PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE
Foto dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana di Giuliano Vassalli Saluto anzitutto Aldo Aniasi, presidente della FIAP, Paolo Vittorelli, che presiede l’odierno convegno, il Sindaco di Salice Terme e le altre autorità presenti, i compagni della FIAP e tutti gli amici qui convenuti. E premetto di ben comprendere come il Consiglio federale della FIAP abbia voluto scegliere a conclusione del proprio Congresso e nel quadro delle cerimonie celebrative del cinquantennale della Costituzione il tema cui questo convegno è dedicato. Ed infatti Piero Calamandrei, già aderente all’Unione Nazionale di Giovanni Amendola e firmatario come giovane professore (era nato nel 1889) del “Manifesto degli intellettuali” redatto da Benedetto Croce, partecipe delle proteste formulate contro il fascismo già al potere dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Firenze, da “Italia Libera” e dal Circolo fiorentino di cultura, fatto oggetto di minacce squadristiche contro le quali aveva tenuto un contegno dignitosissimo, collaboratore del foglio “Non mollare” e chiusosi poi durante il ventennio nei suoi studi severi di diritto processuale civile e nella professione forense, era approdato nel 1941 in “Giustizia e libertà” e nell’anno successivo nel Partito d’azione, costituitosi in Italia nella clandestinità. Ed a questa grande forza della Resistenza fu sempre vicino, rappresentandola nel 1945-1946 alla Consulta nazionale e nel 1946-1948 all’Assemblea costituente. Piero Calamandrei della Resistenza fu inoltre tra i massimi interpreti e suo cantore. Come scrisse Ferruccio Parri, nome caro a questa Federazione e soggetto di un bellissimo libro di Aldo Aniasi, “nella biografia di Calamandrei il momento della Resistenza è decisivo. Egli la visse – prosegue Parri in un discorso tenuto all’indomani della morte di Calamandrei – e la sentì con una passione più forte, più ansiosa che se avesse potuto parteciparvi. La intese e ne dette l’interpretazione storica con più acutezza e prima di qualsiasi altro”. Tra gli altri molti amici ed estimatori di Calamandrei, che pur dovrebbero esser qui menzionati per i forti contributi in vario tempo forniti alla ricostruzione della sua figura, vorrei menzionare anche Alessandro Galante Garrone, che in uno scritto veramente poderoso intitolato “Calamandrei e la Resistenza” e pubblicato in un numero straordinario de “Il Ponte” del 1958, volle cogliere questa interpretazione della Resistenza data appunto da Calamandrei: “La guerra di liberazione fu, da parte del nostro popolo, la riscoperta della dignità dell’uomo. Il detto di Beccaria, secondo cui “non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi d’esser persona e diventi cosa”, questa rivendicazione della dignità dell’uomo fu come l’epigrammatica definizione di ciò che nel suo momento più alto gli era apparsa la Resistenza: rivendicazione della libertà dell’uomo, persona e non cosa”. Essa fu infatti la morale contro le torture inflitte dal nazismo e dai suoi satelliti all’Europa e nel mondo. La rivolta contro quel mare di sterminio che sembrò ad un certo momento dover sommergere tanta parte dell’umanità. Con questo richiamo a Beccaria e alla sua umanità confluirono in Calamandrei, nel tentativo di rendere l’idea profonda della Resistenza, quello che altri (come Cotta) chiamerà il suo “tessuto etico”, il riferimento alla “religione di libertà” di Benedetto Croce e alla moralità di Giuseppe Mazzini. Non si può dimenticare che il padre di Calamandrei, Rodolfo, era stato deputato repubblicano (ad esso il figlio dedicò lo straordinario ricordo “Niente di mio”), che Calamandrei stesso era stato volontario nella prima guerra mondiale ed aveva avuto la ventura d’essere con il suo 218° reggimento di fanteria il primo ufficiale italiano a penetrare in Trento liberata e che insomma tutta la sua gioventù era impregnata di ideali insieme patriottici e libertari. Tutti questi filoni ideali gli sembrarono come convogliarsi nella lotta di liberazione, in una aspirazione di riscatto, che per tanti e tanti si tradusse in un terribile e tuttavia consapevole sacrificio. Ma Calamandrei fu anche – come ha scritto Aldo Garosci – l’autentico “cantore della Resistenza”. In gioventù Calamandrei era effettivamente stato poeta: così come continuò ad essere pittore ed autore letterario per tutta la vita. E poeta si era sempre mantenuto nell’animo, pur coltivando i suoi studi giuridici con il rigore dell’autentico scienziato. Il suo libro “Uomini e città della Resistenza”, nel quale egli rievoca cento figure eroiche e ripercorre cento luoghi di combattimento e di sacrificio, anche se scritti in prosa, sono un autentico poema. La famosa lapide dettata per l’immaginario monumento a Kesselring (“Lo avrai – camerata Kesselring – il monumento che pretendi da noi Italiani, ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi…”) è poesia altissima, come quando rievoca le torture e lo strazio degli uccisi, quello dei borghi italiani incendiati: “non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti vide fuggire ma soltanto col silenzio dei torturati più duro d’ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato tra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo…“ La lapide del cosiddetto monumento, con l’epigrafe dettata di Calamandrei, fu inaugurata a Cuneo il 21 dicembre 1952 dallo stesso Calamandrei, nel Palazzo comunale, in memoria del ricordo delle stragi naziste in quella provincia, dall’eccidio di Boves in poi. Il discorso tenuto da Calamandrei in quella circostanza, che ricorda gli orrori della guerra, ma esprime fede in una Europa federata e nella solidarietà internazionale, è pubblicato nel volume “Uomini e città della Resistenza” poc’anzi menzionato. Infine Calamandrei cercò di trasferire nella Costituzione – ed in parte vi riuscì – alcuni dei principi ispiratori del movimento di “Giustizia e libertà”, come stanno a dimostrare – e certamente se ne parlerà in questo Convegno – i suoi contributi ai lavori dell’Assemblea costituente sull’introduzione nella Carta, e sulla stessa formulazione, di fondamentali diritti di libertà e dei diritti sociali: anche se di quest’ultimo tema, come anch’io avrò occasione di rilevare, egli ebbe, nella sua autonomia di pensiero, una visione estremamente realistica. …