà la reazione di Putin? Dall’ovvia risposta a queste domande discende l’urgenza che l’Europa, o almeno l’Italia, si faccia capofila della de-escalation, per esempio inviando in Ucraina (così come diceva il primo decreto del governo Draghi) non materiali bellici ma ospedali da campo, aiuti alimentari, medicinali, tende, generi di conforto, proposte di cessate il fuoso e campane pronte ad annunciare la pace. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

È CHIUSA LA PARTITA DI UNA STRATEGIA COMUNE DELLA SINISTRA?

di Riccardo Lombardi | Il compagno Giorgio Napolitano sul!’ «Unità» del 17 scorso invita, nei modi civili che gli sono consueti, ad un confronto del quale importa, credo, cercare di capire finalità e limiti. Ma anch’io, come egli fa, vorrei «innanzitutto sbarazzare il terreno, se possibile, da inesattezze ed equivoci». Inesattezza ed equivoco sarebbe per Napolitano l’attribuzione da me fatta al PCI di un interesse a che il PSI si dichiari disponibile «per l’appoggio a un centro-sinistra pallido o sanguigno che sia». Io ho tratto (e continuo a trarre) tale giudizio da una considerazione assai semplice che riassumo come segue: primo punto: il PCI a conclusione o quasi delle trattative per il nuovo governo DC -PSDI-PRI ha deciso e preannunciato, come è suo diritto, l’opposizione. Secondo punto: al tempo stesso il PCI dichiara di ritenere inutile e dannoso lo scioglimento anticipato del Parlamento e preannuncia, per facilitarne la continuità, una opposizione «costruttiva e responsabile» al governo che si formasse. Terzo punto: il solo modo politicamente praticabile perché quel nuovo governo si formi evitando le elezioni anticipate è il sostegno diretto o indiretto, col voto o almeno con l’astensione, del Partito Socialista; su di ciò non esistono dubbi, dato che il PSI si è unanimemente dichiarato disponibile a sostenere solo un governo detto di unità nazionale. Conclusione: passare all’opposizione (vale a dire rendere impossibile un governo o una maggioranza di unità nazionale) e nello stesso tempo deprecare lo scioglimento delle Camere sono per il PCI due obiettivi contradittori che possono essere resi conciliabili esclusivamente dalla decisione socialista di sostenere, in uno dei modi indicati, il futuro governo. Mi dica il compagno Napolitano se l’attribuire, come io ho fatto, al PCI interesse a sospingere il PSI verso il sostegno di un centro-sinistra pallido o sanguigno, sia una interpretazione arbitraria e non invece una traduzione fedele, ma provvista di una conclusione sottaciuta, della posizione ufficialmente da esso espressa! Quella or ora esaminata è tuttavia questione minore: ne esistono altre nel discorso di Napolitano che non possono essere catalogate come inesattezze ed equivoci da cui sbarazzare il terreno perché coinvolgono la natura e i rapporti reciproci fra i due partiti storici della sinistra: rapporti che è essenziale collocare nella giusta ottica se si vuole preservare, come io fermamente credo, il massimo di collaborazione operativa di una sinistra aspirante ad essere sinistra di governo. Napolitano si duole che io attribuisca al suo partito aspirazioni egemoniche sull’area di sinistra e ritorce l’accusa al PSI di farsi guidare da un spinta concorrenziale con l’obiettivo di modificare i rapporti di forza nel campo di sinistra. Ma vivaddio l’una cosa e 1′ altra, spinta egemonica del PCI e spinta concorrenziale del PSI per accrescere la sua forza, sono entrambe pienamente legittime e necessarie considerare, come ho fatto, il comportamento comunista come dettato anche da intenzioni egemoniche non è affatto fargliene addebito o colpa! E’ quel che il PCI ha sempre fatto e, aggiungo, che non può non fare un partito che tende a legare prioritariamente se non ad identificare la sua forza e la sua crescita con quelle del movimento operaio; come altrettanto legittima (anche se non consustanziale con la sua teoria del partito) è da parte socialista lo sforzo ad aumentare forza e rappresentanza nella sinistra che esso a torto o a ragione ritiene oggi ingiustamente sproporzionate (anche per sua colpa) non tanto ai suoi interessi di parte quanto all’interesse globale di una sinistra di governo. Pretenderebbe forse qualcuno che al PSI sia interdetta la ricerca di nuovi consensi e di nuovi elettori anche nel campo della sinistra, un campo lasciato con troppa noncuranza esposto a chi non si peritava di autorevolmente esortare «a raccogliere nell’ orto del vicino»? La vera questione non è dunque quella della «concorrenza» ma delle regole che devono presiedervi in modo che essa non sia distruttiva ma comporti una crescita ideale e politica di tutta la sinistra, della quale importa l’unità non la confusione. Importante a tal fine sembra essere non l’attutimento di ciò che fa diversi i due partiti, ma la sua ricognizione e attualizzazione (rispetto a motivi oggi sorpassati e ad altri oggi sopravvenuti). Da tale punto di vista la disponibilità al dibattito e al confronto (che non è mai mancato per la verità ma che Napolitano ripropone con maggiore impegno unitario) va, a mio giudizio, attentamente considerato: sotto due aspetti diversi. Il primo riguarda quello che è stato chiamato dibattito ideologico. A parte gli eccessi polemici, le forzature e le ingenuità inevitabili del resto in un dibattito disperso, a più voci (e non solo a due) e — fortunamente — sprovvisto di regia, quel che preme stabilire è che non sono ammissibili interdizioni e tabù. Se, come sembra, quel che fra socialisti e comunisti viene oggi posto in discussione non è più solo la differenza nei metodi pur nella identità del fine, ma anche tale identità (la «società socialista» certo, ma quale?) non giova ad alcuno rimuovere l’argomento neanche per la preoccupazione (infondata a mio giudizio) che esso sia incompatibile con una politica di sinistra per il cui successo è ne-cessaria la cooperazione ma non l’identificazione delle forze concorrenti. A tal fine non necessitano (e neanche sono utili) nuove sedi interpartitiche di dibattito, giacché le sedi naturali esistono (e funzionano) e sono i libri, le riviste, i convegni (sedi non sospette a vincoli «rispettosi») e gli stessi dibattiti interni che sottendono nei diversi partiti l’elaborazione delle loro politiche. Mentre per ciò che riguarda le tattiche, quotidiane o no, le intese, le consultazioni e il tentativo di concordare posizioni comuni è fra i nostri partiti una consuetudine che è divenuta via via funzionale alla operatività da entrambi e che certo va rafforzata e possibilmente «istituzionalizzata», ma non inventata. Il piano invece al quale mi sono riferito è quello della elaborazione e messa a punto di un programma comune delle sinistre, fra i partiti «storici» ma anche fra quelle fra le nuove sinistre che intendono operare nell’ambito della Costituzione repubblicana. Un programma comune, ben inteso, che pur partendo da concezioni dello …

RIZZOTTO ASSASSINATO ANCHE PERCHE’ SOCIALISTA

Il 10 marzo del 1948, a Corleone, il giovane sindacalista della Cgil, nonchè esponente del Partito Socialista, Placido Rizzotto si sta recando ad una riunione del suo partito: è quasi buio, viene aggredito e rapito da un gruppo di mafiosi e sarà poi ucciso brutalmente. Il motivo del suo omicidio è da rintracciare nel suo convinto e coraggioso impegno a favore dei contadini siciliani, penalizzati e ridotti sul lastrico dalla sistematica espropriazione che le cosche mafiose ponevano in essere verso le campagne ed i campi coltivabili. Rizzotto incita i contadini a reagire, ad occupare le terre ed a difenderle, convinto che il lavoro e la giustizia sono due valori assoluti, che devono andare di pari passo e che devono rappresentare il fondamento e l’essenza di ogni vita umana. Da Segretario della locale Camera del Lavoro Placido Rizzotto convince i contadini addirittura ad organizzarsi per occupare le terre già espropriate dai mafiosi: non si limita ad organizzare la reazione ma la guida in prima persona, assumendo su di sè la responsabilità giuridica del gesto e, soprattutto, esponendosi personalmente alla ritorsione dei capi locali. Col suo impegno a favore della gente onesta, Rizzotto infatti si ritrova contro tutte le fazioni mafiose e criminali, ed entra in grave contrasto anche con un giovane di Strasotto che farà una grande carriera in Cosa nostra: Luciano Liggio. La mafia organizza la reazione: nel maggio del 1947 avviene la terrificante strage di Portella della Ginestra, mentre qualche mese dopo, come visto, c’è il rapimento di Rizzotto il cui corpo fu ritrovato solo anni dopo, nelle foibe di Rocca Busanbra, dove fu gettato proprio dall’acerrimo nemico Luciano Liggio. Un bambino (il piccolo pastorello Giuseppe Letizia) assistette al barbaro assassino, ma venne ucciso anche lui: la mafia non tollera occhi indiscreti, anche se giovani. Per l’assassinio del piccolo fu incolpato il boss Michele Navarra. Le indagini, coordinate da un giovane Carabiniere che diventerà poi Prefetto di Palermo, Carlo Alberto dalla Chiesa, portano all’arresto di due mafiosi corleonesi: Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Confessarono per poi ritrattare, e vennero assolti per insufficienza di prove. La stessa sorte processuale toccherà per questo reato a Luciano Liggio, che rimase latitante fino al 1964. UN APPUNTO A CURA DI EMANUELE MACALUSO Caro direttore, io non ho ancora visto il film «Placido Rizzotto» di Pasquale Scimeca e non posso dare un giudizio sull’opera, ma sono uno dei pochi sopravvissuti che ha conosciuto Rizzotto (in quegli anni ero segretario della Cgil siciliana) e con lui ebbi rapporti intensi, a Corleone e a Palermo, fui io a commemorarlo nella sua città. Le scrivo perché mi ha stupito la risposta del regista ad Ottaviano Del Turco (mi riferisco al «Corriere della Sera» 16 ottobre 2000) il quale faceva notare che nel corso del film non si dice mai che Rizzotto era socialista. La risposta di Scimeca è questa: «Non mi sembra così importante chiarire l’appartenenza ad una sigla». Il Psi non era una sigla e per ricostruire una storia l’appartenenza politica non è irrilevante anche perché – ecco il punto – se il regista avesse letto la relazione di minoranza alla commissione antimafia (febbraio 1976) redatta da Pio La Torre, forse non avrebbe risposto così. Infatti La Torre scriveva: «Nel corso della campagna elettorale (1948) furono commessi alcuni dei più efferati delitti di mafia contro esponenti del movimento contadino. Voglio ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia, Calogero Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste 3 zone fondamentali della provincia di Palermo, e socialiste. Perché tra i socialisti? Gli assassini si susseguirono a distanza di giorni. Vi era stata la scissione socialdemocratica e il movimento contadino restava, invece, unito; occorreva dunque dare un colpo al movimento e la mafia sviluppò una campagna di intimidazione verso i dirigenti socialisti». Se l’analisi di La Torre era giusta, l’appartenenza non era irrilevante. Lo stesso La Torre in quella relazione ricorda che nel processo contro gli assassini di Rizzotto l’imputato Luciano Liggio venne difeso da un avvocato del Psdi, Rocco Gullo. E, aggiungo io, la parte civile fu sostenuta da un avvocato socialista turatiano, Francesco Taormina. Un segno dei tempi. Ma la storia è questa. Emanuele Macaluso Video Rai.Tv – TG2 13:00 del 10/03/2018 70 anni fa la mafia uccideva il sindacalista socialista Placido Rizzotto   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO

di Marco Zanier | Nel 1985, a un anno dalla morte di Enrico Berlinguer, Francesco De Martino, l’ex segretario del PSI scomparso oltre vent’anni anni or sono, in questa lunga intervista rilasciata a Candiano Falaschi della redazione dell’Unità, faceva il punto sul suo rapporto personale e politico conil Segretario del PCI e sul rapporto che intendeva instaurare da tempo con quel partito. Nell’ottica dell’affermazione di un’alternativa di sinistra che avrebbe dovuto essere sostenuta da socialisti e comunisti. Decisiva a riguardo per De Martino era stata la presa di distanza di Berlinguer dall’Urss in un suo fondamentale discorso in cui rivendicava la scelta della linea democratica del PCI, mentre carattere episodico e non certamente storico avrebbe dovuto avere, secondo lui, il compromesso fra comunisti e democristiani. Nonostante il parere contrario dell’allora segretario del PSI Bettino Craxi, le ragioni dell’alternativa di sinistra per De Martino restavano tutte in piedi, perché erano stati superati i presupposti della scissione di Livorno del 1921 ed il PCI aveva confermato la sua scelta democratica all’interno delle istituzioni. Sono queste le tesi che rendono, a mio avviso, ancora più attuale oggi la prospettiva di una ricostruzione della Sinistra in Italia che veda protagonisti sia coloro che si richiamano ai valori del socialismo storico che coloro che si rifanno alle scelte democratiche del comunismo italiano. Marco Zanier STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO di Francesco De Martino Lungo tutto l’arco  politico dell’ultimo annosi è parlato spesso, molto spesso di “effetto Berlinguer”. E con questa espressione, vaga come tante altre espressioni del linguaggio, politico, ci siè riferiti di volta in volta tanto all’onda di emozione provocata dalla lunga agonia di Padova e al generale rimpianto per la scomparsa del segretario del PCI, quanto al risultato ottenuto poco dopo dai comunisti italiani nelle elezionieuropee. Su questo modo di vedere le cose, Francesco De Martino ha qualcosa dadire in via preliminare: Se ha un senso parlare di “effetto Berlinguer” egli obietta , bisogna dire chequesto fenomeno, questo “effetto”, si è verificato proprio perché si trattavadi Enrico Berlinguer e cioè di una personalità caratterizzata da certi inconfondibili tratti umani e politici. Il punto sta proprio qui. Parlare quindi della sua scomparsa in quei termini, lungi dallo sminuire la figura, contribuisce invece a rafforzarla e a sottolinearne il rilievo. Per quanto mi riguarda, la morte di Berlinguer mi colpì  molto di più di quanto avrei potuto credere. Ne ho sofferto, anche se purtroppo sono abituato da tempo alla perdita di uomini cui ero legato. E’ stato come perdere un amico. Mi ero incontrato con Enrico qualche mese prima della sua morte ed avevamo parlato a lungo. Il punto più dibattuto tra di noi era sempre quello della valutazione dell’attuale politica socialista. Egli parlava con me sapendo bene di raccogliere l’opinionedi un dirigente socialista abbastanza critico nei confronti della situazione esistente e metteva l’accento sulla necessità di superare questa fase. Anch’io, è ovvio, ero convinto di questa necessità e quindi consapevole dell’esigenza diuna maggiore unità a sinistra: non ero però incline a vedere possibilità nuove in tempi brevi. La divaricazione tra i partiti della sinistra la giudicavo profonda, dal momento che non eravamo dinanzi a un mero espediente tattico dell’attuale gruppo dirigente socialista, ma ad un insieme di vedute (la cosiddetta scelta riformista) che avrebbe avuto bisogno di un periodo di tempo non certo ridotto per sperimentare le proprie possibilità. Era, ed è, una scelta di ordine teorico e strategico. Berlinguer mirava ad un miglioramento dei raporti tra PCI e PSI e sperava che ciò potesse avvenire sotto la spinta delle cose; non mi pareva che egli considerasse il PSI, pur criticandolo, una forza estranea alla sinistra. Si trattava di uno scambio di opinioni del tutto disinteressato, dal momento che io, dopo il nuovo corso socialista, non ho incarichi di partito attraverso i quali poter influire direttamente e in modo decisivo. Non c’era da parte di Berlinguer, nessuna interferenza, nessuna iniziativa condotta in modo improprio contro gli attuali dirigenti del PSI. Egli era discreto e aveva molto stile: era impensabile che potessero venire daparte sua iniziative del genere. Ma una discussione tra il segretario del PCI e De Martino non poteva limitarsi all’attualità politica. In essa entravano in campo, come è naturale, anche aspetti più generali. Io –ricorda De Martino- avevo manifestato un consenso pieno all’azione di Berlinguer, che ha valore storico, volta a stabilire la più completa autonomia rispetto all’Unione Sovietica. Gli avevo espresso la più grande soddisfazione. Non si trattava solo, io credo, dell’esaurimento della spinta propulsiva, perchè sempre in un processo rivoluzionario l’ondata tende a esaurirsi, madella stabilizzazione delle caratteristiche proprie di uno Stato autoritario innetta antitesi con la concezione democratica del socialismo che il PCI praticae che Berlinguer più di altri ha teorizzato. E in che termini parlavate delle prospettive della sinistra, in Italia e inEuropa? C’erano anche questi aspetti nelle nostre discussioni. Dopo il cosiddetto “strappo, conseguente alle polemiche sui fatti polacchi, in un’intervista a Panorama io affermai tra l’altro che ormai potevano considerarsi cadute le premesse della scissione del 1921. Ricordo che quell’intervista interessò molto Berlinguer. L’Unità la riprese con rilievo, pur evitando di fare confusione tra le varie posizioni esistenti nell’ambito della sinistra. Del resto, anche Pietro Nenni, in un altro momento, aveva dato un parere analogo al mio sull’esaurirsi delle premesse della scissione. Ora, io mi rendo conto che questo giudizio di fondo che davo non modificava certo la situazione di fatto. Anche perché ognuno portava fatalmente il peso della propria eredità e della propria storia. Mi sembrava, e mi sembra, paradossale, però, che ogni volta che il PCI compie un passo avanti nel senso auspicato dai socialisti nel corso di una ormai lunga vicenda storica, i rapporti tra i due partiti tendano a peggiorare o almeno non migliorino. Ciò che Berlinguer ha fatto su questo terreno ha un’importanza decisiva, specie se si pensa a come sono nati i comunisti  e a quale coraggio esiga avanzare in quella direzione. Occorre soprattutto coerenza, fermezza, lucidità. Per quanto mi riguarda, io ho accolto le prese …

CONTINUO LA MIA ANALISI DEI 12 PUNTI DEL PIANO DI PACE CINESE

2 DI 12 | 2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non può andare a scapito della sicurezza di altri paesi e la sicurezza regionale non può essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e le preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi dovrebbero essere presi sul serio e adeguatamente affrontati. Problemi complessi non hanno soluzioni semplici. Dovremmo aderire a un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile, concentrarci sulla stabilità a lungo termine del mondo, promuovere la costruzione di un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile e opporci all’instaurazione della sicurezza nazionale sulla base dell’insicurezza di altri paesi e prevenire la formazione di scontri di campo. Salvaguardare congiuntamente la pace e la stabilità del continente eurasiatico. Nella prima frase “Abbandonare la mentalità della guerra fredda” leggo una critica al comportamento della NATO in particolare dopo il 1999 quando, infrangendo gli accordi orali con Gorbachev, Clinton mutò la missione della NATO. Quella organizzazione nata per difendere l’occidente dal comunismo, con il crollo di quest’ultimo, non aveva più ragione di essere; l’alleanza tra i paesi ex-sovietici era stata sciolta e si stava operando per una coesistenza pacifica. Berlusconi a Pratica di Mare riscontrò un successo irripetuto. E’ comprensibile che i paesi ex-sovietici si rivolgessero all’occidente inteso come Unione Europea e NATO, ma la loro richiesta di ammissione poneva una scelta inequivoca. Stando allo statuto della NATO, le richieste di adesione non hanno valore in quanto sono i paesi aderenti alla NATO che all’unanimità INVITANO i paesi ad entrare nella NATO sempre che ciò contribuisca ad accrescere la sicurezza. Ora scegliere di invitare tutti i paesi ex-sovietici ad entrare nella NATO invece di considerare le reazioni e la contrarietà della Russia, ha snaturato la natura difensivistica della NATO in un organismo di potere che, fra le altre cose, ha appannato il ruolo dell’ONU. Quando il documento cinese segnala il “rafforzamento o addirittura espandendo i blocchi militari” a questo si riferisce. Forse una fascia di paesi “finlandizzati” interposta tra paesi NATO e Russia sarebbe stata una opzione più lungimirante. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PRIMO DEI DODICI PUNTI

Visto che il dictat statunitense di non parlare dei 12 punti del piano di pace cinese continua a rendere muti politici, giornalisti e anche i compagni che mi leggono, comincerò ad esaminare il primo punto: 1 – Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Le leggi internazionali riconosciute, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dovrebbero essere rigorosamente osservate e la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi dovrebbero essere effettivamente garantite. Tutti i paesi sono uguali indipendentemente dalle loro dimensioni, forza o ricchezza. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e salvaguardare l’equità e la giustizia internazionali. Il diritto internazionale dovrebbe essere applicato in modo equo e uniforme e non dovrebbero essere adottati doppi standard. In positivo vi leggo un ritorno al primato dell’ONU ed ai suoi scopi e principi; ne deriva una sottintesa critica agli USA poliziotto del mondo nel momento in cui si considera il soggetto chiamato a garantire il diritto internazionale; nel concreto vi leggo una critica all’invasione russa in Ucraina così come alle violazioni della sovranità di altri paesi susseguitesi negli anni del dopoguerra. Evidentemente c’è anche un monito rivolto al futuro nello specifico alla situazione di Taiwan, il punto più critico che vedrà opporsi USA e Cina nel prossimo futuro. Ma il punto più interessante mi pare quello che auspica che il diritto internazionale non dovrebbe essere applicato adottando doppi standard; oltre a riferirsi all’opportunismo dei paesi di usare uno standard per le proprie posizioni ed un altro standard per le posizioni dei paesi terzi, vi leggo, forse con una forzatura, una critica al doppio standard nell’applicazione del diritto internazionale tra i paesi vincitori dell’ultimo conflitto e quindi con diritto di veto e gli altri paesi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN CAMMINO VERSO LE VERITA’

Un possibile piano B, un Solco per il XXI Secolo | Smontare la Sardegna, indebolirla per renderla sempre più colonia, portando attacchi ai patrimoni naturalistici e ambientali per utilizzarli a fini puramente speculativi tramite false società e multinazionali nei settori produttivi, industriali, ed energetici, che creano soluzioni non occupativi e de culturali, è l’obiettivo. Creato da una regia sottile che proviene da lontano e che si fa forte della non reazione dei cittadini che si affidano a un’inefficace azione di una classe politica che dimostrata sempre più la sua debolezza e il suo fallimento. Il partito sardo si è venduto a una destra estranea, la sinistra è spezzettata e inconsistente, gli idealismi non esistono più come la politica sarda. Rimangono le resistenze dei sindaci e dei lavoratori direttamente coinvolti in termini di prospettiva di lavoro, tutto il resto è bla, bla, bla. Nessuno immagina un piano B, nessuno sembra in grado di sognare un futuro possibile per la Sardegna, ci si attorciglia ancor più su un passato d’ideologie che non esistono più se si guarda solo a un passato che non tornerà più, fatto d’ideali superati e di nostalgie autoreferenziali.  Il metodo di governo regionale totalmente superato non è previsto nei disegni presenti e futuri di chi governa veramente il mondo di oggi e soprattutto del domani, compresi le regioni e le risorse da sfruttare. Tutto ciò che ieri sembrava possibile oggi ha un valore diverso. Non saranno le tinteggiature di facciata politica a ridare valore a quegli ideali che i padri delle democrazie avevano tentato di proiettare nel futuro. La vera democrazia è agonizzante ed è sostituita dalla legge del più forte in termini patrimoniali e finanziari cancellando i vecchi colori della politica democratica. E’ il vero senso di umanità che è stato soffocato. Cosa siamo diventati nelle nostre regioni e nel nostro mondo? Le premesse per una nuova classe dirigente non ci sono perché neanche nelle università la formazione politica non è più insegnata ed i giovani ed i loro sperati figli non sono in grado di sognare un futuro nel quale agire da protagonisti. Eppure sono loro che subiranno le conseguenze di questo disastro basato sulle menzogne e sulla disonestà diffusa  e ne pagheranno i costi. Eppure i giovani sono la nostra speranza. Come immaginare, progettare e dar gambe a un possibile piano b, capace di rivitalizzare il nostro patrimonio del  geo parco sardo ed evitare la gabbia e le servitù delle multinazionali energetiche senza una capacità politica in grado di evitare questo avviato scempio? La scommessa nuorese e di tutta la Sardegna sull’Einstein Telescope, fondamentale evoluzione dell’ex geo parco di Sos Enattos e di Cuzurra, nonostante il totale sostegno politico e scientifico per la sua fattibilità nel sito sardo, si scontra con gli interessi regionali al confine tra l’Olanda, il Belgio e la Germania e il sistema multinazionale dei quali fanno parte per motivi strategici e fiscali, società energetiche che in parte ancora sono di proprietà dello stato italiano, come può essere vinta? La guerra energetica alle pale eoliche off-shore e terrestri che non risparmiano neanche i tratti di mare di fronte alla Costa Smeralda e la sacralità storica di Su Nuraxi sulle colline della Marmilla, e con queste il geo parco del Sulcis, e con distese di pannelli solari sul mare davanti alla diga foranea industriale di Portotorres davanti alla preziosa isola dell’Asinara, come può essere vinta? Il valore umano dei sardi e del loro patrimonio è stravolto con il vecchio e nuovo stratagemma delle false verità e del ricatto occupazionale che sta favorendo l’ennesima emigrazione di massa e lo spopolamento dei territori per facilitare l’ennesima violenza umana e ambientale, che comprende anche il cagliaritano nonostante le statistiche di sviluppo lo pongano al trentesimo posto in Italia mentre le altre province sono collocate agli ultimi posti? Il patrimonio della Sardegna siamo noi con le nostre diversità complementari e storiche, e l’ambiente è il nostro equilibrio perché ancora risorsa non valorizzata e la nostra cultura ne è il motore, se fossimo capaci di renderlo tale. Ogni angolo della nostra isola è da valorizzare e ogni attività economica nei diversi settori, basti che si rispetti quell’equilibrio. Anche la politica governativa sarda ha detto si alla autonomia differenziata nella conferenza delle regioni e fa parte delle 16 che la hanno approvata. La coerenza e tenacia del ministro Calderoli che da anno perseguiva questo obiettivo, spacciandolo per una scelta federalista, lo hanno premiato ma la Sardegna ci ha perso due volte nella frantumazione di una unità che mai è stata unita sui veri diritti dei cittadini e sulla riconferma di un’isola colonia, preferita dagli interessi famelici mondiali per la facilità speculativa e l’accondiscendenza tacita della sua popolazione. A nulla a questo punto serviranno le opposizioni di una regione tardiva alle autorizzazioni che gli ultimi governi hanno approvato ed il governo attuale sta rendendo esecutive. Pochi oppositori a queste strategie non riusciranno mai a frenare questo veloce percorso distruttivo se non con un ultimo e vitale tentativo, superando gli individualismi e i particolarismi finalizzati al nulla. Bisogna incontrarci in tutti i territori per ragionare su un possibile piano b di un futuro umano e patrimoniale della Sardegna. Ci vuole un importante atto di coraggio e di umiltà politica che solo i giovani possono avere e una lungimiranza illuminata che solo le donne sarde hanno per programmare un nuovo progetto possibile per la Sardegna. Persone oneste e fedeli al principio di una diversità nell’unità di una terra paradiso promotrice di un modello che la trasformi in un’isola della pace, quella vera. Manca un anno alle prossime elezioni regionali è c’è ancora il tempo per avviare l’ultima stagione di un risveglio dei sardi e non diventare il popolo perduto di una terra non più paradiso. Non dobbiamo far erodere la nostra libertà e dissolvere il nostro futuro come i 160 kilometri di coste occidentali erose in quest’ultimo anno dal mare, facendo finta di niente. Possiamo avviarci su un cammino verso la verità e un futuro diverso tracciando un solco nuovo sulla …