EUROPA: UN’EMERGENZA ESISTENZIALE

di Carmelo Cedrone | La politica dei rinvii è l’unica che finora ha ben funzionato in Europa. Un’Europa presa tra due fuochi: l’interesse comune e quello degli Stati. Come sempre combattuta tra l’esigenza di cambiare, per esistere, ed i continui rinvii delle decisioni.  È così, dal 45. Solo che adesso il fuoco è vero. Visti però i risultati nulli del vertice di marzo, sembra che niente sia cambiato per l’Unione, bloccata dall’ostruzionismo economico della Germania, come avviene da anni. Infatti tutti i tentativi per creare una Unione economica, da Maastricht in poi, sono falliti, così come, di conseguenza, sono falliti i tentativi, dal 54 in poi, per creare una Unione Politica, l’unica capace di affrontare la tempesta perfetta con cui la Russia di Putin ha messo l’UE con le spalle al muro. Per evitare il fallimento, nel dopoguerra, si ripiegò sulla comunità economica, con il Trattato di Roma del 57 e poi col Mercato Unico, trenta anni dopo. Un mercato non ancora realizzato sulle questioni derimenti come l’energia. La ragione principale per stare insieme era quella di evitare altre guerre, ma non ha funzionato per tutta l’Europa. Quella orientale, ex-comunista, come vediamo anche in questi giorni con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, non ha mai rinunciato alla guerra. Basti ricordare l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968, della Polonia nel 1980, delle repubbliche secessioniste e della Crimea da parte della Russia, nel 2008-2014, erede dell’imperialismo degli zar e dell’URSS, col quale pensavamo di aver chiuso i conti, senza dimenticare la guerra nella ex-Jugoslavia. Non voglio però parlare della guerra o di Putin, il dittatore-terrorista, che tiene i russi ancora prigionieri della vecchia sindrome di accerchiamento, di cui non si sono liberati. Solo che oggi, l’accerchiamento che Putin teme non è quello militare, come vuol far credere, ma quello della democrazia. Perciò tenta da tempo di frantumare l’UE, staccarla dagli USA e dimostrare che la democrazia liberale non ha futuro. Ecco perché bisogna reagire ed aiutare l’Ucraina, perché aiutiamo noi stessi a uscire dal sogno del benessere, della libertà e della pace senza fine e senza costi.  Per fortuna Putin, sinora, ha ottenendo l’effetto contrario, inaspettato anche per lui. Ha prodotto un risveglio dell’Europa e, spero, dei giovani, i quali, cresciuti in questo ambiente ovattato e protettivo, danno tutto per scontato. Invece la democrazia va difesa ogni giorno dalle minacce interne ed esterne, in particolare da quelle dei regimi totalitari.  Non si tratta di un “luogo comune”, come la storia ci ha insegnato. Ma l’Unione dov’è? Bisogna riconoscere che mai in passato l’UE aveva reagito come adesso, rispetto all’invasione dell’Ucraina. Solo che bisogna evitare che resti un lampo di luce, dettato dall’emozione, destinato a spegnersi presto, come fanno presagire i risultati del vertice di questi giorni. Un comportamento a cui l’UE ci ha abituato da tempo, che la tengono relegata ad un ruolo sub-alterno, a rimorchio degli USA e sotto l’ombrello della NATO. Rimanere in queste condizioni, di fronte alla nuova e grave guerra sul suo territorio, non è più accettabile. Né l’UE può pensare, per l’ennesima volta, di cavarsela con delle dichiarazioni retoriche e delle decisioni poco incisive. È un rischio che stiamo correndo di nuovo, sia sulla difesa che sul resto delle emergenze che abbiamo di fronte.  Oggi, con un PIL pari al 25% di quello mondiale, l’UE ha una occasione storica per cambiare. Si trova di fronte ad una novità strategica offerta dalla guerra in corso, destinata a cambiare l’assetto mondiale. Ma, per approfittare di ciò, serve una scelta radicale, esistenziale e non di facciata da parte dell’UE, che deve smettere di recitare e di dividersi ogni volta che un paese vede “minacciati” i propri soli interessi.  Si tratta di un’emergenza esistenziale, quella che l’Unione deve affrontare, ora. Una malattia grave, conosciuta da tempo, da cui non riesce a liberarsi, nonostante la terapia sia nota da tempo, perché alcuni paesi si ostinano a rifiutarla, intenti, come sono, a guardare solo il proprio ombelico.  Invece l’Unione, oggi e non domani, ha il dovere di affrontarla, affrontare la sua emergenza, insieme a quella dell’Ucraina. Ne va della sua esistenza politica. I paesi che ne sono convinti devono iniziare la terapia, ormai, a 77 anni dalla seconda guerra mondiale, quando gli USA avevano il 50% del PIL mondiale, a 65 anni dall’atto di nascita, a 30 da Maastricht ed a 20 dall’entrata in circolazione dell’Euro.  Gli Stati che ne sono consapevoli devono approfittare della grande opportunità strategicaofferta loro dalla storia, con un atto di coraggio, superando lo stallo politico che li tiene prigionieri dal 1945. Ciò richiede un impegno concreto ad agire ben al di là di quanto (non) fatto in questi giorni, per coniugare gli interessi comuni con quello di ogni singolo paese.  Il prossimo Consiglio Europeo, straordinario, deve dare risposte alle due questioni sul tappeto. Decidere di affidare un mandato alla Conferenza sul futuro dell’Unione o ad una apposita Conferenza Intergovernativa, per avviare l’Unione Politica e democratica, cioè un’Unione economica e di bilancio, un’Unione sociale, un’Unione della sicurezza e della difesa, ecc., in grado di tutelare gli interessi comuni e quelle degli Stati. Decidere, inoltre, di portare a compimento le questioni sollevate al vertice di Versailles e poste all’o. d. g. del vertice del 24-25 marzo, ma rinviate, riguardanti il mercato unico dell’energia, l’arresto della speculazione sui costi di petrolio, gas ed elettricità; la creazione di un fondo comune a sostegno delle ricadute delle sanzioni nei confronti di imprese e cittadini, la sicurezza alimentare e la difesa comune. Su queste questioni occorrono misure da guerra, perché siamo in guerra. A meno che ci siano paesi che pensano di approfittare anche di questa situazione per lucrare sugli altri, come fanno le compagnie petrolifere e del gas. Poi ci sono le disuguaglianze, cresciute prima con il Covid 19, poi con la guerra.  Stanno aggravando molto le condizioni sociali ed economiche di una parte sempre maggiore della popolazione. Una condizione a cui bisogna porre assolutamente rimedio, con misure efficaci, comuni, da parte dell’Unione, evitando dichiarazioni di …

Le progrès social et humain, il successo di Jean Luc Mélenchon

di Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI | I risultati del primo turno delle “presidenziali” francesi hanno rispettato le previsioni o quasi in quanto il risultato imprevisto è stato il successo di Jean Luc MELENCHON che ha sfiorato per poco piu’ di un punto percentuale il secondo posto ed il ballottaggio al secondo turno con il Presidente uscente Macron. Il destrume ed il moderatume nostrani avevano dipinto Melenchon come un “pericoloso estremista di sinistra , populista ed antieuropeo”. Non con è così. Jean Luc è stato per molti anni – fino al 2008 – esponente di sinistra del Partito Socialista ed è stato anche ministro nel Governo presieduto dal compagno Jospin. E’ uscito dal Partito socialista francese nel 2008 in rottura con il segretario Hollande, accusandolo di essersi piegato (come una buona parte della sinistra democratica italiana) ad una deriva liberista. E’ un socialista libertario, fautore di un socialismo forte, di un riformismo radicale che sappia interpretare con politiche sociali ed economiche adeguate il diffuso malcontento e disagio sociale esistente in tutta Europa che, non a caso, vede ovunque una grave perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni ed un aggravamento delle condizioni di vita dei ceti più deboli della società. Un disagio sociale che Macron ora ed Hollande prima – al pari del centrosinistra italiano – non ha saputo comprendere ed affrontare lasciando grandi spazi al populismo “poujadista” della destra non democratica. Melenchon ha raccolto attorno a sé anche posizioni di movimenti di sinistra estrema, in particolare fra i giovani, ma la sua proposta politica si differenzia dal Partito comunista, dai troskisti, dagli ecologisti nonché dal Partito socialista che – al pari dei “gollisti” – è al peggior risultato politico in assoluto della sua storia. Nel presentare la Sua candidatura cinque anni fa (ma la Sua posizione non è oggi cambiata) disse e scrisse : …il vero Rinascimento europeo passa per motivare i popoli europei – così diversi per storia e culture – con una lingua comune, quella che parli dell’interesse generale e non di quello di una minoranza di privilegiati, che parli dei diritti sociali e dei beni comuni, dei servizi pubblici essenziali da difendere ed estendere e da ricostruire dopo una loro devastazione trentennale ad opera di una spregiudicata ed incontrollata azione del c.d. libero mercato imposta dalla grande finanza sulla politica. C’è bisogno di dare sostanza vera al principio della sovranità popolare contro l’oscurantismo del denaro e l’integralismo del pensiero unico liberista….. A Rimini, alla Conferenza costitutiva di “Socialismo XXI”, non dicemmo cose diverse e per questo, al di là delle situazioni e condizioni di quadro politico diverse tra l’Italia e la Francia, salutiamo con soddisfazione il risultato del compagno Melenchon che costringerà Macron, se vuole vincere al 2° turno, prendere in considerazione le Sue indicazioni programmatiche sul piano delle politiche sociali e per una revisione dell’Europa affinché non sia solo una Unione monetaria e del mercato comune. Il suo risultato indica anche la strada da seguire per una rinascita di un movimento socialista moderno perché sa affrontare i problemi complessi di una società in trasformazione rifiutandosi di sottomettersi al pensiero liberista che molti vorrebbero unico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOSTENERE LA LOTTA DEL POPOLO UCRAINO

Documento Politico Unitario sottoscritto da già Dirigenti CGIL, CISL, UIL ed Esponenti politici della 1^ Repubblica. La Russia ha invaso l’Ucraina, bombardando le città e causando vittime civili. Dobbiamo tutti pretendere la tregua immediata e chiedere alle Istituzioni nazionali e internazionali di tentare in ogni maniera di far dialogare la vittima e l’aggressore per ottenere una pace duratura. Ma non si può stare con le mani in mano. Indeboliremmo la resistenza ucraina e consentiremmo all’aggressore russo di produrre ulteriori perdite di vite umane, distruzione di città e persino minacce nucleari. Le conseguenze sarebbero drammatiche, anche per lo sviluppo, il lavoro e la pacifica convivenza in Europa. In ragione di questo, riteniamo sbagliato aggregare il sincero pacifismo di migliaia e migliaia di persone attorno alla parola d’ordine “né con Putin, né con la Nato”, che ricorda altri inaccettabili neutralismi degli anni ‘70. È un orientamento che non ha basi di verità perché l’invasore è Putin e non la Nato. È un neutralismo che non riconosce e quindi non valorizza il fatto che tutti i popoli delle democrazie liberali hanno conquistato l’obiettivo che nessun soldato della Nato o di qualsiasi altra alleanza possa oltrepassare i confini delle proprie nazioni in assetto di guerra. È un neutralismo che abbandona l’Ucraina a un destino di sudditanza già deciso da Putin, in oltraggio alle decisioni dell’ONU, alle rassicurazioni delle maggiori potenze del mondo, agli appelli di autorità politiche e morali, a partire da Papa Francesco. Tutto ciò non può prevalere. Deve invece affermarsi un’unica parola d’ordine, intorno alla quale mobilitare le persone, al di là delle idee politiche e del credo religioso di ciascuno: SOSTENERE LA LOTTA DEL POPOLO UCRAINO potenziando l’aiuto umanitario dentro e fuori quella Nazione; rifornendo le strumentazioni militari nei limiti decisi dall’Europa in risposta alla richiesta dei suoi legittimi rappresentanti per difendersi fino allo stremo; utilizzando le sanzioni economiche e soprattutto colpendo in modo sempre più selettivo le ricchezze di persone e di imprese che fanno parte delle oligarchie russe. Nello stesso tempo, va intensificata una tenace ricerca del dialogo diplomatico tra le grandi potenze del mondo, l’Ucraina e la Russia per porre fine al conflitto in corso e alle sue disumanità. Tutte le altre questioni – a partire sia dall’usura delle alleanze militari e delle istituzioni internazionali definite alla fine della seconda guerra mondiale, che dalla necessità di nuove regole di convivenza pacifica globale – andranno affrontate dopo la conclusione di questa tragica vicenda. Firmatari: Aldo Amoretti, Sandro Antoniazzi, Pier Paolo Baretta, Giorgio Benvenuto, Cecilia Brighi, Pino Campidoglio, Mimmo Carrieri, Gian Piero Castano, Mario Colombo, Cesare Damiano, Paolo Feltrin, Anna Maria Furlan, Franco Lotito, Bruno Manghi, Renato Matteucci, Enzo Mattina, Raffaele Morese, Bruno Perin, Luciano Pero, Sandro Roazzi, Gaetano Sateriale, Giorgio Santini, Tiziano Treu, Lucia Valente, Silvano Veronese, Gigi Viviani. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’assenza di una politica estera in Italia come in Europa

di Luigi Ferro – Socialismo XXI Campania | La crisi Ucraina rappresenta un monito per l’Europa e per il mondo. I confini territoriali, non negoziabili, sono stati messi in discussione in queste settimane. E’ il ritorno prepotente della guerra fredda. Certo, con questo non vogliamo giustificare la Russia che ha aggredito un Paese libero e indipendente come l’Ucraina. Ma l’azione politica di Putin non puo’ non essere questa, approfittando di un certo declino politico ed economico dell’Europa e degli Stati Uniti, particolarmente evidente prima in Cecenia, poi in Crimea, e successivamente ad Aleppo in Siria. Senza addentrarci oltre in una crisi che segnerà inevitabilmente un nuovo corso mondiale e creerà nuovi equilibri tra le Nazioni, la debolezza dell’Europa è la debolezza della sua politica estera. Dapprima subalterni agli Stati Uniti, l‘U.E. non è stata in grado, dopo la caduta del muro di Berlino e dopo la nascita dell’euro, di dotarsi di una politica estera comune ed efficace, attenta ed equilibrata, che andasse oltre i normali orizzonti di veduta. Sicuramente ciò è dipeso anche da fattori quali la scelta politica di ogni nazione di muoversi con un certo grado di autonomia su questioni di massima e di puntare su ministri degli esteri poco brillanti e piuttosto opachi. Deboli, poco lungimiranti, con scarsa preparazione. La scelta dei singoli paesi  di muoversi in perfetta solitudine ha avuto ricadute devastanti. E’ di queste settimane, per esempio, prima dell’invasione dell’Ucraina, la condotta del ministro degli esteri russo Lavrov che sbeffeggiava pubblicamente gli omologhi di Gran Bretagna e Italia, accusando il primo di non conoscere la geografia; e il secondo di non conoscere un minimo di diplomazia in campo internazionale. L’Europa Unita ha bisogno di maggiore peso internazionale. Piu’ volte chiedevo, dalla mia scrivania, di superare  gli steccati della unificazione monetaria e di andare oltre fino a raggiungere una politica estera comune degna di questo nome. Il balletto di questi giorni diretto a fermare Putin (Macron, Jonshon, Scholtz etc. etc.) è la prova lampante di una Europa che si muove in maniera a dir poco disomogenea finendo per rafforzare involontariamente l’ aggressore russo. Le sanzioni, peraltro poco efficaci come sappiamo, non possono essere additate come la massima espressione di coesione dell’UE posto che, circostanza peraltro prevedibile ai piu’, in questi giorni  alcuni Paesi (Ungheria, Polonia, Germania) hanno iniziato a sfilarsi da queste per timore di crisi economiche o politiche interne, o peggio, di una “vendetta” russa. Non solo. Le sanzioni votate dall’UE hanno con molta probabilità escluso l’Europa dai negoziati di pace per risolvere un conflitto tutto europeo. Insomma, l’Europa ha perso la sua centralita’ ancora una volta. Certo, gli Stati Uniti  non sono messi meglio con Blinken che percorre l’Europa su e giu’ con poca lucidità, visione , ma soprattutto con molta pericolosità. La politica estera pretende alti rappresentanti della diplomazia internazionale. Negli ultimi anni i responsabili della diplomazia di ogni singolo Paese hanno mortificato e imbarazzato con le loro azioni prive di logica e di obiettivi da raggiungere l’Europa e tutti noi. Hanno danneggiato e conseguentemente indebolito l’Europa come sistema. In Italia, tanto per fare un esempio, cinquant’anni di politica estera per collocare l’Italia al centro del Mediterraneo sono andati in fumo in soli due anni : siamo spariti dal medio oriente, dal corno d’Africa, dall’ Africa settentrionale. Oggi la Farnesina si scopre europeista e atlantista. Due anni prima il suo rappresentante era contro l’Europa e l’euro. Era filo-russo e filo- cinese. Sfilava con i gilet gialli a Parigi contro Macron. Oggi è il nemico giurato di Putin. Ma siamo ovviamente in campagna elettorale. Siffatte condotte mortificano tutta l’Europa. In questa ottica occorre ragionare superando i propri confini nazionali. Dobbiamo andare oltre i tanti pollai che ci sono in Europa e mettere concretamente l’Europa al centro dell’azione politica dei suoi organismi comunitari (dalla difesa alla immigrazione). Occorre ripensare agli assetti dell’Europa attraverso una politica estera comune, forte, all’altezza delle sfide presenti e future. Per evitare una “nuova Ucraina”. Per restituire all’Europa la sua centralità in un mondo sempre piu’ globalizzato. Costruire concretamente una casa comune senza mettere in discussione l’alleanza con gli Stati uniti e l’appartenenza alla NATO. Quei “pazzi” confinati a Gaeta, come Spinelli, Rossi, Colorni, avevano sognato una Europa così costruita. Avevano visto lontano. Loro. Non possiamo piu’ muoverci unilateralmente indebolendo l’eurozona e il suo peso storico, culturale, politico ed economico nel mondo. Occorre smetterla con gli incontri bilaterali o trilaterali tra Paesi UE che dividono non uniscono. La globalizzazione ci impone questo. In caso contrario, l’Europa rischia di finire sul banco degli imputati, come timidamente sta gia’ accadendo in questi settimane. Rischia di essere messa in discussione in quanto entita’ politica ed economica rafforzando inevitabilmente il sovranismo e il populismo che non sono spariti. Riconsiderare l’Europa e il suo ruolo nel mondo e nelle nostre vite non significa non credere nell’Europa Unita. Sono un europeista convinto, ma occorre necessariamente “cambiare rotta”. Adesso. Per il bene di tutti. Prima che l’Europa diventi un terreno fertile per nuovi conflitti. 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L’INVASIONE DELL’UCRAINA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Premessa E’ con molta cautela che affronto il tema in esame e con molta prudenza cerco di chiarire, almeno a mio parere, alcuni punti importanti, talora di difficile soluzione. Condanno senza riserve l’azione militare, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ciò non toglie che condannare il comportamento di un paese (rectius di un despota) non significa aver risolto il problema e neppure derivarne una reazione da prendere senza sciogliere i problemi cui facevo cenno più sopra. I principi di una sana convivenza vs. la real politik. Per una sana convivenza tra i popoli sono sicuramente saggi ed equi, tra gli altri, a) i principi di sovranità di ciascuno stato e quindi la sua libertà di scegliere le sue alleanze e b) di integrità dei propri confini. Non ritengo rientri tra questi principi quello per cui un paese debba essere democratico al suo interno in presenza dei due principi cui ho fatto cenno. A fronte di detti principi, nel campo della real politik, esiste, almeno per i paesi a vocazione imperialista, c) il principio o megli la prassi  che definirei come “la dottrina di Monroe”, dottrina per cui nell’area di influenza di un paese esiste una specie di diritto di allontanare interferenze di altri paesi potenzialmente pericolosi. Ora i principi a) e b) cozzano con la prassi c), per cui, per impostare il proprio comportamento nel caso di crisi quale quella che stiamo vivendo, dobbiamo senz’altro proclamare i valori di a) e b) ma non dobbiamo dimenticare la potenza del fattore c) e quindi tenerne conto per sperare di sviluppare una politica di pace che possa avere un successo. Vedo, quindi, positivamente quanto riportato in un documento NATO  che riporta: ”We made it clear during the 2+4 negotiations that we would not extend NATO  beyond the Elbe (sic). We could not therefore offer membership of NATO  to Poland and the others. We might however consider referring to our interest in these countries in future NATO declarations. (…) About the eventual danger of a revanchist Soviet Union or Russia, instability in the Soviet Union with possible spill-over and the risk of conflicts between eastern European countries, our aim should be for the east European to become prosperous, democratic and western orientated states, with their own military forces strong enough to deter intimidation but not to present a threat to their neighbors. Many of the things we could do for them would be in the economic and political  field, and were not in the gift of NATO or the weu.(…) It would be important in our response not to ostracize the Russians.(…) Nor would NATO have a peacekeeping role in the region (…)”. Le cose sono andate ben diversamente e la sindrome da accerchiamento può aver seriamente preoccupato la Russia al di là della irresponsabilità di Putin, anche l’allargamento ad est della UE può aver contribuito a questa sindrome. La risposta che l’Europa ha dato con l’acquisto di armi da fornire all’Ucraina confligge con lo spirito del documento NATO e va in un verso di escalation piuttosto che nel verso di stringere Putin alle sue responsabilità e inammissibilità logica se rifiuta la prospettiva di una finlandizzazione dell’Ucraina. Sdraiandosi soltanto sui principi a) e b) l’Europa si sbilancia su un versante idealistico che al contrario non ha adottato quando a infrangere quei due principi sono stati gli USA. Nella mia memoria di quando ero ventenne, rimane viva l’invasione che gli USA fecero a Santo Domingo dopo che il Partito Rivoluzionario Dominicano guidato da Juan Bosch vinsero le elezioni del dopo Truillo col 63% dei voti, ma purtroppo casi simili sono molto di più ed anche recenti (ricordo le bugie di Colin Powell). Chiudo ritenendo controproducente l’insistenza di Zelensky per un immediato ingresso dell’Ucraina nella UE.             SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SITUAZIONE NEL DONBASS

  COMUNICATO STAMPA |   Sconcerto e forte preoccupazione esprime l’Associazione nazionale Socialismo XXI secolo per la nuova situazione determinatasi nei rapporti militari e politici relativamente alle regioni ucraine del Donbass. Le decisioni di ieri del Presidente russo Vladimir Putin si caratterizzano negativamente sul piano militare e su quello del rispetto dell’autonomia ed indipendenza degli Stati sovrani. Il comportamento del governo ucraino è stato reticente nell’elaborare un progetto di autonomia delle due regioni del Donbass secondo gli accordi di Minsk del 5 settembre 2014. L’insistenza di voler far aderire l’Ucraina alla NATO è stata una mossa di tipo espansionistico che ha offerto appigli e non ha aiutato a rasserenare i rapporti distensivi in Europa. Gli interessi in gioco pongono in condizione di enormi difficoltà le economie e le condizioni sociali di tutti gli europei per l’inflazione inevitabilmente in crescita e la carenza di approvvigionamenti di gas e petrolio. Le sanzioni che verranno applicate alla Russia saranno causa di probabile penalizzazione dell’economia italiana. Non è solo in atto il dramma delle popolazioni locali, ma si sta svolgendo una lotta internazionale per l’approvvigionamento di materie prime energetiche che mette in pericolo la solidità delle stesse istituzioni europee. L’Unione Europea é una realtà che interessi economici non europei e russi vogliono rendere debole e, purtroppo, tale si sta mostrando la sua politica internazionale. Sconcerto è anche causato dal mancato esame nelle settimane scorse della situazione da parte del Parlamento italiano, composto da partiti e movimenti non in grado di sviluppare una visione della politica internazionale e militare adeguata rispetto ai principi di pace della Costituzione; altrettanto sconcerto causa la posizione del Governo, apparso inefficace e quasi estraneo all’incendio in corso in Europa. I socialisti dell’Associazione nazionale Socialismo XXI secolo chiedono al Governo di assumere all’interno dell’Unione europea e della NATO iniziative concrete di proposte che blocchino ulteriori pericoli bellici e aiutino con decisione e senza tatticismi l’assunzione di soluzioni che riportino pace e distensione in Europa. 22 Febbraio 2022 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

QUALCHE NUMERO DAL PORTOGALLO

di  Franco Astengo | Di seguito alcuni primi dati propedeutici ad una analisi compiuta che dovrà essere svolta nei prossimi giorni sull’esito delle elezioni portoghesi del 30 gennaio. Turno elettorale legislativo generale che ha visto il Partito Socialista di governo conseguire la maggioranza assoluta, al contrario di quanto sembravano indicare sondaggi e pronostici: 1) Anche se di poco è cresciuta la partecipazione al voto. Nel 2019 i votanti erano stati 5.237.484 saliti a 5.389.705, di conseguenza in percentuale dal 54,50% al 57,96%; 2) La maggioranza assoluta conseguita dal Partito Socialista appare soprattutto frutto di uno spostamento nella coalizione di sinistra (e anche al di fuori rimanendo però nel perimetro dell’esquerda). Vediamo i dati: Il Partito Socialista (che afferma il suo ruolo di governo) passa da 1.866.511 voti ottenuti nel 2019 a 2.246.483 voti nel 2022 con un incremento di 379.972 suffragi, in percentuale sui voti validi dal 36,65 al 41,68 (più 5,03%). Nel 2019 il partito Socialista aveva ottenuto 106 seggi saliti nel 2022 a 117. Il Bloco de Esquerda aveva ottenuto nel 2019 492.507 voti (9,67%) scesi nel 2022 a 240.257 (4,46%). In sostanza una flessione di 252.250 voti (in percentuale meno 5,21%) con un dimezzamento dei seggi da 10 a 5. Il glorioso Partito Comunista Portoghese che ebbe come segretario Alvaro Cunhal aveva ottenuto nel 2019 329.241 voti (6,46%) diminuiti nel 2022 a 236.630 (una flessione di 92.611 voti) pari al 4,98% (meno 1,48%) con perdita di 6 seggi da 12 alla metà. In sostanza il BE e il PCP hanno ceduto esattamente il numero di seggi acquisiti dal PS. Anche lo stesso Partito Comunista dei Lavoratori Portoghesi pur collocato all’opposizione e privo di rappresentanza parlamentare ha ceduto 23.833 voti passando da 34.578 a 10.755. A destra, invece, netta avanzato dalla forza estremista di Chega ! (Basta!) nato nel 2019 da una scissione del PSD su posizioni sovraniste. L’estrema destra è passata da 66.448 voti (1 seggio) a 385.498 voti (più 319.05o voti) con 12 seggi invece del solo mandato ottenuto nel 2019. L’avanzata di Cegha! Non ha corrisposto però completamente al calo del PSD, storico rappresentante della destra portoghese che ebbe come leader Cavaco Silva: il PSD infatti è salito in cifra assoluta da 1.420.644 voti a 1.498.605 ( più 77.691) cedendo però 6 seggi (l’assegnazione dei seggi avviene a livello circoscrizionale con il metodo d’Hondt: sistema che favorisce le concentrazioni locali anche se in misura minore del sistema elettorale spagnolo suddiviso in un maggior numero di circoscrizioni, 50). Il successo della destra è da attribuire soprattutto al crollo del Partito Popolare sceso da 216.454 voti nel 2019 (4,25%) a 86.578 voti nel 2022 (1,61%) con un calo di 129.876 voti con la perdita totale dei 5 seggi presenti nel Parlamento precedentemente eletto. Flessione netta anche per gli animalisti – ambientalisti di PAN: nel 2019 166.858 voti e 4 seggi, nel 2022 82.250 voti e 1 seggi. Da ricordare ancora 5 seggi ottenuti da alleanze locali di centro – destra e il mantenimento dell’unico seggio dello storico Partito Repubblicano Portoghese (cresciuto da 55.680 voti a 68.971). Nella sostanza i numeri indicano chiaramente: 1) un piccolo incremento nella partecipazione al voto; 2) uno spostamento a sinistra sulle posizioni di governo del Partito Socialista che potrò governare usufruendo di 117 seggi su 230; 3) avanzata dalla destra sovranista che usufruisce soprattutto del calo del Partito Popolare e della mancata “spallata” dal PSD. Tutto questo come prime indicazioni numeriche. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GABRIEL BORIC NEO PRESIDENTE DEL CILE

di Franco Astengo | Dal martoriato Sud America arriva un messaggio importante a tutta la sinistra e alle forze progressiste. Un messaggio che riguarda tutti coloro che pensano che la storia non sia finita e che ci sia ancora spazio per un cambiamento radicale ed efficace dello “stato di cose presenti”. Il leader della sinistra Gabriel Boric ha vinto le elezioni presidenziali in Cile al ballottaggio contro il neo-pinochettista José Antonio Kast: il numero uno della coalizione Apruebo Dignidad diventa così a 36 anni il più giovane presidente della storia del paese andino, quello in cui si consumò la tragedia (indimenticabile) del golpe made in USA e dell’assassinio del presidente Allende. Apruebo Dignidad (Approvo la Dignità) è la coalizione di sinistra formata dal Partito Comunista Cileno, da Convergencia Social (socialismo libertario) e da altri gruppi (Revolucion Democratica, Comunes, Federazion Rgionalista Verde Social, Fuerza Comun, Movimento Unir, Accion Humanista, Sinistra Cristiana del Chile, Izequerdia Libertaria). Erede del Frente Amplio, Apruebo Dignidad ha ottenuto 1.070.361 voti alle elezioni per la Costituente nel 2021, pari 18,74% e 18 seggi, mentre al primo turno Boric aveva avuto 1.814.809 voti (25,83%) saliti a oltre 4 milioni nel turno di ballottaggio svoltosi ieri. Questa coalizione di sinistra definisce così il proprio perimetro ideale e progettuale: socialismo democratico, giustizia sociale, femminismo, ecologismo, antineoliberismo e il Partito Comunista del Cile non ha ammainato la propria bandiera. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONGRESSO DEL PSOE: SÁNCHEZ RESTA A SINISTRA

In Spagna c’è oggi il governo più avanzato in Europa, e la biografia politica del suo leader, soprannominato “el guapo”, è un modello di coerenza. di Aldo Garzia – www.terzogiornale.it | È stato il congresso del consolidamento della leadership di Pedro Sánchez e della ritrovata unità tra le diverse componenti del Partito socialista spagnolo (Psoe), quello numero 40 che si è svolto lo scorso fine settimana a Valencia. Il premier e segretario del partito ne esce rafforzato politicamente, dopo che dal gennaio 2020 guida l’esecutivo formato da socialisti e Podemos – il più avanzato e a sinistra d’Europa –, dopo aver gestito per due anni un monocolore. Sánchez ha potuto rivendicare i buoni risultati ottenuti contro la pandemia (“stiamo tornando con precauzione alla normalità”) e quelli nelle politiche sociali (riduzione del precariato, salario minimo, patrimoniale sui redditi alti e riforma del mercato del lavoro), dando un giudizio molto positivo della collaborazione (all’inizio sofferta) con Podemos, il partito nato dal movimento degli indignados del 2011. Da qui la richiesta di uno slancio per confermare governo e alleanza nelle prossime elezioni del 2023. Per questo obiettivo ha potuto sfoggiare l’ottima collaborazione con Yolanda Díaz, ministra del lavoro, vicepremier, comunista fin dagli anni Ottanta, molto rispettata dagli organi di informazione, coordinatrice di Podemos (ha sostituito dal marzo 2021 in questo ruolo Pablo Iglesias). L’immagine che rimarrà impressa di questo congresso è tuttavia l’abbraccio tra Felipe González (quattro volte premier dal 1982, fautore della modernizzazione spagnola e del superamento del franchismo in una società democratica) e Luis Rodríguez Zapatero (premier dal 2004 al 2011, ispiratore del “socialismo dei cittadini” e della ulteriore democratizzazione della Spagna). Il primo aveva osteggiato in tutti i modi la collaborazione con Podemos, preferendo quella con Ciudadanos (una formazione centrista dalle effimere fortune); il secondo aveva appoggiato fin dall’inizio Sánchez con convinzione nel suo tentativo di sperimentare la formazione per la prima volta in Spagna di un governo di sinistra e non monocolore Psoe. Nei loro applauditissimi interventi al congresso si sono fatti qualche reciproca puntura di spillo, trovandosi tuttavia d’accordo nel segnalare i successi del governo e nel confermarne la prospettiva. Dietro i due leader hanno siglato una tregua le varie anime del Psoe, a iniziare da quella forte e radicata dell’Andalusia che guarda di solito più al centro del sistema politico che alla sua sinistra. Sánchez, da parte sua, ha molto insistito con orgoglio sull’identità socialista del Psoe: “Anche il recente voto tedesco dimostra che la tradizione socialdemocratica è viva e alle prese con il tema del suo rinnovamento che passa da più coraggiose politiche ambientaliste e dall’incontro con altre componenti della sinistra”. Per il premier e segretario, non esistono alternative alla collaborazione con Podemos, semmai si tratta di rilanciare l’azione riformatrice del governo a iniziare dalla spinosa questione catalana (come rendere più autonomi i rapporti tra Barcellona e Madrid senza cedere al separatismo unilaterale, problema che può diventare centrale da qui alla fine della legislatura nel 2023).   “El guapo” (“il bello”) è il nomignolo popolare di Sánchez, nato a Madrid il 29 febbraio 1972 da genitori militanti socialisti, sposato con Maria Begoña Gómez esperta di marketing, padre di due figlie (Ainhoa e Carlota), alto un metro e novanta, iscrittosi al Psoe già nel 1993, tifoso dell’Atletico Madrid, immagine sportiva e accattivante (un passato da giocatore di basket), abile politicamente, ottimo oratore. È stato facile per lui dare la spallata decisiva a Mariano Rajoy, leader stanco e opaco di un Partito popolare (Pp) in declino sotto i colpi delle sentenze giudiziarie per i molti casi di corruzione. Sánchez è riuscito nel suo tentativo anche perché è tornato a proporre un’idea di Spagna giovane e dinamica con il suo governo valorizzando il rapporto con Podemos e l’eredità del movimento degli indignados. Sánchez ha fatto ottimi studi. Parla correttamente inglese e francese. Ha frequentato le scuole superiori presso il prestigioso istituto Ramiro de Maeztu di Madrid. Si è laureato in Scienze economiche presso l’Università Complutense della capitale spagnola e ha conseguito la specializzazione presso l’Università Camilo José Cela, dove ha ricoperto l’incarico di professore associato di Storia del pensiero economico. Si dichiara femminista da sempre. È stato consulente presso il parlamento europeo e poi per l’Onu in Kosovo. La sua carriera politica inizia nel 2004 come consigliere comunale a Madrid (siamo all’inizio della leadership di Zapatero nel governo e nel Psoe). È diventato deputato per la prima volta nel 2009 in sostituzione del dimissionario Pedro Solbes, ex ministro dell’Economia. Nel suo ufficio di segretario del Psoe, in Calle Ferraz a Madrid, ha attualmente le fotografie di Felipe González e Bob Kennedy, il che farebbe pensare a una specie di veltroniano di casa nostra per il mix delle culture di provenienza, ma la tradizione socialdemocratica resta la sua stella polare. Come definire Sánchez? È un socialdemocratico del 2021. Conosce bene il bagaglio della storia del socialismo europeo (ha una passione particolare per Eduard Bernstein, il primo “revisionista” del marxismo ortodosso, ha studiato le biografie di Willy Brandt e Olof Palme). González gli ha trasmesso il culto per le conquiste del welfare e per l’Unione europea, che in Spagna hanno modernizzato il paese negli anni ottanta dopo quattro decenni di dittatura franchista. Zapatero ha aggiunto in seguito a questa cultura quella dei diritti civili, indicando l’esigenza di ridisegnare una più ampia democrazia politica nelle società europee avanzate. La carriera di Sánchez non è stata tutta in discesa. Farà scuola la sua elezione in due casi distinti al vertice del Psoe. Pur non avendo mai fatto parte in passato del comitato esecutivo del partito, Sánchez è stato uno dei candidati nelle primarie del novembre 2014 indette per la prima volta dai socialisti con l’obiettivo di eleggere il segretario generale al posto del dimissionario Alfredo Pérez Rubalcaba (che aveva perso le elezioni contro Rajoy). Sánchez le vinse con il 49% dei voti. Il congresso straordinario del Psoe, il 26 e 27 luglio 2014, ne ufficializza l’elezione a segretario. La sua leadership non riesce però a rivitalizzare il Psoe nelle elezioni politiche del …

TURCHIA: IN RICORDO DI EBRU TIMTIK

Se n’è andò in silenzio il 27 agosto 2020, in una stanza d’ospedale, dove era stata trasferita dal carcere in seguito al precipitare delle sue condizioni. Se n’è andò al 238esimo di uno sciopero della fame con cui chiedeva un processo equo in un Paese, la Turchia, in cui l’equità e la giustizia sono concetti inesistenti. Specie se sei donna. Specie se sei un’avvocata per i diritti umani. Specie se non pieghi la schiena di fronte a un potere che vorrebbe tapparti la bocca. È morta così, Ebru Timtik, di fame e di ingiustizia. Il suo cuore si è fermato semplicemente perché non aveva più nulla da pompare in un corpo scarnificato dall’inedia. È morta per difendere il suo diritto ad un giusto processo, dopo essere stata condannata a 13 anni, insieme ad altri 18 avvocati come lei, detenuti con l’accusa di terrorismo, solo per aver difeso altre persone accusate dello stesso crimine. È morta come Ibrahim e come Helin e come Mustafa del Grup Yorum, morti dopo 300 giorni di digiuno per combattere la stessa accusa. È morta combattendo con il proprio corpo, fino alle estreme conseguenze, una battaglia che nella Turchia di Erdogan non è più possibile combattere con una parola, un voto, una manifestazione di piazza. È morta come fanno gli eroi, sacrificando la propria vita per i diritti di tutti. C’è solo un modo per celebrare la memoria di questa grande donna: non restare zitti. Far arrivare la sua voce il più lontano possibile, dove lei non può più arrivare. Ci sono idee così forti capaci di sopravvivere anche alla morte. Addio Ebru. Viva Ebru. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it