SEGGI BREXIT ELEZIONI UE: PRESENTATO RICORSO, SOGLIE DI ACCESSO CONTRO TRATTATO LISBONA

COMUNICATO STAMPA 25 luglio 2019 ELEZIONI EUROPEE: AVV. BESOSTRI PRESENTA RICORSO PER I SEGGI BREXIT AL TAR DEL LAZIO PER LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA. UDIENZA FISSATA AL 15 OTTOBRE 2019 “LE SOGLIE DI ACCESSO SONO IN CONTRASTO CON IL TRATTATO DI LISBONA” “PLURALISMO POLITICO VALORE FONDATIVO DELL’EUROPA, LA GOVERNABILITA’ HA A CHE FARE CON LA CAPACITA’ DI FORMARE COALIZIONI” E’ stato impugnato il verbale di proclamazione degli eletti delle Elezioni europee del 26 maggio 2019, limitatamente ai seggi aggiuntivi per l’Italia -da 73 si passerà a 76- che saranno definitivamente acquisiti una volta che la Gran Bretagna avrà completato il recesso dall’Unione Europea, passaggio che l’elezione di Boris Johnson a Primo Ministro del Regno Unito rende più vicino. La richiesta è che sia dichiarata illegittima la soglia del 4% entrata in vigore in Italia con la legge n. 10 del febbraio 2009. Se il ricorso venisse accolto ai 3 deputati europei di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega Salvini Premier subentrerebbero i candidati più votati della lista +Europa (per la circoscrizione 2 Italia nord orientale), del Partito Comunista (per la circoscrizione 3 Italia centrale) e per il Partito Animalista Italiano (per la circoscrizione 4 Italia meridionale). Il ricorso è stato depositato nella giornata di ieri ed è stata fissata l’udienza al 15 ottobre presso la sezione seconda bis del Tar Lazio che dovrà decidere se porre la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. E’ questo l’unico organo a poter stabilire se la legge italiana è in contrasto con il Trattato di Lisbona, motivazione principale del ricorso. Infatti se con il Trattato istitutivo della Comunità Europea (artt. 189 e 190) il Parlamento Europeo rappresentava i popoli degli Stati associati e quindi ogni Stato poteva decidere come far rappresentare il suo popolo, con o senza soglia, con il Trattato di Lisbona (artt. 10 e 14) il Parlamento Europeo rappresenta direttamente i cittadini dell’Unione Europea il cui voto -essendo i cittadini tutti uguali-non puo’ essere diverso se espresso in un Paese di residenza piuttosto che in un altro. Per questo con il Trattato di Lisbona è cambiata la natura del Parlamento Europeo. A promuovere il ricorso l’Avvocato Felice Besostri, già protagonista delle battaglie sui profili di costituzionalità delle leggi elettorali italiane, insieme con gli Avvocati Giuseppe Sarno, Francesco Versace, Enzo Paolini, del gruppo Avvocati Antitalikum che fecero annullare con sentenza n. 35 del 2015 la legge elettorale c.d. Italicum n. 52 del 2015. Unico caso in Europa visto che la legge è stata annullata prima che fosse mai applicata. Nel collegio difensivo anche l’Avvocato Giuseppe Libutti, vice Presidente dell’Associazione “Attuare la Costituzione”. “Questo non è un ricorso contro qualcuno ma nell’interesse della rappresentanza democratica e dell’affermazione della prevalenza dei Trattati europei sulle decisioni degli altri organi e sulle leggi nazionali che ne danno attuazione” ha dichiarato l’Avv. Felice Besostri, promotore del ricorso. Ha poi proseguito il giurista “Il pluralismo politico è uno dei valori fondativi dell’Europa, mentre la maggiore governabilità politica come indicato nel ricorso ha a che vedere più con la capacità delle forze politiche di formare coalizioni omogenee, anche grazie alle norme stringenti per la formazione dei gruppi del Parlamento europeo che limitano la frammentazione delle forze politiche”. E ha poi concluso “Mentre in Germania e in Gran Bretagna partiti politici con 900mila voti hanno avuto due seggi nel Parlamento Europeo, in Italia 2milioni e 220mila voti validi sono di fatto stati annullati perché quelle persone che sono andate a votare non hanno eletto nessuno, nonostante come corpo elettorale sono numericamente maggiori degli abitanti messi insieme di Malta, Lussemburgo e Slovenia che hanno eletto almeno 18 parlamentari europei”. Monica Pepe Ufficio stampa SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

MODIFICA ALLA COSTITUZIONE PER SPARTIRSI MENO PARLAMENTARI MA PIU’ OBBEDIENTI

di Alfiero Grandi | Nei prossimi giorni il Senato sara’ chiamato ad approvare in seconda lettura la proposta di legge di modifica della Costituzione che riduce il numero dei parlamentari. La seconda lettura di Senato e Camera è quella definitiva. Il difetto di fondo di questa proposta di modifica della Costituzione, che riduce i parlamentari, e’ motivata dalla riduzione dei costi. Per ridurre veramente ridurre i costi è sufficiente ridurre quanto va ai parlamentari, misura discutibile ma l’unica con effetto certo, rapido, finora non adottata. Invece la maggioranza verde – gialla ha scelto la via della riduzione dei  parlamentari e quindi vuole modificare la Costituzione. Non è vero  che cosi’ I lavori parlamentari sarebbero  semplificati, tutto il funzionamento resterebbe come ora. Semmai la semplificazione e’ avvenuta al Senato, presidente Grasso, cambiando il regolamento interno, cosa che la Camera finora non ha fatto. Ancora una volta una modifica della Costituzione viene proposta in stretto rapporto con la legge elettorale. La Lega vuole infatti che resti in vigore la sostanza dell’attuale legge elettorale (rosatellum) perche’ con i voti stimati per la Lega questo partito potrebbe ottenere una maggioranza parlamentare paragonabile a quella di Berlusconi nel 2008, per di più con alleati subalterni. Pochi finora sanno che la nuova legge elettorale  e’ già approvata e che entrera’ in funzione automaticamente se passera’ la riduzione dei parlamentari. Ancora una volta la modifica della Costituzione e’ strettamente legato a una legge elettorale che garantisca la maggioranza in parlamento, in questo caso il risultato si ottine  mantenendo la sostanza attuale, con la conseguenza di parlamentari di  fiducia del capo partito. L’attuale legge elettorale senza esplicitare la soglia per l’elezione di fatto a livello nazionale portera’la soglia di accesso al 5% alla Camera, almeno il doppio al Senato. In tante situazioni la soglia sara’ piu ‘ alta, escludendo tutti  i partiti minori. Pochi partiti si spartiranno i parlamentari. Il vero obiettivo della modifica della Costituzione e’ avere meno parlamentari, piu’ obbedienti. Non e’ un miglioramento del funzionamento del parlamento, al contrario, si fara’ un ulteriore balzo verso la riduzione del ruolo del parlamento. Gia’ ora tra continui decreti legge, voti di fiducia a raffica, provvedimenti disciplinari contro i dissenzienti, che in parlamento dovrebbero essere garantiti non repressi, abbiamo già un parlamento che conta poco, ridotto spesso al silenzio e perfino ad approvare a scatola chiusa provvedimenti che non conosce, imposti dai capi della maggioranza. In futuro la funzione del parlamento sara’ ancora di piu’ di ratifica. La riduzione dei  deputati e dei senatori insieme alla legge elettorale apre la strada ad un accentratamento ulteriore delle decisioni, fino a ribaltare l’assetto istituzionale definito dalla nostra Costituzione. Perche’ il M5Stelle preme per questa decisione ? All’origine era la spinta ideologica anticasta,  ora prevale la possibilita’ di ottenere così un’assicurazione sulla vita di questo governo. Chi conta nel movimento non vuole  la crisi di governo. Il conto e’ presto fatto.  L’approvazione definitiva della modifica costituzionale dovrebbe avvenire entro luglio (Senato e Camera) ma se non otterra’ i due terzi dei voti, che non consentirebbero il referendum costituzionale, questo ci sara’  tra fine anno e primavera 2020. Se la maggioranza perde il referendum va a casa, ma se vince avra’ bisogno di tempo per definire i nuovi collegi,  come è previsto dalla nuova legge elettorale e quindi prima del 2021 il voto non e’ possible. Quindi la modifica della Costituzione e’ un modo per fare durare questa maggioranza e questo governo per almeno due anni, sperando nel frattempo di arrestare il crollo elettorale rilanciando argomenti anticasta, che pero’ oggi avrebbero il difetto di investire anche chi li usa. Il problema da risolvere, come sempre, e’ l’impaccio dell’opposizione. Senza sottovalutare la difficolta’ dell’argomento, il problema si pone perche’ la maggioranza verde gialla provera’ ad approvare la riduzione dei parlamentari comunque. A meno di incidenti di percorso puntera’ all’approvazione e quindi il referendum ci sara’. Se questo e’ lo scenario più probabile, è necessario  individuare con rapidità, subito dopo l’approvazione, la linea di contrasto agli argomenti, pochi e strumentali, della maggioranza,  preparandosi al referendum popolare.  Certo,si può ridurre il numero dei parlamentari, ma farlo cosi’ e’ sbagliato perche’ porta ad una riduzione della capacita’ di rappresentare il paese senza neppure risolvere il problema che pone la parità delle camera.  Non l’ha risolto Renzi che proponeva un Senato posticcio,  una specie di circolo della caccia per Regioni e Sindaci, non lo risolve questa riduzione dei parlamentari  perche’ mantiene inalterati i difetti delle camere paritarie. Meglio sarebbe stato lasciare la sola Camera dei deputati con l’attuale rappresentanza, superando il raddoppio paritario senza compromettere la rappresentanza. Ancora una volta un pasticcio. Ancora una volta occorre mettere in campo un’opposizione per evitare che venga manomessa la Costituzione senza valutarne le conseguenze negative. L’opposizione deve confermare la sua esistenza. Pubblicato su Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“RIFORMA”

di Franco Astengo | Si sta concludendo in queste ore la prima “tranche” dell’itinerario parlamentare della riforma costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari. Nella proposta avanzata dal M5S e all’esame del parlamento attraverso l’iter dell’articolo 138 della Costituzione, è prevista una Camera di 400 componenti e un senato di 200 per cifra tonda di 600 (più gli ex-presidenti della Repubblica e i senatori a vita): un taglio del 36,5%. Quello della riduzione nel numero dei parlamentari è un discorso avviato da molto tempo: fin dagli anni’80 lo stesso Centro di Riforma dello Stato diretto da Pietro Ingrao aveva avanzato proposte analoghe includendo nel ragionamento anche il discorso sul monocameralismo. Da più parti si stanno esprimendo perplessità per quest’operazione considerandola esclusivamente come di semplice “marketing” politico, non suffragata nella fattispecie da dati sufficienti di motivazioni riguardanti il quadro istituzionale complessivo. Si fanno diversi esempi di disfunzioni e di disparità che un taglio lineare porterebbe con sé sia sul piano della rappresentanza territoriale (l’aumento di popolazione necessaria per un collegio del Senato, per esempio) e della rappresentanza politica. I due termini, della rappresentanza territoriale e della rappresentanza politica, debbono infatti rappresentare la “stella polare” di ogni riforma del genere. Una riforma di questo genere ha bisogno d essere accompagnata da un progetto complessivo riguardante due punti essenziali: 1)      La legge elettorale; 2)      La suddivisione dei collegi sia alla Camera, sia al Senato (si è fatto notare come alcuni collegi uninominali al Senato, con il tipo di riduzione proposta, andrebbero a superare il milione di abitanti). Ricordando ancora come la riforma della legge elettorale non preveda passaggi costituzionali, è necessario far notare come l’impianto complessivo dell’articolato della nostra Carta Fondamentale preveda, nell’idea della centralità del Parlamento (che si è vanamente tentato in più occasioni di spostare proponendo la modifica nel ruolo dell’esecutivo) un’ipotesi di pluralità della rappresentanza che può trovare sbocco soltanto in un sistema di tipo proporzionale com’è stato, del resto, tra il 1948 e il 1992. La possibilità di discutere sul numero dei parlamentari deve essere, quindi, strettamente collegato al tipo di legge elettorale che s’intende adottare, all’eventuale meccanismo che all’interno di essa potrebbe promuovere la formazione di maggioranze (premio, coalizioni, premio alla lista, premio alle coalizioni) e alla suddivisione territoriale delle circoscrizioni e/o collegi. In assenza di ciò siamo di fronte ad un vero e proprio salto nel buio: così si sono espresso molti dei costituzionalisti sentiti dalle Commissioni Parlamentari e così deve essere confermato esprimendo un giudizio negativo di forte preoccupazione su quanto sta accadendo in queste ore alla Camera dei Deputati. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LE AUTONOMIE DIFFERENZIATE COSTITUISCONO UN COLPO MORTALE ALL’UNITA’ D’ITALIA

di Paolo Maddalena | Le autonomie differenziate propugnate da Salvini, che tende sempre più ad agire da capo del governo, costituiscono un colpo mortale sia all’unità d’Italia, sia alla omogeneità dell’ordinamento regionale. In realtà è lo stesso articolo 116 della Costituzione, introdotto per volontà di Bassanini nella modifica del titolo quinto della Costituzione,  che è spurio rispetto ai principi fondamentali della Costituzione stessa e costituisce il cavallo di Troia per sgretolare definitivamente lo Stato facendo passare tutte le più importanti competenze nelle mani delle regioni. Oggi le regioni hanno la competenza concorrente su un numero rilevante di materie importantissime quali la salute, l’istruzione, le grandi vie di comunicazione nazionale, le fonti di energia e così via dicendo. Nella stesura del titolo quinto si è trovato un compromesso proprio stabilendo che in queste materie così importanti le regioni devono limitare la loro attività alla legislazione di dettaglio, mentre le norme di principio devono essere emanate dallo Stato: un debole filo per mantenere ancora in piedi l’unità della repubblica. È da ricordare inoltre che oltre l’articolo 116 c’è un ulteriore punto debole nell’articolo 117  titolo quinto della Costituzione che ha mantenuto una disposizione capace di coadiuvare l’articolo 116 al fine di far crollare l’unità economica e politica di tutto il popolo italiano. Ha stabilito che la materia delle “norme generali sull’istruzione” (articolo 117 comma due lettera N) e le norme sull’ambiente (articolo 117 comma due lettera S) potessero passare nell’autonomia regionale differenziata. Il citato articolo 116, insieme con le disposizioni da ultimo elencate, travolge i principi fondamentali della Costituzione e in particolare i seguenti: A- L’articolo 5 della Costituzione secondo il quale: “La Repubblica è una e indivisibile” B- L’articolo 2 della Costituzione secondo il quale: “La Repubblica riconosce e garantisce i doveri di solidarietà politica, economica e sociale” C- L’articolo 3 della Costituzione secondo il quale: “La Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. D- Viola i principi di ragionevolezza e di proporzionalità insiti nel citato articolo 3 della Costituzione E- Viola l’articolo 119 secondo il quale: “La Repubblica deve promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale”, nonché gli squilibri economici e sociali per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, destinando risorse aggiuntive ed effettuando servizi speciali in favore di regioni, città metropolitane e comuni F- L’articolo 120 della Costituzione secondo il quale: “IL Governo può sostituirsi alle regioni quando lo richiedano per la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei Governi locali. Ne consegue che l’articolo 116, come si diceva, introdotto con la legge costituzionale numero 1 del 2003, è privo di valore giuridico e come tale deve essere cancellato dalla Corte Costituzionale. In questo contesto le regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna chiedono oggi che le materie di competenza concorrente divengano di competenza esclusiva delle regioni e che le citate materie definite norme generali sull’Istruzione e “ambiente ecosistema e beni culturali” passino dalla legislazione esclusiva dello stato alla legislazione escusiva delle regioni. In sostanza l’intera materia dell’istruzione e l’intera materia dell’ambiente, compresa l’urbanistica e tutto ciò che all’urbanistica si collega passano nelle mani delle regioni che chiedono l’autonomia differenziata senza che lo Stato possa più metterci mano. Oltre la incostituzionalità dell’articolo 116 è da rilevare che sono oltremodo incostituzionali le bozze delle pre-intese stipulate dal Governo Gentiloni (prima Gentiloni e poi Conte) le quali oltre alla violazione dei predetti principi sono illegittime perché pongono sullo stesso piano l’interesse delle regioni, che chiedono l’autonomia differenziata, e l’interesse dell’intero popolo italiano. In dette bozze (tenute secretate per lungo tempo) si prevede, non solo il passaggio nella potestà legislativa esclusiva delle regioni delle materie attualmente di competenza concorrente, ma si chiede altresì il trasferimento delle funzioni statali sull’istruzione e sull’ambiente. Per far fronte a questo aumento di funzioni le tre regioni in questione chiedono il cosiddetto “residuo fiscale” vogliono cioè che i nove decimi del gettito fiscale riscosso in regione resti alla regione stessa. E inoltre chiedono che in relazione alle materie trasferite dallo Stato alle regioni vengano conferite alle regioni stesse nuove risorse da parte dello stato in base al criterio dei “bisogni standard” i quali dovrebbero essere determinati da commissioni paritetiche di tecnici senza tener conto dei bisogni delle altre regioni e cioè caso per caso e indipendentemente dalla preventiva determinazione da parte dello Stato “dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (articolo 117 comma due lettera M). Insomma una vera e propria secessione, come è sempre stato nelle intenzioni della lega, dell’italia del nord rispetto all’Italia del centro-sud. Se si pensa poi che queste “autonomie differenziate” possono essere chieste anche dalle altre regioni l’obbiettivo proprio del pensiero neoliberista, quello cioè di distruggere lo Stato nazionale, sarà stato perseguito. L’Italia si troverà divisa non più in sette stati, come era prima dell’unità di Italia, ma in venti staterelli privi di forza e nelle mani delle multinazionali che li schiavizzeranno. Si rende conto Salvini a quali conseguenze porta l’attuazione delle autonomie differenziate? Fonte: attuarelacostituzione.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DUE LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE

di Felice Besostri | La maggioranza giallo-verde-nera ha presentato, con firme rappresentative ed autorevoli o, due progetti di legge costituzionale come attuazione del contratto di governo, da qui la loro importanza politica, che si accompagna a quella istituzionale/ordinamentale, poiché riguarda la materia costituzionale: a) alla Camera la proposta di “Modifica all’articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare” (A.C. n. 1173); b) al Senato la proposta di “Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione, in materia di composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” (A.S. n. 515). Il primo merita di essere discusso, il secondo una netta opposizione parlamentare e politica nell’opinione pubblica per quanto sia indottrinata e avvelenata da ostilità alla casta e alla politica: dovrebbero capire che se si riducono i parlamentari, si risparmia, ma il popolo, cui appartiene la sovranità (art. 1.2 Cost.), come corpo elettorale conterà sempre meno, se non potrà scegliersi liberamente e personalmente i parlamentari (art. 48.2 Cost.) in un numero che consenta la rappresentanza del pluralismo politico. Dal Porcellum al Rosatellum, le leggi elettorali incostituzionali con le quali abbiamo eletto quattro legislature consecutive nel 2006 (XV), 2008 (XVI), 20I3 (XVII) e 2018 (XVIII) i parlamentari sono stati nominati, con poca attenzione alla loro qualità da cupole dei partiti, che hanno il monopolio delle candidature ex art. 14 dpr n. 361/1957, malgrado che in violazione dell’art. 49 Cost. non siano libere associazioni di cittadini per determinare democraticamente la politica nazionale, ma, con la scomparsa dei partiti di massa ed ideologici della prima repubblica, ma comitati elettorali al servizio di interessi economici, quando non personali dei loro capi. La mancata attuazione della Costituzione è sempre all’origine dei mali, cui si vuole porre rimedio con nuove modifiche, che spesso sono la toppa peggiore del buco, per tradurre in italiano un’efficace espressione veneta. La Costituzione vigente prevede all’ «Art. 71 l’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». Non ci sarebbe stato bisogno d’altro, se i disegni di legge d’iniziativa popolare fossero stati tempestivamente esaminati, portati nelle Commissioni parlamentari competenti e approvati, emendati o respinti, invece di ammuffire negli archivi. Tutt’al più disciplinando i tempi con modifiche ai Regolamenti parlamentari, come ha fatto il Senato nella passata legislatura, ma con entrata in vigore da questa, con l’Articolo 74 Disegni di legge d’iniziativa popolare e disegni di legge d’iniziativa dei Consigli regionali del nuovo Regolamento. L’art. 71 Cost. non pone alcun limite di contenuto ai disegni di legge d’iniziativa popolare, che possono essere anche in materia costituzionale ed elettorale e nelle stesse materie sottratte al referendum abrogativo dall’art. 75 Cost., cioè le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Due problemi richiedevano e richiedono interventi su norme della Costituzione l’introduzione di referendum di indirizzo e/o propositivi e i quorum per considerarli approvati. Il nodo è l’art. 75 Cost. che prevede solo il referendum abrogativo al primo comma e al quarto che “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Il difetto di questo quorum ò che avvantaggia gli oppositori in minoranza perché favorendo l’astensionismo invece che il voto contrari o si sommano ai non partecipanti al voto. Tuttavia era semplice risolvere il problema abbassando il quorum di partecipazione ai votanti alle ultime elezioni, come era previsto dall’art. 15 del ddl costituzionale Renzi Boschi, una delle poche norme che avrebbe potuto essere approvata, ma era uno specchietto per le allodole. Tuttavia ritengo che la soluzione migliore non sia quella di un emendamento del piddino Ceccanti accettato dalla relatrice 5 stelle di ridurre al 25% degli aventi diritto, meglio la maggioranza assoluta calcolata sui votanti alle ultime elezioni per la Camera dei Deputati. Si tratta di un messaggio il 25% evoca comunque una minoranza, mentre in democrazia vige il principio della maggioranza, di norma e purché il risultato sia conforme a Costituzione. A mio avviso le norme costituzionali devono poter essere scolpite nel marmo ed essere di principio. In questo senso per introdurre il referendum propositivo, ma anche quello altrettanto importante di indirizzo di introdurre poche parole nei commi 1 e 2 dell’art. 75 Cost.: “È indetto referendum popolare di indirizzo e propositivo, nonché per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum abrogativo per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La diminuzione del numero dei parlamentari a 400 alla Camera e 200 al Senato è ora demagogia pura, per risparmiare i costi della politica è detto nella relazione illustrativa. Se il numero è fatto per risparmiare perché non ridurre i deputati a 200 e i senatori a 100? O perché non abolire il Parlamento? Con quella diminuzione non avremmo i parametri di rapporto tra elettori ed eletti di Germania e Francia i paesi a noi più vicini in Europa come dimensione: basterebbe diminuire i nostri parlamentare del 10% e le loro indennità di un terzo per ottenere lo stesso risparmio, ma un Parlamento più rappresentativo. Ma l’argomento delle indennità ancora tabù: è più semplice prendersela con gli ex parlamentari o i loro coniugi superstiti, persone prive di ogni potere e additate al vituperio collettivo. Sul ddl costituzionale, che estende la democrazia diretta –Commissione Affari Costituzionali della Camera– introducendo dei limiti alle materie oggetto di referendum propositivo e allo strapotere dei comitati referendari. Vi era una pericolosa contrapposizione tra proponenti e il Parlamento, se osava approvare un testo differente da quello proposto: un referendum praticamente obbligatorio tra due testi dall’esito incerto in assenza di un quorum di partecipazione. Finché non avremo un testo definitivo è inopportuno …

LEGGE DI BILANCIO, I PRECEDENTI PESANO SUL RICORSO PD

di Felice Besostri – Pubblicato su Il Manifesto Cara direttrice, oggi la Corte costituzionale dovrà giudicare sull’ammissibilità del ricorso per violazione dell’articolo 72 comma 4 della Costituzione, per aver approvato il disegno di legge di bilancio ricorrendo alla fiducia. Il testo del ricorso non è stato reso conoscibile perché, a differenza delle ordinanze in via incidentale, la pubblicazione è prevista solo dopo il giudizio di ammissibilità e solo se questo è favorevole. Non è peraltro vero che con questo voto di fiducia si sia fatto un salto di qualità in peggio, come dice il professor Stefano Ceccanti con l’accordo, sul punto, del professor Azzariti. Il salto di qualità, per emarginare la centralità del Parlamento, è stato fatto con l’approvazione dell’Italicum nel 2015 con voto di fiducia alla Camera, ma neppure questo può essere considerato il punto più basso. Infatti, nel 2017 è stata approvata un’altra legge elettorale con 8 voti di fiducia (3 alla Camera e 5 al Senato). Tale precedente era stato oggetto di un mio ricorso, per conflitto di attribuzione, sottoscritto da parlamentari e gruppi allora di opposizione: il professor Ceccanti all’epoca era tra coloro che criticarono l’iniziativa. Fosse stato dichiarato ammissibile il primo ricorso, sarebbe stato un disincentivo ad emarginare il Parlamento, perché la Corte costituzionale si sarebbe eretta a custode dell’articolo 72, comma 4 della Costituzione. Quei voti di fiducia furono i primi precedenti dopo che il regolamento del 1971 fu interpretato dalla presidente Jotti nel senso che con la fiducia si dava avvio ad una procedura speciale, non ammissibile quando la Costituzione prescrive una «procedura normale». Ritengo i precedenti della XVII legislatura sulle leggi elettorali molto più gravi di quello sul bilancio 2019, perché colpivano la materia costituzionale ed elettorale, che sono assolutamente equiparate. Leggi di bilancio, approvate in tutto o in parte con la fiducia, sono numerose, così come numerose sono le prassi di maxi-emendamenti e lo scavalco di fatto della sede referente: questi problemi, e le norme incostituzionali contenute nel decreto sicurezza, pongono con urgenza la questione di un accesso diretto alla Corte costituzionale in caso di violazioni dei diritti fondamentali, come è consolidato nella Legge fondamentale tedesca e nella Costituzione spagnola. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON DISOBBEDIENZA CIVILE, MA ADEMPIMENTO DI TUTTI OBBLIGHI LEGALI CHE SI ASSUMONO COL GIURAMENTO COME SINDACO

Testo predisposto dal gruppo di lavoro coordinato dall’avv. Felice Besostri del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e garante di Attuare la Costituzione. In seguito all’entrata in vigore del decreto sicurezza a fronte di disposizioni di sospetta incostituzionalità e contrarietà al senso di solidarietà e umanità, come già il divieto di sbarco di persone salvate in mare, mai formalizzato in provvedimento pubblici e motivati in deroga espressa a vincolanti convenzioni internazionali, alcuni sindaci, in prima linea quelli d Napoli e Palermo hanno manifestato la loro contrarietà. Non poteva essere diversamente avendo giurato in forma pubblica e solenne di osservare lealmente la Costituzione. Con questo testo si da sostegno e argomenti ai Sindaci che ne vogliano seguire l’esempio. Il Sindaco presta giuramento nella prima seduta del Consiglio Comunale davanti al Consiglio ai sensi dell’articolo 50, c. 11, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 Art. 50. Competenze del sindaco e del presidente della provincia 1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia. 2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l’ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti. 3.-10. 11. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana. 12. [NOTA: La disposizione di legge presenta analogie, anche nella forma cerimoniale con quanto previsto dalla Costituzione per il Presidente della Repubblica “ART. 91.Cost. Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. La formula completa del giuramento è stabilita di norma nello Statuto Comunale, previsto dall’art. 6 T.U.E.L. approvato con il d.lgs n. 267/2000, cui l’art. 128 Cost. vigente al momento dell’entrata in vigore dava particolare rilievo come legge generale della Repubblica, tanto che come ricorda il T.U.E.L all’art.1 c. “4. Ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.[1] Il sindaco è una pubblica funzione, per la quale ex art. 54 Cost. è previsto di prestare giuramento, che detta prescrizioni di carattere generale per i cittadini e per chi esercita pubbliche funzioni, che tutti dovrebbero scolpirsi nel cuore e nella mente: “art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” [2]. Chi non rispetta il giuramento è uno spergiuro, quindi persona capace di venir meno a un giuramento fatto, una persona sleale e pertanto priva di onore. Una delle formule più frequenti è la seguente: “«Giuro di osservare lealmente la Costituzione Italiana, le leggi della Repubblica e l’ordinamento [Statuto] del Comune e dì agire per il bene di tutti i cittadini». Ogni sindaco nell’assumere come ufficiale di governo le decisioni in ordine all’anagrafe faccia in premessa espresso riferimento alla formula di giuramento statutaria come risultante dal processo verbale della prima seduta del Consiglio.  Per esempio a Napoli lo Statuto nel testo approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 1 del 16.10.’91 (BURC del. 14.01.’92 – V suppl. al n. 2 del 13.01 e s.m.i- fino alla deliberazione consiliare n. 7 del 20 marzo 2017 con ripubblicazione, per la sola parte modificata, sul BURC n. 51 del 26.06.2017) non prevede una formula Statutaria di giuramento e pertanto nella seduta di insediamento del18 luglio 2016 il Sindaco De Magistris ha dichiarato: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione italiana.” Nel Comune di Palermo lo Statuto Comunale, che si apre con un Preambolo che definisce la città: “Antica capitale della Sicilia e del Mediterraneo, città d’arte e di cultura, fondata intorno al suo porto, Palermo è da sempre stata punto d’incontro e di scambio fra storie, culture, razze e uomini diversi. Richiamandosi a questa tradizione, gli uomini e le donne di Palermo si riconoscono nel ruolo che lastoria oggi assegna alla loro città, quello di luogo di frontiera fra l’Europa e il Sud del mondo e affermano la loro piena e convinta adesione ai valori della pace e della tolleranza”. Al Titolo I – Principi definisce all’art. 1 Principi fondamentali. 1. Il Comune di Palermo, ente autonomo entro l’unità della Repubblica italiana, ispirandosi ai principi sanciti dalla Costituzione, rappresenta la comunità che vive nel suo territorio, ne tutela i diritti, ne promuove la crescita morale, civile, sociale e culturale, riconoscendosi nei principi di solidarietà, pace, libertà, giustizia ed eguaglianza. Presupposto di una più civile convivenza è l’adempimento dei doveri di solidarietà da parte dei cittadini. 2. Il Comune promuove la piena affermazione dei diritti inviolabili della persona e garantisce uguaglianza di trattamento alle persone e alle formazioni sociali senza distinzione di sesso, età, razza, lingua, fede religiosa e condizione sociale. 3. In conformità a questi principi, il Comune attua specifiche azioni positive volte a rimuovere gliostacoli che impediscano una piena, consapevole e autonoma realizzazione di ogni individuo,rivolgendosi in particolare alle fasce di popolazione più deboli e svantaggiate. 4. Il Comune opera per responsabilizzare tutti i soggetti al rispetto delle leggi. Nello Statuto non si rinviene una formula di giuramento, ma all’art. 2 del Regolamento del Consiglio si specifica che tutti i consiglieri prestano giuramento con la seguente formula “Giuro di adempiere alle mie funzioni con scrupolo e coscienza nell’interesse del Comune e in armonia con gli interessi della Repubblica e della Regione”. Nellaprima adunanza del Consiglio Comunale del giorno 7 Agosto 2017 il Sindaco Leoluca Orlandoha prestato il giuramento di rito di osservare lealmente la Costituzione. In appendice sono riportate le norme essenziali ordinamentali [1] Un articolo che invece di essere rafforzati nel senso che le leggi generali dovessero essere approvate con una maggioranza qualificata, creando così ina categoria intermedia tra le leggi …

SOTTO IL TOTEM DELLA GOVERNABILITA’ L’OLIGARCHIA DEI NOMINATI

di Enzo Paolini, Felice Besostri | Legge elettorale. La riforma proporzionale è l’unico antidoto allo svuotamento plebiscitario di partiti e istituzioni, uniti solo nel sostegno al capo di turno e incapaci di confronto Forse l’imbarazzante discussione sulla prescrizione, quella sul cosiddetto «decreto – sicurezza» con la sua impressionante serie di violazione di principi umanitari e infine lo spettacolo sulla manovra generato dalla palese inadeguatezza o peggio dall’indifferenza dei parlamentari governativi rispetto al senso delle istituzioni e alle norme della Costituzione italiana sono lo spunto per fare uscire la discussione sulla legge elettorale dal cono d’ombra nel quale il dibattito l’ha posizionata come aspetto marginale e, in fondo, ritenuto non decisivo per le sorti del Paese. Errore di prospettiva, perché la mancanza di una classe dirigente vera, capace, che, al netto delle ideologie (o anche delle semplici idee) possa governare con autorevolezza e competenza è il vero problema del nostro Paese e, per quel che conta (o potrebbe contare), del Pd e della sinistra in genere, cioè della parte politica che più di ogni altra ha bisogno di una selezione democraticamente qualitativa dei suoi «quadri». È perciò il momento della riflessione. Hanno iniziato su queste colonne con un taglio politico acuto e condivisibile Michele Prospero, Massimo Villone e Alessandro dal Lago. Proviamo noi a intervenire nel dibattito guardando alla genesi del problema, cioè la legge elettorale e la selezione del personale politico. Il cosiddetto «rosatellum» (cioè la legge vigente che ha prodotto l’attuale parlamento), è basato su liste bloccate nella quota maggioritaria, non consente il voto disgiunto (in sostanza blocca – o condiziona – anche la parte proporzionale). In concreto quindi produce un parlamento per più di due terzi nominato dai (sedicenti) leader di partito, cioè la «casta», una categoria che mediante gargarismi demagogici e generici sull’interesse pubblico è dedita alla coltivazione del proprio esclusivo interesse privato consustanziato nella permanenza sulla poltrona istituzionale sempre degli stessi e comunque di persone senza alcun legame con gli elettori. Dopo le elezioni del 4 marzo scorso questo effetto, visibile, sgradevole e respingente per quanto riguarda le truppe di Forza Italia e Pd sembra meno appariscente per Lega e M5S. Ciò si spiega con il fatto che la Lega – nonostante sia stato un grumo di governo nel ventennio berlusconiano – viene percepita per il suo atteggiamento sempre apparentemente antisistema, come un partito di opposizione e comunque rigeneratosi dopo il disastroso declino di Bossi, mentre il M5S, composto tutto da facce nuove, compensa la inesperienza (in taluni casi la palese inadeguatezza) con la non compromissione in un passato istituzionale che i partiti di prima hanno reso nauseabondo e non commendevole. A una più attenta e profonda disamina questo fenomeno si rivela – però – inquietante e foriero, nel medio/lungo termine, di guai ancora più rilevanti per la tenuta democratica del sistema e per la Repubblica, perché la centralità del Parlamento non è effettiva, poiché i Parlamentari non sono quelli previsti dall’articolo 67 della Costituzione, cioè rappresentanti della Nazione, senza vincolo di mandato, che esercitano la funzione con disciplina e onore, come impone l’articolo 54 Cost. Questo perché il meccanismo di nomina per la composizione delle Camere contrabbandato per elezione ha polverizzato gli organismi intermedi di rilievo costituzionale finalizzati a promuovere, favorire, organizzare la dialettica e il confronto necessari per scegliere, cioè per «eleggere». Quando il percorso che ha come approdo un ente rappresentativo di interessi comuni (il Parlamento ne è il più alto esempio ma il discorso vale in generale) non prevede stazioni di verifica e neanche la propulsione del consenso, ma soltanto la chiamata diretta del capo, gli organismi intermedi – cioè i partiti nella loro alta dimensione di elaborazione sociale – non avendo la loro naturale funzione di selezione si svuotano e rimangono solo come contenitori di aspiranti a occupare una carica in cambio di una fidelizzazione al cosiddetto leader (peraltro temporalmente limitata fino al momento in cui il leader stesso ha la forza di assicurare la permanenza sulla poltrona, poi si cambia partito). La parabola del Pd è l’esempio più tragico di questo fenomeno, che rende evidente anche il fallimento del mito delle «primarie» o «parlamentarie fai da te» come evento distintivo se non addirittura salvifico per la vita democratica di un partito. Al contrario, la verticalizzazione del rapporto tra base e dirigenza e il silenziamento delle voci di dissenso prosciuga il terreno fertile della discussione, che è l’humus sul quale si sviluppa e si rigenera periodicamente un sistema forte nelle sue istituzioni e nei gangli vitali delle dinamiche sociali. Una situazione particolarmente grave in Italia nel Pd – che infatti si è ridotto a non riuscire più neanche a tenere un congresso per palese assenza di contenuti – in cui la presentazione del dissenso, della fazione, come elemento negativo a fronte dell’unità, di pura facciata o ottenuta con espulsioni, come valore indiscutibile e vincente. Sotto questo totem è stata sacrificata la ricchezza delle idee come motore di crescita di una comunità. Come se lo scopo delle elezioni – o più in generale della politica – fosse solo stabilire chi ha vinto la sera stessa del voto e non invece quello di comporre prima assemblee rappresentative di tutti e consentire dopo alle diverse forze politiche di confrontarsi per stabilire le alleanze giuste per governare al meglio. Esattamente il contrario dell’idea di «chi vince prende tutto». L’ingovernabilità degli ultimi anni è stata determinata proprio da questo: dalla tendenza dei capi al cosiddetto decisionismo allergico e indifferente a critiche o dissenso e dallo loro incapacità culturale e politica di sfruttare il confronto per migliorare e crescere nelle azioni di governo: il vero banco di prova di un cambiamento non parolaio. Questo metodo, applicato ad esempio alla pervicace volontà di imporre una riforma costituzionale impresentabile da tutti i punti di vista senza ascoltare consigli, suggerimenti, critiche costruttive e pareri di giuristi e studiosi tutti bollati come «gufi», è stato sonoramente bocciato dagli italiani e ha fatto perdere una intera legislatura. Possono dire gli autori, pure provvisti di maggioranze enormi, di aver assicurato «governabilità»? È …

COSTITUZIONE E SICUREZZA

di Franco Astengo | “Con l’approvazione del decreto sicurezza si stravolge di fatto la costituzione e l’Italia entra nell’incubo dell’apartheid giuridico. È davvero incredibile che sia accaduto un fatto simile, che sia stato sferrato un colpo così pesante al diritto di asilo, all’accoglienza, all’integrazione”. Lo dice Carla Nespolo, presidente nazionale dell’Anpi.” Con questa dichiarazione di Carla Nespolo l’ANPI si pone ancora una volta come barriera in difesa della Costituzione Repubblicana. Si tratta di un intervento molto importante che apre sicuramente una stagione di battaglia politica dopo che, nei due anni che sono intercorsi dall’esito del referendum del 4 dicembre 2016, sono apparsi sotto traccia due punti fondamentali: a)    La prospettiva di un attacco diretto alla prima parte della Costituzione, quella riguardante i diritti e i doveri dei cittadini. Quest’attacco era stato annunciato da più parti, in particolare a partire dal momento in cui la Lega aveva assunto posizioni di governo. Adesso questa possibilità si concretizza ed è necessario farvi i conti fino in fondo. Fermo restando che anche la deformazione della seconda parte, prevista dal progetto del PD respinto proprio dal referendum già citato, toccando l’ordinamento dello Stato inficiava  il rispetto di articoli fondamentali della prima parte, in particolare all’articolo 3; b)    La necessità per la sinistra di trarre, dall’esito referendario del 2016, conclusioni più direttamente politiche anche sul piano della propria strutturazione di soggettività. Questo non è stato fatto lasciando milioni di elettrici e di elettori privi di un riferimento certo, in grado di produrre alternativa sul terreno della difesa della democrazia repubblicana e della saldatura tra questa e i principi di eguaglianza e di fuoriuscita dal regime di sfruttamento che una sinistra che si dichiari d’alternativa è chiamata a perseguire. Il decreto cosiddetto “sicurezza” convertito in Legge dal Parlamento ha riproposto per intero il tema della difesa costituzionale proprio nella dimensione dell’attacco alla prima parte della nostra Carta fondamentale. In questa sede si evidenzia un solo punto tra quelli contenuti nel decreto appena tramutato in legge: “Viene cancellato il permesso di soggiorno per motivi umanitari (articolo 1), che aveva la durata di due anni e consentiva l’accesso al lavoro, al servizio sanitario nazionale, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale. Al suo posto vengono introdotti permessi per “protezione speciale” (un anno), “per calamità naturale nel Paese di origine” (sei mesi), “per condizioni di salute gravi” (un anno), “per atti di particolare valore civile” e “per casi speciali” (vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo).” Il tema dell’asilo, pur presentando profili di drammatica attualità, trova un referente normativo primario ed esplicito all’art. 10 della nostra Carta Costituzionale e, segnatamente, delle disposizioni di cui al secondo e terzo comma, laddove è statuito espressamente che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. L’enunciazione in termini così puntuali dell’istituto in questione, infatti, si radica storicamente nell’esperienza vissuta durante il ventennio fascista dai Costituenti, molti dei quali avevano dovuto intraprendere personalmente la dura via dell’esilio ed erano pertanto ben determinati, al momento di redigere la nuova Carta costituzionale democratica, a prospettare una forma di accoglienza in Italia per quegli stranieri che avessero patito nel loro paese di origine una situazione di illibertà. In più occasioni è stata la stessa Corte Costituzionale ad affermare come lo stesso sia da annoverare tra i diritti inalienabili della persona umana e non a caso la sede prescelta è quella propria dei “diritti fondamentali” su cui si regge il nostro ordinamento. Il governo italiano sta lanciando, inoltre un nuovo segnale di chiusura al mondo sul tema delle migrazioni che non può essere sottovalutato anche sotto il profilo costituzionale. Nella giornata di mercoledì 28 novembre, infatti, il ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha annunciato che, contrariamente a quanto sostenuto negli ultimi due anni, l’Italia non sottoscriverà il Global Compact for Migration, un documento redatto dalle Nazioni Unite in collaborazione con i Paesi maggiormente coinvolti nel fenomeno migratorio. A rafforzare questa scelta, il governo ha reso noto che non parteciperà alla conferenza intergovernativa sulle migrazioni che avrà luogo a Marrakech, in Marocco, il 10 e 11 dicembre prossimi. Il Global Compact for Migration non è un testo vincolante, ma intende stabilire e ribadire alcuni principi nella gestione del fenomeno migratorio, dalle partenze all’accoglienza, così come richiesto da funzionari, operatori e studiosi del tema a livello globale. Non si tratta dunque di un insieme di proposte concrete, ma di uno strumento che pone 23 obiettivi, molti dei quali già integrati nel diritto internazionale, per una migrazione “sicura, ordinata e regolare” (articolo 16). Questo secondo punto riguardante il “Global Compact for Migration” non è materia di livello costituzionale, pur tuttavia sotto questo profilo non si può nascondere la preoccupazione per un’evidente retrocessione di ruolo dell’Italia rispetto al quadro di partecipazione agli organismi internazionali in difesa della pace previsto dall’articolo 11 della Costituzione.  Infatti: quale difesa della pace migliore si può trovare se non nel provvedere all’accoglienza da chi fugge da tremendi conflitti che provocano immani fenomeni di distruzione della stessa vita umana? C’è sufficiente materia, insomma, per una mobilitazione forte della parte più coerente della sinistra italiana: una mobilitazione da svilupparsi ancora una volta, attorno ad un obiettivo “vitale” come quello della difesa e dell’affermazione della Costituzione Repubblicana. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I PERICOLI PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

di Felice Besostri | Da sostenitori non pentiti, ma rancorosi per la sconfitta sonora del 4 dicembre 2016, si agitano preoccupazioni sul futuro della democrazia per la minaccia rappresentata dalla maggioranza populista giallo-verde (sarebbe più corretto allora chiamarla gialla-verdenera). Tuttavia da questi personaggi non ho colto nessuna autocritica nell’aver sostenuto la deforma costituzionale Renzi Boschi e la contestuale legge elettorale Italikum per la sola Camera dei Deputati. Vi immaginate cosa sarebbero ora i pericoli per la democrazia con un governo monocolore 5 stelle, al quale avrebbe fatto seguito un monocolore Lega? Con una maggioranza relativa, assoluta grazie ai premi elettorali incostituzionali, che, grazie al depotenziamento del Senato, avrebbe controllato il Parlamento in seduta comune e quindi il Presidente della Repubblica? Purtroppo i veleni della Seconda Repubblica sono ancora all’opera con il gravissimo precedente creato da una figura di punta dell’inesistente opposizione (che forse è inesistente anche per questo), che dimenticandosi da Presidente della Camera la lezione di Nilde Iotti ha consentito non solo di approvare una legge elettorale incostituzionale come l’Italikum, ma di creare il precedente che si possono approvare leggi elettorali con un voto di fiducia chiesto dal Governo, contro un preciso articolo della Costituzione il 72 c 4. Un precedente talmente pericoloso, che è servito anche, contagiando l’altro ramo del Parlamento, per approvare una legge elettorale di sospetta costituzionalità come il Rosatellum con 8 voti di fiducia, grazie all’arrendevolezza del futuro leader dell’opposizione di sinistra, Presidente del Senato. Il prossimo passo sarà l’approvazione di una riforma costituzionale che riduca i parlamentari e abolisca il divieto di mandato imperativo con un voto di fiducia, che non sarà quello delle maggioranze artificiali di centro sinistra, ma di vere maggioranze nel corpo elettorale, come quella giallo-verdenera  e in un clima d’entusismo popolare se accompagnata dal dimezzamento dell’indennità parlamentari. Logicamente la riduzione delle indennità parlamentari avrebbe dovuto precedere quello dei vitalizi, ma nel tripudio delle masse festanti per la punizione della “Casta” non se ne  è accorto praticamente nessuno. I sinceri democratici, un’espressione usata  per altri fini nel passato, e gli amanti della Costituzione a quel punto non avrebbero strumenti efficaci, perché non c’è accesso diretto a questa Corte Costituzionale. Nemmeno ci sarà mai  se non quando ne sarà modificata la composizione, grazie ad un Presidente della Repubblca fascio-leghista, espressione di un solida maggioranza populista monocolore. La minoranza parlamentare e i singoli deputati non possono, per la giurisprudenza della Consulta promuovere conflitto d’attribuzione neppure quando sono violate le procedure di approvazione di una legge, perché non ha capito che  la violazione delle prerogative di un singolo parlamentare sono violazione delle prerogative del Parlamento nel suo complesso. Possibile che nessuno si sia mai accorto che il popolo sovrano non è rappresentato dal Parlamento bicamerale, ma, grazie all’art. 67 Cost., da ogni singolo membro del Parlamento, che, appunto, rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato. Purtroppo una pubblica opinione ossessionata dai migranti, preoccupata per la disoccupazione specialmente giovanile, che toglie speranza di futuro, non sarà mai sensibilizzata da queste preoccupazioni istituzionali, ma fatto ancora più preoccupante non si vede nessuno che dal suo scranno lanci moniti prima che sia troppo tardi. Tuttavia riviste prestigiose come l’AdL e Mondo Operaio potrebbero intestarsi congiuntamente la battaglia, insieme con il Manifesto, Left, Gli Stati Generali e il neonato Jacobins . SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it