NIENTE NOMI PER IL COLLE, DECIDA IL PARLAMENTO

di Felice Besotri | Quirinale. L’elezione del Capo dello Stato non prevede la proposta di candidature | La discussione sulla prossima elezione del presidente della Repubblica non contribuisce ad aumentare il prestigio delle istituzioni, né quello dei personaggi che le detengono o le deterranno. Si fanno nomi in un’elezione in cui tuttavia non ci sono candidati e a chi deve eleggere il presidente, i membri del parlamento in seduta comune e 58 delegati regionali, è fatto divieto di parlarne nell’assemblea prevista dall’art. 83 Cost. e a maggior ragione di proporre candidati. Così si è sempre fatto e in fin dei conti non abbiamo eletto delinquenti abituali o golpisti occasionali: siamo in Italia e a Roma e alla fine dei conti lo Spirito Santo, che ispira i Conclavi nella scelta dei papi, può provvedere anche alla scelta del Capo di uno Stato, che nel suo ordine è indipendente e sovrano, come la Chiesa cattolica secondo l’art. 7 della Costituzione. Da quando è vigente la Costituzione repubblicana lo Spirito Santo ha nominato soltanto 6 papi e ben 12 presidenti della Repubblica, il doppio, per combinazione lo stesso numero dei presidenti della Repubblica Federale Tedesca. Ma le somiglianze finiscono qui. In Germania l’elezione del presidente federale è regolata compiutamente dalla Costituzione e da una legge. Così si sa già oggi che l’assemblea è convocata per il 13 febbraio 2022 e che il presidente in carica, il socialdemocratico Steinmeier, sarà, per la prima volta dal 1949, candidato per un secondo mandato, basta che il suo nome sia proposto da almeno uno dei 1418 componenti dell’assemblea federale. Nessun problema in linea costituzionale: l’art. 54.2 GG prevede che il presidente sia eletto per 5 anni e, espressamente, che «la rielezione successiva è consentita una sola volta», mentre il nostro art. 83.1 Cost. si limita a dire che «è eletto per sette anni». La rielezione non era prevista, ma nemmeno esplicitamente esclusa, tuttavia sempre ritenuta inopportuna, tanto che per evitare, che un presidente in carica ci pensasse seriamente, i saggi costituenti previdero che non potesse esercitare la facoltà di scioglimento delle Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato e la precisazione, adottata con la legge cost. 4 novembre 1991, n. 1, «salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura», non significa un maggior favore alla rielezione. Nel silenzio della Costituzione un parlamento rinnovato con una legge incostituzionale (la n. 270/2005, il Porcellum) ha rieletto alla sesta tornata con 738 voti, più dei 2/3 dei voti, quelli richiesti nelle prime tre votazioni, Giorgio Napolitano. Si è creato così un pericoloso precedente, quello di un presidente eletto per necessità contingenti o incapacità di scegliere: una diminuzione del ruolo del presidente della Repubblica come garante della Costituzione, in continuità con la valorizzazione del presidente del Consiglio dei ministri grazie a leggi elettorali che gli garantiscono una maggioranza parlamentare superiore a quella attribuita dal corpo elettorale in libere elezioni proporzionali, e anche il controllo del Parlamento in seduta comune, facendo del primo ministro e della sua maggioranza artificiale i padroni delle istituzioni, comprese quelle di garanzia. Il presidente della Repubblica rischia così di diventare ostaggio o complice di una maggioranza politica e il parlamento, ora ridotto nei numeri da un taglio demenziale, una Camera di ratifica di scelte compiute altrove. La riconferma a tempo di Mattarella è da evitare: se non ci sono altre candidature valide, va rieletto per 7 anni con pieni poteri e non per giungere alla scadenza naturale della legislatura e poter cambiare la forma di governo. Sarebbe, comunque, opportuno che il Parlamento prendesse una posizione di principio e il presidente Mattarella l’ha indicata: vietare la rielezione e contestualmente abolire il semestre bianco. Non ci sono i tempi per un approvazione in via definitiva, ma sarebbe almeno un’indicazione: le presidenze della Repubblica a tempo sono eccezioni non ripetibili. Non è un caso che nessun presidente del consiglio in carica sia stato eletto presidente della Repubblica. Con un parlamento depotenziato e non rappresentativo il futuro presidente del consiglio sarà scelto da un presidente della Repubblica espressione di una maggioranza presidenziale forte politicamente e garante di un atlantismo e un europeismo continuista, quindi non all’altezza delle sfide planetarie politiche, sociali, economiche e ambientali che ci aspettano. Per questo dobbiamo mantenere alto il senso delle istituzioni ed essere rigorosi nel rispetto della Costituzione. Riportare il parlamento al centro è impossibile se si ritengono i parlamentari incapaci di eleggere un presidente della Repubblica come esige la Costituzione per essere invece considerati unicamente destinatari di «pizzini» con scritto il nome da eleggere, deciso altrove. Pubblicato su Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA CABALA DEI NUMERI E DEI NODI DEL 13° PRESIDENTE

di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia | Pubblicato su Il Manifesto | Se come preannunciato, il presidente Mattarella rimanesse sordo, a ragion veduta, ad ogni appello di assicurare un reincarico a termine, la scelta del prossimo Presidente sarà il fatto politico più importante di questa legislatura. Non c’è spazio per soluzioni furbe, se Mattarella non è sostituibile lo si rielegga, se la rielezione per 7 anni è eccessiva, si metta fine in Costituzione all’equivoco, presentando un progetto di revisione costituzionale dell’art. 85, che sancisca la non rieleggibilità del Presidente e contestualmente abroghi, come già auspicato da Segni, il semestre bianco, cioè la sospensione del potere di scioglimento negli ultimi sei mesi del mandato. Probabilmente in ottobre ci saranno elezioni regionali e amministrative in Italia, prima dell’elezione del Presidente e banco di prova della maggioranza Draghi e della sua opposizione. Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, ogni momento potrà essere quello buono per elezioni anticipate del Parlamento a ranghi ridotti dagli attuali 951 (630 deputati + 315 senatori elettivi + 6 a vita) a 606/607. Nell’Assemblea Presidenziale al Parlamento in seduta comune si aggiungono 58 designati dai Consigli regionali, in ragione di tre per Regione, esclusa la Valle d’Aosta che ne nomina solo uno. La maggioranza assoluta, quorum minimo dopo il terzo scrutinio, che è ora di 505 (50% + 1 di 1009) passerà, per eleggere il 14°Presidente, a 308, il 13° Presidente sarà eletto da un’Assemblea, in cui ci sono almeno 345 membri, che non ne faranno più parte, gettando involontariamente un’ombra sulla rappresentatività della Nazione del prossimo Capo dello Stato. Ma anche tra i delegati regionali saranno in dubbio anche i 19 delegati regionali eletti in rappresentanza delle rispettive minoranze consiliari, se saranno ridotti a due per regione, come prevede il progetto di legge costituzionale A.C. 2238, Fornaro ed altri: «Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica». Non si tratta solo di un numero, 354, pari peraltro al 35% dell’Assemblea e al 70% della sua maggioranza assoluta, ma di politici, che, anche se non avessero idee per riformare il Paese, hanno un progetto personale sul loro futuro. Su questo ragiona il socialista Rino Formica, uno dei grandi vecchi della politica italiana, che valuta il numero di quelli in uscita di scena in 500/600, calcolando i parlamentari, cui il gruppo di appartenenza vieta un terzo mandato e gli appartenenti a movimenti al di sotto del 3% nazionale. Ma se allarghiamo lo sguardo all’Europa, per combinazione del destino sia l’Italia, che la Germania eleggeranno entro febbraio 2022 il loro 13° Presidente: una differenza balza, però, subito agli occhi: in Germania con 13 Presidenti eletti per 5 anni ci sono stati appena 8 Cancellieri, cioè Primi Ministri, eletti dal Bundestag, che si rinnova ogni 4 anni. Le prossime elezioni tedesche, la prima prova elettorale dei nuovi equilibri europei, conseguenti alla crisi dei sistemi politici italiano, francese e tedesco, è l’elezione del Bundestag del 26 settembre 2021, contestuale a quelle nei Land di Berlino, Meklenburg-Vorpommern e Turingia, l’unico Land con un Presidente della Linke, un governo di minoranza dopo la rinuncia del Presidente Cdu, grazie ai voti determinanti della AfD. Gli elettori hanno già dato un segnale in ciascuno di questi paesi: 1 – in Italia con le elezioni regionali del settembre 2020; 2 – in Germania con le elezioni 2021 nei Land Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt; 3 – in Francia con le Regionali, 13 metropolitane e 5 d’oltre mare, dello scorso giugno. Le elezioni presidenziali e legislative francesi sono previste nel 2022. Con l’uscita della Gran Bretagna, dei grandi paesi della Ue sono rimasti solo 3 dei 6 fondatori: Francia, Germania e Italia, con sistemi politici e elettorali molto diversi, tutti però alla ricerca di un equilibrio sostitutivo di quello messo in crisi dagli elettori. ALLEGATI: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“ISTRUZIONI PER RIDARE CREDIBILITÀ AL PARLAMENTO”

  di  Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   La maggioranza Draghi è, con espressione antiquata, una maggioranza bulgara sia al Senato della Repubblica, 81,61% (262 voti favorevoli, 40 contrari e due astensioni su 321), che alla Camera dei deputati, 84,92% (535 sì, 56 no e 5 astensioni su 630) e senza alternativa, almeno fino alla elezione del Presidente della Repubblica nel gennaio 2022, dove si formerà una maggioranza presidenziale, nell’assemblea composta dal Parlamento in seduta comune e 58 delegati regionali, non necessariamente coincidente con quella di governo, anche se l’eletto fosse proprio il Presidente del Consiglio, come troppi hanno, incautamente, dato per scontato. Le nostre istituzioni sono in crisi da anni e la pandemia ho reso solo più evidente questa crisi, che ha le sue radici nella crisi del sistema politico dei partiti rappresentati nel Parlamento, che non è più quello della Prima Repubblica e che, peraltro non è mai stato quello previsto dalla Costituzione nel suo articolo 49, mai attuato. Paradossalmente la crisi si è accentuata con le scelte dettate dalla volontà di assicurare la stabilità degli esecutivi, la cosiddetta governabilità, attraverso una riforma della legge elettorale da proporzionale a maggioritaria, con prevalenza iniziale di collegi uninominali pari ai 3/4 dei seggi (Mattarellum) e successivamente grazie a un premio di maggioranza bipolarizzante nelle intenzioni. Il progetto è fallito nei fatti e, per di più, era fondato su una legge elettorale, la n. 270/2005, conosciuta come Porcellum, con la quale si sono svolte le elezioni del 2006, 2008 e 2013 finché non è stata dichiarate incostituzionale, negli aspetti essenziali di premio di maggioranza e liste totalmente bloccate dalla storica sentenza n. 1/2014 della Consulta. In questi ultimi 15 anni al popolo italiano, al quale apparterrebbe la sovranità è stato garantito il diritto di voto, ma non quello di eleggere i propri rappresentanti, rubato nel 2005 e mai più restituito. Il Parlamento eletto nel 2013, infatti ha approvato una legge, la n. 52/2015, funzionale alla deforma costituzionale sconfitta nel referendum del 4 dicembre 2016, anch’essa incostituzionale per i motivi della sentenza n. 35/2017. e ha concluso la legislatura con l’approvazione della legge 3 novembre 2017, n. 165 con 8 voti di fiducia, 3 alla Camera e 5 al Senato in violazione dell’’art. 72.4 Cost. a ridosso dello scioglimento delle Camere e della convocazione dei comizi elettorali per il 4 marzo 2018 disposti con i due decreti del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2017, nn. 208 e 209. Questa concatenazione di atti e tempi escludeva ogni possibile tempestiva impugnazione in via incidentale in tempo utile per un esame della costituzionalità della legge elettorale prima delle elezioni e in quel tempo era lontana la possibilità teorica di un ricorso per conflitto d’attribuzione promosso da un singolo parlamentare, stabilita soltanto due anni dopo con ordinanza 08/02/2019 n° 17. La crisi delle istituzioni ha portato con sé una perdita di prestigio dei loro componenti, salvo il Presidente della Repubblica, e a fasi alterne il Presidente del Consiglio, resa evidente dalla costante diminuzione della partecipazione al voto, una volta eccezionalmente alta in Italia, ancora il 90,62 % nel 1979 e rimasta superiore al 80% fino alle elezioni del 2008, per cadere al 75,20% del 2013 e al 72,94% del 2018: guarda caso in coincidenza con la fine del bipolarismo, che si era cercato di imporre con le leggi elettorali. In termini assoluti si sono perduti più di 6 milioni di votanti tra il 2006, le prime elezioni con la Circoscrizione estero e il 2018 e 4 milioni di votanti rispetto al 1979 con un corpo elettorale allora  di 42.203.354 cittadini asceso a 50.835.751,quindi il 6,74% degli elettori e l’11,67% dei votanti. La classe politica parlamentare era votata dai cittadini, ma non eletta e il disprezzo si è manifestato con il consenso popolare al taglio dei vitalizi effettuato con deliberazioni degli Uffici di presidenza delle Camere, invece che con legge, per fare in fretta, ma soprattutto  per mettersi a riparo con l’autodichia  da un possibile intervento della Corte costituzionale su iniziativa di un magistrato: una furbizia che si tradotta in un boomerang. Il sacrificio degli ex parlamentari non bastava, bisognava colpire quelli in carica, con una riduzione consistente del 36,50% approvata in tutta fretta nel 2019 alla Camera dei deputati addirittura in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell’8 ottobre 2019 e consacrata da 17 913 089 di italiani, il 68,77%dei votanti nel referendum costituzionale  del settembre 2020. Come ricostruire un rapporto  con il popolo, cui appartiene la sovranità, da parte di un Parlamento percepito come non rappresentativo? Questo Parlamento, benché frutto di una legge che ha bloccato tutte le candidature comprese quelle uninominali maggioritarie, con l’obbligo di voto del sistema de a pena di nullità, sconfessione eclatante di un voto libero e personale richiesto dall’art. 48 Cost., deve riscattarsi e riaffermare la sua centralità, come organo costituzionale. Questa XVIII legislatura dovrebbe prendere esempio, dalla XI in carica dal 23 aprile 1992 al 14 aprile 1994, per un totale di 722 giorni. È stata la legislatura più breve della storia della Repubblica Italiana nonché l’ultima della cosiddetta Prima Repubblica. Era un periodo turbolento con attentati terroristico mafiosi nel 1992 e 1993 e con lo scoppio di tangentopoli. Quel Parlamento fu capace di approvare una nuova legge elettorale e di modificare l’art. 68 Cost. sull’immunità dei parlamentari. Anche questa volta la prima sfida è sulla legge elettorale, visto che ha avallato una riduzione dei parlamentari del 36,50% senza preoccuparsi di assicurare una rappresentatività politica e territoriale equilibrata e il principio supremo dell’uguaglianza dei cittadini.  Chiaramente non c’è una maggioranza per una nuova legge elettorale, ma dovrebbe esserci un comune interesse a votare il prossimo rinnovo del Parlamento con una legge, che abbia superato il vaglio di costituzionalità. Sono già pendenti due ricorsi contro il Rosatellum presso il Tribunale civile di Roma e la Corte d’Appello di Messina, altri ricorsi sono stati depositati contro la legge elettorale vigente, cioè la legge n. 165/2017 come modificata dalla legge n. …

BASTA CON LE PAROLE “CI VUOLE UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE!”: E’ ORA DI AGIRE

  di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   Possibile che nessun esponente di rilievo della defunta maggioranza giallo-rossa, o dell’ala di centrosinistra della maggioranza Draghi o della sua opposizione dica che non si può votare, non perché c’è la pandemia o perché bisogna presentare in Europa il Piano di Recupero e Resilienza, ma semplicemente perché la nostra democrazia costituzionale non potrebbe sopravvivere alla quinta elezione con una legge elettorale incostituzionale. Infatti, si è votato con una legge ormai ufficialmente incostituzionale, il Porcellum, nel 2006, 2008 e 2013 e, se si applicassero i principi delle sentenze della Corte costituzionale n. 1/2014 e n. 35/2017, quelle del 2018 con il Rosatellum e le prossime con la legge elettorale vigente (leggi n. 165/2017 e n. 51/2019 e d.lgs. n. 177/2020. Sempre che la Consulta non abbia cambiato orientamento, nel frattempo, per mutamento di composizione (11 su 15 rispetto al 2014 e 5 rispetto al 2017) o altri motivi. Non bisogna dimenticare che le sentenze della Consulta sono state ottenute grazie a ricorsi di cittadini elettori e di un limitato numero di parlamentari in carica quelli contro la legge n. 52/2015 (Italicum). Molti dei favorevoli al rinvio hanno approvato, con le più varie maggioranze le leggi vigenti, la n. 165/2017 Governo Gentiloni, la n. 51/2019 Conte 1 e il d.lgs. n. 177/2020 Conte bis, perciò non possono dirlo. Non vogliono votare perché con questa legge Salvini e Meloni hanno la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune con le proiezioni attuali delle intenzioni di voto, ma così lasciano spazio alla propaganda della destra, che avendo rubato il diritto di voto con il Porcellum agli italiani, parlano di “dare voce al popolo”, nome ipocrita per elezioni anticipate. In democrazia il popolo ha voce senza che nessuna gliela dia. L’art. 48 Cost. è palesemente violato sotto i profili del voto eguale (le coalizioni e le liste coalizzate sono avvantaggiate rispetto alle altre pur non avendo un programma comune), libero (voto congiunto obbligatorio a pena di nullità) e personale (liste bloccate immodificabili anche parzialmente). L’eccesiva distorsione tra voti in entrata e seggi in uscita, non è legittima anche in un sistema misto, come il nostro 3/8 maggioritario e 5/8 proporzionale, come enunciato dalla sentenza n. 1/2014 (par. 3.1.- La questione è fondata, cpv. XI), a causa del voto congiunto obbligatorio tra candidatura uninominale e lista plurinominale, e del calcolo dei voti delle liste coalizzate maggiori del 1% e inferiori al 3%.  Nel 2018 la coalizione di Cdx ha ottenuto il 13,2% di seggi in più alla Camera e il 16,1% al Senato, mentre quella di Csx -14,6% alla Camera e -16,7% al Senato, con una percentuale di voti validi più alta.  La punizione è più pesante per chi elegge solo nella parte proporzionale, infatti, LeU, sempre nel 2018, rispetto alla percentuale di voti ha avuto alla Camera 14 seggi invece di 21 (-33,3%) e al Senato 4 invece di 10 (-60%)[1]. La maggioranza giallo-verdebruna ha poi approvato la legge n. 51/2019, che, stranamente in un sistema parlamentare di bicameralismo paritario, hanno approvato criteri di arrotondamento delle percentuali dei seggi maggioritari e proporzionali differenti tra Camera e Senato, con premio alla quota maggioritaria superiore, irragionevolmente, al Senato con 200 seggi la metà della amera, premio aggravato dal taglio dei Parlamentari e dalle norme speciali per le Province autonome di Bolzano e Trento, approvate anche dal PD. L’unica azione concreta è quella di portare in Corte costituzionale la legge elettorale vigente e per questo sono utili appelli per una nuova legge elettorale proporzionale, come promesso dalla ex maggioranza giallo-rossa e auspicato da fautori del Sì referendario, pur sapendo che in Parlamento e nell’immensa maggioranza Draghi, non ci sono i numeri sufficienti, neppure per discuterla e approvarla nella Commissione Affari Costituzionali della Camera, dove è incardinata. Per fortuna il Governo Draghi non ha un orientamento sul punto legge elettorale, perché altrimenti grazie ai precedenti della Presidenza Camera sulla legge n. 52/2015, che, rovesciando 34 anni dopo il costituzionalmente ineccepibile “lodo Iotti”, dal nome dell’allora prima Presidente di una Camera, consentirebbe di fare approvare a colpi di voti di fiducia, qualsivoglia legge elettorale. Movimenti, associazioni, parlamentari, giuristi (come i proff. Pasquale Costanzo e Nicola Colaianni contro l’Election day), cittadini e cittadine, per i quali “essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54 c. 1 Cost.), prima ancora che un dovere è un impegno personale, etico e politico, dovranno metterci la faccia. Nel 2016 un servitore della Repubblica e della centralità del Parlamento, come il decano dei costituzionalisti italiani, prof. Gianni Ferrara, non ha esitato a firmare un ricorso per affermare il diritto di votare, secondo Costituzione, messo in discussione da una legge elettorale, la n. 52/2015, aspettiamo, che altri seguano il suo esempio nelle prossime impugnazioni. E’ una scelta politica, non giudiziaria, consentire al Popolo, cui appartiene la sovranità, di  passare dalle parole ai fatti, cioè eleggere parlamentari che rappresentino la Nazione, cioè noi cittadini, senza vincolo  di mandato. Le azioni giudiziarie non sono alternative alla mobilitazione politica, ma bisogna imparare dai ricorsi anti-italicun: il diritto di votare secondo costituzione va accertato prima del voto. Dopo si elegge un Parlamento che non ha la Costituzione nel cuore e nel DNA e farà una nuova legge elettorale incostituzionale come quello eletto nel 2013 e tenterà di deformare la Costituzione (referendum 4 dicembre 2016). E alla fine ci riuscirà come il Parlamento eletto nel 2018 con il taglio dei parlamentari (legge cost. n. 1/2020), per di più con il conforto della maggioranza degli elettori. [1] Trucco L., ROSATELLUM-BIS E LA FORMA DI GOVERNO “LEADERCRATICA”SUL FAR DEL NASCERE DELLA XVIII LEGISLATURA, Tab. 3-), Costituzionalismo.it. 3/2018. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA NON SI FA CON UN CLICK

di Enzo Paolini, Felice Besostri | La riforma elettorale. Un modo che non appare coerente non tanto con l’esercizio del coinvolgimento democratico della propria comunità, quanto con le modalità di formazione di un governo o con altre scelte istituzionali Non ce ne siamo accorti. L’aver atteso che la cosiddetta piattaforma Rousseau pronunciasse il suo sì alla proposta di governo Draghi ha reso icasticamente evidente che una forza politica rappresentata in Parlamento, la cui delegazione è stata consultata dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio incaricato, esprime il suo parere in ordine al sostegno (parlamentare) ad una ipotesi ed ad un programma di governo, non sulla base della valutazione dei suoi rappresentanti eletti (nominati) nelle Istituzioni esattamente per questo, ma sulla scorta di un…webinar. Intendiamoci, non è affatto in discussione il coinvolgimento dei militanti e l’ascolto della base ma il fatto che al tempo dei partiti queste attività si realizzavano intensamente e ciascuno si sentiva veramente partecipe mentre oggi si svolgono con la modalità volubile del clic che suscita dubbi e perplessità. Un modo che non appare coerente non tanto con l’esercizio del coinvolgimento democratico della propria comunità, quanto con le modalità di formazione di un governo o con altre scelte istituzionali. Non contestiamo – ed è apprezzabile l’intenzione di “sentire” il popolo anche a costo di esiti laceranti – ma una riflessione sulla mutazione della democrazia rappresentativa. Purtroppo, in questi ultimi 15 anni tra leggi elettorali incostituzionali e improvvide revisioni costituzionali, di cui solo due respinte dal popolo, siamo stati costretti a difendere la Costituzione dalle aggressioni, invece che fare della sua attuazione l’asse centrale della politica della sinistra. Sarebbe paradossale, ma un governo che nasce dal fallimento di partiti e gruppi parlamentari, potrebbe essere il primo che rispetta, nella forma e di fatto l’art. 92 Cost., dell’esclusiva responsabilità del Presidente del Consiglio incaricato di presentare una lista di ministri al Presidente della Repubblica non preceduta da una trattativa con i singoli partiti. Nessuno si è sentito a disagio per questo, nessuno lo trova deprimente per la democrazia rappresentativa. Dobbiamo dedurne che la scatoletta è stata aperta, ed il tonno è stato mangiato. L’unica salvezza per la nostra democrazia, oggi mortificata e soverchiata via wi-fi, sarebbe una seria e responsabile legge elettorale. Se c’è diritto di votare secondo Costituzione, questa volta deve essere accertato prima del voto, non dopo tre legislature rinnovate con una legge elettorale incostituzionale. Pandemia e crisi politica non mettono la Costituzione tra parentesi. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, principalmente, in una democrazia rappresentativa come corpo elettorale partecipando collettivamente alle elezioni e ai referendum e individualmente esercitando il diritto di voto personale ed eguale, libero e segreto, come prescrive l’articolo 48 della Costituzione. Per rispettare il popolo non bisogna dargli la parola, in una democrazia ce l’ha per conto suo, ma piuttosto ridargli il diritto di voto, che gli è stato rubato nell’anno 2005, con la legge Porcellum di Calderoli, e mai più restituito con l’Italicum incostituzionale come la legge precedente e nemmeno con il Rosatellum, attualmente in vigore, persino peggiorato durante il governo giallo-verdebruno, oggi ancora meno compatibile con i principi della rappresentanza (come sono stati definiti dalle sentenze numero 1 del 2014 e numero 35 del 2017 della Corte costituzionale), una volta approvato e confermato con il referendum il taglio del Parlamento. La legge elettorale è costituzionalmente necessaria e pertanto necessariamente costituzionale, perché con essa si elegge un Parlamento, in cui ogni membro non rappresenta il partito che l’ha candidato né gli elettori che l’hanno votato e nemmeno il collegio, ma la nazione senza vincolo di mandato. La nazione, cioè il popolo, non sue frazioni, beneficate da norme incostituzionali. Per questo se c’è diritto di votare secondo Costituzione, questa volta deve essere accertato prima del voto, non dopo tre legislature rinnovate con una legge elettorale incostituzionale, com’è successo nel 2006, 2008 e 2013. Non si può votare con il Rosatellum senza verificarne prima la costituzionalità, sarebbe la quinta volta consecutiva in 16 anni. Se non venisse cambiata ci dovranno pensare i cittadini elettori a mandarla in Corte costituzionale, con decine di ricorsi ai Tribunali civili competenti. È quello che noi cercheremo di fare se il nuovo governo non dovesse mettere – come auspichiamo e speriamo – la questione della legge elettorale tra le priorità di un nuovo corso. Fonte: Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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AZIONI GIUDIZIARIE PER CONTROLLO COSTITUZIONALITA’ LEGGE ELETTORALE VIGENTE

Nella foto il costituzionalista Felice Besostri | In Italia non è previsto l’accesso diretto alla Corte Costituzionale per la tutela di diritti costituzionali fondamentali, come in Germania (Verfassunfgsbeschwerde) o un in Spagna (amparo constitucional), così come, invece, di regolamentare le “leggi generali della Repubblica” evocate nell’art. 128 Cost., abbiamo preferito abolirlo con la legge costituzionale n. 3/2001 e la Corte Costituzionale con l’ordinanza del 20/12/2017, n. 277 (rel. Zanon) ha affossato ogni speranza di tutela sulle leggi elettorali, dando in via libera, in un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato al voto di fiducia sulle leggi elettorali , anche in violazione dell’art. 72 c. 4 Cost., che le equipara alle leggi in materia costituzionale. Tra i poteri dello Stato non è compreso il corpo elettorale, benché l’art. 1 c. 2 Cost. affermi che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, che in una repubblica democratica rappresentativa, si esercita principalmente e precipuamente partecipando alle elezioni parlamentari e ai referendum, cioè come corpo elettorale, ma in assenza di una legge regolante la rappresentanza del corpo elettorale, e non volendo ammettere, che ogni cittadino lo rappresenti, la Corte Cost. ha dichiarato inammissibile il ricorso con ordinanza n. 181/2018. Il comitato promotore di un referendum è, invece, un potere dello Stato perché contemplato dalla legge n. 352/1970. Le leggi elettorali sono leggi ordinarie, che possono essere modificate senza un particolare quorum: dopo la modifica dell’art. 81 Cost. le leggi che aumentano il deficit devono avere una maggioranza qualificata, sono quindi considerate più importanti di una legge elettorale. In altri ordinamenti simili al nostro, per es. Francia e Spagna, tra le leggi costituzionali e le leggi ordinarie, c‘è una terza categoria le leggi organiche (loi organique, ley organica), che possono essere approvate e modificate soltanto con la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento. Il solo modo di controllare una legge elettorale parlamentare è un controllo incidentale di costituzionalità in occasione di un giudizio, sempre che il giudice si dichiari competente, circostanza sempre negata fino all’ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013 della Prima Sezione Civile della Cassazione, che condusse alla “storica” sentenza n. 1/2014, frutto di un’azione per l’accertamento del diritto di votare secondo Costituzione, visto che l’impugnazione anche di atti preparatori del procedimento elettorale è esclusa dalla giurisprudenza consolidata sia amministrativa, che ordinaria: per carenza assoluta di giurisdizione per un’interpretazione, esageratamente lata dell’art. 66 Cost. Il precedente conclusosi con la dichiarazione di incostituzionalità del Porcellum è stato confermato e consolidato dalla sentenza n. 35/2017 sulla legge n. 52/2015, dichiarata incostituzionale prima che potesse essere applicata a differenza della legge n. 270/2005, con cui si è rinnovato il Parlamento nel 2006, 2008 e 2013. La sentenza di annullamento ha però graziato i parlamentari proclamati eletti con una legge elettorale incostituzionale, incentivando la ripetizione della violazione della Costituzione, come è regolarmente avvenuto, con l’Italicum e, come speriamo di dimostrare con la nostra iniziativa, con il Rosatellum. Controllo incidentale di costituzionalità e numero dei ricorsi Per il Porcellum fu notificato un solo atto di citazione nel 2008, per mandare in Corte costituzionale si dovette aspettare il terzo grado di giudizio nel maggio 2013 e la decisione nel gennaio 2014 Per l’Italicum 22 ricorsi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, nel corso del quale 5 rinvii in Corte Cost. e decisione nel febbraio 2017. Tutti i ricorsi furono presentati prudenzialmente ex art. 25 cpc solo nei Tribunali delle città capoluogo di distretto di Corte d’Appello, di norma il capoluogo di Regione in 20 casi su 26. Il ricorso di Perugia, uno di quelli approdati in Corte Cost., non è stato ancora deciso (udienza a fine 2021), mentre Lecce deciso in novembre 2020. L’avvocatura dello Stato tentò di portare tutti i ricorsi a Roma, ma soltanto 2 Tribunali, Trento e Brescia, condivisero questa competenza territoriale, ma nessun processo fu trasferito, perché la Cassazione (ord. n. 3395/2018) decise che il Tribunale competente era quello del comune di residenza degli elettori ricorrenti. La crisi col rischio di votare per la quinta volta con una legge di sospetta costituzionalità prima del semestre bianco impone di presentare più ricorsi per aumentare le possibilità di trovare un giudice sensibile alla Costituzione, che comporta maggior lavoro. L’obiettivo è di almeno raddoppiare i ricorsi del 2015/2016. Per questo si è formato un comitato per la raccolta fondi, per i ricorsi ai tribunali, eventuali regolamenti di competenza in Cassazione e infine Corte Cost. I MOTIVI: VIOLAZIONE PRINCIPI DI UGUAGLIANZA, LIBERTA’ E PERSONALITA’ DEL VOTO 1)  Mancanza dello “scorporo” in violazione del principio di uguaglianza del voto (artt. 3 e 48 Cost.) e trasferimento del voto tra candidati uninominali e liste plurinominali. La legge n. 165/2017 prevede un sistema elettorale misto con una parte uninominale maggioritaria (3/8) e “altri seggi” che “sono assegnati nei collegi plurinominali” e che “sono attribuiti, con metodo proporzionale,…”(5/8). Tale meccanismo è assolutamente estraneo alla volontà dell’elettore ed il suo voto cessa di essere “personale e libero” come prescritto dagli artt. 48, comma 2, 56 comma 1 e 58, comma 1 Costituzione, e “diretto e libero”, come enfaticamente stabilisce l’incipit della nuova normativa. Gli effetti di questo meccanismo assumono contenuti paradossali nel caso in cui il Candidato uninominale sia (come consentito) collegato con una pluralità di liste. 2) Ingiusti vantaggi per coalizione di liste coalizzate La coalizione di liste e le liste coalizzate sono ulteriormente e -come vedremo- irragionevolmente avvantaggiate in violazione dell’art. 48 Cost., perché le liste coalizzate, anche se sotto la soglia nazionale del 3% dei voti validi, portano in dote alla coalizione i loro voti, purché pari almeno al 1%, mentre le liste non coalizzate devono raggiungere il 3% . 3) Irragionevolezza La legge elettorale n. 165/2017 (art.1 c. 7) ha modificato l‘art. 14 bis e si possono fare coalizioni tra liste di partiti senza avere né un capo, né un programma in comune. In caso di coalizione di liste regolate dall’art. 14 bis dpr n. 361/1957, come modificato dalla legge elettorale n. 270/2005, poteva essere …

EVITIAMO DI VOTARE ANCORA UNA VOLTA CON UNA LEGGE INCOSTITUZIONALE

  di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   La settimana prossima le commissioni affari costituzionali di Camera e Senato devono dare il parere sullo schema di decreto legislativo sui collegi elettorali, anche se ci sono problemi, cui si farà accenno in seguito. Appena sarà promulgato si potrà votare alla scadenza naturale della legislatura, entro 70 giorni dalla fine della precedente, la XVIII, eletta il 4 marzo 2018: il quinquennio si calcola dalla prima riunione delle Camere, il 23 marzo 2018, che, come stabilisce l’art. 61 Cost., è avvenuta entro 20 giorni dalle elezioni. Però in ogni momento, in caso di elezioni anticipate, se il presidente della Repubblica le scioglie prima della scadenza, con sua decisione insindacabile, «sentititi i loro Presidenti» (art. 88 c. 1 Cost.), ma non negli ultimi 6 mesi del suo mandato, nel cosiddetto semestre bianco: che per il Presidente in carica, eletto il 31 gennaio 2015, inizia il 1° agosto 2021. Le prossime elezioni saranno le prime dopo il taglio del Parlamento, con l’entrata in vigore il 5 novembre del corrente anno della legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari“ in GU Serie Generale n.261 del 21-10-2020. Per un giorno si è evitato che coincidesse con la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, che si celebra il 4 Novembre, giorno della vittoria nella Prima Guerra mondiale, l’unica festa sempre celebrata nell’Italia dalla Monarchia sabauda alla Repubblica nata dalla Liberazione e dalla Resistenza , attraversando il Ventennio. Questa è la novità, ma se non si modifica la legge elettorale, sarebbe la quinta votazione con una legge elettorale incostituzionale, la terza della serie: 1) l.n. 270/2005 (porcellum) nel 2006-2008-2013; 2) l.n. 165/2017 (rosatellum) nel 2018 e 3) l.n. 165/2017 con le modifiche peggiorative della l.n. 51/2019 nel 2023, ma con rischio di elezioni anticipate. In realtà dal 2005 tra le leggi elettorali incostituzionali approvate dal Parlamento dovremmo nominate anche la l.n. 52/2015 (italikum), ma non è mai stata applicata, perché fatta annullare della Corte Cost, con la sentenza n.35/2017, grazie all’iniziativa di 23 ricorsi, che ho avuto l’onore di coordinare, degli avvocati antitalikum. Quest’ultima legge ha creato un pericoloso precedente per la colpevole leggerezza della Presidente della Camera, che ha ammesso tre voti di fiducia, richiesti dal Governo su altrettanti articoli della legge, contro la chiara disposizione dell’art. 72 c. 4 Cost. Tale articolo prescrive che «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale», opinione espressa nel 1981 dalla unica grande Presidente donna della Camera, l’on. Nilde Iotti. Quel precedente ha fatto scuola perché la terza legge incostituzionale, ma non ancora dichiarata ufficialmente tale, è stata approvata con 8 voti di fiducia, i soliti 3 alla Camera e 5 al Senato. Altra costante delle leggi elettorali nazionali dal 2005, è la loro approvazione in violazione del Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale approvato dal Consiglio d’Europa, che ritiene una cattiva pratica, cambiamenti nell’anno che precede le elezioni. La legge n. 270/2005 è del 21 dicembre con il voto previsto il 9 aprile 2006. La legge n. 165/2017 è datata 3 novembre, una cinquantina di giorni prima del porcellum, ma le elezioni del 2018 erano anticipate al 4 marzo. Per mantenere il ritmo e non perdere le abitudini, il nostro Parlamento, che non ama le leggi elettorali costituzionali, perché l’art. 66 Cost. lo proteggeva dalle decisioni della magistratura in materia elettorale, nel 2009, cioè nello stesso anno delle elezioni europee del 7 giugno, introduceva la soglia d’accesso del 4% con la legge 20 febbraio 2009, n. 10. “Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia”. Questa violazione della Costituzione in un diritto fondamentale in ogni ordinamento è stato facilitato dalla stessa Costituzione, che non ha costituzionalizzato i principi informatori del sistema elettorale, ma solo che le Camere sono elette «a suffragio universale e diretto» (artt. 56 e 58 Cost.) e che «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto» (art.48 Cost.). Non ha neppure previsto una categoria di leggi intermedie tra le norme di rango costituzionale e le leggi ordinarie, come in Spagna e in Francia, le cosiddette leggi organiche (ley orgànica e loi organique rispettivamente), che regolano materie complesse (l’equivalente dei nostri Testi Unici o Codici dell’ Ambiente, del Consumatore o del Contribuente per fare degli esempi), che devono essere approvate a maggioranza assoluta del Parlamento e, pertanto, caratterizzate da una certa stabilità e al riparo da emendanti capziosi o da norme infilate in decreti legge o nelle cosiddette leggi omnibus, come la tradizionale, con cadenza annuale, legge di proroga dei termini scaduti o di imminente scadenza. Inoltre a differenza di Spagna, i cui costituenti avevano ben presente il modello italiano, nel senso di scelte da evitare in materia di controllo di costituzionalità e di revisione costituzionale, e Germania, non abbiamo l’accesso diretto dei cittadini alla Corte o Tribunale costituzionale in caso di violazione di diritti costituzionali fondamentali, tra i quali è sempre compreso il diritto di voto. Da noi bisogna trovare un giudice sensibile ai valori, costituzionali, cosa non facile perché quando controparte è lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri non tutti i Tribunali sono competenti, ma solamente quelli di Roma o del Comune sede del capoluogo del Distretto di Corte d’Appello, dove ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato. Pensare che la Cassazione, su nostra opposizione alla decisione del Tribunale di Brescia dichiarativa della competenza di Roma ha statuito, che «La controversia, siccome appunto avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto, deve ritenersi radicata nel luogo ove si esercita il diritto, ovvero nel comune di residenza, nelle cui liste elettorali sono iscritti i ricorrenti»( Cass. Civ., VI-1, ord. n. 3395/18). Si chiama “privilegio del foro erariale”, che con il processo telematico ha perso ogni ragione pratica. Sempre grazie a cittadini elettori che si …

FELICE BESOSTRI: REVISIONE DEL TESTO DELL’INTERVENTO DEL 19 NOVEMBRE 2020 CDC LOMBARDIA

Azioni contro Rosatellum (legge elettorale tuttora vigente, appositamente riadattata nel maggio del 2019 per essere “pronta” nel caso fosse poi passata la riduzione dei Parlamentari, come appunto si è verificato. La legge in sé ha aspetti incostituzionali. Applicata alla riduzione dei Parlamentari avrebbe effetti ancor più distorsivi del voto. Problemi di volontà politica (e anche problemi economici relativi). ******************************************************** Non è facile agire in via giudiziaria, per molti motivi. Ho scritto una memoria per la Cassazione al fine di dimostrare che i Comitati in difesa della democrazia costituzionale non stanno agendo nell’interesse privato, ma in difesa di un diritto costituzionale. Tuttavia ci troviamo di fronte a un’incongruenza: per ricorrere in giudizio abbiamo bisogno di una parte avversa, la quale pur tuttavia non è la parte che ha fatto il danno alla Costituzione. Infatti il danno alla Costituzione lo fanno le leggi elettorali, che hanno due soggetti: il Parlamento che le ha approvate e il Presidente della Repubblica che le ha promulgate. Infatti secondo l’Articolo 68 della Costituzione “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Se i deputati non sono responsabili non è nemmeno responsabile il Parlamento, perciò il l’organo legislativo non può essere evocato in giudizio. L’articolo 90 della Costituzione stabilisce inoltre che neanche il Presidente è responsabile poiché “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. In conclusione è evocata in giudizio la Presidenza del Consiglio, come interlocutore processuale del ricorso. C’è qualcosa che non va nel nostro sistema dunque, poiché l’articolo 54 afferma che è dovere di ogni cittadino rispettare la Costituzione, ovvero se c’è una legge incostituzionale è dovere del cittadino far valere l’incostituzionalità. Sempre per lo stesso articolo, il Presidente del Consiglio presta giuramento nel quale dice di rispettare la Costituzione. Perciò – ma questa è anche una questione politica e di sensibilità, pochissime volte si è verificata, ma sempre per altre ragioni – non si vede perché ci sia questa opposizione accanita. Alcuni ricorsi contro alcuni aspetti dell’Italicum stanno andando avanti, proprio perché la Corte Costituzionale ha affermato che coloro che hanno fatto ricorso avevano ragione, poiché sono stati violati i loro diritti costituzionali: eppure alcuni Tribunali sulla spinta di eccezioni dell’Avvocatura dello Stato non accolgono i ricorsi e una ragione è ancora opposta, ovvero si oppongono ai pacifici accoglimenti dei ricorsi (quelli contro l’Italikum, già dichiarato incostituzionale in parti essenziali con sentenza n. 35/2017)   tirando in ballo altre questioni giuridiche, come la “carenza di interesse sopravvenuta”. Diverse questioni dunque si tengono assieme. Il privilegio del Foro Erariale: la prima risposta dell’avvocatura dello Stato ai ricorsi contro l’Italicum è stata l’affermazione che il Tribunale competente fosse quello di Roma: e se fosse stato così, non saremmo mai arrivati alla Corte Costituzionale. Noi siamo invece riusciti a ottenere le remissioni alla Consulta, nonostante alcuni Tribunali avessero accolto l’impostazione dell’Avvocatura, e fra loro il tribunale di Brescia – visto che stiamo parlando dalla Lombardia – il quale ha detto appunto che il Tribunale competente era quello di Roma. Siamo dovuti andare addirittura in Cassazione, la quale si è pronunciata affermando che: “No, il diritto di voto si esercita nel Comune di residenza del cittadino, per cui il Tribunale è quello competente per territorio”. Vi rendete conto se questo principio lo si estendesse al diritto alla salute o cose del genere? Quale enorme possibilità avrebbero questo tipo di azioni? Tuttavia il risultato non è affatto certo, perché poi, se il Tribunale competente è quello del Comune di residenza e non quello di Roma, bisogna pur tenere conto infine del privilegio del Foro Erariale. Fin dall’inizio è stato stabilito infatti che se vi sono da fare delle richieste allo Stato, occorre rivolgersi presso il Tribunale dove per lo Stato è più semplice difendersi, ovvero dove ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato. Questo pone dei problemi di diritto alla giustizia, pur considerando che il diritto al ricorso viene reputato uno dei principi supremi su cui si fonda il nostro ordinamento, tant’è che non potrebbe essere limitato nemmeno con delle norme di rango costituzionale. Dopo di che, esiste la realtà di tutti i giorni… Su questo versante ho contattato alcuni ordini di avvocati, ma al momento non ho trovato ancora nessuno disponibile a fare delle azioni “pilota”. Per esempio sul cosiddetto gratuito patrocinio, che è rivolto a chi è indigente: lo deve concedere l’Ordine degli Avvocati del Tribunale competente del luogo in cui uno risiede. Pertanto il Tribunale potrebbe non essere il Tribunale competente per il foro erariale. Insomma, ci sono tutta una serie di problemi… La difesa dei diritti è una questione globale e si tratta di stabilire cosa deve fare. Cosa è successo dunque, concretamente? Questi ricorsi li ho inoltrati personalmente adoperando il vitalizio ricevuto come ex Senatore della Repubblica, perché ritenevo che dovessi restituirlo in qualche modo alla comunità e non usarlo per incrementare il mio patrimonio. Ma il vitalizio è stato tagliato in una misura per cui quella fonte di risorse non è più disponibile. Da qui la necessità di promuovere una raccolta fondi per inoltrare i ricorsi. Non è possibile dire in anticipo quanti soldi siano necessari, non è una questione di colletta. Bisogna sapere dove vengono svolte le udienze, e se occorre spostarsi… Se esiste un interesse ad ottenere una sentenza sulla materia della legge elettorale, allora si raccolgono i fondi e si possono fare le cose sulla base dei fondi raccolti. Senza ancora considerare tuttavia le spese cui puoi andare incontro se sei condannato e i ricorsi li perdi. Qual’era l’insegnamento dell’Italicum? Bisogna ricorrere presso il maggior numero possibile di Tribunali, sperando di trovare un giudice sensibile ai valori costituzionali. Perché purtroppo in Italia non esiste l’accesso diretto alla Corte Costituzionale, come invece in Germania e in Spagna, quando c’è la violazione di un diritto costituzionale. È una scommessa da ingaggiare. Un altro luogo dove si è dimostrato inutile avviare questi ricorsi è …

NON ARRENDERSI AL TAGLIO DEL PARLAMENTO: E’ INCOSTITUZIONALE!

di Felice Besostri | CONCORDO con il documento della presidenza per quello che c’è, ma vi è un’omissione importate. Dare per scontata la legittimità costituzionale del taglio del parlamento per come è stata fatta, in violazione dei principi affermati con la sentenza della Corte Costituzionale n. 146/1988. Anche le norme di rango costituzionale sono soggette al controllo di costituzionale, altrimenti l’art. 139 Cost. non avrebbe senso. In case ad esso non solo non si può restaurare la monarchia, quale che sia la casa regnante, ma neppure la Repubblica Sociale Italiana. La revisione costituzionale viola l’art. 3 Cost. il principio di uguaglianza dei cittadini non solo in generale, ma anche in materia elettorale, sia come elettorato attivo ex art. 48 Cost., che passivo ex art. 51 Cost. anche sotto il riequilibrio di genere (6 seggi uninominali tutti in Trentino-A.A.) nel Senato, pertanto un principio supremo immodificabile secondo la giurisprudenza costituzionale sopra citata. L’election day è stato stabilito dal governo ed è passato solo per un voto di fiducia sull’art. unico di conversione del decr. legge del 20 aprile 2020 n, 26 convertito con modificazioni dalla L. 19 giugno 2020, n. 59 (in G.U. 19/06/2020, n. 154) e pertanto  per la prima volta nella storia repubblicana per i voti di fiducia su norma elettorale in violazione   dell’art. 72 c.. 1 e 4 Cost. I 3 voti di fiducia alla Camera (Boldrini presidente) sulla legge elettorale  n. 52/2015 e gli 8 sulla l.n. 165/2017, di cui 3 Camera, sempre Boldrini, e 5 Senato erano stati dati su singoli articoli dalle Camere, mentre in caso di articolo unico di conversione con il voto di fiducia le Camere si sono escluse. l’esito referendario non ha modificato l’art. 1 c. 2 Cost, che per gli immemori è bene trascrivere: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Neppure una maggioranza del 99, 99% può violare la Costituzione!!! L’Ufficio Centrale per il referendum non si è ancora pronunciato sul reclamo ex art. 23 della legge n. 2 352/1970, in pubblica pubblica adunanza, con l’intervento del procuratore generale della Corte di cassazione, ex art. 22 legge n. 352/1970. Dalla tabella 9 allegata potere vedere che mentre alla Camera il quoziente per eleggere un deputato nelle 4 circoscrizioni lombarde non differisce molto da quello della circoscrizione Trentino A.A./Suedtirol 152mila v. 147mila, al Senato è intollerabile 313mila versus 168/175mila (media 171.500), peggio va a un calabrese che elegge 6 senatori come un trentin-sudtirolese, ma sono il 90% in più. E’ presto per abbandonare la contestazione, se non resto solo vorrei andare avanti. Puntare sulla legg elettorale è poco: guardate la tabella 2 senza che se ne accorgesse nessuno al senato sono stati rubati 16 seggi al proporzionale per passarli al maggioritario. Pax et Bonum vobis. ************** Per un rilancio della nostra iniziativa Malgrado condizioni pesanti contrarie il risultato del referendum costituzionale sul taglio del Parlamento ha visto non solo la vittoria del Si ma anche una importante affermazione del No, che con oltre il 30 % dei consensi ha reso evidente che il contrasto al populismo e alla demagogia è non solo doveroso ma possibile. La campagna del No è stata un importante contributo alla vitalità della nostra democrazia, ha costretto il Si ad impegnarsi nella campagna elettorale, ha impedito che passasse sotto silenzio un appuntamento di grande rilievo costituzionale come il referendum, evitando un plebiscito, e ha mobilitato energie rilevanti in tutto il Paese a sostegno della Costituzione e dei suoi istituti fondamentali, come il parlamento. Non sono bastati una campagna di informazione preventiva che puntava a dare per scontata la vittoria del Si e quindi l’inutilità del referendum, né lo squilibrio dell’informazione radiotelevisiva a sostegno del Si, né l’imposizione di una brevissima campagna elettorale condizionata dalla presenza di altri appuntamenti elettorali negli stessi giorni, né il disimpegno di altri a contrastare populismo e demagogia antiparlamentare. Ha pesato negativamente l’inadeguatezza di questo Parlamento rispetto al ruolo centrale che la Costituzione gli assegna come rappresentante dei cittadini, per i deficit dei partiti spesso ridotti a comitati elettorali, grazie a leggi elettorali che dal “Porcellum” ad oggi hanno sottratto ai cittadini la scelta diretta di chi eleggere consegnando questo potere ai capi partito. Noi abbiamo difeso il ruolo del Parlamento previsto dalla Costituzione, in contrasto con l’uso smodato e improprio dei Decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxi emendamenti, a cui il M5Stelle vorrebbe aggiungere il vincolo di mandato oggi escluso dall’articolo 67 della Costituzione, e lo abbiamo fatto malgrado l’evidente inadeguatezza della sua attuale qualità e della scarsa capacità di operare con autonomia, onore e responsabilità. Non ci siamo chiesti se la vittoria del No era certa ma se era giusto impegnarsi per affermarne le ragioni. Il No ha avuto risultati importanti nei grandi centri urbani, in particolare nel nord e nelle aree dove era meno difficile far passare il nostro messaggio controcorrente, tra i giovani che sono stati una risorsa importante per il No – in maggioranza tra gli studenti – e in partiti che pur dichiarandosi per il Si hanno dovuto fare i conti con importanti posizioni interne per il No. Il risultato è che il No è passato dal 10 % dei primi sondaggi ad oltre il 30%. Non nascondiamo che a differenza del 2016 settori sociali fondamentali, colpiti dalla crisi causata dalla pandemia, non si sono impegnati nello stesso modo, come ad esempio parte del mondo del lavoro e i sindacati, mentre altre associazioni, a partire da Anpi e Arci, si sono impegnate per il No. Questo è anche il frutto di anni in cui si è sedimentato un pensiero utilitaristico, teso al risultato immediato e accompagnato da interessate campagne di destrutturazione dei valori civili e costituzionali. Per questo il messaggio del taglio del Parlamento – emblematica la sceneggiata del taglio delle poltrone davanti alla Camera – per quanto inaccettabile era semplice ed immediato, mentre le argomentazioni del No non avevano la stessa immediatezza ed apparivano contraddette da una crisi di credibilità del parlamento attuale. La vittoria del Si non ha affatto stabilizzato …

ZAGREBELSKY E’ ZAGREBELSKY

  di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia |   Il prof. è uno dei tanti candidati alla Presidenza della Repubblica. E’ un suo diritto, come cittadino italiano con 50 anni compiuti (art.84 Cost.). Se eletto alla suprema funzione la assolverebbe con disciplina e onore (art. 54 Cost.) Se il successore di Mattarella è scelto da questo p(P)arlamento, un candidato sgradito al M5S, per essersi pronunciato per il NO, non ha chances. Se è eletto da quello decapitato il candidato dovrà piacere al cdx. Basta saper aspettare il semestre bianco, che inizierà il 2 agosto 2021, per strologare. La procedura referendaria è stata illegittima per violazione degli artt.72 c.1 e c.4 Cost. perché le norme sull’election day, comprensivo del referendum, non sono state votate una per una dalle Camere con una procedura normale (cfr. Lodo Lotti pur trattandosi di materia costituzionale ed elettorale. Il voto di fiducia sull’articolo unico di conversione del decreto legge n. 26/2020 ha impedito, che nell’approvazione finale la Camera, Senato della Repubblica, esaminasse gli art. 1 bis e 1 ter aggiunti dalla Commissione Affari della Camera dei Deputati, in violazione, per la parte relativa al referendum costituzionale ex art. 138 Cost.,dell’art.77 Cost. nell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.32/2014 (estensore Cartabia). L’accenno svolto in sede di pregiudiziale non costituisce esame nel merito degli articoli aggiuntivi. Senza i SÌ delle regioni chiamate al voto l’effetto confermativo non ci sarebbe stato, come pure dei voti espressi nel giorno 21 settembre in violazione dell’art.15 c. 2 legge n. 352/1970, che prevede il voto nella sola domenica come eccepito da alcuni elettori nei verbali delle sezioni elettorali 1220 e 381 di Milano, n. 1 di Pontey Val d’Aosta, n. 5 di Francavilla al Mare (Chieti), in 10 sezioni di Vicenza da un rappresentante di lista, a Napoli e a Trieste e quanti altri lo faranno sapere in questa lista anche al fine di un reclamo ex art. 23 legge n. 352/1970 all’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione. L’informazione istituzionale è stata fuorviante ripetendo più volte al giorno ossessivamente sui canali RAI che si trattava di referendum “confermativo”, aggettivo estraneo al testo dell’art.138 Cost. e dell’art. 15 legge n. 352/1970. Il popolo si è espresso con chiarezza, ma questo non basta perché l’art. 1 c. 2 è perentorio “. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“!, Quindi soggetto alla Costituzione e alle leggi e nel caso di specie vengono anche in gioco i limiti di violazione di principi costituzionali supremi, intangibili, come il principio di eguaglianza, anche da norme di rango costituzionale (sent. n. 1146/1988 Corte Cost.): una questione di cui fui presago nel lontano 1969 con la tesi “ Il controllo materiale di costituzionalità sulle norme formalmente costituzionali nella Repubblica Federale Tedesca” con i proff. Paolo Biscaretti di Ruffìa e Valerio Onida”. Pace e Bene alle donne e agli uomini di buona volontà. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it