DONNE E SOCIALISMO: NINA BANG

di Ferdinando Leonzio | La socialdemocrazia danese ha radici antiche, che risalgono all´autunno 1871, quando i tre fondatori, l´insegnante Louis Pio (1841-94), giá direttore del settimanale Socialisten, suo cugino l´editore Harald Brix (1841-81) e l´insegnante Paul Geleff (1842-1928) fondarono il partito socialdemocratico, col nome di “Associazione internazionale dei lavoratori per la Danimarca”, di cui essi costituirono la prima direzione. Lo scopo del nuovo partito era quello di organizzare la sorgente classe operaia sulla base di principi socialisti. Dopo pochi mesi il partito contava 9000 aderenti. Nel 1872 gli attacchi contro le autoritá e l´alta borghesia danese si intensificarono, tanto che venne convocata un´assemblea pubblica di lavoratori, nonostante il divieto delle autoritá. Il 5 maggio 1872 si ebbero percio´ violenti scontri[1] tra polizia e lavoratori. I tre dirigenti furono arrestati e condannati a varie pene e la giovane socialdemocrazia subí uno sbandamento; ma, dopo qualche anno, si riorganizzó e assunse la denominazione “Socialdemocratici” (SD). Nel 1884 entrerá in Parlamento. Nel 2021, ormai alla guida del Governo, i Socialdemocratici danesi hanno festeggiato i 150 anni dalla fondazione del loro partito, buona occasione per fare un bilancio delle loro lunga battaglia e per guardare ai futuri traguardi, come si puó leggere nel loro sito: Molte battaglie sono state combattute e molte vittorie ottenute. Tuttavia, la lotta per ogni essere umano nel mondo per avere la libertà di realizzare i propri sogni è lungi dall’essere vinta. Ecco perché continuiamo a lavorare e combattere le battaglie politiche a livello locale, nazionale e globale. Dunque Il nostro obiettivo è ancora la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà – per tutti. Queste le finalitá cui guarda la socialdemocrazia danese: I progressi raggiunti dalla Danimarca in ogni campo negli ultimi 150 anni sono largamente ascrivibili alla socialdemocrazia danese, che ha trovato la sua strada verso il socialismo. Questo cammino non è stato affatto facile, ma è stato reso possibile grazie al lavoro, all´impegno e alla fede di tanti dirigenti e militanti socialisti. Una delle donne piú influenti ed attive, fra quelle salite ai vertici del socialismo danese e, nello stesso tempo, una delle pioniere nella lotta di emancipazione delle donne è stata certamente Nina Bang. Nina Erlingher, figlia degli immigrati tedeschi Heinrich Ellinger (1826-1914), suonatore di corno nell´esercito e di Charlotte Preuss (1834-83), nacque a Copenaghen il 6 ottobre 1866. Quando il padre fu nominato direttore di un´orchestra militare (1868), la sua famiglia (ben otto figli, di cui lei era la sesta) si trasferí a Elsinore, sulla riva del Sound, stretto che separa la Danimarca dalla Svezia. Lí studio´ con insegnanti privati, per poi accedere, nel 1889, all´universitá di Copenaghen e iscriversi al corso di Storia. Durante il periodo universitario, studiando Marx, divenne una fervente seguace del filosofo di Treviri. Conseguí la laurea nel 1894, con specializzazione nel commercio del XVI secolo, divenendo una delle poche donne laureate della Danimarca. Fu proprio nel periodo in cui studiava che conobbe Gustav Bang, di cinque anni piú giovane[2], storico[3] anche lui. Bang lavorava anche per il quotidiano del partito Social Democrat[4]e scriveva per riviste socialiste europee. Fu anche deputato socialdemocratico al Parlamento (1910-1915) e membro della direzione del partito. Il 23 marzo 1895 i due si sposarono, ebbero una figlia, Merete[5], e costituirono sempre una coppia affiatata e unita anche nel lavoro[6] fino alla morte di Gustav, nel 1915 quando Nina perse, nello stesso tempo, l´amato marito e il compagno di lavoro e di lotta[7]. Nel 1897 i due aderirono al partito socialdemocratico, che, conoscendone il valore, cercó di valorizzarli al meglio. Dal 1898 Nina cominció a lavorare per i Socialdemocratici, scrivendo articoli, pubblicando saggi[8], tenendo discorsi; nel 1903 fu inserita nel Comitato Direttivo del partito; dal 1913 al 1917 fece parte del consiglio comunale[9] di Copenaghen, dove si batté contro l´evasione fiscale dei ricchi e per alleviare la carenza di alloggi per la classe operaia. Nel 1918[10] fu eletta al Landsting[11], dove fece parte della Commissione Finanze. Spesso veniva utilizzata come oratrice nelle assemblee operaie, in cui si predicava l´adesione al socialismo e si indicavano gli obiettivi di lotta dei lavoratori. Nei primi tempi la tematica piú frequente nei suoi discorsi era costituita dalla questione femminile: Vorrei che tutte le donne fossero unite attorno alla domanda di 8 ore di lavoro: tutte, la moglie e la serva, l’operaia, la sarta, la bottegaia, tutte! […]  Molto si alzerà contro le richieste della donna in una normale giornata lavorativa […]; sta poi a lei tenere ben presente l’obiettivo; poi, forte dell’aiuto di tutto il proletariato, porterà avanti la sua lotta: 8 ore di lavoro, 8 ore di riposo, 8 ore di sonno! Fra le 100 donne presenti nella Seconda conferenza internazionale delle donne socialiste riunitesi il 26 e 27 agosto 1910 nella Folkets Hus[12]di Copenaghen, che deliberarono di istituire la “Giornata internazionale della donna”, c´era Nina Bang, che ne era stata la principale organizzatrice, in rappresentanza delle donne socialiste danesi[13]. Tuttavia non si puo´ dire che la Bang sia stata una femminista in senso stretto, anche se combatté molto per i diritti delle donne. Essa credeva, come del resto le altre socialiste dei vari Paesi, che in una società socialista i problemi delle donne sarebbero stati risolti con il nuovo assetto sociale. Un punto di incontro con il femminismo borghese fu comunque la comune lotta per il suffragio femminile. Su questo punto Nina Bang si batté strenuamente in centinaia di occasioni. Quando finalmente fu ottenuto, nel 1915, la sua predicazione si indirízzó alle donne lavoratrici perché rafforzassero i Socialdemocratici, per contribuire alla costruzione di una societá migliore. Lei riteneva che le donne lavoratrici, sia come mogli, sia come madri, dovessero partecipare alla costruzione della nuova societá, anzitutto organizzandosi nei sindacati e lottando per i loro diritti. Riteneva altresí opportuno che le donne, per realizzare una felice convivenza familiare, avessero una professione, onde diventare finanziariamente indipendenti. La questione femminile, insomma, sarebbe stata risolta attraverso la lotta politica e sindacale, per cui erano superflue e fuorvianti le organizzazioni specifiche per le donne. La Bang partecipó a vari congressi della Seconda Internazionale e durante la prima …

DESTRA E CRISI DELLA DEMOCRAZIA

di Franco Astengo | Nel tenere ferma l’analisi delle distanze correnti sul piano economico, sociale, culturale rimane un punto in comune tra l’assalto a Capitol Hill e quello di Brasilia: entrambi i fatti sono espressione di una crisi profonda della democrazia liberale e delle sue forme rappresentative nel senso della personalizzazione e del bipolarismo. La forma che ha assunto l’assalto alle sedi delle istituzioni è apparsa somigliante ad una “jacquerie” piuttosto che a un colpo di stato: nulla che facesse pensare al Cile 1973. Una sommossa nata da un punto comune, sia negli USA, sia in Brasile: il mancato riconoscimento di un risultato elettorale da parte del candidato sconfitto che aveva portato avanti, in entrambi i casi, i temi populisti di una destra capace di esaltare -a proprio vantaggio – gli elementi forniti da una grave difficoltà delle espressioni di uguaglianza tradotte sul terreno della pedagogia politica. La crisi della democrazia liberale ha assunto i tratti della difficoltà della personalizzazione e della divisione “tranchant” in due pezzi delle espressioni politiche della complessità sociale. In Europa questo fenomeno sta assumendo l’aspetto delle democrazie cosiddette “illiberali” perché nel vecchio continente ragioni storiche rendono molto più complicato il discorso ideologico. Le “democrazie illiberali” risultano però anch’esse fondate sul mito della personalizzazione e sul “taglio” dell’articolazione politica ridotta a fatto minoritario e marginale dentro ad un quadro di egemonia dell’idea del “governo forte”. Gli appuntamenti elettorali sono così ridotti a referendum personalistici: accettare questo elemento come inevitabile è stato tra l’altro causa della decadenza di una forma di democrazia complessa come quella italiana. Una decadenza della democrazia italiana che potrebbe assumere anche una forma tardo-imitatoria di quella difficoltà già segnalata di sul piano della personalizzazione e del bipolarismo: due elementi incapaci, sul piano teorico, a interpretare la modernità delle fratture. Il punto vero di crisi della democrazia, al di qua e al di là dell’Atlantico, è rappresentato da un deficit di capacità nell’espressione di una pedagogia politica. L’assenza di un capacità d’espressione della pedagogia politica risulta sicuramente un fattore tipico di identità per la destra più pericolosa (la “semplicità” della destra, tanto per intenderci). L’idea dovrebbe essere allora quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno a quel rapporto tra cultura e politica ormai ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello istituzionale. Si tratta di partire per una ricognizione di fondo con l’ambizione di ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico”. Il riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi, finalità, aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista di soggettività determinate, risulti capace di interpretare le sfide reali della storia, e vi risponda in base a parametri e a esigenze di volta in volta mutevoli. Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie. Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto. Non possiamo permetterci di interpretarne il senso soltanto seguendo l’interesse immediato di questo o quell’altro gruppo di potere recuperando la logica dell’uomo/donna che lo interpreta direttamente senza mediazioni facendo credere che lo si faccia nell’interesse di un “popolo” indistinto, o peggio nell’interesse della sua parte più privilegiata e più facilmente manipolabile dai mezzi correnti nella costruzione di una realtà presunta e illusoria. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOCIALISMO IN AMERICA

di Aldo Potenza – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Da qualche tempo si parla con sempre maggiore frequenza del socialismo in America. Il recente libro di Nancy Fraser e quello del 2019 di Bhaskar Sunkara, tanto per citarne qualcuno sono la dimostrazione che c’è sempre un crescente interesse verso varie forme di socialismo negli U.S.A. Sunkara nella premessa del suo libro “Manifesto socialista per il XXI secolo” riassume così il cambiamento della opinione pubblica americana verso il socialismo: “Quando frequentavo le scuole superiori e dicevo che ero socialista, la gente mi guardava come se fossi pazzo. Quando oggi dico a qualcuno che sono socialista, annuisce e poi torna ai propri impegni, senza alcun cenno di disgusto” Pochi sanno che il socialismo in America ha origini lontane e che nel 1901 nacque il Socialist Party e tra i fondatori il più noto ed attivo è Eugene V.Debs proveniente dalla attività sindacale. L’ispirazione era la socialdemocrazia tedesca ed in particolare Kautsky. Per pura curiosità si ricorda che i socialisti moderati che si ispiravano alle idee di Victor Berger, a partire dal 1910 con Emil Seidel assunsero la carica di sindaco a Milwaukee (Wisconsin) e la conservarono per quasi 50 anni. La crisi del 2008, le conseguenze che seguirono, favorirono un ulteriore cambio di opinione favorevole verso le idee socialiste espresse e divulgate da Bernie Sanders e successivamente Alexandria Ocasio-Cortez diventata deputata pur dichiarandosi socialista democratica. Viene spontaneo chiedersi quando in Italia si tornerà non solo a parlare di socialismo, ma a organizzare un grande ed autorevole partito socialista? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NUMERI BRASILIANI 

di Franco Astengo | Elettori:156.453.444 Lula 60.345.999 38,57% sul totale degli aventi diritto Bolsonaro 58.206.354 37,20% sul totale degli aventi diritto Non partecipanti al voto: 32.200. 558 20,58% Bianche: 1.769.768 1,13% Nulle: 3.930.765 2,51% Percentuale dei voti validi sul totale: 75,78% Questi dati ci dicono: 1) Il livello di partecipazione è stato molto più alto della media occidentale (in Italia, il 25 settembre, la percentuale dei voti validi, detratta astensione, bianche e nulle è stata del 61,03%); 2) Non si sono avute forti defezioni tra il primo e il secondo turno: l’astensione è salita soltanto dello 0,37% passando dal 20,58% al 20,95% 3) La vittoria di Lula è sicuramente rappresentativa con quasi il 40% dei voti sul totale del corpo elettorale; 4) Anche dal punto di vista dei numeri assoluti il distacco è sufficientemente netto: alla fine si tratta di 2.139.645 suffragi pari all’1,37% sul totale degli aventi diritto 5) La questione vera che si presenta nel dopo voto è la divisione del Paese essenzialmente sotto l’aspetto geografico: dal Nord che ha votato compatto Lula (salvo i due piccoli stati di Roraima e Amapà) al Sud che ha votato Bolsonaro (a Rio 5.403.153 voti per Bolsonaro, 4.156.217 per Lula; a San Paolo 14.216.587 voti per Bolsonaro, 11.519.882 per Lula). 6) La divisione geopolitica appare ancora più evidente osservando i risultati stato per stato: i soli stati che possono essere considerati “testa a testa” sono l’Amazzonia (Lula al 51,10%), Amapà (Bolosnaro 51,36%) Tocantins (Lula 51,36%) Minas Gerais (Lula 50,20%).Per il resto successi molti netti sia per Lula sia per Bolsonaro nei rispettivi stati in cui hanno avuto la maggioranza. Un dato che potrebbe far pensare anche a una messa in discussione dell’unità dello stato perché corrispondente a profondissime divisioni sul terreno economico, sociale, delle condizioni di vita. Ecco il dettaglio Stato per Stato (percentuali sui voti validi): AMAZZONIA Lula 1.004. 991 51,10% Bolsonaro 961.74148,90% RORAIMA Lula 67.128 23,92% Bolsonaro 213.518 76,08% ACRE Lula 121.566 29,70% Bolsonaro 287.750 70,30% AMAPA’ Lula 189.918 48,64% Bolsonaro 200.547 51,36% PARA’ Lula 2.509.084 54,75% Bolsonaro 2.073.895 45,25% MARANHAO Lula2.668.425 71,14% Bolsonaro 1.082.749 28,86% TOCANTINS Lula 434.593 51,36% Bolsonaro 411.564 48, 64% PIAUI Lula 1.551.383 76,86% Bolsonaro 467.065 23,14% CEARA’ Lula 3.807.891 69,97% Bolsonaro 1.634.477 31,03% RIO GRANDE DO NORTE Lula 1.326.785 65,10% Bolsonaro 711.381 34,90% PARAIBA Lula 1.601.953 66,62% Bolsonaro 802.502% 33,38% PERNAMBUCO Lula 3,640.933 66,93% Bolsonaro 1.798.832 33,07% SERGIPE Lula 862.951 67,21% Bolsonaro 421.086 32,79% ALAGOAS Lula 976.831 58,68% Bolsonaro 687.727 41,32% BAHIA Lula 6.097.815 72,12% Bolsonaro 2.357.028 27,88% RONDONIA Lula 262.904 29, 34% Bolsonaro 623.666 70,66% MATO GROSSO Lula 652.786 34,92% Bolsonaro 1,216,708 65,08% GOIAS Lula 1.542.115 41,29% Bolsonaro 2.193.041 58,71% DISTRITO FEDERAL Lula 729.295 41,19% Bolsonaro 1.041.331 58,81% MINAIS GERAIS Lula 6.190.960 50,20% Bolsonaro 6.141.310 49,80% ESPIRITO SANTO Lula 926.727 41,96% Bolsonaro 1.282.145 58,04% RIO DE JANEIRO Lula 4.156.217 43,47% Bolsonaro 5.403.894 56,53% MATO GROSSO DO SUL Lula 599.547 40,51% Bolsonaro 880.606 59,49% SAO PAULO Lula 11.519.882 44,76% Bolsonaro 14,216.587 55,24% PARANA’ Lula 2.506.605 37,60% Bolsonaro 4.159.343 62,40% SANTA CATARINA Lula 1.351.918 30,73% Bolsonaro 3.047.630 69,27 RIO GRANDE DO SUL Lula 2.891.951 43,65% Bolsonaro 3.733.185 56,35% SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON E’ GIUNTA L’ORA DI SCRIVERE IL NECROLOGIO DEL SOCIALISMO A NEW YORK

di Susan Kang*| I Democratici moderati e i media più influenti sarebbero lieti di scrivere la disfatta del Socialismo nello stato di New York, dove, in realtà, i socialisti non stanno affatto regredendo ma si stanno espandendo. Il Socialismo è scomparso. Questo è quello che vorrebbero far credere gli organi di stampa in seguito ai deludenti risultati della Sinistra alle primarie del 28 giugno, quando le elezioni furono vinte soltanto da uno (Sarahana Shrestha, Hudson Valley – Stato di New York) dei cinque candidati sostenuti dai Socialisti Democratici di America (DSA). Il titolo del “Gotham Gazette” fu “New York ha scalfito il muro”; la City parlò di una “battuta di arresto”; il “New York Post” sottolineò la saggezza delle strategie dei democratici, che annunciarono la disfatta dei socialistici a causa del “bisogno della sinistra di comprendere dove fosse la maggioranza degli elettori all’interno del Partito Democratico…”. Chissà, forse era segno che la breve ascesa dei socialisti democratici e del partito progressista di New York era al tramonto. Tuttavia, divulgare la morte del socialismo è stata un’esagerazione. I risultati ampiamente positivi alle primarie di agosto hanno dimostrato che il disegno elettorale dei socialisti è tutt’altro che esaurito. Ma, nonostante il mese scorso i socialisti non abbiano dato il massimo, dichiarare che la Sinistra sia morta non è esattamente ciò che sta accadendo a New York, tutt’altro, se si pensa che soltanto i movimenti socialisti e progressisti hanno trovato una soluzione ai problemi causati ed esasperati dai leader del Partito Democratico dello Stato di New York. Così come avviene nel resto degli Stati Uniti, New York accusa una miriade di problemi sociali, economici e politici. Allo stato attuale, soltanto i socialisti e i loro alleati progressisti sono stati in grado di proporre le soluzioni politiche necessarie, atte a soddisfare gli specifici bisogni dei lavoratori newyorchesi. Questa è la ragione per la quale il socialismo a New York è destinato a rimanere. Il fallimento politico dei Democratici di New York I nuovi cicli sono brevi, e la memoria dei giornalisti lo è forse di più, ecco perché vale la pena rinfrescarla con una recente lezione di storia. Lo Stato di New York rappresenta una delle 14 triplette dei Democratici del paese. Malgrado a New York la maggioranza numerica dei Democratici sia Repubblicana, sono gli immensi sforzi del Partito dei Socialisti Democratici (DSA), del Partito delle Famiglie dei Lavoratori newyorchesi e delle organizzazioni progressiste nate nel 2017-18 a far sì che New York resti Democratica, e non per merito della leadership del Partito Democratico. Nel 2018, la candidata al Senato Julia Salazar DSA sconfisse il radicato movimento in carica, incoraggiata dalla nuova e motivata sinistra e dai progressisti in erba. I progressisti in parlamento sconfissero i sei membri della Lega dei Democratici Indipendenti (IDC), un gruppo di otto senatori che, di fatto, esercitavano il controllo del Senato dello Stato di New York tramite una minoranza repubblicana. L’IDC, così come l’avversario della Salazar, Martin Dilan, era sostenuto da radicati interessi d’impresa in ambito immobiliare, finanziario, dell’istruzione privata – il tutto legittimato dal governatore democratico Andrew Cuomo. Fu un momento decisivo per la politica di New York. In qualità di volontario del DSA e in opposizione all’IDC, spesso menzionavo agli elettori la quantità di questioni rimaste insolute o bloccate dalla legislatura, tra cui: la scadenza nel 2019 delle leggi di salvaguardia degli affitti; l’assenza di una regolamentazione in materia di diritto all’aborto; la totale mancanza di un sistema sanitario uguale per tutti; l’insufficienza dei finanziamenti destinati alle scuole pubbliche, alle università e al trasporto pubblico; l’assenza di leggi contro la discriminazione dei transgender; la mancanza di una tutela degli immigrati senza permesso come il “DREAM Act”. Grazie al lavoro svolto dal Partito Democratico di maggioranza in senato, il 2019 è stato per lo stato di New York un anno di svolta in termini di politiche progressiste e, addirittura, liberali, in ambiti di notevole importanza, quali: cambiamento climatico, finanziamento della pubblica istruzione, istituzionalizzazione di un  “DREAM Act”, patente di guida per immigrati senza permesso, espansione e stabilità delle leggi di consolidamento degli affitti, codificazione del “Roe v. Wade” nella legislazione dello stato di New York, riforme rilevanti in materia di cauzioni. Diverse questioni, ahimè, restano insolute. La regolamentazione degli affitti emanata nel 2019 ha tutelato molti affittuari e creato leggi ad hoc (come quella che disciplina i depositi cauzionali), ma non è comunque stata sufficiente a risolvere la tremenda crisi del comparto immobiliare che ancora affligge la città. CUNY e SUNY, gli apparati universitari urbani e statali, sono rimasti sottofinanziati. I costi sanitari rappresentano ancora un enorme problema, così come i finanziamenti al trasporto di massa. Dato che l’Assemblea dello Stato di New York continua, di fatto, a rallentare le leggi progressiste, il DSA e gli attivisti progressisti, la maggior parte dei quali mobilitati dalla recente sconfitta dell’IDC, hanno accolto favorevolmente candidati atti a fronteggiare anche i più trincerati esponenti in carica. Malgrado le difficoltà di una campagna elettorale in un momento di pandemia, il DSA della città di New York è riuscito a dare una bella ripulita eleggendo al senato diversi membri dell’Assemblea: Marcela Mitaynes, Zohran Mamdani, Phara Souffrant Forrest, Emily Gallagher e Jabari Brisport. Inoltre, molti progressisti hanno sconfitto i rappresentanti in carica in seggi aperti e in seggi parlamentari, come Jamaal Bowman, sostenitore del partito DSA. In seguito alle elezioni del 2020, l’ascesa della sinistra è stata messa a dura prova quando la sicurezza pubblica e il crimine sono divenuti un argomento cruciale. I moderati democratici si sono concentrati sull’aumento del tasso dei crimini e relativa questione dei Neri, adottando come messaggio vincente il “taglio dei fondi alla polizia”. Così, la vittoria del sindaco Eric Adams alle elezioni 2021 ha segnato presumibilmente una nuova clamorosa sconfitta della Sinistra a vantaggio delle fazioni di centro. Il DSA della città di New York vinse soltanto in due dei cinque comuni, registrando il “fallimento”, come venne descritto dalla stampa. Nel corso del 2021, di fatto, il Partito Democratico nello stato di New York ha continuato a …

VERTICE DI BRUXELLES, NON E’ PIU’ TEMPO DI MEDIAZIONI E RINVII

di Carmelo Cedrone – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Forse, come ha detto Delors giorni fa, è arrivata l’ora di smettere di pensare all’Unione Europea come ad un sogno, ma di svegliarsi e considerarla una realtà, dura e difficile da realizzare.  Serve fegato e ironia, per evitare l’innalzamento della pressione, dopo l’ennesimo fallimento del vertice europeo. Parlo della pressione sanguigna, non di quella del gas, che, per precauzione, Putin sta già chiudendo. Solo le anime candide, degne di grande rispetto, erano convinte del contrario. Parlo del gas, naturalmente. Erano anche convinte che la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina e che, se lo ha fatto, è solo colpa nostra, degli americani o della Nato. Putin non c’entra. Queste anime però sono un po’ meno candide delle altre. Pontificano dai salotti di casa e televisivi, senza proporre un’alternativa alla guerra, né dicono come arrivare alla pace. Forse ritengono che sia un problema degli ucraini, non loro. Chissà se la difesa della libertà degli ucraini invece è anche un problema nostro o meno. Io sono convinto di sì, come l’Ue, perché si tratta di un territorio del “continente europeo” che si è liberato dall’Urss. Oppure bisogna seguire la logica delle aree di influenza? Perché è difficile pensare che si possa convincere la Russia, la Cina, o altri Paesi totalitari a rispettare i diritti umani, la libertà e la democrazia. Principi che loro combattono, né si possono obbligare a farlo con le armi. Bisognerebbe farlo con altri strumenti, a monte. Ad esempio attraverso accordi commerciali che li condizionano al rispetto di alcuni diritti ed arginando la loro ingerenza nei nostri paesi per destabilizzarli. Ricercare una forma di rispetto e di convivenza reciproca, anche se in questo caso bisogna essere in due a volerlo e non bastano le buone intenzioni. Spesso vengono disattese. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA LEZIONE DELLE ELEZIONI FRANCESI

di Felice Besostri – Socialismo XXI Lombardia | I risultati del secondo turno delle elezioni legislative francesi avranno, comunque, un merito, di togliere argomenti ai sostenitori del maggioritario a doppio turno come la ricetta per assicurare la stabilità dei governi e quindi la “governabilità” del sistema politico-costituzionale.Finché ci saranno elezioni libere e voto segreto non si potrà prescindere dalla volontà degli elettori per l’uso che faranno del loro diritto di voto. Il voto sarà sempre ambivalente – e perciò oscillante- tra voto elezione e voto sanzione, quale che sia il sistema elettorale prescelto, proporzionale, maggioritario o misto.Con il voto elezione si fa una scelta fra candidati e/o liste concorrenti per premiare quelli preferiti per formare una maggioranza gradita. Con il voto sanzione si punisce chi ha governato male, confermando il giudizio negativo già espresso ovvero contro le aspettative ingenerate specialmente se sono state deluse.Il voto sanzione si esprime anche non recandosi alle urne e le legislative francesi ne sono espressione con il 52,49% al primo turno cresciuto al 53,77% al secondo, ma non solo, sono aumentate le schede bianche e nulle, che al secondo turno sono cresciute da 360.844 a 1.235.844 le bianche e da 151.166 a 480.962 le nulle, da aggiungere ai 793.232 astenuti in più. Il voto sanzione di Macron è confermato dal fatto che nel 2022, alle legislative i votanti (23.257.508 al I° turno e 22.464.276 al II°) e i voti validi (22.745.498 al I° e 20.747.470 al II°) sono stati in valori assoluti superiori a quelli del 2017 sia come votanti (23.167.508 al I° e 20.164.615 al II°) che come voti validi (22.654.164 al I° e 18.176.066 al II°): essendo diminuiti i voti al I° turno per le liste della maggioranza presidenziale nel 2022 (5.874.286) rispetto al 2017 (7.323.496) significa che un buon numero di elettori ha partecipato alle elezioni per non votare Macron, cioè deponendo schede bianche o nulle ovvero votando per suoi oppositori sia di sinistra, NUPES (5.939.897), o di destra estrema RN(4.248.626) e mantenendolo anche al turno di ballottaggio in misura superiore all’usuale. Ensemble è stata, comunque, premiata con 246 seggi benché inferiore alla maggioranza assoluta di 289, che aveva raggiunto agevolmente nel 2017 con i soli 308 seggi di LREM, cui si erano aggiunti i 42 dell’alleato MODEM. La perdita di consenso per il movimento fondato da Macron è ulteriormente sottolineata dal fatto che ENSEMBLE era in partenza costituito da tre componenti (LREM, MODEM e HORIZON).Nei commenti alle elezioni francesi il risultato dei candidati della NUPES con 142 seggi appare meno importante degli 89 del Rassemblement national, perché confrontati con gli 8 seggi, che ha avuto nel 2017 rispetto ai 61 uscenti dei partiti, che hanno aderito al progetto NUPES, dimenticando che il risultato andrebbe valutato alla luce dei risultati delle presidenziali con i candidati ecologisti, ma specialmente socialisti e comunisti che hanno conseguito risultati miserrimi con l’unico effetto numerico di impedire a Mélenchon di andare lui al ballottaggio con Macron, invece della Le Pen. Tuttavia, non c’erano le condizioni politiche per avere un candidato unico della sinistra, quando la polemica era tra loro acuta e tra i socialisti e Mélenchon di antica data. Alle elezioni presidenziali 2002 il candidato socialista Leonel Jospin fu escluso dal ballottaggio per meno di 200.000 voti, anche per il successo (1.518.528 voti) della candidatura di Jean-Pierre Chevènement per il Movimento Repubblicano e Cittadino, padre politico di Mélenchon. La ripresa socialista con l’elezione a Presidente di Hollande non risolse i problemi di nuovi rapporti a sinistra, nemmeno ricercati, e il disastro di immagine del Presidente socialista, non ricandidabile, fu la causa prima dell’invenzione di Macron, che pure era stato valorizzato dai socialisti come Ministro dell’Economia, dell’Industria e della Digitalizzazione tra il 2014 e il 2016.Al primo turno delle legislative a NUPES era riuscito di essere la lista, i cui candidati erano stati i più votati, i 65.611 voti in più non erano tali da poter aspirare a conquistare la maggioranza dei seggi tenendo conto, che non era presente a tutti i ballottaggi a due, ma soltanto a 278 con Ensemble, 62 con RN e 29 con la Destra, cioè in 369 collegi, ma in testa soltanto in 182. Nel sistema francese anche quando ci sono tre blocchi elettorali al primo turno come è avvenuto alle Presidenziali con Macron al 27,6%, Le Pen al 23,41% e Mélenchon al 21,95% e alle elezioni legislative con NUPES al 26,11%, Ensemble al 25,83% e RN al 18,99% può teoricamente aversi un risultato aperto, cioè nessuna lista di candidati con la maggioranza assoluta con un’altissima percentuale di triangolari, ma questo dipende dalla partecipazione elettorale, perché il terzo candidato deve raccoglier voti pari almeno al 12,50% degli elettori iscritti, che è difficile da raggiungere.Infatti, su 572 ballottaggi, appena 5 deputati eletti al primo turno, vale a dire con voti superiori al 50% dei voti validi e pari al 25% degli elettori iscritti, appena 8 sono state le triangolari, di cui appena 7 celebrate come tali. Nel 2017 ce ne fu una sola con un’astensione del 51,30%, minore del 52,90% ma in assenza di una tripolarità, perché dopo il 28,21% di LREM al secondo posto c’erano i gaullisti di LR al 15,77% e al terzo il 13,20% del Front Nationale. Alle elezioni presidenziali e legislative del 2022 al primo turno vi è stata un’articolazione tripolare anomala, senza precedenti nelle elezioni successive alla riforma (legge costituzionale del 2.X.2000) della durata del mandato presidenziale da 7 a 5 anni.Nelle elezioni presidenziali e legislative del 2012 (Pres.: Hollande 28,6% – Sarkozy 27,2% con la Le Pen al 17,9; Leg.: PS 29,35%-UMP 27,12% e FN 13,60%) e del 2007 (Pres.: Sarkozy 31,18%-Royal 25,87% e Bayrou 18,57%: Leg.: UMP 39,54%-PS 24,73% e UDF MODEM 7,61%) lo schema è stato quello clasico bipolare- Hanno fatto eccezione le prime elezioni 2002 dopo la riforma costituzionale dell’anno 2000 poiché al primo turno tripolare delle presidenziali hanno ottenuto Chirac 19.88%, Jean Le Pen 16,86% e Jospin 16,18%, che tuttavia non si ripetuto, a differenza del 2022, al primo turno delle legislative con …

CONCLUSIONI CONSIGLIO EUROPEO   

di Carmelo Cedrone – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | 30 e 31 maggio 2022 Brevissima nota informativa a cura di Carmelo Cedrone del Comitato di Presidenza di “Socialismo XXI”. Si  tratta di un vertice straordinario sul quale c’erano molte attese, dopo il fallimento di quello precedente .E’ stato fatto un passo avanti ma la gran parte dei problemi sollevati  a Versailles e poi a fine Marzo sono rimasti aperti. A parte il solito linguaggio diplomatico, difficile da condividere in un momento come questo, l’UNICA DECISIONE VERA riguarda l’approvazione del 6° pacchetto di sanzioni sul petrolio importato dalla Russia, con i limiti conosciuti (si applica solo al petrolio trasportato via mare, non a quello trasportato dall’oleodotto per superare il veto ungherese, SUBITO RIPRESENTATO per salvare l’amico “pope” russo. Comunque l’embargo dovrebbe riguardare il 90% del petrolio importato, anche se a partire dalla fine dell’anno, mentre per quanto riguarda gli altri problemi di fondo sollevati da Draghi già in precedenza ci sono state delle promesse di interessamento (al vertice precedente l’idea fu rigettata) cioè LA RIDUZIONE DEI PREZZI di petrolio e gas, con l’esclusione degli aumenti derivanti dalla speculazione del mercato, si invita la Commissione a verificarne la fattibilità (sic!). mentre per Il MERCATO ELETTRICO (abolizione del sovrapprezzo derivante da quello del gas): c’è un invito ad “ottimizzarne l’effetto: che significa?  (punto 30). Comunque sono stati discussi 4 grandi argomenti: I)  L’UCRAINA: vengono ribadite le posizioni di sostegno note, più il 6° pacchetto di sanzioni; II) SICUREZZA ALIMENTARE: espressi solo alcuni auspici III) SICUREZZA E DIFESA: viene richiamata “la bussola strategica” (punto 23), vengono espressi altri auspici di collaborazione, mentre per il resto tutto rinviato (punto 26); IV) ENERGIA: vengono “incoraggiati” gli acquisti comuni (punto 27), “auspicati” accordi comuni di “solidarietà” sul mercato del gas (punto 29), oltre a quanto già citato sul mercato elettrico e la riduzione dei prezzi. CONSIDERAZIONI:  1 – Bicchiere mezzo pieno: se si guarda l’UE di questo periodo come un bicchiere mezzo pieno, non c’è dubbio che ha preso delle decisioni impensabili fino a tre mesi fa (al di là del merito) a causa della guerra in Ucraina 2 – Bicchiere mezzo vuoto: Se, al contrario, si guarda invece questo, bisogna riconoscere che stiamo assistendo a tutti i limiti ben noti dell’Unione per quanto riguarda le difficoltà del suo suo processo decisionale (diritto di veto), mentre affiorano le divisioni su tutte le questioni vitali oggetto del confronto (sicurezza e difesa comune, mercato dell’energia, provvedimenti economici comuni per far fronte alle conseguenze della guerra sull’economia e sulle persone (la cosa più grave), ecc., ecc. 3 – Tutto ciò conferma la necessità di avviare da subito una Convenzione per cambiare l’Unione attuale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

EUROPA: UN’EMERGENZA ESISTENZIALE

di Carmelo Cedrone | La politica dei rinvii è l’unica che finora ha ben funzionato in Europa. Un’Europa presa tra due fuochi: l’interesse comune e quello degli Stati. Come sempre combattuta tra l’esigenza di cambiare, per esistere, ed i continui rinvii delle decisioni.  È così, dal 45. Solo che adesso il fuoco è vero. Visti però i risultati nulli del vertice di marzo, sembra che niente sia cambiato per l’Unione, bloccata dall’ostruzionismo economico della Germania, come avviene da anni. Infatti tutti i tentativi per creare una Unione economica, da Maastricht in poi, sono falliti, così come, di conseguenza, sono falliti i tentativi, dal 54 in poi, per creare una Unione Politica, l’unica capace di affrontare la tempesta perfetta con cui la Russia di Putin ha messo l’UE con le spalle al muro. Per evitare il fallimento, nel dopoguerra, si ripiegò sulla comunità economica, con il Trattato di Roma del 57 e poi col Mercato Unico, trenta anni dopo. Un mercato non ancora realizzato sulle questioni derimenti come l’energia. La ragione principale per stare insieme era quella di evitare altre guerre, ma non ha funzionato per tutta l’Europa. Quella orientale, ex-comunista, come vediamo anche in questi giorni con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, non ha mai rinunciato alla guerra. Basti ricordare l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968, della Polonia nel 1980, delle repubbliche secessioniste e della Crimea da parte della Russia, nel 2008-2014, erede dell’imperialismo degli zar e dell’URSS, col quale pensavamo di aver chiuso i conti, senza dimenticare la guerra nella ex-Jugoslavia. Non voglio però parlare della guerra o di Putin, il dittatore-terrorista, che tiene i russi ancora prigionieri della vecchia sindrome di accerchiamento, di cui non si sono liberati. Solo che oggi, l’accerchiamento che Putin teme non è quello militare, come vuol far credere, ma quello della democrazia. Perciò tenta da tempo di frantumare l’UE, staccarla dagli USA e dimostrare che la democrazia liberale non ha futuro. Ecco perché bisogna reagire ed aiutare l’Ucraina, perché aiutiamo noi stessi a uscire dal sogno del benessere, della libertà e della pace senza fine e senza costi.  Per fortuna Putin, sinora, ha ottenendo l’effetto contrario, inaspettato anche per lui. Ha prodotto un risveglio dell’Europa e, spero, dei giovani, i quali, cresciuti in questo ambiente ovattato e protettivo, danno tutto per scontato. Invece la democrazia va difesa ogni giorno dalle minacce interne ed esterne, in particolare da quelle dei regimi totalitari.  Non si tratta di un “luogo comune”, come la storia ci ha insegnato. Ma l’Unione dov’è? Bisogna riconoscere che mai in passato l’UE aveva reagito come adesso, rispetto all’invasione dell’Ucraina. Solo che bisogna evitare che resti un lampo di luce, dettato dall’emozione, destinato a spegnersi presto, come fanno presagire i risultati del vertice di questi giorni. Un comportamento a cui l’UE ci ha abituato da tempo, che la tengono relegata ad un ruolo sub-alterno, a rimorchio degli USA e sotto l’ombrello della NATO. Rimanere in queste condizioni, di fronte alla nuova e grave guerra sul suo territorio, non è più accettabile. Né l’UE può pensare, per l’ennesima volta, di cavarsela con delle dichiarazioni retoriche e delle decisioni poco incisive. È un rischio che stiamo correndo di nuovo, sia sulla difesa che sul resto delle emergenze che abbiamo di fronte.  Oggi, con un PIL pari al 25% di quello mondiale, l’UE ha una occasione storica per cambiare. Si trova di fronte ad una novità strategica offerta dalla guerra in corso, destinata a cambiare l’assetto mondiale. Ma, per approfittare di ciò, serve una scelta radicale, esistenziale e non di facciata da parte dell’UE, che deve smettere di recitare e di dividersi ogni volta che un paese vede “minacciati” i propri soli interessi.  Si tratta di un’emergenza esistenziale, quella che l’Unione deve affrontare, ora. Una malattia grave, conosciuta da tempo, da cui non riesce a liberarsi, nonostante la terapia sia nota da tempo, perché alcuni paesi si ostinano a rifiutarla, intenti, come sono, a guardare solo il proprio ombelico.  Invece l’Unione, oggi e non domani, ha il dovere di affrontarla, affrontare la sua emergenza, insieme a quella dell’Ucraina. Ne va della sua esistenza politica. I paesi che ne sono convinti devono iniziare la terapia, ormai, a 77 anni dalla seconda guerra mondiale, quando gli USA avevano il 50% del PIL mondiale, a 65 anni dall’atto di nascita, a 30 da Maastricht ed a 20 dall’entrata in circolazione dell’Euro.  Gli Stati che ne sono consapevoli devono approfittare della grande opportunità strategicaofferta loro dalla storia, con un atto di coraggio, superando lo stallo politico che li tiene prigionieri dal 1945. Ciò richiede un impegno concreto ad agire ben al di là di quanto (non) fatto in questi giorni, per coniugare gli interessi comuni con quello di ogni singolo paese.  Il prossimo Consiglio Europeo, straordinario, deve dare risposte alle due questioni sul tappeto. Decidere di affidare un mandato alla Conferenza sul futuro dell’Unione o ad una apposita Conferenza Intergovernativa, per avviare l’Unione Politica e democratica, cioè un’Unione economica e di bilancio, un’Unione sociale, un’Unione della sicurezza e della difesa, ecc., in grado di tutelare gli interessi comuni e quelle degli Stati. Decidere, inoltre, di portare a compimento le questioni sollevate al vertice di Versailles e poste all’o. d. g. del vertice del 24-25 marzo, ma rinviate, riguardanti il mercato unico dell’energia, l’arresto della speculazione sui costi di petrolio, gas ed elettricità; la creazione di un fondo comune a sostegno delle ricadute delle sanzioni nei confronti di imprese e cittadini, la sicurezza alimentare e la difesa comune. Su queste questioni occorrono misure da guerra, perché siamo in guerra. A meno che ci siano paesi che pensano di approfittare anche di questa situazione per lucrare sugli altri, come fanno le compagnie petrolifere e del gas. Poi ci sono le disuguaglianze, cresciute prima con il Covid 19, poi con la guerra.  Stanno aggravando molto le condizioni sociali ed economiche di una parte sempre maggiore della popolazione. Una condizione a cui bisogna porre assolutamente rimedio, con misure efficaci, comuni, da parte dell’Unione, evitando dichiarazioni di …

Le progrès social et humain, il successo di Jean Luc Mélenchon

di Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI | I risultati del primo turno delle “presidenziali” francesi hanno rispettato le previsioni o quasi in quanto il risultato imprevisto è stato il successo di Jean Luc MELENCHON che ha sfiorato per poco piu’ di un punto percentuale il secondo posto ed il ballottaggio al secondo turno con il Presidente uscente Macron. Il destrume ed il moderatume nostrani avevano dipinto Melenchon come un “pericoloso estremista di sinistra , populista ed antieuropeo”. Non con è così. Jean Luc è stato per molti anni – fino al 2008 – esponente di sinistra del Partito Socialista ed è stato anche ministro nel Governo presieduto dal compagno Jospin. E’ uscito dal Partito socialista francese nel 2008 in rottura con il segretario Hollande, accusandolo di essersi piegato (come una buona parte della sinistra democratica italiana) ad una deriva liberista. E’ un socialista libertario, fautore di un socialismo forte, di un riformismo radicale che sappia interpretare con politiche sociali ed economiche adeguate il diffuso malcontento e disagio sociale esistente in tutta Europa che, non a caso, vede ovunque una grave perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni ed un aggravamento delle condizioni di vita dei ceti più deboli della società. Un disagio sociale che Macron ora ed Hollande prima – al pari del centrosinistra italiano – non ha saputo comprendere ed affrontare lasciando grandi spazi al populismo “poujadista” della destra non democratica. Melenchon ha raccolto attorno a sé anche posizioni di movimenti di sinistra estrema, in particolare fra i giovani, ma la sua proposta politica si differenzia dal Partito comunista, dai troskisti, dagli ecologisti nonché dal Partito socialista che – al pari dei “gollisti” – è al peggior risultato politico in assoluto della sua storia. Nel presentare la Sua candidatura cinque anni fa (ma la Sua posizione non è oggi cambiata) disse e scrisse : …il vero Rinascimento europeo passa per motivare i popoli europei – così diversi per storia e culture – con una lingua comune, quella che parli dell’interesse generale e non di quello di una minoranza di privilegiati, che parli dei diritti sociali e dei beni comuni, dei servizi pubblici essenziali da difendere ed estendere e da ricostruire dopo una loro devastazione trentennale ad opera di una spregiudicata ed incontrollata azione del c.d. libero mercato imposta dalla grande finanza sulla politica. C’è bisogno di dare sostanza vera al principio della sovranità popolare contro l’oscurantismo del denaro e l’integralismo del pensiero unico liberista….. A Rimini, alla Conferenza costitutiva di “Socialismo XXI”, non dicemmo cose diverse e per questo, al di là delle situazioni e condizioni di quadro politico diverse tra l’Italia e la Francia, salutiamo con soddisfazione il risultato del compagno Melenchon che costringerà Macron, se vuole vincere al 2° turno, prendere in considerazione le Sue indicazioni programmatiche sul piano delle politiche sociali e per una revisione dell’Europa affinché non sia solo una Unione monetaria e del mercato comune. Il suo risultato indica anche la strada da seguire per una rinascita di un movimento socialista moderno perché sa affrontare i problemi complessi di una società in trasformazione rifiutandosi di sottomettersi al pensiero liberista che molti vorrebbero unico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it