GLI SCIOPERI DEL 1 MARZO 1944: UNA LOTTA OPERAIA CHE HA SEGNATO LA STORIA D’ITALIA

di Franco Astengo | Come sempre ricordiamo gli scioperi operai del 1 marzo 1944. Scioperi rivolti contro l’invasore nazifascista. Scioperi che segnarono un punto di svolta nella Resistenza dimostrandone il radicamento nei settori decisivi della classe operaia delle grandi fabbriche. Da ricordare ancora, in questo giorno così importante per la nostra memoria storica, l’efferatezza che reca sempre con sé la guerra. Gli scioperi del 1 marzo 1944 furono prima di tutto un atto di “fierezza operaia” anche se furono soprattutto il frutto di una meticolosa organizzazione politica. Quella giornata va tenuta ancora come esempio di sacrificio e di dedizione alla causa comune della pace e della dignità umana ricordando il sacrificio dei martiri che in quei giorni subirono la deportazione nei campi di sterminio. Entrarono in sciopero, nelle diverse fasi della lotta, circa mezzo milione di operai nelle grandi fabbriche del Nord. Tra marzo e giugno, furono deportati a Mauthausen circa 3.000 lavoratori scelti tra gli organizzatori degli scioperi e tra i più attivi quadri politici presenti nelle fabbriche. L’Unità del 15 Marzo 1944, sotto l’occhiello : “La classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava :” Lo sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia vinta contro gli oppressori della Patria”. Era quello, in estrema sintesi, il giudizio che l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano forniva allo sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1 Marzo di quell’anno: un vero e proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord, e che è necessario ricordare non soltanto per dovere di cronaca o per ricordare quanti, in quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di sterminio, Mauthausen in particolare. L’intervento della Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si manifestò, infatti, con l’intensificata guerra partigiana sulle montagne e nelle città. L’importanza e l’efficacia di quel contributo deve essere collegato, quando si sviluppa un tentativo di analisi storico – politica, alla vasta azione di massa condotta dalle classi lavoratrici. Solo in quel modo, nella saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi fabbriche, il movimento di Resistenza avrebbe assunto un ruolo decisivo in quella fase cruciale della guerra, alla vigilia dello sbarco in Normandia e mentre sul fronte est le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate verso Occidente. Considerata l’impossibilità di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi sarebbero rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1 Marzo, per mancanza di energia elettrica. L’espediente, subito denunciato da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro. Sin dal primo giorno lo scioperò si rivelò imponente e vide complessivamente la partecipazione di circa mezzo milione di lavoratori. A Milano scioperarono anche le maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo della grande borghesia lombarda non poté uscire. La repressione tedesca fu dovunque feroce. L’ambasciatore Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per cento degli scioperanti. E anche se il mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) si calcola che circa 1.200 operai furono subito deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di Mauthausen. I fascisti s’assunsero il ruolo servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro. A Genova, il capo della provincia Basile lanciò un “ultimo avviso”, minacciando – appunto – la deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria”). Basile era lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito che avrebbe dovuto svolgersi proprio a Genova. Congresso le mobilitazioni di piazza impedirono  si svolgesse aprendo la strada anche alla caduta del governo  monocolore che gli stessi missini stavano sostenendo. La sera stessa del 1 Marzo , a Savona, 150 operai dell’Ilva e della Scarpa e Magnano furono arrestati per essere poi avviati alla deportazione (un carico di savonesi arrivò a Mauthausen il 26 Marzo dopo essere passato per la Casa dello Studente e San Vittore): altri luoghi d’origine della deportazione furono Varese (50 deportati), Prato (dove lo sciopero fu totale e generale), Bologna. Da Torino furono deportati 400 lavoratori (178 appartenenti alla FIAT), da Milano 500, in particolare dall’area di Sesto San Giovanni (Breda, Falck, Marelli, Ansaldo). Il successivo 16 giugno 1944 in adesione all’ordine di Hitler 1.488 operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso del turno di lavoro nelle fabbriche all’Ansaldo, all’Ilva, alla SIAC. Dati sicuramente incompleti. In realtà lo sciopero fu una dimostrazione imponente di forza e di volontà combattiva, fu un movimento di massa che non trova riscontro nella storia della resistenza europea. Ai fini bellici la sua importanza non fu minore, se si pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente paralizzata in tutta l’Italia invasa. Il che equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di battaglia. Complessivamente è possibile riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 Marzo) rileggendo quanto scritto all’epoca, dalla “Nostra Lotta”: “ Lo sciopero generale politico rivendicativo dell’1-8 Marzo assume un’importanza e un significato nazionale e internazionale di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva; indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto …

IL RITORNO DELLA “CRITICA SOCIALE”

di Franco Astengo | Centro “Brera” di Milano, 25 febbraio: una partecipata assemblea contraddistinta da un serrato (anche articolato) dibattito ha segnato la ripresa delle pubblicazioni della “Critica Sociale”, l’antica rivista fondata nel 1891 da Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Un segnale di presenza e di testimonianza voluta da un gruppo di promotori molto determinato a fare in modo che, nonostante gli inviti arrivati da autorevoli fonti a considerarsi sconfitti, la parola “Sinistra” riprenda a coincidere con “Socialismo”. Un’iniziativa che si affianca ad altre in itinere e ad analoghe presenze di diversa derivazione culturale e politica che pure continuano a proporre una visione, un’analisi e un aggiornamento costante sulle proposte di trasformazione sociale, impegno politico, opposizione alla destra e ai pericoli che derivano dalla presenza del governo uscito dalle elezioni del 25 settembre: pensiamo a “Critica Marxista”, “Alternative per il Socialismo”, “Infiniti mondi” soltanto per avanzare qualche esempio. In questo quadro emerge un punto di riflessione: a sostegno di queste imprese editoriali si collocano gruppi di iniziativa e di riflessione politico – culturale che stanno svolgendo un lavoro sicuramente impegnato in una fase in cui la sinistra e il fronte democratico si trovano in grande difficoltà. Sinistra e fronte democratico in forte difficoltà sia sotto l’aspetto del radicamento sociale, della capacità progettuale e degli stessi esiti elettorali. Una fase nella quale sembra, prima di tutto , sfuggire quell’egemonia culturale affermata un tempo ma ridotta di influenza dalla difficoltà di comprendere -prima di tutto – il quadro di mutamento internazionale, il peso dell’impatto dell’innovazione tecnologica, l’allargarsi di disuguaglianze inaccettabili, la disgregazione del mondo del lavoro, l’affermarsi socialmente di un individualismo consumistico e competitivo. La redazione di queste poche note è stata dettata dall’urgenza di indicare due questioni parse evidenti proprio ascoltando il dibattito di presentazione della ripresa della “Critica Sociale”: 1) l’avvio di una fase di confronto tra tutti i soggetti impegnati nell’insieme di queste iniziative, al di là delle loro sedi di provenienza, senza preclusioni o intenti di primazia. Naturalmente nella piena consapevolezza delle diversità di affrontare, reclamando quindi un recupero dell’usato strumento della dialettica politica abbandonato nei soggetti politici a favore della pratica correntizia; 2) Lo sviluppo di un’analisi riguardante la realtà degli spazi esistenti nel sistema politico italiano. Sono molti i punti da verificare sotto questo aspetto a partire da natura, ruolo, collocazione del PD in esito anche a quello che sarà l’esito delle elezioni primarie che si stanno svolgendo proprio mentre è in corso questo modesto tentativo di elaborazione. Il punto di arrivo di questa analisi da condurre in comune tra diversi soggetti dovrebbe essere quello di stabilire se può essere ragionevolmente possibile realizzare la costruzione di una soggettività politica per la quale -come si affermava all’inizio – il termine “sinistra” coincida con quello di “socialismo”. Proprio nel senso dell’affermazione del “socialismo” come punto identitario si tratta di verificare la possibilità di superare le tante incertezze e i tanti equivoci che hanno accompagnato la fase più recente della vita politica italiana, compresi quelli derivanti da pulsioni populiste e movimentiste e dall’assumere, di volta in volta, “single issue” di riferimento trascurando la complessità delle interazioni strategiche in atto nelle “fratture” della modernità. I punti di principio sui quali misurarsi potrebbero essere così schematicamente riassunti: 1) Autonomia. Prima di tutto Autonomia nel significato di Autonomia dal capitalismo considerato insuperabile: è questa la prima risposta da fornire al tanto discusso, in queste ore, al “pamphlet” di Aldo Schiavone e all’invito che contiene a considerare il tema dell’uguaglianza ormai interno all’immutabilità del sistema. Uguaglianza come fattore di trasformazione economica e sociale: così può essere ancora riassunto il senso di un Socialismo del XXI secolo; 2) Internazionalismo. Si tratta di sviluppare due elementi: la capacità di disporre di una visione “altra” anche sul tema delicato della pace e della guerra e dell’intreccio tra questo e le contraddizioni epocali dell’ambiente e delle migrazioni. Occorre riprendere una visione che ci metta in grado di collegare l’insieme delle istanze progressiste ben oltre la “sovranazionalità”: “Europa come spazio politico”; “Pace come vero ostacolo alla ripresa della “logica dei blocchi”e magari all’ “equilibrio del terrore”; ” Recupero di funzione degli organismi internazionali per determinare equilibrio nell’utilizzo delle risorse, nella promozione della democrazia e la libera circolazione delle idee e delle persone, in un contesto dominato dai “grandi signori” del web che dominano la diffusione di notizie e condizionano lo stesso scambio tra le persone; 3) Pedagogia politica. Nella funzione di un soggetto politico portatore di istanze socialiste adeguate al XXI secolo (ambiente, innovazione tecnologica, affrancamento del lavoro dalle tendenze schiavistiche in atto , welfare universalistico) deve risultare prioritaria quella funzione pedagogica attraverso la quale i grandi partiti di massa del ‘900 portarono avanti la loro espressione di egemonia culturale facendo così avanzare le grandi masse proletarie e operaie. L’auspicio è quello di realizzare al più presto un incontro fra tutti questi soggetti e avviare sedi di analisi comuni: per ora nel ristretto ambito nazionale in attesa di tornare ad esprimerci su orizzonti ancora più ampi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UNA LETTERA LOMBARDA AL RESTO D’TALIA

Il Risultato previsto delle regionali rende maturo un mio vecchio progetto, di cui non ho mai parlato, perché dicevo non bisogna parlarne finché l’astensione non superava il 50%, siamo al 60% e nel Lazio più ancora. Ora le urgenze sono l’autonomia differenziata, la legge elettorale, ricorsi e referendum abrogativo, e appunto astensione. Aggiungerei stato della UE, sulla quale alcuni accenni sono necessari. Dopo il Consiglio europeo straordinario del 24 gennaio scorso con le decisioni sul PNRR “flessibile” e le deroghe al divieto di aiuti di stato, che saranno massicce per i paesi con i conti in ordine, cioè Germania e Francia, si conferma che l’Italia non è più un paese leader in Europa. Il PNRR sarà flessibile perché non ce ne saranno altri di finanziamenti con fondi europei, mentre le deroghe agli aiuti di stato saranno importanti, basta che la Commissione Europea faccia finta di niente, come sempre, a partire dai deficit mascherati per l’unificazione tedesca e gli attivi per avanzi nel commercio estero. La conseguenza sarà un’Europa a due velocità di sviluppo, con riflessi anche in Italia, specialmente per il Nord-Est, che in termini europei comprende anche l’Emilia-Romagna e nei settori che dipendono dalla presenza francese. La sinistra mi sembra impantanata in una fase consolatoria, che è meglio della disperazione, ma non si proietta nel futuro. I commenti, complici giornalisti servi alle elezioni regionali, mi convincono che siamo governati da extra terrestri, sono indeciso tra assegnare il primo premio a Salvini o a Letta, ma visto che a quest’ultimo non importa di essere il primo, forse un ex aequo è la giusta punizione. In corsa c’è anche Fontana, che è contento, perché il 54% dei lombardi ha dimostrato di apprezzare il suo governo di questi 5 anni. E’ vero, nel 2018 aveva fiducia in lui appena il 49,75%, corrispondenti a 2.793.369 voti con una partecipazione del 73,10%. Ora sono il 54,7% quasi un +5%, ma in voti 1.666.426, più di un milione in meno: tutti morti nella prima fase della pandemia da COVID? Salvini, gasatissimo, applaude la crescita percentuale della Lega rispetto al settembre 2022 e parla della maggioranza degli italiani che approva Meloni e i suoi ministri compresi quelli della Lega. Nel 2018, però, i voti lombardi della Lega erano 1.553 787, cioè da sola rappresentava il 93,24% dell’interi destra-centro di oggi e il 95,12% dell’intero centro-sinistra all’opposizione: potevano vincere da soli se candidavano Maroni. Letta apprezza il PD, sopra il 30%, in realtà i candidati del PD, che è il primo partito dell’opposizione e in alcune città lombarde, Milano compresa, il primo partito in assoluto. Majorino ha preso il 33,7%, 4 punti percentuali in più% del 29,09% di Gori, ma, appena 1020.870, tra cui il mio. Tuttavia, se avesse conservato i voti di Gori, 1.633.373 e avesse preso 33.054 voti soltanto dal M5S, dei 974.983 del 2018, cioè il 3,39%, oggi sarebbe Presidente della Regione, invece di dover sottrarre un seggio da consigliere ad una lista alleata, la più piccola, quella che avrebbe beneficiato meno della sua vittoria. Una delle tante incongruità d’una legge elettorale importata dalla Campania, un Campanellum. Mi sembra un nome giusto vista la modestia complessiva dei personaggi in gioco; perciò, non ci chiederemo “per chi suona la campana?”, come Hemingway per la Guerra Civile di Spagna, ma per chi suona il campanello d’allarme per le sorti della democrazia costituzionale in Italia. Con il 60% di astenuti non ha senso dire “ha vinto la destra!” perché ha perso la democrazia rappresentativa, perché non garantisce la rappresentanza del Popolo (art. 1 Cost.) e della Nazione (art. 67 Cost.): giudizio che non cambia avesse vinto il centrosinistra in una o anche in due Regioni. Nel regno dei ciechi l’orbo è Re! La prossima volta a Roma candideranno Massimo Carminati “er guercio” della Terra di Mezzo, già Mafia Capitale A presto! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIORNO DEL RICORDO

Cari compagni e compagne, anche quest’anno Verbania Documenti organizza con la Casa della Resistenza e con il patrocinio del Comune di Verbania il Giorno del ricordo. Con una comune decisione del tutto intenzionale NON organizziamo nulla nella data del 10 febbraio, stabilita per legge, perché preferiamo lasciare questa incombenza alle “manifestazioni” di tipo istituzionale, mentre noi ogni anno desideriamo trattare argomenti diversi che costituiscono – per loro stessa natura – un tutt’uno con la vicenda tragica dei nostri confini orientali dopo l’8 settembre 1943 e fino ai primi anni ’60. Quest’anno abbiamo scelto di “indagare” sull’accoglienza in Piemonte riservata ai profughi istro-dalmati-fiumani (e non solo a loro). Perchè questa scelta?  Innanzitutto perchè non l’avevamo ancora affrontata come era giusto fare e poi perché la responsabilità dell’accoglienza ai profughi italiani NON può essere scaricata su nessun altro che non sia il nostro (e il loro) Paese con i suoi cittadini. Avremo con noi amici e conoscenti che ci aiuteranno a capire che cosa è successo, le difficoltà per tutti in quel periodo complicato, le speranze di una nuova vita dopo l’espulsione forzata dai territori di nascita degli esuli. Per vostra opportuna informazione vi invio la locandina del nostro incontro pubblico. Nel caso in cui qualcuno di voi voglia farci compagnia, informo che Villa Giulia è una sede comunale sita al termine del lungo lago di Pallanza. Ma voglio anche dirvi che si stanno facendo lavori importanti proprio in quel tratto, per cui non è possibile con alcun mezzo percorrrere il lungo lago. BISOGNA INVECE proseguire sempre diritto – corso Nazioni unite e poi corso Europa – fino all’altezza di Villa Taranto, per poi voltare a destra e percorrere il senso unico con pista ciclopedonale verso Pallanza fino a incrociare Villa Giulia (corso Zanitello 8). C’è un posteggio con pochi posti, ma poco più avanti c’è un multipiano (via Cavallini). Seguite le frecce gialle sulla cartina fino al bollino rosso indicante Villa Giulia. Grazie a tutti/e, a presto rivederci a chi verrà. Bruno Lo Duca – Verbania Documenti e Socialismo XXI Piemonte SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA E LA POLITICA CULTURALE DEL PCI

di Franco Astengo | E’ uscito recentemente (agosto 2022) un testo di Claudio e Giandomenico Crapis su “Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra”. Un testo riferito agli anni ’60 e – in particolare – a due saggi scritti su invito di Mario Spinella da Umberto Eco “sui problemi della cultura di opposizione” e pubblicati da “Rinascita” nell’ottobre del 1963 . Rinascita in quel momento era ancora diretta da Palmiro Togliatti che sarebbe scomparso nell’agosto del 1964. Su quei testi di Eco si aprì un dibattito, in parte riportato nel volume e ,ripubblicando alcuni interventi, gli autori rilevano come risultasse insufficiente la risposta fornita da Rossana Rossanda in quel momento responsabile della commissione culturale del Comitato Centrale: un giudizio di insufficienza rispetto alla capacità di comprensione della modernità che stava incalzando in una fase di dibattito particolarmente “aperto” all’interno del partito e nell’intera sinistra (non si erano ancora spenti i fuochi della dispora verificatasi attorno ad Ungheria ’56, si stava formando il primo governo organico di centro – sinistra e, di conseguenza, si stava per consumare la scissione del PSI che avrebbe originato lo PSIUP). Nel testo di Claudio e Giandomenico Crapis si fa anche cenno al convegno del “Gramsci” del 1962 sulle “Tendenze del capitalismo italiano” nel corso del quale si originò un confronto serrato tra le tesi sostenute da Amendola sul capitalismo italiano “straccione” e una visione contraria di analisi delle innovazioni in corso sostenuta da Trentin, Magri e Foa (naturalmente semplifico per ragioni di economia del discorso). Non intendevo però soffermarmi sul dibattito sorto intorno ai saggi di Umberto Eco ma riferire, invece, di un passaggio evidenziato nel testo di introduzione del volume cui si sta accennando. Con una premessa: Togliatti aveva affidato a Rossanda la direzione della politica culturale del partito a seguito di un netto ripensamento della linea tenuta per tutti gli anni’50 e improntata – anche in questo punto seguo la massima semplificazione – al “realismo socialista” (verrebbe da dire : alla “dottrina Zdanov”) : esempio classico la stroncatura da parte dello stesso segretario generale della mostra tenuta a Bologna nel 1948 da pittori astrattisti(tra i quali Turcato, Vedova, Guttuso) e giudicata “semplici scarabocchi”, oppure la polemica sorta con Massimo Mila e il giudizio togliattiano della musica di Sostakovic come “presa in giro”. Il dibattito seguito all’indimenticabile ’56 (copyright Pietro Ingrao), all’VIII congresso del PCI (codificata la “via italiana al socialismo” nel quadro di una visione multipolare, in risposta all’esito del XX congresso del PCUS) e l’intervista rilasciata – sullo stesso argomento – da Togliatti a “Nuovi Argomenti” aveva portato a una profonda correzione di linea.Dunque in questo quadro si collocava un intervento di Rossanda (1963) all’indomani di una celebre intemerata di Krusciov rivolta verso artisti e scrittori che si orientavano verso estetiche diverse dal realismo socialista (nel novembre del 1957 si era anche verificato il “caso” della pubblicazione in Italia, presso Feltrinelli, del “Dottor Zivago”). L’intervento di Krusciov risultò molto duro (e in apparente controtendenza con aperture procedenti sostenute dallo stesso segretario del PCUS) e Rossanda rispose in questi termini: “Il discorso ci trova molto critici e suscita in noi profonda preoccupazione perché l’unico principio fondamentale che si può rintracciare nell’elaborazione del pensiero socialista da Marx a Lenin a Gramsci, è la reintegrazione dell’uomo come padrone di sé stesso. Aggiungeva Rossanda “La morale marxista non è una morale, ma la fondazione di una possibilità di una morale, di una libertà contro la soggezione dell’uomo. Ancora “Il compito del Partito rivoluzionario non è quello di commisurare la legittimità di questa o quella produzione artistica alla propria elaborazione ma di garantire la fondazione di una cultura e d’una morale come cultura e morale di libertà rinunciando ad ogni concezione subalterna”. Il PCI si trovava all’interno di un travaglio molto complesso e l’improvvisa scomparsa di Togliatti, pochi mesi dopo, avrebbe poi portato a un “assestamento” del gruppo dirigente (nel quale era successivamente scomparso anche Alicata difensore della tesi dell’ortodossia del “realismo”) e a vicende successive che si sarebbe concluse con la radiazione del gruppo del Manifesto di cui Rossanda e Magri rappresentavano i principali esponenti perlomeno sul piano della ricerca teorica e più direttamente politica. Valeva la pena riportare questo passaggio della risposta di Rossanda a Krusciov proprio per cercare di stabilire come, a cavallo degli anni’60 mentre si avviavano a conclusione i “trenta gloriosi”, nella sinistra fosse aperta una discussione di fondo sui termini concreti di ciò che stava mutando nella formazione dell’egemonia e nelle stesse forme di pedagogia politica rispetto alla prima fase della costruzione del partito di massa dalla svolta di Salerno in avanti e ancora successivamente dentro la logica dei blocchi. In conclusione si può forse affermare che nell’immediato prosieguo, tra i primi anni’70 e il successivo periodo caratterizzato dalla presenza della proposta di “compromesso storico” il dibattito interno al PCI e quello rivolto verso gli intellettuali posti alle prese con il tumultuoso modificarsi della società dei consumi e con l’individualismo rampante subì una sorta di torsione “politicista”, del diluirsi di una ricerca rivolta alla “tensione teorica”, quasi di “adeguamento” alla modernità (modernità inclusiva dell’effimero) e di rifugio nell’autonomia del politico e di una sorta di separatezza dalla complessità della ricerca culturale. Forse però questo è un giudizio superficiale ed è il caso, per valutare al meglio, di affidarsi a un eventuale dibattito che risulterebbe non soltanto di retrospettiva. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SE IL PSI AVESSE ASCOLTATO LOMBARDI

di Antonio Giolitti | Uno scritto del compianto compagno Antonio Giolitti, in memoria di Riccardo Lombardi a pochi giorni dalla sua scomparsa | UBIQUITA’ e isolamento sembrano due caratteristiche coesistenti, e apparentemente contraddittorie, nella personalità politica di Riccardo Lombardi. La sua presenza di militante, di leader, di interlocutore, è stata attiva e costante su tutto l’arco della sinistra, come dirigente del Partito d’Azione e poi del Psi, come ascoltatore attento, osservatore penetrante e critico acuto del Pci e di gruppi e individui fuori dei partiti. Instancabile e spesso implacabile. E tuttavia isolato, nonostante le amicizie profonde e durature che aveva saputo suscitare e coltivare (tra le quali credo di poter annoverare, con commozione, anche la mia). Isolato perchè eretico e indocile riguardo alle liturgie e alle servitù imposte dai riti partitici (sempre insofferente, ricordo, di quelle che egli chiamava le “litanie” sciorinate dai microfoni); ma soprattutto, direi, perchè refrattario a quella sorta di sciovinismo di partito che è andato imperversando da quando – come ha osservato recentemente Asor Rosa su queste colonne – ogni partito pensa anzitutto ai fatti propri, “ognuno per sè, e tutti contro tutti… neanche l’ombra di un cosiddetto interesse generale”: neppure – aggiungo io – quella di un interesse generale della sinistra, che era invece la motivazione permanente e profonda dell’ impegno politico di Riccardo Lombardi. Era quello per lui il pensiero dominante e il criterio guida, in funzione dell’alternativa e perciò della capacità di governo della sinistra. Una endiade, questa, inscindibile: vana l’idea dell’alternativa se non associata a capacità di governo; vana questa se non al servizio dell’alternativa di sinistra come componente essenziale dell’ingranaggio democratico. Dunque, capacità di governo da valere e da verificarsi in rapporto agli obiettivi di riforma; perciò ci volevano – come egli amava dire – Nsocialisti ministri e non Nministri socialisti. Tre momenti della sua lunga e tormentata vicenda politica mi sembrano significativi rispetto a quanto ho appena annotato. ALL’ INIZIO degli anni 60 Lombardi intraprese insieme con un piccolo gruppo, del quale io mi trovai a far parte, un lavoro estremamente intenso, direi quasi accanito, di preparazione alla partecipazione di “socialisti ministri” al governo di centro-sinistra: analisi di problemi, elaborazione programmatica di obiettivi, priorità, linee di azione. Era un primo tentativo di riformismo operante e non vociferante. Il centro-sinistra doveva esser messo alla prova oltre che come formula politica (secondo la massima della “politique d’ abord” cara a Pietro Nenni) anche come terreno di sperimentazione della capacità di governo di un partito socialista che tale prova intendeva affrontare non solo per se stesso ma per tutta la sinistra (di proposito evito di scrivere “in rappresentanza” di tutta la sinistra, perchè posta in questi termini la pretesa sarebbe stata eccessiva). Per questo insistemmo tanto nel rifiuto della cosiddetta “delimitazione della maggioranza”, e cioè della formula morotea che significava rigetto pregiudiziale dei voti comunisti anche se aggiuntivi a quelli di una maggioranza autosufficiente. Per questo non approvammo, nella famigerata “notte di San Gregorio”, un programma di governo che ci sembrava fragile e sdrucciolevole per le sue reticenze e ambiguità. Grazie a questa gravidanza difficile il primo centro-sinistra nacque come esperimento che poteva e doveva essere interessante per tutta la sinistra: ma il Pci non volle e non seppe comprendere il significato e le possibilità di quella audacia lombardiana. Da allora Riccardo Lombardi assunse la leadership di un gruppo che andò via via prendendo distanze sempre maggiori dalla coalizione di governo e quindi dalla maggioranza del partito. La differenziazione si accentuò, fino a diventare opposizione, di fronte alla progettata unificazione tra Psi e Psdi. Opponevamo a quella operazione tre obiezioni fondamentali. Si presentava come un accordo tra i vertici, arrogante nei confronti della manifesta indifferenza e diffidenza della base, da realizzarsi in termini di “fifty-fifty”, con la conseguenza, chiaramente prevaricante, di spostare sensibilmente verso il centro la collocazione del partito socialista. Altra conseguenza, e seconda obiezione, era l’irresistibile scivolamento del partito socialista sul versante della coalizione di governo con la Dc in posizione subalterna e irreversibile, che significava rinuncia a esercitare un ruolo nella sinistra per l’alternativa. La terza e non minore obiezione risaliva alla differenza, ormai incolmabile, nella concezione stessa del socialismo, nel modo d’ intendere e di mettere in pratica la ragion d’ essere di un partito socialista. Negli ultimi anni l’ubiquità di Lombardi nel dialogo con tutte le componenti della sinistra è stata particolarmente feconda, ma al tempo stesso si è accentuato, all’ interno del Psi, il suo isolamento, in seguito al dissolvimento della cosiddetta corrente di sinistra nella unanimità intorno al nuovo leader. Volatilizzato ogni dissenso e spento ogni dibattito, era rimasta, isolata ma non smorzata, la voce stimolatrice, critica e se necessaria fustigatrice di Riccardo Lombardi. Certo, la scelta più chiaramente e nettamente autonomista che dalla fine del 1976 ha caratterizzato la linea politica del Psi era condivisa da Lombardi. Ribadiva la scelta occidentale e riformista. Offriva una prospettiva di rinnovamento e di rilancio per tutta la sinistra. Potevano derivarne, nelle condizioni concrete della politica italiana, due linee di azione per il Psi: si poteva spendere l’autonomia per acquistare maggior peso in un rapporto di alleanza con la Dc, da equilibrare mediante un rapporto più stretto con i partiti “laici”, e dare così al paese una garanzia di stabilità democratica, di moderato riformismo, di una capacità di governo coerente con obiettivi di lungo periodo; oppure si poteva esplicitamente e lealmente, facendo prendere atto dei vincoli imposti dal ruolo storico del partito socialista e dalla peculiarità della situazione politica italiana (bipolarismo incombente), perseguire una “doppia linea”, cioè una strategia di lungo periodo mirante all’ alternativa democratica di sinistra e di medio periodo derivante dalla responsabilità di assicurare al paese un governo democratico hic et nunc. E’ questa, per così dire, l’ambiguità oggettiva imposta al partito socialista dall’ ambiguità storica di un partito comunista permanentemente alla ricerca di una terza via tra una esecrata socialdemocrazia e un inaccettabile socialismo reale: la necessità, cioè, e quindi l’ambiguità, di assumersi la propria parte di responsabilità di fronte al problema della “governabilità” …

LOMBARDIA E LAZIO 2023: VOLATILITA’ E ASTENSIONISMO

di Franco Astengo | I media mainstream stanno davvero rendendo un cattivo servizio all’informazione presentando l’esito delle elezioni regionali di Lombardia e Lazio (febbraio 2023) in termini di vittoria e sconfitta sulla base di percentuali di voto: sicuramente ci sono degli eletti che disporanno di quote di potere ma l’esito di questa tornata elettorale ha messo in mostra un ulteriore elemento caratterizzante le difficoltà del sistema politico italiano.ù Elemento di difficoltà che deve essere analizzato con grande attenzione. Certamente una molteplicità di fattori influiscono sul dato generale: le elezioni Regionali assieme alle Europee sono quelle che meno attraggono l’elettorato; le liste degli aventi diritto al voto (diversamente da quanto avviene per le elezioni politiche) comprendono le elettrici e gli elettori residenti all’estero che non possono così votare e altri elementi di tipo tecnico). Il ruolo delle Regioni sfugge sempre di più al comune cittadino che osserva e – nonostante il peso che un tema delicato come quello della sanità, di cui la gran parte della titolarità spetta alla Regione, ricopra nella vita quotidiana – l’Ente Regione è visto semplicemente come Ente di spesa e di nomina. Tutte motivazioni sacrosante, ma il punto sta da un’altra parte. La novità che presenta l’esito elettorale delle elezioni regionali 2023 di Lazio e Lombardia è quello di un evidente incanalarsi della volatilità elettorale verso l’astensionismo in dimensioni di massa. Fin qui c’era stata una ricerca del “nuovo” passando in rassegna tra il 2014 e il 2018 ogni possibile nuova soluzione avanzata di volta in volta sull’onda di un crescente populismo: Renzi 2014, Cinque stelle 2013, 2018, Lega 2019. Già il successo di Fratelli d’Italia alle elezioni politiche 2022 aveva registrato un forte arretramento di consenso per il partito capace di assumere pro-tempore la maggioranza relativa: erano stati 11 milioni i voti per il PD (R) alle europee 2014, scesi a 10 milioni per la vittoria a 5 stelle nel 2018, poi 9 milioni per l’exploit della Lega dei “pieni poteri” (Europee 19) mentre Fdi si è limitato (2022) alla maggioranza relativa con soli 7 milioni di voti mentre il partito di maggioranza uscente ne perdeva 6 milioni e l’astensione saliva di 4 milioni di unità. Adesso tra Lazio e Lombardia è successo questo: tra il 2022 (settembre) e il 2023 (febbraio), Celso Ghini mi perdonerà l’obbrobrio comparativo, il partito di maggioranza relativa scende, in Lombardia da 1.396.089 voti (18,60% sul totale degli iscritti nelle liste) a 725.402 ( 9,05 % sul totale degli iscritti nelle liste, quindi un dimezzamento reale di rappresentatività). Nel Lazio succede questo: a settembre FdI ottiene 851.348 voti (19,56% sul totale degli iscritti nelle liste) a febbraio 2023 il partito di maggioranza relativa si ferma a 519.633 voti (10,84% sul totale degli iscritti). Il totale dei voti validi (esclusa astensione, schede bianche e nulle) assomma in Lombardia a 3.245.754 voti per i candidati presidenti e 2.881.164 per le liste circoscrizionali (rispettivamente 40,51% e 35,96%); alle elezioni politiche 2022 i voti validi furono 5.058.848 (60,7%); nel Lazio 1.734.472 voti per i candidati presidenti (36,38%) e 1.545.785 vioti per le liste circoscrizionali (32, 26%); alle politiche 2.707.954 voti validi (62,23%). Non sono proponibili comparazioni per i presidenti eletti essendo passata una vera era geologica tra il 2018 e il 2023, però può essere interessante far notare come Fontana sia stato rieletto in Lombardia con 1.774.477 voti rispetto ai 2.793.369 voti nell’elezione precedente (1 milione di voti in meno); nel Lazio Rocca ha avuto 934.614 voti contro il milione diciottomila settecento trenta sei di Zingaretti nel 2018: quindi con una quota che può essere considerata di “tenuta” anche se in leggero calo rispetto ai voti ottenuti da Parisi nel 2018 (il candidato sconfitto del centro – destra ottenne 964.757 voti). Rispetto al risultato delle regionali lombarde del 2018 da notare che Gori fu sconfitto con 1.643.614 voti (20,84% sull’intero corpo elettorale) ridotti nel 2023 a 1.101.417 per Majorino (13,74% dell’intero corpo elettorale). A questo punto non si intende ovviamente porre in discussione la legittimità degli eletti a ricoprire il loro ruolo: ma il fatto che il presidente eletto nella Regione della Capitale rappresenti il 19,50% dell’intero elettorato dovrebbe porre qualche problema a una classe politica che parla di conferme e rafforzamenti. Il calo della partecipazione al voto è costante, nella storia del sistema politico italiano, a partire dal 1979 e il fenomeno ha anche travolto nel suo inter un istituto come quello del referendum abrogativo: inizialmente acuti analisti giudicarono il fenomeno come segnale della “maturità” della nostra democrazia, finalmente uscita dalla fanciullezza delle “conventio ad excludendum” e pronta per bipolarismo e alternanza (correva a quell’epoca il racconto del presidente degli Stati Uniti che alla fine veniva eletto dal 25% della popolazione). Adesso ci troviamo ben al di sotto della soglia di guardia con la novità di un fenomeno come quello della volatilità elettorale, sviluppatosi in Italia in tempi recenti, che pare proprio volgersi nella crescita esponenziale dell’astensione indebolendo ulteriormente un sistema politico già reso fragile dall’inconsistenza dei soggetti politici rappresentativi rispetto al loro radicamento territoriale e alla loro capacità di svolgere una funzione (che rimane indispensabile di pedagogia politica). Sempre svolgendo comparazioni un tempo giudicate improprie è il caso di far notare che, tra le politiche 2022 e le regionali 2023 le “alleanze variabili” non hanno funzionato per i contraenti: il Terzo Polo in Lombardia aveva ottenuto alle politiche 513.620 voti, ridotti a 122.356 in occasione della presentazione autonoma alle regionali (la coalizione con Letizia Moratti ha avuto 275.008 voti per le liste e 320.346 suffragi alla candidata); nel Lazio, presentazione differenziata rispetto alla Lombardia in alleanza con il PD, da 231.295 voti a 75.272 (nel 2021 la candidatura Calenda al Comune di Roma ebbe 219.878 voti, con 193.477 alla lista). Eguale sorte per il Movimento 5 stelle: Lombardia alleanza con il PD alle regionali (113.229 voti, alle politiche 2022 370.336); nel Lazio presentazione autonoma con candidatura Bianchi per 132.041 voti alla lista (politiche 400.825). Con il M5S nel Lazio presente anche una costola del movimento rosso verde con 18.727 voti. Infine …

IL SILENZIO DEGLI ELETTORI

Cresce ancora l’astensione! Secondo il poco conosciuto, ma rilevantissimo documento che ispirò Gianni Agnelli e che ha condizionato le scelte politiche di mezzo mondo, “Crisis of governability e crisis of democracy”, si deve correggere l’eccesso di partecipazione e debilitare, scoraggiare o delegittimare i movimenti di protesta. “L’argomento esplicitamente usato è che il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma segno della funzionalità del sistema; l’apatia è indice di buona saluta delle Istituzioni democratiche” Seguono le indicazioni politiche da adottare: “Le democrazie che hanno il baricentro nel Legislativo (Parlamento) anziché nell’Esecutivo (Governo) sono per loro natura più esposte a produrre uno Stato caricato di funzioni sociali, proprio perché la loro tenuta dipende fortemente dal consenso sociale e strutturata dai partiti. “ Questa condizione secondo il documento in questione è una aberrazione della democrazia, un circolo vizioso. Quindi bisogna ridurre le politiche sociali ( sanità, pensioni ecc); rendere meno influenti i corpi intermedi; sulla partecipazione si è già riferito. Non vi pare che anche la così detta sinistra si sia fatta promotrice di queste aberranti idee? Infatti cos’altro è la riduzione della rappresentanza prima nei comuni, poi nelle regioni ed infine nel Parlamento? E che dire delle Province ridotte ad inutili orpelli istituzionali? Che dire della distruzione e demonizzazione dei partiti che ha lasciato lo spazio alle organizzazioni prevalentemente costruite sui leader in larga parte diventati comitati elettorali? Come altro si possono definire le iniziative volte alla promozione delle privatizzazioni anche nel campo della sanità? Tutto ciò, e altro ancora, ha allontanato l’elettorato della sinistra con il risultato che alcuni elettori si sono convinti che l’originale, la destra, è meglio delle imitazioni, altri, invece, si rifugiano nell’astensionismo, non trovando una proposta politica davvero alternativa alle attuale offerta della sinistra. “Il silenzio degli elettori” però non va trascurato. Lo spirito di adattamento degli italiani (De Rita 2015) “è stato l’elemento che ha consentito di fronteggiare le difficoltà, ma si sono prodotte trasformazioni sociali radicali nel modo di essere collettivo ed individuale.” La principale di queste trasformazioni è la polarità odiosa che si è creata nel corpo sociale tra i pochi privilegiati e i molti in difficoltà; tra una oligarchia politica ed economica che si riproduce all’infinito, e un popolo frustrato dal senso di impotenza per quanto poco riesce ad incidere sulle decisioni che lo riguardano . Il silenzio degli elettori rischia di trasformarsi sempre di più e di coltivare sentimenti come la rabbia, lo spirito di rivolta, così cresce la radice psicologica del populismo su cui possono nascere avventure che possono mettere in discussione le stesse Istituzioni democratiche. Zigmunt Bauman avvertiva che “la principale vittima della disuguaglianza che si approfondisce sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati ed inaccessibili, diventano oggetto di rivalità brutali tra privilegiati e bisognosi lasciati senza aiuto” Non è forse giunto il momento, prima che sia troppo tardi, di rinnovare la sinistra, di riscoprire le giuste intuizioni socialiste aggiornando programmi e idee che fecero diventare civile e moderno il nostro Paese? Socialismo XXI ci sta provando da anni che aspettano gli altri? Il tavolo di concertazione che accoglie chiunque voglia costruire un nuovo partito di ispirazione socialista è stato avviato il 21 gennaio di quest’anno. E’ l’occasione da non perdere se davvero si vuole salvare il Paese dal disastro e offrire una speranza agli elettori. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LAZIO E LOMBARDIA: IL PESO DELL’ASTENSIONISMO

di Franco Astengo | Senza attendere l’esito (abbastanza scontato) della suddivisione dei voti tra i candidati e le liste vale la pena analizzare subito il dato dell’astensionismo registrato nell’occasione delle elezioni regionali di Lazio e Lombardia del 12 e 13 febbraio. La ragione principale per muoversi in anticipo risiede nel fatto che in questa occasione la volatilità elettorale che negli anni scorsi aveva fatto trasmigrare la maggioranza dei suffragi di fiore in fiore (numericamente sempre in discesa) questa volta, confermando la tendenza già segnalata in occasione delle elezioni politiche, si è tradotta in una astensione mai così massiccia: in Lombardia e Lazio ,infatti, nel giro di pochi mesi (dal 25 settembre 2022) sono mancati alle urne quasi 3 milioni di elettrici ed elettori passando da 8.021.809 partecipanti al voto su 11.856.262 aventi diritto a 5.116.029 partecipanti al voto su 12.803.129 aventi diritto (alle regionali gli iscritti all’estero sono compresi nelle liste mentre in occasione delle elezioni politiche sono iscritte nelle liste delle circoscrizioni estero). Se ci riferiamo all’intero territorio nazionale rileviamo che tra le elezioni politiche 2018 e quelle politiche 2022 sono mancati al voto circa quattro milioni di elettrici ed elettori (con il partito uscito dall maggioranza relativa nel 2018 in calo di sei milioni di voti); adesso siamo a tre milioni di astenuti in più in due regioni che rappresentano circa il 24% del corpo elettorale ( la proiezione porterebbe a una astensione collocata a livello nazionale all’incirca sui 12.000.000 di astenuti in più: politiche 2022, Italia, non votanti 16.666.364 ). Nel Lazio hanno partecipato al voto 1.782.834 elettrici ed elettori. Questi i dati delle precedenti tornate: Regionali ’18: 3.181.235; Europee ’19 2.493.616; Politiche ’22 2.761.648 (circa un milione di elettrici ed elettori in meno da Settembre 2022 a Febbraio 2023). In Lombardia hanno partecipato al voto 3.333.195 elettrici ed elettori. Questi i dati delle precedenti tornate: Regionali’18: 5.762.849; Europee ’19 4.997.986; Politiche ’22 5.260.161 ( in questo caso poco meno di due milioni di elettrici ed elettori). Le elezioni regionali assieme a quelle europee rappresentano ormai da molto tempo il punto più debole nella partecipazione al voto tra le diverse tipologie di tornate elettorali: in questa occasione però la diserzione dalle urne assume ancora di più un significato particolare trattandosi del primo voto – post pandemia riguardante l’Ente che ha la maggiore responsabilità nella gestione delle risorse in campo sanitario. Ormai le Regioni sono viste come un Ente di distribuzione e di nomine assolutamente estraneo alla condizione materiale di vita delle persone. Questo esito non pare proprio, in sostanza, un buon segnale per l’autonomia differenziata anche se i primi dati sembrano indicare una affermazione dei candidati di centro – destra. Dal punto di vista della partecipazione elettorale l’analisi conclusiva non può però che considerare questo esito come un ulteriore indicatore di crescente debolezza del sistema; un segno evidente di difficoltà democratica verso il quale le forze di maggioranza e di opposizione non possono rispondere rifugiandosi nell’autonomia del politico e in una governabilità sempre più fittizia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DESTRA E ALTERNATIVA

di Franco Astengo | Merita uno spunto di approfondimento la ricerca sull’estrema destra italiana (FdI e Lega) condotta dalla Fondazione Ebert-Sitfung e riportata dal mensile “Domani Politica” nel suo numero di febbraio 2023. E’ il caso di riportare 3 punti compresi nel testo in questione riguardanti il “fenomeno” Fratelli d’Italia: formazione che promette di mantenere per un certo periodo l’egemonia dello schieramento di destra (non più definibile di centro – destra) che sta governando il nostro Paese: 1) l’autodefinizione di “conservatore di destra” come identità di gran parte dell’elettorato di questo partito (83,5%) mentre soltanto il 10,4% lo considera fascista o post – fascista (nella considerazione dell’insieme dell’elettorato questo dato si sposta al 55, 1% per “conservatore di destra” e al 27,8% per “fascista o post fascista”); 2) La natura del personale politico di Fratelli d’Italia (dimostratosi capace di sfruttare al meglio il fenomeno emergente, almeno nel sistema politico italiano, della “volatilità” elettorale) mostra che lungi dall’essere irrilevanti come predicevano alcuni nei decenni trascorsi i partiti continuano ad essere l’attore centrale della politica; 3) l’orientamento complessivo dell’agenda programmatica del nuovo partito di maggioranza relativa sulla scena italiana può essere riassunta con la formula dello “statalismo – nativismo” che riguarda le finalità degli interventi di spesa pubblica che non deve avere come priorità la riduzione delle diseguaglianze socioeconomiche (tema che è ritenuto prioritario soltanto dal 15,3% dell’elettorato di FdI, mentre lo ritiene tale il 32% dell’elettorato del PD e il 50% di quello di Sinistra Italiana). Questo significa che l’intervento pubblico nell’economia è considerato utile se serve a proteggere o garantire determinate categorie sociali in un’ottica più distributiva che redistributiva. Così lo “statalismo – nativismo” salda il nesso tra lo Stato racchiuso nell’idea del governo direttamente misurato con il popolo verso cui “elargire” (presidenzialismo) e la cosiddetta “autonomia differenziata” destinata appunto a “proteggere” economicamente e culturalmente le identità locali. Come fanno notare gli analisti italiani che hanno presentato la ricerca della Fondazione Ebert gli analoghi dati fin qui riferiti all’elettorato di FdI e riguardanti, invece, l’elettorato leghista segnalano una distanza minima tra questo e la base di FdI fotografando così una destra radicale ideologica con orientamenti “interventisti” nel settore economico e attitudini “nativiste” o nazionaliste per quanto riguarda il campo dei diritti civili e sociali. Tutto questo si traduce in espressioni di logiche protezioniste, pseudo populiste e para – razziste. In politica estera emerge un’ostilità alla prospettiva di autonomia europea e in una sorta di riedizione della retorica del “mondo libero” che affida alla NATO a guida USA il ruolo di “gendarme della democrazia” (il MSI ebbe, dopo un diverso periodo iniziale, un atteggiamento analogo e l’idea del “mondo libero” anticomunista sembra rimanere come elemento di continuità con la formazione neo-fascista operante nel nostro Paese dagli anni’40 a quelli ’90). Analizzata la destra quali indicazioni per la sinistra ? 1) Appare evidente l’emergere di una “radicalità delle contraddizioni” che toglie spazio a posizioni di equilibrio centrista di risistemazione di tipo “pivotale” nel sistema politico (come ambirebbero fare Italia Viva, Azione, pezzi di Forza Italia e del PD): in questo senso la capacità di interpretazione della fase da parte della destra è apparsa, nel corso di questi anni, paradossalmente molto più “moderna” di quella dei progressisti e dei presunti liberali legati ai vecchi schemi da una parte del “reaganismo” e dall’altro della “terza via” blairiana; 2) Per la sinistra assumono una valenza quasi identitaria alcuni temi che nei tempi più recenti si sono affrontati sempre con una certa difficoltà: quello europeo assunto acriticamente senza riaprire il punto della democrazia europea e quello del welfare universalistico considerato in una visione che scolasticamente potremmo definire “socialdemocratica” (elemento praticamente abbandonato al termine dei “trenta gloriosi”); 3) Cresce ancora d’importanza il tema della strutturazione politica intesa come esigenza di definizione di una forma-partito fondata, dentro a una precisa collocazione sociale, sulla capacità di comprendere i termini culturali, sociali, di impatto sulla comunicazione e sulla vita quotidiana dell’innovazione tecnologica adattandone i termini in una funzione pedagogica di massa. Si tratta di parlare a tutti disponendo però di una definizione della propria visione della società e della pluralità delle appartenenze, facendo valere la “diversità” come fattore di non semplice aggregazione del consenso elettorale. La prospettiva che emerge da questo tipo di analisi è quella di una definizione dell’alternativa come vero e proprio progetto di sistema, non confinata all’interno di ristrette logiche di immediata convenienza. Però sotto questo profilo la sinistra italiana denuncia una grave carenza di soggettività adeguata nella sua capacità di profilare un compiuto disegno politico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it