GIUSEPPE DI VAGNO

Nacque a Conversano (Bari) il 12 apr. 1889 da Leonardo Antonio e da Rosa Rutigliano, in un’agiata famiglia contadina. Dopo aver compiuto con buoni risultati gli studi liceali presso il locale seminario, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma, ove subì l’influenza politico-giuridica di Enrico Ferri. Laureatosi nel 1912, dopo aver svolto un breve periodo di attività forense nella capitale, si iscrisse al partito socialista e tornò definitivamente a Conversano, ove promosse le lotte popolari e bracciantili di quegli anni. Nelle elezioni del 1914 fu eletto per la lista socialista al Consiglio provinciale. Interventista su basi democratiche prima dello scoppio della guerra, denunciò successivamente la natura imperialista della stessa. Durante il conflitto, col grado di caporale, fu relegato fra la truppa di stanza in Sardegna a causa delle sue opinioni. Il 10 nov. 1917 venne violentemente attaccato nel Consiglio provinciale per la sua posizione di supposto disfattismo. La violenta polemica ebbe immediata ripercussione in una manifestazione di piazza scatenata contro di lui dai gruppi nazionalisti. Nell’anno successivo incominciò la sua collaborazione ai giornali progressisti L’Oriente, Gazzettino di Puglia e Il Giornale del Sud. Sempre nello stesso anno, per la sua attività politica, venne schedato presso il Casellario politico centrale (8 febbraio). Dopo la guerra riprese a svolgere l’incarico di segretario dell’Ente provinciale di consumo, che aveva cominciato già da prima del conflitto, suscitando però le critiche di alcuni socialisti operaisti che consideravano l’Ente un’istituzione borghese. È di quegli anni, inoltre, la ripresa su vasta scala dei suoi interventi processuali a difesa di braccianti imputati di reati economico-politici in danno dei latifondisti locali. Nel 1919, a causa della sua adesione al programma meridionalista di Gaetano Salvemini, fu escluso dalla lista dei candidati del Partito socialista italiano alle elezioni politiche. Superato il momento d’attrito interno al partito, nell’ottobre del 1920 venne riconfermato come rappresentante socialista nel Consiglio provinciale e, nell’anno successivo, nominato direttore dell’organo della federazione socialista di Bari Puglia rossa. Durante uno sciopero generale, proclamato dalle organizzazioni proletarie di Conversano il 25 febbraio per protestare contro le violenze fasciste, scoppiarono gravi incidenti popolari. Pur non avendo direttamente partecipato agli scontri, Di Vagno fu indicato dai fascisti come l’animatore degli incidenti. La prepotenza fascista, tollerata dalle autorità governative, giunse al punto da metterlo al bando della cittadina. Egli, comunque, continuò la sua azione di organizzatore del movimento socialista nella regione in un clima di continue violenze: i fascisti, l’8 maggio 1921, a pochi giorni dalla consultazione elettorale politica, incendiarono la Camera del lavoro di Conversano. Le elezioni del 15 maggio videro, però, un ampio successo di Di Vagno che venne eletto nella lista socialista nella circoscrizione di Bari e Foggia con ben 74.602 voti preferenziali. A Conversano, però, ne ottenne Solo 22 a causa delle intimidazioni messe in opera dai fascisti locali. Entrato in Parlamento, venne chiamato a svolgere le funzioni di segretario della commissione Giustizia. Il 30 maggio 1921, con l’intenzione di infrangere la proscrizione fascista, andò a tenere un comizio a Conversano. Al termine della manifestazione una squadra di fascisti provenienti da Cerignola organizzò un attentato. Invece di Di Vagno, nell’agguato rimase però ucciso un altro militante socialista, Cosimo Conte, e vennero feriti nove contadini. Durante gli scontri trovò la morte anche il fascista Ernesto Ingravalle. Tentativi di aggressione nel suoi confronti proseguirono nei giorni successivi a Casamassima, Noci e Putignano. Pochi mesi dopo, mentre si stava recando a Mola di Bari per l’inaugurazione di una sezione, Di Vagno venne avvertito che si stava organizzando un nuovo agguato contro di lui. Ciononostante egli volle ugualmente raggiungere il 25 sett. 1921 il centro costiero pugliese. Dopo un comizio tenuto in piazza XX settembre, una squadra fascista proveniente da Conversano lo aggredì con colpi di rivoltella e con una bomba a mano in via Loreto. Ferito gravemente Di Vagno spirò il giorno successivo nel locale ospedale civile. Per l’omicidio furono rinviati a giudizio presso la corte di assise di Bari lo studente Luigi Lorusso, quale autore materiale, e altri nove correi, ma, nel dicembre del 1922, prima ancora che fosse esaurita la fase processuale, gli imputati vennero amnistiati e poterono tornare a Conversano accolti dai fascisti in modo trionfale. All’indomani della caduta del regime il procedimento penale venne riaperto e, dopo alterne vicende, si chiuse il 31 luglio 1947. La corte di assise di Potenza, escludendo la premeditazione, emise condanne varianti fra 10 ed 18 anni di reclusione, provocando una veemente polemica da parte delle forze politiche progressiste. Con il provvedimento di amnistia di Togliatti tornarono in libertà. Fonti: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LINA MERLIN

All’anagrafe Angelina Merlin Pozzonovo (PD) 15 ottobre 1887 – Padova, 16 agosto 1979. Maestra elementare, politica e partigiana, membro dell’Assemblea costituente, prima donna ad essere eletta al Senato. Nota soprattutto per la legge n. 75 entrata in vigore il 20 settembre 1958 – conosciuta come legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia. Nel 1914, la ventisettenne Lina si laurea in Lingua e Letteratura Francese. Il 1914 è anche l’anno in cui iniziano i combattimenti della prima guerra mondiale e l’Italia, neutrale, viene scossa dalle manifestazioni degli interventisti che chiedono la rottura dell’alleanza con l’Austria e la Prussia per completare l’unità d’Italia con la liberazione di Trento e Trieste. Convinto dell’opportunità di questa scelta è Mario Merlin, fratello di Lina, il quale ritiene necessario concludere la parabola risorgimentale con una quarta guerra di indipendenza. Lina, su posizioni antimilitariste, viene bonariamente dileggiata dal fratello con l’epiteto di “pacefondaia”. La guerra causa la morte di tre fratelli di Lina: Umberto, Mario, Carluccio. Nel 1919 torna dal fronte Antonio detto Nino, unico maschio superstite che raggiunge la famiglia a Padova con i genitori e le sorelle Lina e Letizia. I primi passi in politica di Lina Merlin Lina Merlin, profondamente scossa dagli eventi della guerra e dal clima amaro successivo al conflitto, sente di non poter restare in disparte e si trova a condividere le posizioni espresse dai socialisti, verso cui si era già trovata in sintonia per la scelta neutralista. Da poco, vicino alla sua casa, si è trasferito il medico socialista Dante Gallani, del quale proprio nel ’19 torna dal fronte anche il figlio maggiore Mario, contemporaneamente a Nino Merlin, suo coetaneo. I due giovani si trovano ben presto uniti in un analogo percorso di vita: condividono posizioni antimilitariste, simpatie verso il partito socialista e la scelta di iscriversi entrambi alla facoltà di medicina presso l’università di Padova. Tra le famiglie Merlin e Gallani si intrecciano pertanto forti legami di amicizia e condivisione di temi politici. Dante Gallani, eletto deputato nel 1919, dà vita al giornale socialista L’Eco dei lavoratori, dove lavora anche Lina. Dal nascente partito fascista iniziano a intensificarsi le minacce al giornale che, anziché scoraggiare Lina, la convincono che quella del socialismo è la strada giusta per tentare di arginare le prepotenze politiche. Nel dicembre 1921 Lina Merlin è coinvolta nell’assalto armato della casa del sindaco di Pozzonovo dove si trova ospite. Gli assediati si difendono sparando e colpendo a morte un giovane assalitore fascista. Nell’agosto del ’22 i fascisti distruggono la sede de L’Eco dei lavoratori e il giornale continua una sua vita clandestina stampato ora a Venezia ora a Treviso per eludere le aggressioni. La Merlin antifascista Nel 1925 vengono messi al bando i partiti politici e decretata l’obbligatoria iscrizione al Pnf per tutti i dipendenti statali. Lina Merlin rifiuta e viene privata del posto di maestra. A Padova vengono affisse ai crocicchi di alcune strade delle liste di antifascisti meritevoli di morte dove compaiono i nomi di Lina Merlin e Dante Gallani. I due fuggono a Milano, dove vengono arrestati con l’accusa di ricostituzione del Partito Socialista. Dopo il processo, il confino: Dante Gallani in Basilicata, Lina Merlin in Sardegna. Per entrambi il confino termina con l’amnistia nel ’29. L’anno successivo Lina va a vivere a Milano dal fratello Nino, divenuto dentista. E a Milano si trasferisce anche la famiglia Gallani. I due, sempre controllati dalla polizia, riescono comunque a organizzare incontri con dissidenti del regime. Lina per vivere dà lezioni private. Nel 1932 muore la moglie di Dante Gallani, che l’anno successivo può unirsi in matrimonio con la Merlin: lui ha 55 anni, lei 46. Viene così sancita quell’unione di ideali e sentimenti consolidatasi dieci anni prima e sempre rimasta viva. Soltanto tre anni dopo, però, nel 1936 Dante Gallani cesserà di vivere, mentre Lina continuerà a tessere la tela dell’antifascismo, collaborando con i comunisti ritenuti in questo periodo decisamente più attivi dei socialisti. La guerra, il Senato e la Camera Nel giugno del ’45 Lina viene nominata componente della Direzione nazionale del partito. Il nuovo corso inizia pieno di speranze, ma nel contempo ha modo di constatare il prevalere di logiche di potere, cosicché ben presto avverte un’estraneità nei confronti del partito “…che si serve di dirigenti senza scrupoli, oltre che senza altra capacità politica di quella di servire i capi, mutando orientamento a seconda del vento che soffia”. Ciò nonostante si prodiga per il nuovo corso dell’Italia repubblicana, come membro della Costituente, venendo poi eletta senatrice nel collegio di Adria nell’aprile del 1948, all’età di 61 anni. Lina Merlin, infaticabile nel percorrere le strade polesane per ascoltare la voce dei suoi elettori, con non pochi dei quali stabilisce un vero rapporto di amicizia, viene soprannominata la “Madonna Pellegrina Socialista”. Ed al Senato, quando prende la parola, qualche parlamentare osserva stizzito: “Ecco il Polesine”. Nel 1953, a 66 anni, viene rieletta senatrice, ma la sua insoddisfazione per la dirigenza del partito, specie riguardo alla segreteria rodigina, non ha tregua. Nel 1958, settantunenne, viene eletta alla Camera dei Deputati. E’ questo l’anno in cui viene approvata la legge per la chiusura delle case di tolleranza che l’aveva a lungo impegnata, contemporaneamente all’attività parlamentare che la vede particolarmente attiva per il rinnovamento della legislazione concernente la famiglia e il ruolo della donna. Nel giugno del ’61, divenuto insanabile il contrasto con la segreteria rodigina, Lina Merlin restituisce la tessera del partito, evitando di recedere dal suo proposito nonostante l’interessamento di molte personalità, tra cui si distinse in particolare Pietro Nenni. Rimane in parlamento fino al ’63, dopo di che si trasferisce a Milano dove continua ad interessarsi di problematiche sociali. Ad 81 anni, nel 1968, sempre a Milano, si stabilisce in una stanzetta della Casa della laureata. Lina Merlin vivrà ancora dieci anni. Dopo aver fatto ritorno a Padova nel 1972, accolta presso la Casa di Riposo “Il Nazaret”, si spegnerà quasi novantaduenne il 16 agosto 1979. La senatrice ribelle che non volle legare il suo nome a una legge. …

EPIFANIO LI PUMA

Epifanio Leonardo Li Puma nacque a Raffo, una frazione di Petralia Soprana il 06/01/1893. Ha sempre vissuto in questa borgata che per certi versi assomigliava a tutti i villaggi meridionali dove la gente nasceva e moriva senza lasciar traccia. A Raffo si poteva arrivare solamente a piedi sul basto di animali attraverso le “trazzere”, non c’era luce e l’acqua sgorgava da una fontanella posta al centro dell’abitato. Cominciò a lavorare giovanissimo. Chiamato dalle armi per 18 mesi, il suo servizio verso la patria continuò poi in guerra dove combattè al fronte per quattro anni. Dal matrimonio con Michela ebbe 10 figli. Epifanio come tutti i padri di allora era severo e rigoroso, non faceva discriminazioni tra maschi e femmine, e per il fatto che nessuno dei suoi figli vagabondasse per strada, era stimato. Infaticabile lavoratore usciva alle prime luci dell’alba e rientrava all’imbrunire, un ritorno dai campi sempre atteso dai figli che vedendolo arrivare si facevano trovare all’ingresso del centro abitato per toglierli di mano le redini della mula e quello che portava, grazie al quale si poteva vivere. Era molto religioso, non si consumavano pasti senza ringraziare il Signore con il segno della croce, non era d’accordo sul modo d’agire della chiesa sul piano politico ed economico, ma considerava la chiesa un punto di riferimento. Un carattere rigoroso, egli teneva molto alla forma: quando parlava con gli estranei non voleva essere disturbato dai figli, ai quali raccomandava come comportarsi in pubblico; non usava rimproverare, bastava una sola occhiata per far capire loro quello che in quel momento voleva dire. Uomo all’antica di grande discrezione. IL SINDACALISTA – La prima lotta la intraprese al ritorno dalla prima guerra mondiale, rivendicando le terre che lo Stato aveva promesso ai combattenti. Epifanio Li Puma era contro il fascismo e lo diceva apertamente, il suo coraggio e la sua determinazione erano a conoscenza di tutti. Non era un rivoluzionario, ma un pacifista che credeva nello stato e nella legge uguale per tutti. Un politico sindacalista, che in occasione del referendum sulla monarchia o repubblica si schierò, facendo votare, in favore di quest’ultima. I suoi discorsi politici erano sempre a favore della sinistra e del PSI che lui indicava come il partito che dava pane perché credeva negli ideali politici del socialismo. Si adoperava per difendere e rivendicare i diritti del popolo e nonostante fosse sprovvisto di una base culturale operò una rivoluzione fra i contadini spingendoli a chiedere i propri diritti nei confronti degli agrari. Per questo organizzò a Raffo nel 1946 la lega dei lavoratori della terra in quanto aveva capito che solo attraverso i sindacati le sorti dei contadini potevano risollevarsi. Questo suo impegno naturalmente lo portò a scontrarsi con il feudatario presso cui lavorava. Quest’uomo poteva diventare pericoloso, era una voce stonata nel silenzio delle campane, così egli cominciò a ricevere intimidazioni e minacce di sfratto dal feudo. Epifanio non si preoccupò. Dirigeva la lotta secondo la legge bandendo soverchierie o oltraggi. Iniziarono gli incontri fra i capi lega che a contatto con i dirigenti provinciali e delle locali camere del lavoro riuscivano ad avere notizia sull’esistenza di nuove leggi, sul riparto dei prodotti (decreti Gullo) o sull’assegnazione delle terre incolte alle cooperative. Con la costruzione della lega iniziarono le prime riunioni e le prime rivendicazioni, infatti, le riunioni della lega non solo servivano ad organizzare la lotta ma anche a informare i cittadini di quanto stava avvenendo dal punto di vista politico, legislativo e sindacale. Le riunioni, in un primo tempo e fino a quando non diventarono segrete, venivano comunicate in vari modi, suonando la campana o a passaparola. A tenere le riunioni era sempre lui, le cui parole, rappresentavano un “fastidio” per i proprietari terrieri. Chiamati con lo pseudonimo di “pescicani” o “parassiti”. Nonostante il clima di intimidazione e schiavizzazione, le riunioni continuarono ma divennero segrete. L’argomento in discussione negli incontri era sempre lo stesso: decidere di non lavorare più il terreno del marchese per costringerlo a riconoscere le leggi vincenti. Una scelta difficile da fare visto che quel pezzo di terra da coltivare era l’unica fonte di vita per molte famiglie. Di fronte a questo problema, in occasione delle ripartizioni del prodotto, per ottenere l’applicazione delle nuove percentuali, dettate dal “decreto Gullo”, Li Puma convocò i Capi-lega delle borgate vicine e protestò la necessità di chiedere all’organizzazione sindacale l’assistenza di un avvocato. Nel 1947, visto i primi successi, si diede l’avvio all’occupazione simbolica delle terre incolte e mal coltivate con l’obiettivo della “terra a chi lavora”. Dall’attuazione del decreto Gullo si passa all’attuazione del decreto N°89 naturalmente non applicato in Sicilia per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate a favore delle cooperativa contadine. Con questa speranza Li Puma assieme agli altri capi-lega lanciò la proposta della costituzione di una cooperativa agricola che prese il nome di “Madreterra” e venne avanzata la richiesta per ottenere 5000 ettari di terra. La richiesta venne respinta, ma questo non scoraggiò i contadini che decisero di non seminare e di non coltivare la terra dei padroni. Le riunioni si intensificarono e il movimento contadino stava prendendo piede. Epifanio veniva ripetutamente minacciato. A chi gli consigliava di denunciare coloro che lo minacciavano rispondeva “quattro anni di guerra, di prima linea e di trincea neanche una ferita e ora dovrei aver paura qua?…” L’ UCCISIONE – Epifanio Li Puma fu ucciso il 2 marzo 1948, mentre lavorava il suo pezzo di terra, da due colpi di fucile provenienti da due uomini a cavallo davanti a due dei suoi figli. Un uccisione che nessuno ipotizzava, ma che per certi versi era annunciata visto che la lotta contro le famiglie feudali si era fatta aspra e la mafia era tutta mobilitata. Un assassinio che arrivò perché Li Puma non si tirò mai indietro, un omicidio necessario perché per battere il movimento, in piena campagna elettorale per le elezioni del 18 Aprile ’48, bisognava dare un segnale forte eliminando fisicamente un capo-lega, un dirigente del movimento contadino. Le soluzioni adottate dai feudatari e dalla mafia …