EMERGENZA DEMOCRATICA

  di Felice Besostri –  Socialismo XXI Lombardia |   Finché i contagiati non diminuiranno sensibilmente, con l’indice di contagio sotto 1, non si potrà parlare d’altro. Il corona virus, COVID 19, colpisce i polmoni e paralizza il cervello. Un cittadino disciplinato, come sono in detenzione domiciliare volontaria dal 6 marzo scorso, dovrebbe aspettare il 3 maggio prossimo per avanzare critiche al Governo, che fa quel che può. In effetti, oltre che cittadino italiano, sono cittadino lombardo ed europeo ed in questo momento ritengo che la Regione e l’Europa ci abbiano deluso di più. Il collasso della sanità lombarda è sotto gli occhi di tutti a causa del corona virus, ma la pandemia è il sintomo non la causa. L’impreparazione ha messo in luce le scelte organizzative di aver puntato sulla ospedalizzazione a danno di un sistema di protezione e prevenzione territoriale, con spazio sempre più ampio per la privatizzazione di un servizio pubblico, pensato e nato come nazionale e universale. I medici di base sono stati abbandonati e ne hanno pagato il prezzo, come tutto il personale medico, tecnico ed infermieristico ospedaliero, ma tutti ne abbiamo sofferto con la sottostima dei contagiati, che sono da moltiplicare per 5, 7 o 10 volte. L’Europa non ha compreso che la sfida che deve affrontare è globale e che non è solo un problema finanziario, ma di modello di sviluppo, che riguarda tutta l’umanità, che non sarà risolto dal Consiglio europeo del prossimo 23 aprile. Tuttavia non sono esperto di pianificazione sanitaria, né di economia e finanza, ma di istituzioni pubbliche e mi colpisce e stavolta, oltre che lombardo, italiano ed europeo, parlo anche da milanese, il silenzio delle assemblee, che abbiamo eletto per rappresentarci: il consiglio comunale, il consiglio regionale, il Parlamento italiano ed europeo. Di quello provinciale come elettori non siamo più responsabili dalla legge 56/2014, la Delrio, che non ha abolito le Province, ma il voto diretto dei cittadini. A Milano il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina, è un simbolo dal 1767 come i Martinitt e le Stelline rispettivamente dall’inizio e dalla metà del 1500 e i milanesi non possono restare indifferente alla morte degli anziani ricoverati. La Costituzione garantisce ai cittadini italiani, che eleggono un Parlamento, del quale ogni membro rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato (art. 67) e che esercita le sue funzioni con disciplina e onore (art.54), anche se nominati da 16 anni con leggi elettorali incostituzionali. Dove sono? Dal 1° dicembre 2009 per il trattato di Lisbona il Parlamento europeo rappresenta direttamente i cittadini europei, anche quelli, i cui voti validi a milioni non sono rappresentati per colpa di accesso del 4% superiore a quella per il parlamento nazionale (3%). Cosa fanno? Eppure, si parla solo di Sindaci, di Presidenti di Regione, di Governo e di leader di maggioranza o d’opposizione e di Ursula e di ministri delle finanze. Gli organi rappresentativi non ci rappresentano più, sempre meno in Italia, da quando sono nominati grazie a un mix di premi di maggioranza, liste bloccate, multi-candidature, voti congiunti, disponibilità finanziare lecite e illecite. Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari era stato fissato con eccesiva precipitazione e superficialità per il 29 marzo, una data decisa dal Governo il 27 gennaio, quando il 20 già si era messo lo stop ai voli da e per la Cina. La revoca è avvenuta in seguito alla pubblicazione in G.U. di un decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo, in seguito ad una deliberazione del Governo dello stesso giorno senza una nuova data: un precedente pericoloso a disposizione di chi volesse prorogare la vita di un Parlamento dove abbia una maggioranza sicuramente perduta . Un particolare, il decreto del Presidente della Repubblica va in G.U. , ma la motivazione sta in un testo riservato, la cui lettura dipende da una decisione della Presidenza del Consiglio, alla faccia della trasparenza e del d.lgs 33/2013. Il termine per celebrare il referendum costituzionale confermativo è stato prorogato di 240 giorni dall’art.81 del d.l. n. 18/2020, ratificato il 10 aprile con voto di fiducia da un Parlamento, che ha anticipato il referendum autoriducendosi del 45%, invece del 36,50%. Il diritto difesa non è stato abrogato solo differito, chi vivrà vedrà. Bisogna decidere in fretta, ma anche saper fare una rapidissima marcia indietro sperimentando organi/strumenti di garanzia in autotutela. Abbiamo una guida sicura: la Costituzione o altrimenti il caos, parafrasando un titolo storico dell’Avanti! del febbraio 1946. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SVEGLIATI PARLAMENTO, IN GIOCO C’E’ LA DEMOCRAZIA

di Felice Besostri | Tra paura del contagio e perdita di centralità delle Camere, iparlamentari a pandemia in corso hanno diminuito la propria attività. stato persino ridotto il numero dei presenti necessari per deliberare. Così il potere legislativo mette a rischio la tenuta democratica. Siamo in una situazione di emergenza, anche chi scrive è ai domiciliari dalla sera del 6 marzo 2020, senza unprovvedimento di un giudice, ma per un rientro anticipato da Bari dove era stata revocata la sala per una manifestazione a favore del No al taglio drastico dei parlamentari e a cascata di due altri appuntamenti nel week-end in Basilicata. Il mio rientro era previsto il giorno da Salerno: avrei viaggiato in controtendenza alle decine di migliaia in fuga verso il sud, grazie o per colpa di un’anticipata circolazione di un testo di un Dpcm, un acronimo sconosciuto fino a poco tempo fa alla maggior parte dei cittadini. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, questo significa, avrebbe limitato il movimento degli abitanti della Lombardia e di 14 province di Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Marche, trasformate in un’estesa zona rossa lodigiana. Lemergenza sanitaria e diventata uno tsunami legislativo dal 23 febbraio al i aprile: in poco più di un mese sono stati presentati 8 decreti legge, un decreto del Presidente della Repubblica, 9 decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, 2 delibere del Consiglio dei ministri, 19 ordinanze del capo dipartimento della Protezione civile, 2 ordinanze del ministro della Salute, direttive del ministro della Pubblica amministrazione, un decreto dei ministro dello Sviluppo economico, una circolare del ministro dell’Interno e innumerevoli ordinanze di presidenti di Regione e sindaci. Dei decreti legge uno solo, il n.6 del 23 febbraio (in cui venivano disposte le prime misure di contenimento del contagio, ndr), stato convertito con la legge n.13 del 5 marzo, pubblicata in Gazzetta il 9 marzo. Il problema è che il Parlamento non riesce a tenere iI ritmo del governo. Ci sono ragioni contingenti ed umane, la paura del contagio, ma se la stessa paura fosse stata provata dai medici e dagli infermieri, tra loro si sarebbero sicuramente contate meno perdite, ma sarebbero deceduti migliaia di malati in più rispetto al numero ufficiale di morti per coronavitus, comunque ampiamente sotto-stimato, perché si contano solo i tamponati. Nella bergamasca, in base al confronto statistico tra i morti di marco 2019 e quelli di quest’anno, si calcola che le persone decedute a causa di Covid-19 siano da 4 a 10 volte in più rispetto alle stime ufficiali nei singoli comuni, con una media di 6 volte di più. Pur tenendo conto che Bergamo è un focolaio con un tasso di mortalità doppio rispetto alla media del resto d’Italia, è una valutazione prudenziale moltiplicare in generale il numero dei morti per tre. La latitanza del Parlamento ha cause strutturali, strettamente collegate con la perdita della sua centralità, che ha indebolito l’ordinamento della nostra Repubblica, democratica con forma di governo parlamentare. La governabilità come idea vincente, che mette al primo posto la stabilità di un governo indipendentemente dalla sua capacità di prendere le decisioni giuste, ha prodotto in Italia leggi elettorali mostruose. Peggiori dei sistemi uninominali maggioritari all’inglese, perché nel Regno Unito per aver la maggioranza assoluta devi conquistare almeno 326 seggi su 650 (il 51%), uno per uno, e non invece averne in regalo 340 su 630 (il 55%) grazie ad un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale con ben due sentenze della Corte costituzione (la 1/2014 e la 35/2017, nda), la prima delle quali che ha messo fuori gioco il Porcellum mentre la seconda, l’Italicum, soffocato in calla prima di essere applicato: un record europeo, forse mondiale. Un record come quello di aver approvato due leggi elettorali incostituzionali consecutive, forse tre con la legge 165/2017, il Rosatellum, che nessun giudice ha voluto mandare in Corte. Il Tribunale di Messina ha respinto un ricorso, ora in appello, Roma ha preso tempo fino al 2 dicembre e a Catanzaro (dopo che un suo giudice si era dichiarato competente per condannare i ricorrenti contro l’Italicum a 8mila euro di spese legali per aver fatto un ricorso infondato) è venuto il dubbio, che non si potesse ricorrere con un rito sommario. Nei riti sommari decide un giudice unico e non un collegio di tre, un dubbio legittimo anche se ben due giudizi con rito sommario erano approdati in Corte costituzionale, contribuendo all’annullamento parziale dell’Italicum. Anche il Rosatellum ha le liste bloccate multi-candidature uninominali, che dipendono dalla benevolenza dei capi-partito, quelli che hanno il monopolio delle liste e delle ricandidature. Da qui la scarsa motivazione a fare il proprio lavoro e mostrarsi docili ed ubbidienti alle esigenze di non creare problemi. Tre elezioni con il Porcellum (2006, 2008 e 2013) e una quarta con Rosatellum, nel 2018, una legge elettorale approvata con otto voti di fiducia, hanno convinto tutti che il potere risieda nell’organo esecutivo. E difficile in questa situazione sentirsi all’altezza dell’articolo 67 della Costituzione, per il quale «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Solo un Parlamento rassegnato e demotivato decide di ridursi del 36,5% in nemmeno otto mesi, che in realtà sono cinque di lavoro effettivo, perché nella revisione costituzionale che ha sancito il taglio dei parlamentari tra la prima e la seconda deliberazione di ogni Camera devono passare almeno tre mesi. Non solo, per dimostrare che son troppi e che devono solo ratificare, i capigruppo e i Presidenti delle Camere decidono che in questo periodo di emergenza i parlamentari si autoriducano del 45% per deliberare, cioè votare senza troppa discussione: presenti in aula non più di 5 per gruppo e in coda per votare disciplinatamente 347 deputati, invece dei 400 ridotti in caso di vittoria del Si al referendum sul taglio dei parlamentari e 180 senatori – se partecipano tutti senatori a vita e di diritto – invece di 206. Così stato di emergenza, riduzione dei parlamentari e referendum costituzionale si incrociano perché tra provvedimenti presi senza un dibattito pubblico c’è un …

25 APRILE, 1° MAGGIO, 2 GIUGNO

di Franco Astengo | 25 aprile Ricorrenza della Liberazione, 1° maggio Festa dei lavoratori, 2 giugno il giorno della Repubblica. Si avvicinano le date che, nel corso dell’anno, scandiscono il momento delle celebrazioni più importanti per la democrazia e il mondo del lavoro , A questo punto, nel tempo dell’emergenza epidemica, non siamo in grado di prevedere come potrà essere possibile svolgere le tante iniziative che tradizionalmente sono in programma proprio in quei giorni. Non si tratta di un particolare secondario, di un momento che può passare in un modo o nell’altro: bisognerà pensarci per tempo perché mai come in questo momento i valori che queste date esprimono sono di grande attualità. Un filo rosso tiene assieme il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno, date collegate dall’espressione del valore comune dell’affermazione della libertà, dell’uguaglianza, del riscatto sociale. Alle origini del 1° maggio i padroni mandavano la polizia che sparava sugli operai quando si radunavano per celebrare la festa del loro riscatto e della loro dignità umana, poi il fascismo la vietò completamente. Ma arrivò il momento di liberarsi di quelle catene e fu l’ora della Resistenza attraverso la quale si realizzò la Liberazione, con la classe operaia assoluta protagonista e dalla Liberazione il 2 giugno nacque la Repubblica e come conseguenza immediata la Costituzione. La Costituzione deve essere ripresa in mano riaffermandone i principi di fondo: nella relazione tra prima e seconda parte, nella necessità di modificare alcune storture che vi sono state introdotte con modifiche improprie come nel caso del titolo V e dell’articolo 81, nell’uscire dal momento di oblio in cui è stata relegata centralità del parlamento , nella riaffermazione del predominio del pubblico sul privato, del collettivo sull’individuale. La centralità del Parlamento è stata proditoriamente messa in mora nel corso di questi anni, com’è apparso evidente in questi giorni di emergenza affrontata in modi e forme assolutamente ai limiti della legalità repubblicana. Pensiamoci per tempo al 25 aprile, al 1° maggio, al 2 giugno in tempo d’emergenza, non facciamoci cogliere impreparati: quale sia la situazione nelle quale verremo a trovarci queste tre date dovranno essere ricordate con grande forza anche se si verificasse un caso deprecabile di impossibilità di trovarci in piazza. Soprattutto le tre date andranno ricordate riflettendo su di un necessario collegamento ideale da sviluppare nel nome della Democrazia Repubblicana, un principio che non può essere abbandonato nemmeno nei momenti più difficili. Tutto ciò chiama in causa l’esistenza di una sinistra politica capace di vedere il nuovo stando collegata alla grande tradizione del movimento operaio italiano: un discorso che ci porterebbe lontano in questa occasione ma che necessariamente dovrà essere ripreso alla svelta. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA COSTITUZIONE ITALIANA E IL SOCIALISMO

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania|   Tra la nostra Carta fondamentale e il socialismo italiano vi è una stretta correlazione. I socialisti parteciparono alla lotta partigiana contro il giogo nazi-fascista in Italia e contribuirono, non da soli, alla liberazione del nostro Paese. Con il referendum del 2 giugno 1946 furono eletti i membri dell’assemblea costituente (i socialisti rappresentavano il 20,68% degli italiani), i quali vararono la nostra Costituzione che entrò in vigore il primo gennaio 1948. Il lavoro della costituente non fu certamente facile. Occorreva ricostruire il Paese dopo le macerie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale e dal ventennio fascista. Insomma, era necessario affermare la democrazia in Italia e garantire la tutela dei diritti fondamentali della persona. Si tratta a ben vedere di punti irrinuciabili su cui non fu necessario alcun confronto tra  le forze politiche dell’epoca che avevano combattuto il nazifascismo. Oggi , nel dibattito politico a più riprese l’attuale classe dirigente ha dimenticato quei principi che avevano ispirato i nostri padri Costituenti mortificando, asfaltando, i diritti inalienabili della persona. Basti pensare alle scelte in materia di giustizia sulla prescrizione e sulle intercettazioni contro le libertà di ciscuno opportunamente tutelate dalla nostra “Grundnorm” più lungimirante di una certa politica, miope ed incosciente. Ma anche la scelta di cambiare l’attuale Parlamento, approvando la riforma del taglio dei nostri rappresentanti (deputati e senatori),  appare non in linea con lo spirito della nostra Costituzione. All’epoca appariva evidente a tutte le forze politiche dell’Assemblea costituente che fosse di vitale importanza garantire ogni forma di rappresentanza politica nella maniera più ampia possibile evitando quegli errori che avevano portato al fascismo. Evidentemente l’idea “dell’uomo solo al comando” non è del tutto tramontata nel nostro Paese. I cosidetti ”tagli alla  democrazia” susciterebbero le ire dei nostri Padri fondatori se fossero ancora qui tra noi.  La riforma dello stato appare sicuramente necessaria, ma questa deve essere organica, equilibrata e garantire la rappresentatività, e non colpire  il ramo parlamentare propagandando l’idea che la riduzione del numero dei parlamentari garantirebbe Governi più stabili, oltre a far risparmiare lo Stato. L’instabilità ha un’origine diversa ed è  figlia della tenuta delle maggioranze parlamentari che molto spesso hanno dimenticato la funzione da assolvere nell’interesse generale del Paese. In quanto ai costi, il taglio dei parlamentari comporterebbe per il nostro Paese un risparmio di circa 400/500 milioni di euro pari allo 0,005% del P.I.L.  Nulla. I tentativi di calpestare la nostra Costituzione sono evidenti a tutti. Ma dobbiamo difendere la nostra Carta fondamentale dei diritti , la quale riuscì a coniugare splendidamente le diverse anime presenti nell’assemblea fondativa: una liberale, una cristiana, una SOCIALISTA. I socialisti hanno dato il proprio contributo nella scrittura di articoli fondamentali della nostra Costituzione. L’art.3  e l’art.49, per esempio, sono stati costruiti da un socialista Lelio Basso al grido “Cittadini la Costituzione siete voi”. Gli ideali di libertà e giustizia sociale presenti in molte norme costituzionali (sull’ecomia, sul lavoro) si devono all’opera indefessa di Vittorio Foa e Riccardo Lombardi. Il ripudio della guerra per la risoluzione delle controversie internazionali (art.11) grazie al lavoro di Mario Zagari. Sulle donne è stato significativo l’intervento di Lina Merlin. Significativo anche il contributo di Francesco De Martino per una legge elettorale che garantisse una certa rappresentatività anche alle minoranze, mentre il “Germanicum” che oggi si propone agli italiani corre verso una ulteriore compressione della partecipazione democratica dei cittadini alla vita del Paese, e delle forze politiche,  specie quelle minori, salvo il diritto di tribuna di difficile concezione ed attuazione. E come dimenticare la figura di Pietro Nenni, ministro per la Costituente. E quella di Saragat, presidente della commissione costituente. Quanto socialismo nella nostra costituzione tanto da preoccupare nel 2013 anche la banca americana J.P. Morgan secondo la quale “..c’è troppo socialismo nella Costituzione italiana..” In definitiva,  esortava  il nostro Paese  a cambiarla. I principi fondamentali e i diritti e i doveri dei cittadini non possono essere modificati.Sono principi irrinuciabili, inalienabili. Si può affrontare in maniera organica il tema della riforma istituzionale, ma i diritti della persona non possono essere messi in discussione. Qualsiasi riforma che riguardi il governo, il Parlamento e la legge elettorale deve pertanto ispirasi a quei principi e a quei valori che hanno reso la nostra Costituzione la migliore al mondo. Sono i valori del liberalsocialismo. I diritti e le libertà fondamentali di ciascun individuo e i principi di giustizia sociale per costruire una nuova architettura istituzionale. Il percorso intrapreso negli ultimi anni dalla nostra classe dirigente appare in netto contrasto con tali finalità  lasciandosi trasportare dalla demogogia o alle volte dal populismo. Ma i diritti fondamentali della persona e i  principi fondamentali dello Stato non sono negoziabili. Un conto sono le riforme organiche dello Stato con il contributo di tutti i partiti, altra cosa, in nome del cambiamento, è demolire i nostri diritti. Per questo dobbiamo difendere la nostra Costituzione. Per questo noi diciamo “NO” alla riduzione del numero dei parlamentari. Per questo SIAMO SOCIALISTI.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

REFERENDUM

di Franco Astengo | Lo slittamento nella data di svolgimento del referendum confermativo sulla riduzione del numero dei Parlamentari va accolto favorevolmente, ma non deve significare una sosta nel sollevare presso l’opinione pubblica il tema della qualità della nostra democrazia repubblicana. Non è stata ancora indicata una nuova data e ci troviamo dentro ad una fase molto complicata della nostra vita nazionale (in un quadro internazionale drammatico): ciò nonostante è necessario non considerare secondari i temi di difesa e di rilancio della Costituzione e dell’insieme di relazioni istituzionali che la nostra Carta fondamentale prevede. La nostra democrazia, già in forte difficoltà su diversi versanti, soffrirebbe ulteriormente dalla riduzione di spazi democratici che si verificherebbe con la riduzione del numero dei componenti di Camera e Senato. E’ il caso di riflettere anche sugli argomenti da portare al dibattito in favore del “NO”: abbiamo affrontato fin qui i temi della rappresentanza politica e territoriale e quello del rapporto (anche numerico) tra elettorato e sedi elettive. E’ necessario ricordare anche, e con grande forza, che un Parlamento ulteriormente indebolito nella sua capacità di rappresentanza politica e territoriale sarebbe ancor più facilmente scavalcato di quanto già non stia avvenendo da tempo, dall’esecutivo. Ciò si rifletterebbe sull’insieme dell’azione legislativa che sarebbe sempre più attuata attraverso il meccanismo dei decreti, in un quadro davvero preoccupante di fragilità sempre più evidente per l’insieme del nostro sistema politico. Il tema della rappresentanza politica va collegato, inoltre, a quello della legge elettorale: ricordato che almeno a partire dalle elezioni del 1994 elettrici ed elettori hanno avuto scarse o nulle possibilità di scelta dei propri rappresentanti e che la Corte Costituzionale ha già bocciato due leggi elettorali (l’una allora vigente e l’altra approvata ma mai entrata in funzione) è il caso di sostenere al meglio un’idea di formula proporzionale che rimane quella che meglio si allinea all’impianto costituzionale, che pure non prevede le leggi elettorali nel proprio articolato. Circa la data di svolgimento della competizione elettorale l’impegno del Comitato per la Democrazia Costituzionale e degli altri soggetti impegnati per il “NO” dovrebbe essere rivolto a evitare lo svolgimento del referendum in contemporanea con una delle tornate previste per le elezioni regionali: trattandosi di turni sfalsati tra loro ne deriverebbe una evidente stortura sia nella partecipazione sia nelle espressioni di voto, in un intreccio che sicuramente renderebbe il voto meno libero. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ITALIANI DI SERIE A, B e C: UNA RIFLESSIONE DI FELICE C. BESOSTRI

Il drastico taglio dei parlamentari, secondo la prof. Alessandra ALGOSTINO dell’università di Torino, “incide sulla rappresentanza, sulla sovranità popolare e sulla democrazia sotto diversi aspetti.” e ha ragione perché è pacifico che per la nostra Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica”(art.1.1), nella quale “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita“ (art.1.2), come corpo elettorale partecipando all’elezione di un Parlamento, in cui ogni suo membro “rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”(art.67). Infatti, “Riducendo il rapporto fra cittadini e parlamentari, si incide sulla rappresentanza, sia da un punto di vista quantitativo sia da un punto di vista qualitativo. Quantitativamente aumenta la distanza fra rappresentato e rappresentante. Il riverbero sulla qualità della rappresentanza è evidente, con una diminuzione della possibilità per il cittadino di veder eleggere un “proprio” rappresentante, abbassando il grado di potenziale identificazione del rappresentato con il rappresentante”. Per di più il taglio non è stato uguale per tutti al Senato, con una ferita insanabile a principi costituzionali fondamentali, tra i quali preminente quello dell’uguaglianza “ (art.3.1 Cost.) anche perché “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…..” il taglio è in media del 36,50%, motivato con la riduzione dei costi della politica, se il problema fosse quello la riduzione del 50% delle indennità parlamentari avrebbe consentito un risparmio maggiore. Ebbene solo il Trentino-Sudtirolo: basta con l’ipocrisia alto-atesina, nome inventato, come se creassimo una Provincia autonoma costituita da Rovigo e Ravenna e la chiamassimo Bassa Padania. Grosso modo Lombardia 313mila per un senatore, in Senato Trentino-Alto Adige 171mila (313.000-171.000) = 141.000; cioè ci vogliono 141.000 lombardi in più per avere un senatore, significa che il voto lombardo vale meno, molto meno. La Lombardia con 9.704.000 abitanti con quoziente 171.000 dovrebbe eleggere 56 senatori ne eleggerà 31, cioè 1 senatore ogni 313.000 lombardi e ne ha eletti 49 1 senatore ogni 198.040 lombardi nel 2018. Altri esempi Ripetere operazione con abitanti seggi vigenti seggi tagliati abitanti per nuovo Senato Trentino-Alto Adige 1.029.475 7 6 171.579 Sardegna 1.639.362 8 5 327.872 Liguria 1.570.694 8 5 314.138 Emilia-Romagna 4.342.135 22 14 310.152 Friuli-Venezia Giulia 1.218.985 7 4 304.746 Calabria 1.959.050 10 6 326.508 Puglia 4.052.566 30 13 311.735 Umbria 884.268 7 3 294.756 ITALIANI DI SERIE A: Residenti in Trentino-Alto Adige/Südtirol, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Molise, Umbria e Basilicata in totale 15 seggi Eleggono un senatore rispettivamente ogni 171mila, 127mila, 157mila, 295 mila e 193mila abitanti, quando la media delle restanti regioni è di 312mila, ma Molise e Val d’Aosta non avevano numero minimo (7), ma fisso rispettivamente 2 e 1. In compenso la Val d’Aosta e il Molise pagavano di più della media nazionale (96.004) i deputati:  VdA 127 mila e Molise 105 mila. ITALIANI DI SERIE B: Tutti i residenti nelle restanti regioni italiane con rapporti abitanti/senatori variabili da: 295mila ab/sen dell’Umbria e 304mila del Veneto nella fascia inferiore ai 327 mila di Abruzzo e Calabria e 328mila della Sardegna nella fascia alta. ITALIANI DI SERIE C Iscritti nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero Secondo le statistiche dell’AIRE, al 31 dicembre 2012 c’erano 4.341.156 italiani residenti all’estero, in crescita del 3,1% rispetto al 2011 (4milioni e 210mila) , e così ripartiti nelle quattro circoscrizioni elettorali estere per le elezioni politiche: Europa: 2.365.170 – America meridionale: 1.338.172-America settentrionale e centrale: 400.214 – Africa, Asia, Oceania e Antartide: 237.600. Nelle elezioni Senato 2018 Elettori 3.835.780 – Votanti 1.160.985 pari al 30,27%. Nella Circoscrizione Europa Elettori 2.032.628 -Votanti 620.006 pari al 30,50% degli aventi diritto. Se restano le 4 circoscrizioni senatoriali attuali (Europa, America del Sud, America del Nord e Centrale e Africa, Asia, Oceania e Antartide) l’Europa, che conta più del 50% iscritti A.I.R.E., degli elettori e dei votanti avrà un solo Senatore. Se vengono ridisegnate in rapporto alla popolazione l’Europa avrà 2 senatori e 2 senatori il resto del mondo, ma vista la preponderanza numerica dell’America del Sud saranno 2 eletti in quel continente come ora. In conclusione l’America del Nord e Centrale e Africa, Asia, Oceania e Antartide, che ne eleggevano uno ciascuna, resterebbero senza rappresentanti, di fatto gli Stati Uniti e l’Australia, quelli con consistente e antica emigrazione italiana. I tagli lineari son sempre sbagliati e per di più incostituzionali quando come nel caso italiano il Trentino/Sudtirolo e nella Circoscrizione estero Europa e Sud America o sono puniti eccessivamente o premiati alla faccia degli artt. 48 e 51 Cost. per i quali il voto è eguale e ci si candida in condizioni di eguaglianza. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

REFERENDUM COSTITUZIONALE 2020. NUMERI A CONFRONTO

di Felice Besostri | Per capire, la Puglia passa da 20 a 13 senatori quindi per ogni senatore con i dati del censimento generale 2011 con i suoi 4.052.566 abitanti prima aveva un senatore ogni 202.628 abitanti, se passa il taglio ce ne vogliono 311.735, mentre se sei un trentino-sudtirolese te ne bastano 171.579, arrotondiamo a 311.000 come da tabella allegata. CON I NUMERI VIGENTI IL QUOZIENTE NATURALE INTERO PER ELEGGERE UN senatore ci vuole un 5%, con il taglio cci vorrà il 7,69%. Conclusione 311-171=140, che rappresenta L’81,87% del quoziente che bisogna avere in più per lo stesso risultato, quindi gli elettori pugliesi contano molti meno di quelli trentini-sudtirolesi. Per eleggere un senatore in Lazio ci vogliono 303mila abitanti in Trentino Alto Adige/Sudtirolo 171mila, quindi il 56,43% dei voti laziali/romanisti quindi gli abitanti del Lazio eredi dell’impero romano valgono il (100-56,43)=56,43% dei trentini sudtirolesi perché hanno bisogno di  303.000-171.000=132.000 abitanti in più per lo stesso risultato: un senatore eletto nella propria regione e 132.000 è il 77,19% di 171.000, ma a loro va meglio di calabresi eredi della civiltà della Magna Grecia perché a loro servono 327.000 abitanti per un senatore (come agli abruzzesi), cioè servono 327.000-171.000=156.000 abitanti in più per lo stesso risultato. 156.000 è il 91,22% di 171.000, ma non c’è limite al peggio. Il record spetta alla Sardegna-ci vogliono 328.000-sardi per avere uno dei 5 senatori 1 meno del Trentino-AltoAdige/Sudtirolo, mentre ne aveva 1 in più cioè 8. 328.000-171.000=157.000, che è il 91,81% di171.000 un sardo e un calabrese/abruzzese sul mercato politico del Senato, valgono poco più di mezzo trentino sudtirolese. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA FORZA DIROMPENTE DEL REFERENDUM

di Franco Astengo | “La forza dirompente del referendum”: sotto questo titolo il Corriere della Sera pubblica un intervento dell’ex-ministro Giulio Tremonti sul tema del referendum confermativo al riguardo della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari da 945 a 600. Nel suo articolo Tremonti sostiene, tra l’altro, che la portata politica di questo referendum è enormemente più forte di quello che, con il suo esito, decretò nel 1993 il passaggio dalla formula elettorale proporzionale a quella maggioritaria. Formula maggioritaria poi temperata dal mantenimento di una quota del 25% riservata al proporzionale (con tanto di “scorporo” e di “liste civetta”) come stabilito dalla legge di cui fu relatore l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Giovanni Sartori in quell’occasione coniò la definizione “Mattarellum”). Subito dopo il varo della nuova legge l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sciolse i due rami del Parlamento (la Camera era presieduta da Giorgio Napolitano, il Senato da Giovanni Spadolini) motivando a questo modo “ “Lo scioglimento trova la sua principale motivazione, non già in una disfunzione creatasi nel rapporto tra Parlamento – governo, bensì nel radicale cambiamento delle regole elettorali imposta dal referendum popolare del 18 aprile 1993, nonché nei profondi mutamenti emersi nel corpo elettorale e nelle stesse realtà politiche organizzate”. Tremonti dunque sostiene che il referendum che dovrebbe svolgersi il prossimo 29 marzo risulti molto più incisivo sulla realtà istituzionale del Paese che non quello promosso dai Comitati Segni ventisette anni or sono: la ragione di questa superiore capacità d’incidenza risiederebbe non solo nella mutata composizione numerica ma anche nella funzione di rappresentanza territoriale che dovrebbe essere svolta dai due rami del Parlamento e nella meccanica della sua efficienza decisionale. Ancora: una volta entrati in vigore Camera e Senato a ranghi ridotti rispetto all’attuale composizione si stabilirebbero anche rapporti diversi tra maggioranza e opposizione e di riflesso tra le forze politiche come queste sarebbero rappresentate in un Senato ridotto a 200 membri. Sono tutti elementi da considerare e da riflettere per quanti si sono già schierati per il “NO” a questo ennesimo tentativo di deformazione costituzionale. C’è da aggiungere che non solo il referendum previsto per il 29 marzo è assolutamente più dirompente di quello del 1993 ma che, sul piano della valenza costituzionale, equivale perlomeno a quello del 4 dicembre 2016, allorquando la proposta di revisione della nostra Carta Fondamentale portata avanti dal PD a segreteria Renzi fu respinta a grande maggioranza dal voto popolare. Oggi siamo di fronte a una situazione che deriva dall’aver sparso a piene mani il veleno dell’antipolitica e il referendum stesso sulla riduzione del numero dei parlamentari (riduzione posta come pregiudiziale dal M5S al PD soltanto per aprire la trattativa sulla formazione del nuovo governo) assume un evidente ulteriore effetto di delegittimazione complessiva di un Parlamento ormai ridotto ad una sostanziale autoreferenzialità. E’ il caso di ricordare come la caduta di credibilità del Parlamento abbia una delle sue principali cause nel reiterarsi ormai da tre legislature di elezioni legislative svoltesi su liste bloccate. Scrive ancora Tremonti e vale la pena riprenderne le argomentazioni: “Ma ciò che è peggio è l’infima cifra della politica che viene così espressa: mai nella nostra storia così pochi hanno pesato e pesano tanto male sul presente e sul futuro di tutti gli altri”. Tra pochi giorni ci troveremo dentro a una campagna elettorale che non solo sarà sbilanciata nell’attribuzione del peso mediatico tra le diverse opinioni in campo ma sarà anche invasa dalla facile mistificazione circa l’abbattimento delle poltrone e dei privilegi della “casta” (posizione paradossalmente sostenuta da chi della “casta” fa ormai interamente e integralmente parte). Più o meno lo stesso tipo di mistificazione con cui ci trovammo a fare i conti nel già ricordato referendum del 1993, con l’idea facilmente propagandata e colpevolmente amplificata dai media di allora della semplificazione nel ruolo del Parlamento intesa come panacea di tutti i mali della democrazia italiana in quella fase alle prese con Tangentopoli, lo smarrimento dovuto alla caduta del muro di Berlino e all’inopinato scioglimento del PCI, al ritardo accumulato sulla strada dall’adeguamento ai dettati dell’appena firmato trattato di Maastricht e dell’avvio del percorso verso la moneta unica. L’analisi fin qui compiuta ci dimostra che l’oggetto del contendere, nel referendum del 2020, non è certo quello della semplificazione del meccanismo parlamentare : ancora una volta, come già nel 2006 e nel 2016, siamo di fronte alla determinazione di arrivare ad un mutamento nell’equilibrio dei poteri così come questi sono stati configurati nel modello di democrazia repubblicana stabilito dalla Costituzione del ‘48. Il tema, almeno dal nostro punto di vista di chi intende sostenere il “NO”, non deve quindi essere quello della conservazione del numero dei parlamentari ma quello del mantenimento e se possibile del rafforzamento di una “balance of power” della quale è parte indispensabile la rappresentazione nelle massime istituzioni legislative delle più importanti sensibilità politiche, sociali, culturali presente in una dimensione rilevante nel Paese. Così come è fondamentale la presenza nei due rami del Parlamento di un equilibrio nella rappresentanza territoriale che, invece, sarà massacrata dalla riduzione numerica che, alla fine, presenterà situazioni di sicuro profilo incostituzionale. E’ necessario inoltre ripensare alla formula elettorale, al meccanismo di scelta individuale dei parlamentari, di distribuzione della rappresentanza sul territorio. Soprattutto va ripreso e avviato un diverso discorso culturale al riguardo dell’agire politico: la difesa dell’integrità anche numerica delle Camera può rappresentare, in questo senso, un primo passo perché si riaffermerebbe la centralità della Costituzione Repubblicana e uscirebbe sconfitta una inaccettabile idea di mortificazione della rappresentanza politica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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DOPO LA LEZIONE DELLA CORTE RIPARTIRE DA UNA LEGGE PROPORZIONALE

di Enzo Paolini e Felice Besostri | Pubblicato su Il Manifesto | La inammissibilità del referendum pro maggioritario proposto da otto regioni (ma sostanzialmente dalla Lega), dichiarata dalla Corte costituzionale in seguito agli argomenti da noi avanzati, rimette al centro del dibattito politico la questione della legge elettorale. Che è la madre di tutte le questioni, essendo relativa alle modalità di selezione della classe dirigente e quindi alla qualità della nostra politica. Partiamo da cosa ha detto la Corte con la sentenza di ieri, sul piano generale in ordine all’uso dello strumento referendario (su quello tecnico specifico dovremo aspettare le motivazioni). Tre principi: 1) il quesito da rivolgere ai cittadini deve essere chiaro ed intellegibile per tutti, senza incomprensibili richiami o rimandi. 2) Il parlamento può delegare il governo ad emanare un atto avente forza e forma di legge. La stessa delega non può, però, darla il popolo attraverso il referendum perché così si creerebbe un corto circuito nella architettura della democrazia parlamentare. 3) Il quesito referendario non può essere «eccessivamente manipolativo», cioè proposto mediante un cosiddetto «ritaglio per sottrazione», per incastro linguistico e terminologico, così che la normativa residuale all’abrogazione abbia l’effetto di creare una nuova norma senza passare per il percorso legislativo parlamentare. Ad esempio, nel caso specifico: cambiare il metodo elettorale mediante l’abrogazione per via di referendum di parole o frasi inserite in leggi non afferenti al metodo elettorale. La Corte ha ritenuto la proposta priva dei requisiti della chiarezza e della omogeneità logica del quesito, insomma della semplicità essenziale necessaria ed indispensabile per sottoporre ai cittadini questioni importanti, e non ve n’è di più importante sul piano istituzionale di quella del metodo elettorale. Da qui dobbiamo (ri)partire se vogliamo convincere anche chi, destato dal campanello della Corte, si riassopisce subito con le tranquillanti, superficiali e pericolosissime parole di Prodi e Veltroni (ieri) e di Beppe Sala (oggi): dobbiamo pensare alla «governabilità», dunque al maggioritario. Ma in nessuna parte della Costituzione è scritto che le elezioni debbano garantire la «governabilità» o, addirittura, che la sera dello scrutinio si debba sapere chi ha vinto e chi ha perso. Questo succede alla Domenica sportiva. La governabilità non è la ragione, il fine delle elezioni, ma il necessario, auspicato effetto, determinabile dalla convergenza delle forze politiche rappresentate in parlamento sui programmi proposti agli elettori e sulle mediazioni imposte dalle alleanze atte a costituire le maggioranze utili per governare. Questa è la governabilità. Dunque non è affatto vero che con il maggioritario (cioè con un sistema che assegna alla formazione che non ha raggiunto la maggioranza ma è prima in classifica, un premio in seggi), sia assicurata ipso facto la «governabilità» stabile. A meno di un risultato elettorale con una maggioranza assoluta (i «pieni poteri»), ci vogliono sempre un’alleanza e un compromesso. La differenza tra i due sistemi, cioè tra quello attuale, con le nomine dei capi partito e quello proporzionale con le preferenze degli elettori è decisiva: la qualità della classe dirigente. La storia di questo ultimo anno e mezzo e dell’annesso cambio al governo (ma possiamo dire la storia del paese da quando c’è il maggioritario per nomina, sia esso Porcellum, Italicum o Rosatellum con i suoi ribaltoni, cambi di casacche, compravendita di parlamentari) lo dimostra. La spiegazione è semplice: il sistema pensato dai costituenti, cioè il proporzionale puro con le preferenze, non fu scelto solo per impedire nuove temute derive autoritarie. La paura o meglio il rifiuto della tirannide era il presupposto. Ma il sistema recava in sé un fine tessuto di ingegneria costituzionale. Esso fotografava la realtà politica, il sentire del popolo italiano, fino a quello dell’ultimo cittadino, con un voto «diretto, libero ed uguale» per cui la sera dello scrutinio si sapeva chi eravamo, cosa pensavamo, quali erano gli orientamenti condivisi e in quale misura, appunto proporzionale, si traducevano in seggi parlamentari. Così che i rappresentanti istituzionali sin da subito potevano/dovevano avviare i confronti per giungere alle alleanze con le quali costituire le maggioranze necessarie affinché un governo potesse avere la fiducia delle camere. Un lavoro duro e affascinante che si chiama politica. Così il quadro era stabile, poteva mutare sulla base di questioni politiche non di migrazioni di senatori e deputati fondate su posizionamenti e convenienze personali. E ciò per il semplice fatto che, essendo i parlamentari eletti con le preferenze, rispondevano del loro comportamento agli elettori che tali preferenze avevano espresso e non, come oggi avviene, al capo del partito che li nomina o che gli promette la rinomina. In questo sciagurato mo(n)do il parlamento viene nominato dai cosiddetti leader, non viene assicurata alcuna governabilità politica, le maggioranze sono drogate dai premi, la vera volontà popolare non conta niente e le elezioni sono solo esercizi di posizionamento personale. Ciò è peraltro affermato dalle ripetute sentenze della Corte costituzionale sui parlamenti che ormai da un decennio sono eletti sulla base di leggi dichiarate incostituzionali. Il problema si acuirà con la riduzione del numero dei parlamentari. Meno rappresentanti, più potere nella nomina, più controllo di pochi. Si chiama oligarchia. In pieno mese di agosto questo giornale ha pubblicato un appello, «Il governo riparta dalla Costituzione», sottoscritto da tanti autorevoli osservatori. Ne riproponiamo il brevissimo, fulminante ed imprescindibile punto 1: «Legge elettorale, proporzionale pura: l’unica che faccia scattare tutte le garanzie previste dalla Costituzione. Per mettere in sicurezza la Costituzione stessa, cioè la democrazia». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

INAMMISSIBILE IL REFERENDUM ELETTORALE: IL QUESITO E’ ECCESSIVAMENTE MANIPOLATIVO

COMUNICATO STAMPA CORTE COSTITUZIONALE La Corte costituzionale si è riunita oggi in camera di consiglio per discutere la richiesta di ammissibilità del referendum elettorale “Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, presentata da otto Consigli regionali (Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Liguria).Oggetto della richiesta referendaria erano, in primo luogo, le due leggi elettorali del Senato e della Camera con l’obiettivo di eliminare la quota proporzionale, trasformando così il sistema elettorale interamente in un maggioritario a collegi uninominali. Per garantire l’autoapplicatività della “normativa di risulta” –richiesta dalla costante giurisprudenza costituzionale come condizione di ammissibilità deireferendum in materia elettorale -il quesito investivaanche la delega conferita al Governo con la legge n. 51/2019 per la ridefinizione dei collegi in attuazione della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. In attesa del deposito della sentenza entro il 10 febbraio, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che a conclusione della discussione la richiesta è stata dichiarata inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della “normativa di risulta”. Preliminarmente, la Corte ha esaminato, sempre in camera di consiglio, il conflitto fra poteri proposto da cinque degli stessi Consigli regionali promotori e lo ha giudicato inammissibile perché, fra l’altro, la norma oggetto del conflitto avrebbe potuto essere contestata in via incidentale, come in effetti avvenuto nel giudizio di ammissibilità del referendum. Roma, 16 gennaio 2020 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it