C’E’ DEL NUOVO NEL CIELO EUROPEO?

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Nel documento franco-tedesco che accompagna la proposta di recovery plan, documento scritto in francese (forse perché il Regno Unito non ci impegna più alla sua lingua, o forse per segnalare un primato francese nella redazione del testo), è interessante leggere, non tanto le modalità di funzionamento del recovery plan, quanto le argomentazioni che stanno come premessa di esso. Le novità maggiori sono contenute nel paragrafo “Accrescere la resilienza, la sovranità economica ed industriale dell’Ue, e dare una nuova spinta al mercato unico”.  Un sunto ce lo dà G.Polillo su StarMagazine col testo che segue:  “Per affrontare le sfide del domani, in un mondo che sarà diverso da quello conosciuto negli anni passati, sarà indispensabile, secondo il protocollo, una maggiore integrazione orizzontale e verticale all’interno del mercato unico, quale elemento di garanzia per la nostra prosperità. Per ottenere un’economia ed una base industriale resiliente e sovrana, così come un mercato unico robusto, occorrerà sostenere una diversificazione delle catene del valore promuovendo un’agenda commerciale ambiziosa ed equilibrata specie nei comparti più sensibili, tra cui quelli relativi alla salute. Settori in cui dovranno essere incoraggiati investimenti di (ri)localizzazione territoriale. Occorrerà quindi modernizzare la politica della concorrenza e degli aiuti di Stato al fine di favorire importanti progetti di comune interesse europeo. Nascita e sviluppo di campioni continentali. Integrando maggiormente il mercato nei settori fondamentali (in particolare digitale, energia e mercati finanziari). Rifar funzionare pienamente le regole di Schengen e rafforzare le frontiere esterne comuni. Riprendere il sentiero della convergenza e accelerare la discussione sull’introduzione di un salario minimo europeo adattato alle situazioni nazionali.” A mio modo di leggere questo documento mi pare poter vedere il rilancio di una programmazione europea che si affianchi al libero mercato per investimenti strategici nei contenuti e nelle localizzazioni atti ad affrontare un domani che non sia così scialbo come il recente passato e che miri all’effettiva convergenza nei fondamentali dei singoli paesi dell’unione. Lo strumento principe mi pare sia individuato nella creazione di “campioni continentali” di cui non è difficile immaginare la matrice egemone, ma ciò detto, non è chi non veda un cambio di passo, o almeno un tentativo di poter modificare lo status quo. In questa prospettiva vale il detto “chi ha più filo da tessere, tessa” che adattato alla nostra situazione italiana significa una inversione della nostra politica in Europa. Abbiamo firmato a Maastricht regole che si sono dimostrate inique e suicide (non per nulla l’istituzione europea non è mai stata così vicina alla crisi definitiva), non abbiamo capito che la banca centrale europea non è una “banca centrale” come invece la è la FED statunitense, abbiamo creato aspettative cui oggi, neppure i più ostinati europeisti credono più. E’ tempo di cogliere al balzo questo accenno di mutamento di indirizzo per iniziare un percorso di rinnovo dell’istituto europeo, prima che esso deperisca implodendo su sé stesso. Non è quindi sottacibile il comportamento della Germania che ha sottoscritto questo documento nei giorni della sentenza di Karlsruhe. Come correttamente scrive Giuseppe Masala ci troviamo, nei prossimi giorni, di fronte a questi possibili accadimenti: “Nel Board della Bce di Giugno la Bce conferma le politiche monetarie dei programmi PEPP e PSPP se non addirittura le aumenta come dimensioni e durata. La Lagarde lo ha annunciato ufficialmente “continueremo a fare ciò che stiamo facendo senza battere ciglio”. Ha la maggioranza nel Board per fare questo contro la Germania? Assolutamente si. ➡️Entro il 3 luglio il Bundestag vota o un atto formale della Bce (esempio scolastico, non arriverà mai) o un atto formale della Bundesbank (che però ha il difetto di non soddisfare le prescrizioni della Corte di Karlsruhe che vuole un atto formale della Bce). Dunque, il Bundestag o boccia il documento o prende atto che non c’è nessun documento. Risultato: il Bundestag intima alla Bundesbank di uscire dai programmi PEPP e PSPP della Bce e di presentare un documento di smobilitazione del portafoglio titoli pubblici della Bundesbank. ➡️La Bundesbank ottempera a quanto prescritto dal Bundestag e dal Dictat di Karslruhe. Potrebbe fare altrimenti? ➡️ Risultato 1: Immediatamente assisteremo ad un immenso tsunami di capitali che entrano in Germania e che manderanno i tassi tedeschi ancora più in negativo e quelli degli altri paesi in positivo. In una parola esploderanno gli spread. ➡️Risultato 2: per evitare che si verifichi quanto previsto al punto precedente la Bundesbank assieme all’annunzio dell’uscita dal programma Pepp e PSPP annuncia, con il Ministero della Finanze tedesco, il Controllo temporaneo del Movimento dei Capitali così come previsto dal TFEU art. 66 per motivi di ordine pubblico. Quello che verrà dopo dipende dalla politica. Stiamo andando a sbattere contro un muro di cemento armato. Astenersi economisti con soluzioni fantasiose del tipo “compro questo, vendo l’altro, faccio un’agenzia europea del debito e faccio prestiti in pool” ecc. Serve una soluzione giuridica che riesca a mettere insieme la Costituzione Tedesca e i trattati UE. O se preferite serve una strategia giuridica che riesca o ad aggirare la Costituzione tedesca o i Trattati UE. Se no succede quanto ho scritto sopra.” In questa prospettiva la Germania firma una proposta franco-tedesca, quella appunto del Recovery plan che raggiunge il culmine della sproporzionalità degli interventi, prevedendo, al di là dei tecnicismi, un principio di erogazioni a fondo perduto commisurate ai danni causati dal covid19 finanziato con un debito comune ripagabile proporzionalmente al capital key. La sfida alla Corte Costituzionale da parte della Merkel pare evidente, meno evidente le conseguenze che ella si aspetta e le reazioni che ella mette in cantiere. Bisogna comunque riconoscere il coraggio di questa mossa, a meno di voler dimostrare una buona volontà che i suoi fedeli paesi seguaci si fanno carico di distruggere. Mai come ora la battaglia è profonda e mai come ora chi ci guida sembra impari alla lotta.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione …

RIMANI E RIFORMA

di Hilary Wainwright | L’esperienza portoghese di essere “dentro e contro” l’Unione Europea INTRODUZIONE “I socialisti portoghesi sono stati in grado di dimostrare che le misure di austerità sono economicamente dannose e ideologicamente condizionate. Nel fare ciò quel paese ha dato prova sia di solidarietà verso gli altri e sperimentato che può esistere un nuovo tipo di relazione tra singoli stati e istituzioni europee.” Clive Lewis, deputato “Dentro  e contro” è un’idea potente: si può essere leali, persino fedeli al progetto ma drasticamente critici verso le sue carenze. E’ quanto molti di noi pensano del partito laburista nella prima parte di questo secolo, e il suo rinnovamento mostra chiaramente quanto creativa e trasformativa possa essere questa posizione.  Il report di Hilary Wainwright descrive il successo del governo socialista del Portogallo nella sua sfida alla UE – con i suoi limiti e soprattutto i suoi presupposti. La storia europea, nel 2015, era dalla parte del primo ministro António Costa. L’obiettivo dell’austerità stava perdendo consenso e legittimazione morale dopo il trattamento della Grecia da parte della Troika. I socialisti portoghesi, nella loro scelta di portare benefici radicali, immediati e pratici nelle vite dei cittadini, sono stati capaci di dimostrare che quelle misure di austerità erano state grandemente dannose a livello economico e ideologicamente condizionate. Nel fare ciò – incrementando il salario minimo, sbloccando le pensioni, aumentando le tasse alle aziende, attaccando la precarietà del lavoro e facendo retromarcia sulle privatizzazioni – il paese ha dato prova di solidarietà e di un nuovo tipo di relazione tra stati e istituzioni europee, avvicinandosi alle ambizioni egalitarie dei suoi fondatori. Questo è un significativo accadimento per coloro che a sinistra discutono di Brexit, o “Lexit”. Molte delle regole considerate come ostacoli alla visione socialista della proprietà pubblica, degli appalti o dell’aiuto di stato, o sonomale interpretate, o sono state superate o sono flessibili. È anche illuminante per tutti noi che siamo stati condizionati a concepire i negoziati con la UE come una prova di forza, e una prova difficile per giunta, in cui 27 sono sempre più forti di uno. Forse questa è l’esperienza di paesi che non sanno quello che vogliono. Per quelli con un programma chiaro, sostenuto da forti, razionali ed etiche argomentazioni, le conclusioni non sono per nulla scontate. Comunque, la conclusione fondamentale è questa: non fai un favore alla UE ignorandone gli errori, non è un’entità inamovibile, e quelli che sembrano essere i suoi obiettivi strategici a lungo termine sono pur sempre soggetti alla volontà dei suoi membri. Si possono realizzare le ambizioni dei suoi fondatori:  pace, riconciliazione, solidarietà, benessere diffuso, solo se i paesi che la compongono si battono per questi fini. Si possono applicare quei valori alle sfide specifiche che affrontiamo oggi solo se i paesi membri si adoprano e restano determinati ad affrontare collettivamente i problemi. Che si tratti di una azienda prepotente e dell’insicurezza dei lavoratori, di una rinascita dell’estrema destra e di una politica razzista, o dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità, nessuna di queste minacce resta strettamente confinata all’interno delle frontiere del singolo stato; nessuna nazione può farcela da sola. L’esperienza del Portogallo, ha comunque dimostrato che nessuna nazione deve esserlo. PRINCIPALI RISULTATI Il governo del partito socialista portoghese sostenuto e in larga misura sollecitato, da un’alleanza col Partito Comunista e il Blocco di Sinistra, ha dimostrato che è possibile attuare un efficace programma anti austerità restando membro della UE. Questo ha comportato resistere con successo ai negoziatori UE e a fronteggiare la loro ripetuta opposizione ai provvedimenti varati dal governo. Il risultato è stato un ribaltamento di tutte le misure introdotte sotto la supervisione della Troika – pur restando nel limite UE del 3% di deficit. La possibilità del successo di questi negoziati dal punto di vista portoghese è dipesa da un  bilanciamento positivo dei poteri, che ha rafforzato la posizione negoziale del governo. Successo a sua volta sostenuto da (a) una forte resistenza civica all’austerità fin dalla fine del governo precedente, (b) partiti a sinistra del Partito Socialista (PS) alleati con lui, con l’autonomia di fare apertamente campagna per una forte resistenza alle pressioni UE; e (c) un retroterra di pronunciamenti negativi della Corte Costituzionale su molti dei provvedimenti presi dal governo precedente che mettevano in atto politiche di austerità, per violazione dei diritti fondamentali. La costituzione democratica redatta nel 1976, dopo la rivoluzione che ha messo fine alla dittatura nel 1974, ha contribuito al favorevole equilibrio dei poteri. Questa vicenda di pluralismo politico  significa che il sistema permette ad una pluralità di partiti di allearsi col governo (per esempio sulle misure anti-austerità),  i quali nello stesso tempo hanno l’autonomia per esprimere differenti obiettivi a lungo termine (per esempio l’opposizione ai principi neo liberisti incorporati nei trattati UE). A livello economico, le misure anti austerità hanno avuto un effetto moltiplicatore sulla fiducia e le aspettative dei consumatori. L’esperienza portoghese mostra come singoli paesi possano lavorare in direzione contraria all’ortodossia neoliberista dei trattati di Maastricht e di Lisbona. Inoltre apre alla possibilità di una strategia a lungo termine per cambiare gli stessi trattati UE, creando una  massa critica con i governi che, agendo come il Portogallo, hanno negoziato un livello minimo di protezione contro l’austerità,  all’interno delle regole UE. Questo crea uno spazio che col tempo può essere allargato, quando il Portogallo troverà alleati per portare avanti riforme a livello europeo. Data l’avanzata di governi neo liberisti e ora di estrema destra in tutta Europa, questo obiettivo pare ancora lontano. Tuttavia la Spagna ora si è mossa nella stessa direzione del Portogallo e questo offre l’opportunità al Regno Unito, sotto un governo a guida Corbyn, di restare e riformare l’UE a sua volta. L’ESPERIENZA DEL PORTOGALLO Di fronte alla scelta della Gran Bretagna tra libero mercato, Brexit xenofoba e liberismo UE, è utile imparare dall’esperienza di un governo che ha avuto successo nello sfidare l’austerità neoliberista dal di dentro. In Portogallo, solo il governo attuale è arrivato alla fine del mandato quadriennale. Sono andata a cercare di capire come i partiti …

A CHI GIOVA LA FINE DEL SOGNO EUROPEO?

  di Beppe Scanni –  Vice presidente di Socialismo XXI |   Interesse o solidarietà? Il futuro dell’UE ed i nuovi assetti internazionali In attesa di capire come il mondo modificherà i suoi costumi di vita conclusa la pandemia del corona virus cominciamo a intravvedere che in Europa gli Stati sovrani, specialmente del Nord e del patto di Visegrad, hanno sostituito alla solidarietà l’interesse. Se si debbono studiare misure di solidarietà per i paesi che più degli altri soffrono della simmetrica crisi legata al malevolo virus, si deve fare, spiegano anime belle, candide e progressiste, perché conviene. C’è chi nei Paesi Bassi, pur restando nel Governo guidato da chi anche in patria comincia ad essere assimilato più ad un contabile che ad uno statista, sostiene che senza l’Europa l’Olanda non potrebbe essere tanto ricca come lo è attualmente ed una rottura del patto europeo sarebbe fatale per l’economia sua e dei paesi nordici. In Germania il discorso è parimente legato al paventato danno irreparabile non solo per i suoi commerci ma per la sussistenza del suo ruolo strategico nel sistema planetario. I nodi istituzionali son venuti al pettine ed i capelli politici ancorché ben lavati restano tenacemente arruffati. La retorica dispiegata dalla destra italiana ed europea (il centro democratico della destra nonostante alchemiche misture berlusconiane si è da tempo volatilizzato) non riesce a spiegare quanto la Commissione ed il Parlamento Europeo siano (relativamente) poco incidenti nell’indirizzo e gestione del sistema della proclamata Unione che tale non è. I reali poteri sono saldamente nelle mani del Consiglio europeo e quindi degli Stati che li gestiscono secondo le più ferree regole dettate dalla real politik. Il sovranismo proclamato dalle destre è già al potere in Europa e l’Italia fatica a partecipare al gruppo di testa per la debolezza acquisita negli ultimi venticinque anni di seconda, giusto per dare una definizione all’ingrosso, Repubblica. Dopo il vertice di Nizza (2000) si persero le speranze di una nuova Europa con la solenne bocciatura tramite Referendum, nel 2005, prima in Olanda e poi in Francia della Costituzione Europea che, con diverse difficoltà, Chirac e il gruppo di redazione, di cui fece parte per l’Italia Giuliano Amato, erano riusciti a redigere in un testo accettabile. Da allora la Commissione da Governo dell’Europa è divenuta una segreteria operativa del Consiglio e le decisioni del Parlamento spesso non ledono la corazza che erge lo stesso Consiglio, a volte ritardando per anni una presa di decisione. Una delle opzioni possibili della scena politica ed economica del futuro deve quindi prendere in conto uno slabbramento ulteriore dell’ideale politico che ha reso, nell’ambito dell’Alleanza atlantica, l’Europa una comunità solidale e pacifica capace di realizzare progresso e benessere per i suoi cittadini, non dimenticando la cooperazione ed il sostegno offerti a tanta parte del pianeta. Scricchiola il patto franco-tedesco, e questo è un male, perché l’interesse primo degli europei è la garanzia della pace e nessuno, neanche il più ottimista, può giurare sulla impossibilità per la Germania di ricadere nelle fauci dei suoi demoni; non è poi una assurdità valutare la potenza militare e nucleare della Francia una garanzia non soltanto per l’Esagono ma per tutto il continente, perché non è considerabile offensiva nei confronti della Russia, e, per la sua dislocazione strategica, va considerata dissuasiva a favore degli alleati e dell’Europa. Parigi, a differenza di Berlino, sa cogliere i momenti della Storia e, cercando di mantenersi all’interno del perimetro ideale che ha scelto dalla sua Rivoluzione in poi, prova a contemperare l’ossessione di essere prima in qualsivoglia competizione scientifica, tecnica, artistica e prima nel disincantato empireo delle libertà individuali e dello spirito, coi sentimenti di eguaglianza tra gli uomini e di rispetto delle altrui libertà. Esercizio difficile che qualche volta non riesce o riesce male, stonato, antipatico. Comunque è con l’alleanza della Francia che l’Italia ha trovato lo spazio per scrivere le sue vittorie. Parigi ha scelto una strada diversa da quella di Berlino, solidarietà prima dell’interesse, ed è questa una scelta che incupisce la già poco allegra Cancelliera Merkel che sa quanto siano stati essenziali i deboli governi Sarkozy ed Hollande per profittare senza pagare il pegno pattuito dell’accrescimento fuor di misura dell’avanzo commerciale, che pian piano ha messo in difficoltà tutti gli altri grandi paesi dell’Unione. Sa bene la Cancelliera che senza l’ausilio politico e diplomatico della Francia e poi dell’Italia non avrebbe potuto, a spese dell’Europa intera, pagare l’inaffidabile governo Erdogan per fermare il fiume di migranti in fuga principalmente dalla Siria. Sa ancora la Cancelliera che senza l’Unione sarebbe stata soccombente alla irruenza ostativa commerciale e diplomatica di Trump. Indebolita nel suo partito e, quanto basta, nell’elettorato il capo della Germania dimostra più chiaramente che nel passato le sue opacità, che a loro volta trascinano le istituzioni europee, ripeto espressione di sovranismo, in una crisi senza sbocchi non diversa da quella auspicata da Orbán, Meloni e Salvini. L’interesse italiano è, ovviamente, quello di perseguire le linee tradizionali della sua politica sapendo che oggi è più difficile e costoso praticarle. Abbiamo interesse a vivere in un Continente non ostacolato da barriere doganali perché abbiamo bisogno di concorrere nel mercato globale per non essere esclusi da settori produttivi per noi essenziali (tra i tanti cito: agroalimentare, farmaceutica e chimica, avionica, ma si potrebbe continuare). Abbiamo interesse a mantenere l’Euro, se non altro perché il 20% del nostro debito in Euro e nelle mani della Banca Centrale Europea (che si accinge ad acquistarne altro) e già ora depurando il 138% di debito sul PIL del 20% della BEC e della percentuale in mano ai sottoscrittori pubblici italiani (compresa la Banca d’Italia) i mercati sanno che il “rischio” Italia si riduce a meno del 100% del PIL, un peso assolutamente sostenibile, pur essendo chiaro che il montante generale del debito deve essere drasticamente diminuito. Fuori dall’Euro la pressione speculativa sarebbe intollerabile perché il rischio Italia esploderebbe in previsione di una seria recessione. Dobbiamo operare perché, nonostante lo strapotere sovranista impedisca la creazione di nuovi poteri europei (Bilancio europeo per cominciare), le …

DEMOCRAZIA ILLIBERALE: UN PUNTO DI RIFLESSIONE PER PSE E SINISTRA EUROPEA

di Franco Astengo | L’emergenza sanitaria ha rappresentato l’occasione perfetta per far scivolare la “democrazia illiberale” nella dittatura. Sta capitando in Ungheria, nel cuore dell’Europa dove al potere (adesso pieni poteri senza limiti) si trova un personaggio addirittura iscritto al PPE. Personaggio che appunto aveva definito il suo modello di governo proprio come “democrazia illiberale” distinguendosi nella costruzione di recinzioni e reticolati per lunghi tratti di confine, nel corso della piena crisi dei migranti che l’Europa aveva attraversato durante l’estate scorsa. “Pieni poteri” che in quello stesso momento erano reclamati anche in Italia per far fronte a una emergenza inventata: un particolare da non dimenticare. Il colpo di mano di Orbàn non può essere lasciato passare inosservato soltanto perché l’impegno massimo deve essere rivolto alla battaglia sanitaria. Dobbiamo trovare modo e tempo perché ci si pronunci con chiarezza. A livello sovranazionale si devono trovare forze capaci non semplicemente di condannare ma anche di ostacolare questa deriva pericolosa, dando così fiato anche a quei soggetti che in Ungheria si troveranno schiacciati da questo stato di cose: non solo le forze politiche, ma quelle sociali e – soprattutto – della comunicazione. Inutile girarci intorno: il tema è di dimensione europea, così come è di dimensione europea -almeno in prima battuta- il problema dell’affrontamento della dimensione economica della crisi. Oggi, nella dilagante retorica commemorativa, il commissario Ue per il mercato interno, il francese Breton, parla di nazionalizzazioni per difendere le aziende dai predatori e di un fondo finanziato dagli Stati per le emissioni obbligazionarie di lungo termine. Si tratta soltanto di esempi del confuso tentativo di affrontare l’urgenza dell’attualità. Si contraddicono molti principi portati avanti nel corso di questi anni di presunta austerità liberista, portata avanti per mantenere il potere da parte di chi stava dalla parte delle disuguaglianze economiche e politiche. Contraddizioni “simulacro” quelle che si leggono in questi giorni, ma che dovrebbero però essere prese in considerazione per aprire varchi e proporre alternative. Emergono nuove contraddizioni, tra difficoltà evidenti che si incontrano nel proseguire il processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” e nel ritrovare il ruolo dello Stato nell’inedito di questa crisi. Non si ravvede però una proposta alternativa che non sia fondata soltanto sulla “pars destruens”. E’ necessario prima di tutto essere consapevoli del fatto che gli eventi in corso reclamano una dimensione di intervento e iniziativa sovranazionale. E’ proprio al livello superiore a quello della nazionalità che va elaborata una dimensione di proposta politica che assieme tenga conto delle specificità nazionali (specificità che poggiano su diversità profonde tra struttura statale, dimensione economica, assetto sociale) e dell’obbligatorietà di valutare intrecci che dovrebbero portare a definire superiori livelli di decisionalità. In Europa siamo ben lontani dal disporre di una proposta valida in questo senso e non disponiamo certo di soggetti che si siano fin qui dimostrati capaci di pensare a una transizione dall’emergenza di oggi verso una diversa realtà dei rapporti economici, sociali e politici. Non è il momento però di definire livello di scontro su diverse visioni del riformismo. Sinistra Europea e Partito Socialista Europeo dovrebbero essere capaci di aprire assieme un confronto posto al livello della drammaticità dei fatti, individuando come primo obiettivo comune la difesa delle democrazie nazionali nella forma della rappresentanza e del ruolo dei diversi Parlamenti. In secondo luogo si tratta di porre al centro di un ragionamento possibile la necessità di ridefinire complessivamente presenza e ruolo del Parlamento Europeo nel senso di un ampliamento delle sue forme democratiche di espressione rivolte nel senso di assunzione di una effettiva decisionalità sovranazionale. E’ evidente che a questo tipo di iniziativa di “allargamento democratico” sarebbero legate anche le grandi battaglie da portare avanti sul piano economico nel senso dell’affrontamento del debito comune e del finanziamento dell’eccezionalità orientando con decisione le coordinate di un modello ben diverso da quello distrutto dal sorgere dell’emergenza. Nella piena consapevolezza che stiamo parlando di poco più di un’utopia e che di fronte abbiamo da scalare l’Everest delle ingiustizie seguite al periodo dei “30 gloriosi” e attuate nel nome di un feroce darwinismo sociale si tratta di cercare di comprendere assieme prima di tutto come non abbiamo di fronte soltanto l’emergenza sanitaria e quella economica. Il caso ungherese richiama drammaticamente all’esplosione di una emergenza democratica . Il rischio è quello di un contagio dell’autoritarismo verso Paesi già particolarmente sensibili a questo tipo di richiamo e verso forze politiche che, nel nazionalismo e nella propensione alla sollecitazione all’egoismo, potrebbero trovare alimento per i loro disegni di limitazione delle agibilità politiche nell’ottica di un superamento dei dettati costituzionali. Sicuramente il modello della democrazia liberale è in crisi e va superato con proposte nuove ma va impedito che, in questo momento, sia posto in ulteriore difficoltà proprio sul versante proposto dal “modello ungherese” del ritorno del bonapartismo (se non peggio) in una situazione geografica strategica come quella della Mitteleuropa. — ° —   L’APPELLO DEL PARTITO SOCIALISTA UNGHERESE ABBIAMO FIDUCIA NEL POPOLO UNGHERESE E NELL’UNGHERIA, MA NON CI FIDIAMO DEL GOVERNO ORBAN. PERTANTO, ANCHE IN UNA TALE SITUAZIONE DI CRISI, NON POSSIAMO TOLLERARE IL POTERE ILLIMITATO AL SUO REGIME. L’epidemia è davvero il nostro nemico comune, le nostre libertà prevalenti, tuttavia, che sono state spesso vergognose e la nostra democrazia è il nostro tesoro comune. Mentre proteggiamo la nostra salute e la nostra vita, dobbiamo proteggere ciò che resta della nostra patria. Insieme, noi, i partiti dell’opposizione, vediamo che nelle ultime settimane il governo ha dimostrato di non essere in grado di riconoscere e affrontare le minacce in tempo. Vediamo che continuano a trattare i cittadini ungheresi e i loro rappresentanti come partner; preferiscono vederli come un avversario politico da sconfiggere dal regime. Non è quello che pensiamo. Crediamo che dobbiamo agire insieme e, per questo, pianificare e decidere insieme. Siamo stati privati di questa opportunità e così anche milioni dei nostri compatrioti in Ungheria. Possiamo e desideriamo contribuire a prendere decisioni comuni e significative per combattere l’epidemia, ma non permetteremo che il nostro paese venga deriso o superato a causa del pericolo …

LE VECCHIE ABITUDINI DELL’EUROPA

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania |   Nel precedente articolo ho affrontato alcune criticità dell’Europa ed esprimevo un cauto ottimismo nella scelta della BCE di stanziare 750 miliardi di euro per l’acquisto di titoli di stato onde finanziare i Paesi impegnati nella duplice emergenza sanitaria ed economica. Un cambiamento di rotta significativo nel nome della cooperazione e della solidarietà tra Nazioni europee. Dopo l’ultima riunione dell’Ecofin cè stata una inversione di tendenza e sono tornati i soliti fantasmi. Alla richiesta italiana di attingere prestiti fino a circa 100 miliardi di euro dal MES (fondo salva-stati), i Paese del Nord Europa, Olanda e Germania in testa, hanno fatto sentire tutta la loro contrarietà e insofferenza verso una maggiore flessibilità dei meccanismi economici europei: si ai prestiti, ma alle solite condizioni che prevedono in tempi rapidi la ristrutturazione del debito in luogo dei 30/40 anni come richiesti dall’Italia, e non solo. Caduto nel vuoto l’appello del Presidente Mattarella di non creare in questa fase delicatissima ostacoli a quelle comunità nazionali maggiormente in difficoltà come l’Italia, i Paesi più ricchi o meno indebitati, più virtuosi di altri, nel nome di un certo moralismo quantomeno finanziario, con i loro veti rischiano di aggravare la crisi economica nell’eurozona già pesantissima, determinata dalla pandemia internazionale. Le conseguenze di scelte poco coraggiose, ed il ricorso a certi retaggi, comprometterebbero la ripresa economica per la mancanza di risorse da investire subito e dopo il superamento dell’emergenza da COVID-19. A sostegno delle tesi italiane, si sono schierate anche la Spagna e la Francia che di fatto ha cancellato il tradizionale asse con Berlino avendo la necessità di reperire risorse per affrontare l’emergenza sanitaria ed economica. Meglio tardi che mai!   Di fronte alla posizione di alcuni Paesi, la Germania continua nel suo silenzio assordante mantenendo in piedi quel muro impenetrabile che ha caratterizzato l’intera politica continentale fino all’avvento del virus che ha messo in evidenza tutti i limiti dell’UE. Insomma, una nuova cortina di ferro rischia di abbattersi sull’Europa. Il momento è grave poiché la posta in gioco è il futuro dell’Europa. Le vecchie abitudini di una certa Europa tornano ad aleggiare nel vecchio continente come un fantasma, che non è quello invocato da Marx nel suo “Manifesto del partito comunista”. E’ l’ansia di primeggiare e di rivaleggiare con chi sta messo peggio. Da un lato i virtuosi; dall’altro, gli spreconi, e così si compromette l’unità europea. Vogliamo una Europa a due velocità? Un Nord e un Sud? Non credo. Ma occorre discontinuità e scelte coraggiose, peraltro, invocate anche da Draghi sul Financial Times. Inevitabilmente è necessario fare debito per salvare l’economia dell’eurozona. Le affermazioni di qualche giorno fa della Lagarde vanno ben oltre il cattivo gusto perché perseverano su quella visione politica germanocentrica dell’Europa secondo la quale le regole non possono essere cambiate o sospese anche di fronte ad una emergenza senza precedenti. Dopo l’emergenza sanitaria occorrerà ricostruire il tesuto produttivo e sociale dell’Italia e dell’Europa e ciò richiede inevitabilmente notevoli risorse che non possono essere concesse a condizioni “capestro”. Pena la recessione, o peggio, la depressione economica per anni come nel 1929. Dopo il coronavirus rischiamo di morire di fame. E’ necessario, pertanto, accantonare gli egoismi e gli interessi nazionali e mettere al centro l’Europa, unita e indivisibile, solidale e giusta, perché solo insieme ce la faremo. E’ così difficile comprenderlo? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

APPELLO INTERNAZIONALE PER GLI EUROBOND

Nell’immagine di copertina Thomas Piketty | Firmato da oltre 550 economisti delle Università di tutto il mondo. Sono 10 pagine di firme. Una fra tutte: Thomas Piketty). An Open Letter to the Members of the European Council (This letter was also published on Financial Time.com) The Covid-19 crisis will make or break the Eurozone. The ECB has said they will do whatever it takes. They have signalled they will use whatever monetary policies they can to finance and support the fiscal effort. No member state should have to seek a bailout or sign a Memorandum of Understanding (MoU) to access emergency EU funding. This is a European crisis. It requires a European solution. Rather than have each member-state issuing their own debt to fund their fiscal efforts, we call on the European Council to agree a common Eurobond. We need a common debt instrument in order to mutualize the fiscal costs of fighting this crisis. Now is time for action. Now is the time for solidarity. It is time for Eurobonds. (ovvero, pressappoco: “La crisi del Covid-19 farà o spaccherà l’Eurozona. La Bce ha detto che farà qualsiasi cosa sia necessaria. Userà qualunque politica monetaria con la quale finanziare e sostenere lo sforzo fiscale. Nessuno stato membro dovrebbe cercare un piano di salvataggio o firmare un Memorandum per accedere ai finanziamenti europei di emergenza. Questa è una crisi europea. Richiede una soluzione europea. Piuttosto che ogni singolo stato membro sia costretto ad emettere titoli del proprio debito per finanziare il suo sforzo fiscale, noi chiediamo al Consiglio europeo accordarsi su un Eurobond comunitario. Noi abbiamo bisogno di uno strumento comune di debito per mutualizzare i costi fiscali per combattere questa crisi. Ora è il tempo dell’azione. Ora è il tempo della solidarietà. Ora è il tempo per gli Eurobond”). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA CINA SOLIDALE, E L’EUROPA?

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania |   In questi giorni si discute molto del ruolo dell’Europa. L’emergenza sanitaria ha sferzato duramente l’Unione Europea, mettendo in evidenza i suoi limiti che da tempo erano stati denunciati dagli osservatori politici più acuti. La vicenda italiana segnata dall’emergenza sanitaria ha posto in tutta la sua drammaticità ovviamente la “questione europea”. Per questione europea dobbiamo intendere lo stato dell’unione e il persistente unilateralismo degli stati membri. La pandemia europea ha riacceso i riflettori sull’assenza di cooperazione e solidarietà, principi posti a fondamento del trattato di Maastricht. L’unilateralismo, specie di Francia e Germania, ha compromesso i rapporti tra tutti gli stati membri. Non concedere all’Italia in grave difficoltà le mascherine ed altri dispositivi sanitari per limitare i contagi, non solo non fa onore a queste nazioni, ma ha determinato una frattura all’interno dell’UE. Di questa frattura si è fatta carico la Cina. La nazione asiatica ha risposto all’appello italiano inviando al nostro Paese appunto ciò che i partners europei avevano rifiutato e/o negato di fare. La solidarietà cinese ha, però, un significato politico più grande, ritengo. Insinuarsi nel continente europeo e porsi alla guida del mondo soverchiando lo strapotere americano. Prima l’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, poi gli Stati Uniti e ora la Cina, cioè passare da un dollars exchange system ad un sistema ecomico guidato dallo yuan. Ne ha fatta di strada  la Cina da Mao in poi. E’ l’effetto della globalizzazione. Certo, sia chiaro, siamo contenti dell’invio di mascherine e medici epidemiologi già esperti, ma il significato politico è molto più grande e va al di là degli aiuti e della solidarietà. Xi Jinping in Patria è colui che ha liberato la Cina dal flagello coronavirus, ma è anche “ un bambino dal cuore buono” per la stampa di regime per gli aiuti concessi ai fratelli italiani, noi che avevamo chiuso i voli diretti verso la Cina. Così la Cina si è sostituita all’Europa, un dettaglio non da poco su cui la commissione europea dovrebbe fare delle riflesioni o il “mea culpa”, anche perché l’Italia è uno dei paesi fondatori dell’UE e contribuisce annualmente al mantenimento delle strutture comunitarie. Meglio sempre ricordarlo.  Il trattato di Maastricht, appena superata l’emergenza sanitaria che oramai investe l’intero vecchio continente, deve necessariamente essere corretto. Non basta l’euro, oggi a rischio, la vera posta in gioco. In definitiva, l’Europa deve comprendere che non basta solo l’economia per risolvere ogni problema, se manca ogni forma di cooperazione e solidarietà. La pandemia ci ha insegnato questo. L’unilateralismo di certi Stati membri, che abbiamo visto in questi giorni, appare poco aderente alle finalità del trattato di Maastricht ed appare come l’ennesimo tentativo di taluni di anteporre gli egoismi nazionali alle questioni comuni. “Ognuno per sé”, insomma. Così l’Europa non potrà mai pienamente funzionare ed entrare nei cuori dei cittadini europei che considerano  per lo più la commissione europea e la BCE dei fardelli.  Occorre cambiare rotta, occorre più Europa, attraverso la revisione del patto di stabilità, oggi sopseso, o meglio superato, e del fondo salva-stati (MES), perché i sovranismi e i populismi sono dietro l’angolo, ma ritengo, altresì, che l’UE deve poter mettere in campo politiche che uniscano e non dividano i cittadini europei. Qualcosa pare si stia muovendo in questi giorni e ci lascia ben sperare per il cammino futuro. La BCE stanzierà per l’emergenza sanitaria in Europa circa 750 miliardi di euro. Con una tale somma si potranno, ritengo, acquistare titoli di stato per dare liquidità ai Paesi impegnati a fronteggiare l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica. Solo così si potrà evitare la catastrofe: la recessione e il vorticoso aumento del tasso di disoccupazione e la chiusura di milioni di imprese nella zona euro. Speriamo sia solo l’inizio e che agli interventi economici, giustificati dall’emergenza sanitaria, seguano altri interventi a tutela della coesione sociale europea.         SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA POCHEZZA DELL’ITALIA E DELL’EUROPA IN POLITICA ESTERA

  di Anna Rito – Coordinatrice Socialismo XXI Basilicata | A livello internazionale, l’Italia trasmette marginalità come dimostrano gli ultimi accadimenti in Libia e in Iran. Il Ministro degli Esteri Di Maio invita al dialogo e a rispettare il cessate il fuoco ma il sospetto, che la sua esortazione non basti, è tuttavia corposo. Anche l’Unione Europea, però, sembra fare molta fatica ad arginare le dinamiche che dall’altra parte del Mediterraneo si sono messe in moto. La debolezza dell’Italia e dell’Europa hanno un comune denominatore che è da cercare in una crisi culturale che ha origine nella storia degli Stati europei prima della nascita dell’Unione Europea. Una storia fatta anche di sentimento nazionalistico, che ha prodotto guerre, genocidi, conquiste, oppressione. Una vera coesione ancora fatica a nascere e per questo quando ci sono importanti questioni internazionali non c’è una posizione europea univoca. La nomina di un “Ministro degli Esteri” europeo, che è in sostanza un politico senza un vero potere e che agisce solo da mediatore, rivela quanto ci sia di fantasioso dietro l’idea di una comune politica estera. In quanto all’Italia, ancora più indebolita dagli ultimi governi, non riesce a dare un’immagine chiara e unitaria in politica estera. Continua a prevalere una polemica concentrata su miopi calcoli elettorali che ostacola qualsiasi analisi, visione e azione con le quali affrontare le strategie mediterranee.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NOTA SULLE ELEZIONI INGLESI

Foto Jeremy Corbin – Fonte:theguardian.com   di Silvano Veronese – Vice Presidente di Socialismo XXI |   Ho notato un deprimente provincialismo in molta stampa italiana per informare e commentare le recenti elezioni  in Gran Bretagna. Il Corriere della Sera ha dedicato, a partire dalla prima, ben sei pagine, quasi che la situazione in quel Paese possa essere paragonabile alla nostra, dimenticandosi che questo evento  elettorale di oltre Manica  si è giocato attorno al problema “Brexit subito” oppure no! Ma la cosa che piu’ infastidisce è stato il motivo dominante di molti commenti  rappresentato dal mettere in evidenza la crisi del Labour e la sua vocazione socialista, una crisi, secondo molti commentatori, al limite del crollo che investirebbe tutto il socialismo europeo, trascurando strumentalmente il fatto che i socialisti hanno il premierato in Svezia, Danimarca, Spagna e Portogallo maturato o confermato in recenti elezioni. In termini di parlamentari eletti è pur vero che i Conservatori inglesi hanno stravinto (364 seggi) e i laburisti hanno preso una batosta (206 seggi), ma per una valutazione piu’ serena e puntuale serve anche valutare la particolare situazione britannica ed il suo sistema elettorale che è un maggioritario puro uninominale per collegio a turno unico. In questi sistemi elettorali maggioritari poco rappresentativi è sufficiente che un partito (il suo candidato) arrivino primi anche per un solo  voto sul secondo per portarsi a casa il seggio. Il partito laburista ha preso il 32,3% dei voti contro il 43,6% dei conservatori. Nel passato al Labour è bastato pochissimo piu’ di questo non trascurabile 32% per avere la maggioranza ai Comuni. Con il proporzionale puro le differenze odierne tra i due partiti, in termini di seggi, sarebbero state ben diverse ed oggi non saremmo qui a parlare di disastro per il Labour e di stragrande successo dei “Tory”. Per giunta, un fatto che molti interessati commentatori hanno trascurato consiste nella desistenza che il partito xenofobo di Nigel Farage (il partito ultra Brexit) ha deciso e  praticato a favore dei Conservatori. Alle recenti ultime europee (dove si vota con il proporzionale) questo partito ha avuto un grosso risultato (primo con il 32% di voti e molti eletti), questa volta in moltissimi collegi (tradizionalmente laburisti, ma a discreta presenza “Tory”) NON si è presentato dando indicazione di voto ai suoi seguaci ed elettori di votare per Johnson, anche lui come loro fortemente pro-Brexit. Se i liberali, fortemente europeisti, che hanno avuto un consenso in termini di voti pari all’11,6% (ma che non avevano grandi speranze di guadagnare seggi in molti collegi in quanto terzi, tant’è che hanno guadagnato solo 11 seggi), avessero fatto desistenza a favore del Labour e se cosi’ avessero pure fatto i Verdi con il loro 2,7% e zero seggi oppure gli Irlandesi cattolici del Sein Fenn (risultati primi in Irlanda del Nord), avessero fatto altrettanto, oggi saremmo qui a parlare di un ben altro risultato. In termini di consenso elettorale (cioè di voti) i Conservatori, pur con l’aggiunta del Partito Brexit di Nigel Farage sono minoranza nel Paese, diventano maggioranza assoluta in Parlamento, grazie al sistema maggioritario uninominale. Una lezione da tenere in mente qui in Italia, dato che si sta discutendo di un nuovo sistema elettorale. Cio’ non toglie che, forse, Corbyn non era e non è il leader piu’ adeguato per il Labour, non tanto per un suo presunto radicalismo, piu’ apparente che reale, quanto per il messaggio “old style“, incerto ed astratto che ha offerto all’elettorato e nella gestione del dopo referendum di uscita dall’Europa, oltre a mancare di un certo appeal come leader che “fa premio ” in politica al giorno d’oggi. In un sistema maggioritario, tanto piu’ a turno unico come nelle nostre elezioni regionali, se la sinistra vuol vincere, conta molto la strategia  delle alleanze che non significa sempre la lista unica oppure fare una coalizione organica, a volte è sufficiente anche la desistenza che lascia ad ogni partito la sua autonomia in termini di identità. Questo aspetto, che è l’unica lezione che dobbiamo trarre dalle recenti  elezioni inglesi,  interessa molto  anche la sinistra italiana o l’area progressista del nostro Paese in tutte le sue variegate componenti. Diversamente, sardine o non sardine, la destra italiana continuerà a mietere successi.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NUMERI ELETTORALI DAL REGNO UNITO

di Franco Astengo | L’esito delle elezioni britanniche del 12 dicembre è stato particolarmente chiaro e non sussistono dubbi di interpretazione: non hanno vinto i conservatori ma hanno perso i laburisti. L’incremento dei tories, infatti, sul piano complessivo (che in Gran Bretagna non conta) è stato minimo: da 13.662.914 voti il partito di Boris Johnson è passato a 13.945.200 guadagnando 282.286 suffragi. Contemporaneamente il Labour scendeva da 12.874.985 voti a 10.292.054 con un arretramento di 2.582.931 unità: un vero e proprio tracollo che ha portato alla perdita di 59 seggi. La maggior parte delle perdite laburiste sono confluite verso i Liberaldemocratici con un guadagno di 1.303.577 suffragi: la particolarità del sistema elettorale britannico basato sul plurality “secco” (sistema costruito in tempi di rigido bipartitismo) ha fatto sì che per i liberaldemocratici quest’aumento di voti abbia corrisposto alla perdita di un seggio da 12 a 11. Ancora una volta il dato più interessante delle elezioni britanniche è dato dall’analisi dell’indice di distorsione che il sistema elettorale produce nel merito della capacità della formula usata di produrre rappresentanza politica: negli ultimi tempi la frammentazione aveva anche reso difficile la governabilità mentre l’esito di questa tornata (considerato l’omogeneità sul territorio fatta registrare dal Labour Party) ha prodotto una maggioranza certa. Esaminiamo allora alcuni dati che evidenziano proprio questo indice di distorsione. Andando per ordine: 1 – Nel 2017 i conservatori ebbero 13.632.914 per 317 seggi: servirono quindi 43.006 voti per ogni seggio (naturalmente nella realtà non è così data la diversa popolazione per ogni collegio). Due anni dopo i voti sono stati 13.945.200 per 364 seggi: 38.310 suffragi a seggio. Attenzione a questo dato. 2 – Due anni fa i laburisti avevano ottenuto 12.874.985 voti per 262 seggi, 49.141 voti per ogni deputato eletto. Nel 2019 i voti sono stati 10.292.054 per 203 eletti: 50.699 ciascheduno. In fondo una differenza minima per ogni collegio a fronte di una perdita molto secca sul piano complessivo ma spalmata sul territorio in modo da perdere 59 deputati. 3 – La distorsione prodotta dalla formula elettorale ha colpito particolarmente i Liberaldemocratici principali eredi del voto in perdita dei laburisti. Il partito di Jo Swinson ha ottenuto 3.675.342 voti incrementando di 1.303.570 unità (2017: 2.371.772) e perdendo un seggio da 12 a 11. Ogni deputato è quindi “costato” in termini di voti 334.122 unità, quasi dieci volte tanto un deputato conservatore. 4 – Al contrario il partito Unionista nordirlandese è salito da 8 a 10 deputati ottenendo 292.316 voti: 29231 a seggio, mentre i Verdi hanno ottenuto il loro unico collegio (Brighton Pavillon) pur avendo realizzato un totale di 864.743 voti con una crescita di 339.372 unità 5 – Il partito della Brexit che si è presentato soltanto in un certo numero di collegi utilizzando il meccanismo della desistenza per favorire i conservatori ha totalizzato 642.303 voti e rimane comunque escluso dalla Camera dei Comuni 6 – Registriamo anche un caso di calo abbastanza considerevole nell’ambito di piccoli numeri e di tenuta nel numero dei seggi: il Sinn Fein, infatti, ha perso 57.332 voti (su 238.915) mantenendo i suoi 7 seggi che adesso valgono ciascuno 25.940 voti. Da segnalare anche il risultato del partito Socialdemocratico e Laburista nordirlandese che ha avuto 2 seggi con 118.737 voti mentre nel 2017 con 95.419 non aveva vinto in alcun collegio. 7 – Infine, per queste prime sommarie indicazioni, un riscontro circa la  partecipazione al voto rimasta pressoché inalterata: nel 2017 si ebbero  complessivamente 32.196.918 voti validi, nel 2019 un minimo decremento  che ha portato il totale dei suffragi regolarmente espressi a fermarsi a  31.930.307 (su 649 collegi scrutinati su 650). L’indicazione conclusiva riguarda l’attualità della formula elettorale britannica: in questo caso il dato di governabilità è stato assicurato, ma per caso in quanto l’indice di frammentazione nel rapporto voti /seggi appare assolutamente squilibrato causando un vulnus nella capacità di rappresentanza del sistema. Un dato che deve essere ben analizzato anche da chi, in Italia, si appresta all’ennesima modifica del sistema elettorale e risulta pendente anche un referendum attraverso il quale si pretenderebbe di imporre anche da noi il maggioritario secco. Da far notare, in questo senso, che nel caso dell’UK i conservatori realizzano la maggioranza assoluta con circa 13 milioni di voti e i loro oppositori, di diversa estrazione e collocazione, ne mettono assieme 18 milioni: una maggioranza assoluta attribuita a una minoranza relativa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it