TRE PUNTI CHE VORREI CONDIVIDERE

In questa fase estiva, nella quiete delle montagne o sulle spiagge affollate, ci sono tre punti di politica che mi colpiscono particolarmente e che vorrei condividere con  chi mi legge. I tre punti sono Fisco, PIL e Cina. 1 – FISCO Il fisco italiano non è mai stato così confuso ed ingiusto; il principio costituzionale della progressività (che non è un principio bolscevico ma nettamente marginalistico) viene sfacciatamente calpestato in una politica che, stante le enormi difficoltà della prossima legge di bilancio, cerca di recuperare gettito da tutte le parti. Pare che il governo rispolveri l’imposta sui superprofitti bancari vergognosamente fallita nel precedente tentativo. L’ingiustizia del varato concordato preventivo biennale si palesa in questo semplice esempio: se concordo con il fisco un imponibile con 10.000€ in più dell’ultima dichiarazione, su quell’eccedenza oltre a non subire controlli per due anni, pagherà solo il 10% ma se tale incremento si calcolasse sul reddito da lavoro o da pensione l’imposta sarebbe esattamente quattro volte tanto. La revisione delle rendite catastali è stata definitivamente affossata e i regimi a flat tax dominano la situazione fiscale italiana caratterizzata da una evasione mostruosa. Sorprende nei programmi del Pd e/o dei partiti del campo largo l’assenza assoluta di una lotta seria contro un fisco ingiusto. Che parlare di tasse faccia perdere voti? 2 – PIL Il PIL nel secondo trimestre 2024 è aumentato dello 0.2% rispetto al PIL del primo trimestre con una proiezione annua vicina all’1% previsto dal DEF. L’incremento è decisamente inferiore a quello registrato in Spagna e in Francia mentre la Germania continua con la stagnazione. Ma l’esame delle componenti economiche fa riscontrare un incremento nel turismo (si prospetta, e si vede, una annata notevole) ma si riscontra un decremento nell’industria, nell’agricoltura e nella pesca. Il decremento della produzione industriale preoccupa molto stante la nostra posizione di subfornitori della Germania, risentendo quindi della crisi di quel paese. Siamo in un periodo storico caratterizzato da profonde innovazioni schumpeteriane (penso all’intelligenza artificiale, ai computer quantistici, alle energie rinnovabili), innovazioni che sgominano nel mercato chi non sta al passo delle nuove tecnologie che mutano in modo profondo il modo di produzione. Rischiamo l’emarginazione del nostro paese ma, quel che è peggio, rischiamo anche la marginalizzazione dell’Europa. Solo Draghi sembra accorgersene mentre l’Europa pensa solo a riarmarsi, subendo il ricatto della politica USA. 3 – CINA Se c’è un paese che strutturalmente fonda il suo progresso su un mondo pacifico a cui vendere i suoi prodotti, i prodotti della fabbrica del mondo. La Cina non conosce attività bellica da oltre 50 anni; si impegna nella ricerca di trattative diplomatiche per pacificare le guerre in Ucraina e a Gaza; penso ai dodici punti emessi pochi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina ed in particolare all’affermazione dell’integrità territoriale dei paesi; penso alla riunione con tutte le componenti politiche operanti nel medio oriente e interessate a Gaza e alla Cisgiordania. La Cina è il maggior competitore al mondo degli USA; è vero  che non sia un paese democratico ma quanto sta succedendo negli USA in questo periodo storico mette molto in dubbio la positività della democrazia, voglio dire che se l’autoritarismo cinese non è certamente condivisibile non lo è certamente l’attuale fase della democrazia USA mentre se guardiamo ai risultati il modello cinese pare essere più efficace del modello USA. Tutto ciò per dire che sono molto preoccupato dai preparativi che gli USA stanno costruendo per creare un casus belli prendendo come punto critico Taiwan. Gli USA pare vogliano scaricare sull’Europa la questione russa, sfiancando l’Europa inducendola a investire in armi e non in tecnologia (vedi punto precedente) e concentrarsi sul Pacifico unendo le forze con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda in uno scontro con la pacifica Cina. In questa fase dell’imperialismo USA dobbiamo essere determinati nel rifiuto dell’orientalizzazione della NATO. Il futuro dell’Europa sta nello sviluppo tecnologico dell’Europa, non certo nel vassallaggio dell’Europa alle mire espansionistiche degli USA. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PROGRAMMA DI URSULA VON DER LEYEN

Non mi interessa tanto la figura fallimentare della nostra presidente del consiglio nella sessione europea di rinnovo del Consiglio e degli organismi dell’Europa per il prossimo quinquennio. Ciò che mi interessa di più è il futuro che l’Europa si sta disegnando nella Zeitenwende determinata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e dalla probabile vittoria di Donald Trump nelle prossime elezioni statunitensi del prossimo novembre. Vedo di sintetizzare al massimo i punti salienti del prossimo orizzonte politico: ● gli Stati Uniti ritengono finito l’innaturale periodo di tutela dell’Europa, tutela di cui si sono fatti carico e che deve invece essere assunta dai paesi dell’Europa; probabilmente la Germania è il paese che deve prendersi le maggiori responsabilità nel costruire un apparato militare in grado di permettere agli Stati Uniti di rimpatriare 35.000 unità oggi presenti sul suolo europeo. Gli USA garantiscono la copertura atomica, e quindi, grazie alla loro generosità, ci lasciano tutte le istallazioni nucleari che riguardano anche il nostro paese. ● in questo contesto l’Europa deve investire cifre considerevoli nella difesa, devono sollecitarsi ad adempiere l’impegno di portare le spese per la difesa al 2% del PIL, ed auspicabilmente portare quel parametro al 3%. La nostra presidente del consiglio ha affermato il rispetto di quell’impegno anche se non ha precisato i tempi entro i quali l’impegno sarà rispettato. Nel programma di insediamento di Ursula fon der Leyen si legge che tra il 2019 e il 2021 l’Ue ha aumentato la spesa militare del 20%, la Russia del 300% e la Cina del 600%. Numeri impressionanti per cui non è un caso che la presidente eletta abbia annunciato la nascita di un commissario alla Difesa incarico reclamato dalla Francia per il suo rappresentante Thierry Breton. La presidente eletta ha anche citato la necessità di un nuovo Recovery Fund che dia impulsi alla competitività europea e agli investimenti. Quindi viene riproposto il protagonismo dell’Europa sul fronte degli investimenti, ma grava il grande dubbio che i 500 miliardi che il rapporto sulla competitività predisposto da Draghi e che sarà presentato in autunno voleva investire annualmente per rendere l’Europa competitiva con l’egemonia statunitense e cinese, verranno dirottati sugli investimenti militari indispensabili per la sicurezza europea di fronte all’aggressività della Russia e della Cina. Il programma della presidente eletta va quindi visto come un vero Zeitenwende dando ai programmi europei una colorazione militare preparando l’Europa allo scontro. Delinea un atteggiamento dell’Europa verso la militarizzazione, l’escalation della tensione, lo scontro e il ricorso a metodi di confronto nella politica estera. ● Il vero obiettivo strategico militare statunitense non è in Europa o in Medio Oriente, dove la questione di Gaza è un fastidiosissimo incidente fomentato da quell’irresponsabile di Nethanyau, ma è sul fronte Pacifico, è il rapporto con il gigante cinese che sta assumendo sempre più importanza nella politica estera degli USA. La Cina che da cinquant’anni non ha uno scontro militare, che opera con una efficacissima conquista di aree di influenza operando con commerci, investimenti, rivoluzioni monetarie, è accusata di continue minacce e di gravissime operazioni aggressive. In questo contesto gli USA stanno cercando l’orientalizzazione della NATO invitando al recente congresso di Washington anche paesi come Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, che nulla hanno a che fare con il patto atlantico. Al contrario tendono a coinvolgere i paesi atlantici nella politica di attacco al colosso cinese. In questo scenario di una guerra mondiale, per ora a livello di strategie preparatorie, ne consegue che l’Europa viene incaricata di farsi carico della sicurezza del suo territorio minacciato dalla aggressività della Russia e auspicabilmente di tendere ad un raffreddamento della situazione medio orientale. In questa prospettiva viene rilanciato un Recovery Fund che va finalizzato agli investimenti militari e di difesa abbandonando la priorità degli investimenti auspicati da Draghi per l’innovazione tecnologica e produttiva che ci avrebbe potuto vedere competitivi con USA e Cina, riducendoci quindi a una colonia degli USA. Liberati gli USA dai compiti di garante della sicurezza europea, presente comunque nei siti atomici, gli stessi si potranno concentrare sul fronte Pacifico con una grande coalizione anti cinese cui non è escluso che anche l’Europa possa essere coinvolta con l’orientalizzazione della NATO. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA NATO E L’EUROPA

Alcune cose di questa riunione a Washington della NATO mi lasciano decisamente perplesso, anzi mi preoccupano per le prospettive che questo patto atlantico sta mettendo a fondamento non della difesa e della pace, ma a una politica di imperialismo, tanto più preoccupante perché guidata da un paese come gli USA in evidente perdita di egemonia dove tra l’altro, come dice Federico Rampini, a novembre si potrebbero scontrare per le elezioni presidenziali da una parte un deficiente e dall’altra un delinquente. Primo punto riarmo su tutti i fronti, innalzamento delle spese militari dal 2 al 3% del PIL. L’incapacità dell’Europa di porsi come soggetto economicamente e politicamente rilevante, ne determina la crescente perdita di credibilità e la crescente sottomissione a livello di colonia. In economia il famoso protocollo Draghi incentrato sulla necessità di investire come Europa 500 miliardi l’anno per difendere la nostra posizione economica dall’espansionismo USA e Cina, è il grido di allarme che l’inetta Europa sarà incapace di ascoltare, mentre, Giorgia Meloni in testa, promettiamo di aumentare lo stanziamento di bilancio per le armi. Il povero Giorgetti cerca di far intravvedere la nostra capacità di fare un bilancio che sani deficit e riduca il debito, ma la presidente del consiglio ai miliardi necessari per prorogare il cuneo fiscale, attenersi alle norme europee su deficit e debito, non fa altro che aggiungere miliardi per fornire armi all’Ucraina. A parte il fatto che la nostra Costituzione indica la strada della trattativa alla logica ripudiata della guerra, queste scelte aggravano il costo che ogni giorno, dalla spesa al mercato, dal mutuo di casa, dall’inflazione insoluta stiamo pagando per questa politica verso l’Ucraina tesa ad una vittoria impossibile che riscontra ogni giorno di più una escalation senza fine. Risultato, un deterioramento della economia europea a favore dell’espansionismo USA che trova il suo vangelo nell’Inflation Reduction Act altrimenti detto l’IRA di Biden. Secondo punto. La NATO prevede all’art. 5 che se un paese NATO è assalito da un paese terzo (ad esempio guarda caso la Russia) tutti i paesi NATO devono correre in aiuto all’alleato assalito. Ma se la NATO permette ad un paese membro (ad esempio la Polonia) di colpire un paese terzo e questo paese terzo reagisce all’attacco, perché gli altri paesi NATO dovrebbero correre a difendere l’assalitore? Ma ieri si è deciso di piazzare entro il 2026 (quindi una cosa programmata a medio termine) missili a lunga gittata in Germania come deterrenza nei confronti della Russia. Povera Germania, ancora ammutolita dal fatto che l’alleato gli ha distrutto due gasdotti (il nord stream one e il nord stream due) che permettevano grazie al gas russo di non pagare dazi all’Ucraina e di sostenere le sue ambizioni mercantilistiche. Mancando quel gas la Germania entra in recessione e trascina su questo versante anche il paese (il nostro) che tanto esporta a supporto della produzione tedesca. Questo militarizzazione culminante nella nomina della Kallas a responsabile esteri europea, questo insistere per l’ingresso dell’Ucraina (ben lontana dall’avere un minimo di requisiti necessari all’ingresso) nella NATO, queste esercitazioni della NATO in terreno ucraino già prima del 2022 sono sintomi della ricerca di una nuova guerra fredda che pur aveva conosciuto rapporti migliori. Bisogna riconoscere che l’azione di Berlusconi aveva creato a Pratica di Mare un clima che poteva portare ad un rafforzamento sensibile dell’Europa. L’azione di Clinton che ha sollecitato e convinto molti paesi ex sovietici a entrare nella NATO è sfociata in una avanzata dei confini della NATO a est (fino a lambire la Russia) disconoscendo tutte le riassicurazioni date. Sono sintomi di colonizzazione del nostro territorio. Terzo punto. Ma il vero nemico degli USA è la CINA, la Russia ormai è un catorcio di paese. Il vero obiettivo degli USA sta nel Pacifico, è là che si prospetta il vero confronto tra due entità che tra l’altro hanno già creato aree monetariamente divise e conflittuali: dedollarizzazione e BRICS. Ebbene non c’è da chiedersi perché a questa riunione NATO a Washington sono stati invitati il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda? Cos’è questa orientalizzazione della NATO? Che c’entriamo noi con le mire imperialiste degli USA? Perché questo continuo provocare Pechino su Taiwan? Perché la visita di Nancy Pelosi a Taiwan? E noi ci vogliamo far coinvolgere in questa operazione? A quanto pare abbiamo inviato in quei mari la nostra portaerei Cavour. E’ un caso o un atto di atlantismo esagerato? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FINANZIARE LA SPESA PUBBLICA

Lo Stato sociale tende a diminuire le differenze e disuguaglianze reddituale dei cittadini fornendo pubblici servizi, tra cui fondamentali la scuola e la sanità, con prezzi non determinati dal meccanismo del libero mercato. Il finanziamento della spesa pubblica è finanziata dalle imposte che, come recita la Costituzione, sono informate al principio di progressività. L’ossimoro dei programmi politici dei partiti consiste nel promettere più servizi e meno imposte (volgarmente il motto berlusconiano “meno tasse per tutti), è evidente che maggiori servizi richiedono maggiori imposte, anche se una maggior efficienza del servizio pubblico (il corrispondente della produttività nell’economia produttiva) e una maggior equità nel sistema fiscale potrebbero, congiuntamente, realizzare, almeno in parte, quella contraddizione. Nella realtà, invece, si assiste a minor efficacia dei servizi (pensiamo alle liste di attesa) e peggioramento del disservizio fiscale. E’ su questo secondo aspetto che vorrei approfondire l’analisi al fine di fare della LOTTA FISCALE il punto uno di un programma politico. Di fronte ad un principio costituzionale che indica l’imposizione progressiva su tutti i redditi che determinano la capacità contributiva, abbiamo i seguenti maggiori elementi che rendono il sistema fiscale iniquo e discriminante: ● Evasione fiscale: si aggira sui 90 miliardi di € annui che sfuggono a contribuire al gettito fiscale. Il lavoro autonomo fa registrare una evasione di circa il 65%. ● Il lavoro autonomo che non evade, gode di una tassazione con una flat tax del 15% (o del 5% per i primi 5 anni delle nuove attività) nel caso di un fatturato fino a 85.000€. Per esempio per un professionista che fattura 80.000€ si calcola un reddito pari al 78% ovvero pari a 62.400€ su cui si paga il 15% ovvero 9.360€. Per un lavoratore dipendente o un pensionato che ha un reddito di 62.400€ si paga l’Irpef e le addizionali regionali e comunali per un importo di oltre 20.000€. Inoltre quando un soggetto che opta per la flat tax ha raggiunto gli 85.000€ di fatturato trova un nuovo cliente e quindi un nuovo fatturato che portandolo al di là del massimale cui applicare la flat tax (con un fatturato di 85.001€ si passa da 9.360€ di flat tax a 20.000€ tra Irpef e addizionali) che fa? Rinuncia al lavoro? Evade? Non serve se fa aprire al figlio o a un collega una nuova partita iva che paga una flat tax del 5% per i primi 5 anni. ● Il lavoratore autonomo che fattura più di 85.000€ e che quindi paga con la progressività di imposta come il lavoratore dipendente o il pensionato, c’è un nuovo regalo. Sul reddito dichiarato in più rispetto all’anno precedente invece di pagare l’aliquota marginale del 43% si applica la flat tax incrementale per cui paga il solo 15%. ● Alcuni redditi invece di pagare l’Irpef e le addizionali, pagano una imposta sostitutiva che per le locazioni immobiliari è del 21% ridotta al 10% in caso di locazioni concordate; per i redditi da capitale la tassa fissa varia tra il 12,5% al 26%. ● I redditi sui fabbricati sono basati su dati catastali decisamente iniqui, tali da generare entrate fiscali ridicole e discriminatorie. Il governo Draghi ne aveva tentato una revisione che anche quando assicurò che non avrebbe avuto conseguenze fiscali ma statistiche, fu bocciata senza indugio. ● Oltre all’evasione e all’iniquità dobbiamo rilevare il fatto che anche se i redditi sono dichiarati, così come abbiamo visto, c’è una enorme incapacità del fisco di riscuotere quanto dovuto. Ciò non succede certo per i lavoratori dipendenti e i pensionati cui il sostituto d’imposta trattiene da stipendio o pensione quanto dovuto all’erario. Per gli altri contribuenti il non incassato si aggira sui 1.000 miliardi cumulati dall’inizio del secolo, con poca speranza di poterne recuperare qualcosa di significativo. Per affrontare la situazione questo governo ha preso due provvedimenti: a) il contribuente che non ha fondi per pagare le imposte, può chiedere una rateizzazione in dieci anni (cosa che il dipendente o il pensionato non può fare); b) dopo 5 anni i crediti fiscali vanno in prescrizione e sono persi per sempre. A settembre, in occasione della legge di bilancio abbiamo il problema della fiscalizzazione del cuneo fiscale ed il rispetto della nuova legge europea di stabilità. Sono decine di miliardi di euro che dobbiamo trovare o riducendo i servizi o innalzando le imposte o facendo le due cose in contemporanea. Non vedo nessun partito (ed in particolare quelli al governo) in grado di prendere questi provvedimenti. L’eliminazione della flat tax, oltre a essere assolutamente contraria al programma di governo che voleva estenderla a tutti i redditi, farebbe perdere grosse quote di elettorato. L’unica soluzione che posso anticipare è il ritorno ad un governo tecnico; un ritorno a Monti o all’uomo del trolley, Cottarelli. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LE CONTRADDIZIONI DI GIORGIA MELONI

Quando la propaganda dilaga si punta più sulla credulità di chi sta ad ascoltare che non sull’onestà intellettuale del politico di turno. Vorrei segnalare due casi di propaganda fatta dalla nostra Presidente del Consiglio che contengono contraddizioni evidenti. Primo caso Quando l’opposizione denuncia il crollo degli investimenti per la sanità denunciando la caduta della percentuale del PIL di questo servizio, la premier risponde facendo appello non al parametro ovunque utilizzato in tali casi ovvero la %uale sul PIL, ma alla cifra assoluta di miliardi stanziati “mai così tanti nella vita della Repubblica”. Quando invece la premier esamina i dati elettorali delle recenti consultazioni europee ella non parametra i voti assoluti ricevuti nelle elezioni europee rispetto a quelli ricevuti nelle politiche del 2022 (dove Fratelli d’Italia ha perso centinaia di migliaia di voti), ma compara le % di voto ricevuto nei due casi in esame. Il calo dei voti del partito della Presidente è stato inferiore al calo degli elettori andati alle urne per cui in percentuale si verifica un avanzamento. Da notare che il Pd ha aumentato i voti nonostante il calo degli elettori avanzando in percentuale molto più di quanto sia avanzato Fratelli d’Italia; ricordiamo poi che Avs ha avuto un vero enorme salto in avanti sia come voti che, conseguentemente, come percentuale. Secondo caso Commentando i risultati economici del suo governo, la Meloni tra gli altri indici indica l’aumento della occupazione e la conseguente diminuzione della disoccupazione e l’aumento del PIL superiore a quello registrato in Francia ed in Germania. Su un diverso fronte la meloni indica nel superbonus la causa dell’enorme deficit e la conseguente difficoltà che si incontrerà nella prossima legge finanziaria. La contraddizione dell’esposizione della premier sta nel fatto che i miglioramenti di occupazione e PIL registrati son i figli legittimi del superbonus. Ovvero è estremamente scorretto prendersi i meriti (PIL e occupazione) di un provvedimento e scaricare ad altri i danni dello stesso provvedimento, specie poi quando il ministro del MEF era sempre lo stesso, Giorgetti. Gli effetti occupazionali Lo studio effettuato dal CENSIS viene rilevato che l’impatto occupazionale del 110 per l’intero periodo agosto 2020-ottobre 2022 sia stato pari a 900 mila unità di lavoro, tra dirette e indirette. Viene poi segnalato il dato particolarmente rilevante, circa l’impatto del solo periodo compreso tra gennaio e ottobre 2022, in cui si stima che i lavori di efficientamento energetico degli edifici abbiano attivato 411 mila occupati diretti (nel settore edile, dei servizi tecnici e dell’indotto) e altre 225 mila unità indirette. Nel 2021 il valore aggiunto delle costruzioni è aumentato del 21,3% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno la crescita è stata pari al 25,9% e nel Nord-Ovest al 22,8%. Più contenuta al Centro (16,3%) e nel Nord-Est (18,5%). Censis sottolinea che gli interventi nel campo edilizio presentano effetti positivi sull’occupazione, in particolare per le piccole e medie imprese. Gli effetti sul PIL Lo studio dell’Istituto S.Paolo “Lo scenario per le imprese italiane, le straniere e le sfide di domani” rileva che il superbonus ha fatto riscontrare un balzo nelle costruzioni pari ad un 47% rispetto all’incremento del 29% nei macchinari, mezzi di trasporto e ICT e del 20% negli immateriali. Secondo il Rapporto Censis il superbonus ha contribuito alla crescita del PIL per circa 73 miliardi di €, mentre secondo Nomisma l’effetto sarebbe di 195,2 miliardi di € considerando un maggior effetto dovuto al moltiplicatore keynesiano. Come riporta il Sole 24 ore,  La grande locomotiva del Superbonus ha macinato commesse contribuendo ai 170 miliardi circa di investimenti cumulati nel 2023. E insomma nel triennio 2021-2023 facendo da terza gamba alla crescita del Pil (+12,3%). Fine del superbonus Che i dati di spesa del superbonus siano strettamente connessi con quelli del PIL e dell’occupazione lo dimostra il fatto che con i provvedimenti emessi dal governo per far cessare i salassi del superbonus si genera necessariamente un crollo del PIL e dell’occupazione, lo testimonia il fatto che le associazioni e i sindacati sentiti in commissione Finanze della Camera lancino l’allarme sui bonus edilizi: sono a rischio 47mila imprese e 153mila posti di lavoro. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ELEZIONI EUROPEE E G7

In questo movimentatissimo 2024, gli orizzonti politici sono terribilmente minacciati non solo dalle due guerre in corso, ma anche dai risultati delle elezioni europee, in particolare in Francia ed in Germania, dalle prossime elezioni nel Regno Unito, in Francia e negli USA; dallo sgretolamento della globalizzazione che comporta dall’Inflation Reduction Act di Biden, dai dazi sulle auto elettriche cinesi tra poco in vigore in Europa; dalla recessione tedesca che indebolisce tutta l’Europa ma soprattutto il nostro Paese; dalle conseguenze monetarie dello sgretolamento della globalizzazione con la nascita e crescita dei BRICS. Per restare a casa nostra, la debolezza dell’apparato imprenditoriale nazionale, caratterizzato da troppe piccole imprese, familistiche e grette, che puntano sulla competitività basata sul basso costo della mano d’opera, crea la preoccupazione di una lenta ma incontrollabile marginalizzazione del nostro paese che non può che contare sulla sua capacità produttiva. Le recenti elezioni, in campo economico, da una parte, quella della presidente del Consiglio, hanno vantato successi di vari indici: il PIL, l’occupazione, l’andamento delle borse, lo spread, etc. sottacendo che da una parte non si può vantarsi della crescita del PIL e dell’occupazione e dall’altra additare la colpa dello sforamento del deficit al superbonus. Se rivediamo i dati, depurandoli dell’effetto superbonus, constateremo che PIL e occupazione sarebbero ben più bassi di quanto registrato e il deficit sarebbe sopportabilissimo; quindi, superficialmente o propagandisticamente il governo ignora la connessione di questi fatti. Per quanto riguarda l’opposizione, ed il Pd in particolare, si è giustamente evidenziato il tema della sanità, dei diritti civili e del salario minimo. Posso anche convenire su questi obiettivi (anche se sono molto scettico sul salario minimo) ma non posso che constatare che tutte le richieste sono di tipo “redistributivo”, parola che Elly Schlein ha ripetuto più volte nel suo comizio a piazza del Popolo a Roma. Poi voglio mostrare il seguente prospetto recentemente apparso su Facebook: ed allora mi sento sempre più rafforzato nella mia convinzione che il problema italiano (ma anche europeo, anzi soprattutto europeo) sta nella nostra capacità produttiva prima che in quella redistributiva. Siamo in un periodo in cui sta velocemente cambiando quello che Marx chiamava “modo di produzione” sia per i notevoli risultati dell’innovazione tecnologica che per quelli dovuti alla situazione climatica ma anche per le conseguenze dello sviluppo della iniziale globalizzazione e del suo sgretolamento nella fase attuale. Il mutamento del modo di produzione comporta il mutamento del rapporto tra le classi, degli equilibri internazionali che si stanno polarizzando, delle convinzioni politiche dei popoli che intravvedono un’incertezza nel futuro che non hanno mai preoccupato. L’intelligenza artificiale (I.A.), che sarà uno degli argomenti del G7, è la novità tecnologica che nel futuro inciderà, e sta già incidendo, nel modo più profondo sul nostro futuro produttivo. E non sto parlando dell’I.A. generativa, che produce testi, immagini, video; penso all’I.A. applicata ai processi produttivi che rivoluzioneranno in modo enorme i fattori della produzione, in primis il mondo del lavoro non solo sul fatto quantitativo dell’occupazione ma anche e soprattutto sul contenuto professionale richiesto alla moderna mano d’opera. Ricordo che oggi si investono sull’I.A. 130 miliardi di $ di cui 100 sono investiti da USA e Cina e 30 dal resto del mondo; facile trarre le conseguenze di come si prospetta il futuro se noi e l’Europa non si attrezzano ad affrontare questo tema. Il nostro Draghi mi pare che sia l’unico ad averlo affrontato nel suo rapporto sulla concorrenza, rapporto in cui richiede di investire 500 miliardi l’anno in innovazione, ricerca, creatività, tecnologia per poter sperare di non diventare una colonia economica di USA o Cina. Il modo in cui percorrere questa strada, se si vorrà percorrerla, sarà il nucleo della politica europea di questo decennio (se basta) e non potrà basarsi sulle “mani invisibili” della libera concorrenza (obsoleto idolo violentato dalle multinazionali) ma dovrà basarsi su una programmazione dove lo Stato, la razionalità realizzata, si pone come soggetto determinante. L’alternativa che ci si pone è di una disarmante semplicità: la causa prima che determina le scelte di investimento va razionalmente individuata tra due poli alternativi: la scelta fondata sulla razionalità ovvero lasciata al profitto. L’alternativa che si presenta con pesante materialità alle nostre coscienze, ci riporta, con urgente richiesta di una risposta, alla scelta fondamentale tra l’illuminismo della rivoluzione francese (trionfo della dea ragione) ed il romanticismo della logica del capitale. E i Paesi maggiori basano le loro economie su una programmazione che guarda a lungo termine o con le multinazionali negli USA (ma lo Stato ha un ruolo primario nelle scelte strategiche spesso operate dal Pentagono) o con il Partito Comunista in Cina. Con il Next Generation UE l’Europa ha per la prima volta assunto una posizione programmata per contrastare il Covid, tale posizione programmata va ripetuto, consolidata e resa permanente come penso suggerisca il documento Draghi; purtroppo l’Europa attuale sa solo dire di sì alle richieste monetarie e di riarmo fatte da Zelensky (come il G7 in corso sta dimostrando).    SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLOBALIZZAZIONE

Scrive Aldo Potenza in un suo recente intervento: “La globalizzazione che ha permesso alle imprese di indebolire la classe operaia con la minaccia, più volte attuata, del trasferimento all’estero delle attività produttive”. Questa affermazione, che trova riscontro nel reale, specialmente nel nostro paese, pecca, a mio modo di vedere, nell’individuare il punto critico, l’errore, il motivo principe del fenomeno. Aldo indica nel “colpevole” la globalizzazione, io, invece, sposterei il mio bersaglio sulla immaturità e scarsa capacità imprenditoriale (penso naturalmente all’imprenditore schumpeteriano) del nostro capitalismo. La globalizzazione conosce varie fasi; da quella arcaica, tradottasi in un colonialismo imperialistico, a quella del periodo dei due blocchi mondiali USA e URSS, per sfociare poi ad una gestione unica egemonizzata, dalla fine della guerra fredda, dagli USA; al declino di questa egemonia e quindi alla fase attuale in cui gli equilibri internazionali sono in decisa ridefinizione. Da un punto di vista economico la globalizzazione comporta un incremento degli scambi economici allargando la partecipazione di questi scambi a tutti i paesi, in particolare a quelli in via di sviluppo e a quelli sotto sviluppati; ricordo i risultati politici della gestione di questa fase dal GATT all’OMC culminati con l’ingresso della Cina nel WTO. Un vecchio detto di Bastiat recita che dove circolano le merci non circolano i soldati, e se guardiamo nel mondo dal dopoguerra a oggi, il mondo (purtroppo non tutto) ha conosciuto un periodo di tre generazioni dove i cittadini non hanno conosciuto la guerra ed i suoi terrori. Certo in questa redistribuzione a livello mondiale della produzione è indubbio che le differenze di tenori di vita, meglio la differenza dei salari comporta quanto scrive Aldo, ma è indubbio che la perdita di competitività del nostro paese dipende dalla scelta fatta dalle nostre imprese a non ricercare nell’aumento di produttività l’arma per vincere la concorrenza, ma a ricercare invece di puntare sui bassi salari, scelta inconcepibile visto il livello salariale dei paesi nuovi apparsi sul mercato mondiale e considerato il fatto che, dopo l’adesione all’euro, abbiamo perso lo strumento della svalutazione della lira. Aggiungo che oltre alla perdita di posti di lavoro dovuti alle delocalizzazioni, osserviamo in Italia il fatto preoccupante per cui i fondi che investiamo nell’istruzione con soldi provenienti dalle nostri imposte, producono intelligenze e competenze che regaliamo ai paesi verso i quali, attratti dagli alti salari, fuggono i nostri laureati. E’ dovuto intervenire il ministro Calenda per cercare di spostare le scelte produttive verso una maggior produttività REGALANDO detassazioni e/o bonus a fondo perduto a chi investisse in innovazione tecnologica: in poche parole si regalano i soldi dei contribuenti (lavoratori e pensionati) a chi non è capace di fare il suo mestiere invogliandolo con i bonus a fare ciò che ci si aspetterebbe che un imprenditore facesse. Quei soldi sono stati regalati con una modalità virtuosa nel senso che non sono regali a pioggia senza un corrispettivo comportamento auspicato, ma solo a fronte di effettiva aumentata capacità produttiva tecnologica, ma quei soldi, essendo dei contribuenti, potevano a mio parere essere dati, come succede nella norma, come PARTECIPAZIONI di un fondo che entrasse nella gestione dell’impresa agevolata. La scelta di competere con i bassi salari pone il nostro sistema produttivo in seria difficoltà in un periodo in cui le innovazioni tecnologiche si impongono come il fattore decisivo nel presente e nel prossimo futuro. Penso ai computer quantistici e soprattutto all’intelligenza artificiale (I.A) che stanno rivoluzionando il modo di produzione, con la conseguente rivoluzione sui rapporti tra le classi sociali. La miopia della nostra classe imprenditoriale si traduce in una critica alla tanto decantata iniziativa privata. Il cui massimo esempio è rappresentato dalla Fiat, per anni campione indiscusso, vezzeggiato e foraggiato (si pensi alla rete autostradale) che è scomparsa dal nostro paese lasciando un deserto sterile. Parlavo di intelligenza artificiale, ebbene attualmente gli investimenti in I.A. sono di 130 miliardi di dollari, ebbene 100 miliardi sono investiti in USA e Cina e solo i restanti 30 sono investiti dal resto del mondo. Ciò ci deve far capire qual è la strada da imboccare. E con ciò intendo una iniziativa europea che costruisca il CERN dell’I.A.; su questa strada mi pare ci inviti Draghi che nel suo rapporto sulla competitività europea indica come necessario un investimento di 500 miliardi di € all’anno per prospettare un futuro europeo in presenza dei concorrenti USA e Cina. Certo che la globalizzazione cui guardiamo e che purtroppo si sta polarizzando (vedi la nascita dei BRICS) non guarda né alla globalizzazione delle multinazionali statunitensi né a quella del modello cinese; deve tendere cioè ad un modello più solidale, comprensivo, ibridizzante. Ma questo è un discorso troppo enorme da essere neppur abbozzato in questa sede.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VISCO: NAZIONALISMO ECONOMICO IN EUROPA FA MALE A TUTTI

Pubblicato su: NENS Nuova Economia Nuova Società Visco: nazionalismo economico in Europa fa male a tutti e rende impossibile competizione con Usa e Cina, nuovo patto di stabilità occasione mancata. Le sfide che dovranno affrontare l’economia europea nei prossimi anni sono molto impegnative, e da questo punto di vista l’accordo raggiunto sul patto di stabilità non può certo essere considerato un successo, né ci si può consolare dicendo che esso è (lievemente) migliore dell’accordo preesistente. La proposta iniziale della Commissione era invece molto impegnativa, innovativa ed interessante in quanto ipotizzava un accordo tra la Commissione stessa e ogni singolo Stato, su proposta di ciascuno di essi, e che tenesse conto della reale situazione economica e finanziaria di ognuno. In questo modo da un lato si “internalizzava” il vincolo esterno in quanto i singoli Paesi diventavano protagonisti diretti dei loro stessi programmi di politica fiscale, e quindi maggiormente coinvolti nella loro realizzazione concreta, e dall’altro, almeno in teoria, la Commissione poteva mettere in essere una politica di bilancio europeo coerente con le esigenze macroeconomiche della zona euro, senza costringerla in regole uguali per tutti, ed evitando interventi pro-ciclici e deflazionistici. Un surrogato – imperfetto, ma comunque utile e positivo – di una politica fiscale comune. Tale approccio avrebbe comportato obiettivi e comportamenti differenziati tra i diversi Paesi: alcuni – come l’Italia e gli altri Paesi più indebitati, si dovrebbero orientare a maggiore prudenza e alla graduale riduzione del debito, altri invece avrebbero dovuto realizzare politiche più espansive, in modo da portare benefici all’intera Unione sia in termini di stabilità che di crescita. Questa proposta non ha retto ai timori e ai pregiudizi dei cosiddetti “frugali”, ed è quindi stata sostanzialmente svuotata con la reintroduzione di parametri uguali per tutti secondo un approccio “one size fits all” non solo priva di logica, ma già sperimentata senza successo negli anni passati. In sostanza si riafferma una propensione ad una gestione deflazionistica dell’economia europea orientata all’austerità di principio a causa di pregiudizi e sospetti in buona misura non fondati su elementi di realtà, e di sfiducia nella capacità della Commissione di riuscire a far rispettare gli impegni assunti dai governi. Questo atteggiamento è per altro simmetrico a quello di segno opposto di altri Paesi impegnati esclusivamente nella ricerca di “margini di flessibilità” per i propri governi. In altre parole, sia i “frugali” che i “prodighi” hanno seguito logiche ristrette e nazionaliste e quindi autolesioniste, in un gioco a somma negativa sia per l’Europa sia per i singoli Stati. Si tratta di un atteggiamento difficilmente comprensibile, soprattutto da parte della Germania, che negli ultimi anni ha visto dissolversi l’intero modello di sviluppo (?) verso cui aveva indirizzato la propria economia dopo l’introduzione dell’euro, e basato su una sorta di marco svalutato, l’euro (moneta forte e stabile, ma che riflette il peso non solo dell’economia tedesca, ma anche quello delle altre economie – meno forti – dell’Unione), la deflazione interna grazie al piano Hartz sul mercato del lavoro voluto da Schroder, e all’austerità, con conseguente contenimento del costo del lavoro, imposta agli altri Paesi dell’Unione, la delocalizzazione della produzione delle componenti dell’industria tedesca nei Paesi dell’allargamento dove i costi erano più bassi, l’ energia a basso prezzo derivante dagli accordi con la Russia e dai relativi gasdotti (North Stream), gli accordi commerciali con la Cina.Tutto ciò che era consentito di non peggiorare la competitività di prezzo, e promuovere un’impressionante crescita delle esportazioni, e di realizzare surplus annui della bilancia dei pagamenti che, partendo da una situazione di pareggio nel 2000, ha superato negli anni recenti il 70% del Pil tedesco, privando l’economia tedesca ed europea di una maggiore domanda interna che avrebbe consentito politiche espansive e sarebbe risultata estremamente utile per tutti (a partire dalle fatiscenti infrastrutture tedesche). Nel complesso, una strategia perdente e autolesionista, ma per lo meno coerente e rispettosa delle indicazioni dell’ordoliberismo, e che tuttavia ora appare, e risulta, impraticabile. Come di conseguenza la zona euro ha avuto una crescita media nettamente inferiore a quella degli Stati Uniti (1,2%, rispetto all’1,9%, e all’1,4 della Comunità europea), e ora si trova in seria difficoltà; ma soprattutto problematiche si presentano la situazione economica della Germania, rimasta privata di una strategia, e le sue prospettive. Era quindi il momento di cambiare strategia, e riconoscere che il nazionalismo economico in Europa fa male a tutti i Paesi e rende impossibile competere alla pari con Usa, Cina, ecc.  Sarebbe stato necessario un nuovo patto di stabilità più flessibile (ipotesi appena tramontata), il completamento dell’unione bancaria con l’introduzione della assicurazione sui depositi, la creazione di un mercato unico dei capitali europei, in grado di contribuire al cofinanziamento da parte dei privati degli enormi investimenti necessari per la transizione digitale, energetica e la difesa comune dell’Europa, sostanziose emissioni di debito comune per realizzare questi progetti, una politica industriale europea con accordi e fusioni transfrontaliere per non perdere ulteriore terreno nella competizione internazionale. Queste erano, e sono, le sfide che l’Europa dovrà affrontare nei prossimi anni, e che con l’assetto istituzionale esistente non sarà in grado di promuovere. Ci aspettano quindi anni difficili, di crisi e stagnazione che la possibile affermazione delle forze politiche nazionaliste ed euroscettiche renderebbe ancora più problematici, con seri rischi di regressione economica, e di ulteriore perdita di rilevanza internazionale. Sono questi problemi che dovrebbero essere al centro della prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VERSO IL VOTO

Generalmente, quando devo andare a votare, le mie scelte sono guidate da questioni economiche, essendo questo il campo in cui ritengo di avere una certa competenza. La questione economica è rilevante sia a livello europeo che a livello nazionale: ● per quel che riguarda il primo livello, l’Europa non riesce a trovare una sua personalità nello scenario internazionale caratterizzato dal declino della globalizzazione, basata sull’incesto USA-Cina (la Cina fornisce beni a bassi prezzi agli spendaccioni statunitensi e con i dollari incassati aumenta le sue riserve moderando l’effetto inflattivo del debito USA ma rischiando minusvalenze in caso di svalutazione del dollaro), per avviarsi verso un multilateralismo in cui dominano la declinante egemonia statunitense, e la crescente attrattività cinese. Declinante egemonia statunitense che si constata nella fine dei suoi interventi militari che hanno caratterizzato il periodo successivo al crollo dell’unione sovietica, interventi non più vincenti ma conclusi in disimpegni non sempre onorevoli. Crescente attrattività cinese, paese che da cinquanta anni non conosce conflitti militari, e che con l’avvio di un processo di de-dollarizzazione sta costruendo un’area egemonica alternativa a quella statunitense. ● per quello che riguarda la situazione nazionale azzardo una previsione. Nell’autunno il governo Meloni avrà superato, anche se di poco, la durata media dei governi succedutisi nel passato, e si troverà di fronte ad una problematica economica che si dimostrerà incapace di risolvere, lasciando spazio per un nuovo governo tecnico (Cottarelli?) chiamato, in un clima di solidarietà nazionale, ad affrontare il tema del deficit e del debito, argomenti che solo un governo non interessato alla ricerca di voti, può affrontare, così come fecero Dini, Monti ed infine Draghi. Stavolta, invece, ci sono questioni più rilevanti che impongono di essere affrontate nel momento in cui si entra in cabina elettorale. In primis la questione della pace. Su questa questione mi è guida l’articolo 11 della nostra Costituzione che, con il suo ripudio della guerra, pone la via diplomatica come strada maestra nella soluzione dei conflitti internazionali. Via che i nostri governanti hanno ignorato alla grande e che continuano ad ignorare. Ne sia dimostrazione l’indicare come soluzione della situazione in medio oriente la formula “due popoli, due stati” e non riconoscere ufficialmente lo stato palestinese (in attesa di vedere quel che faranno gli USA). La via della ricerca di una soluzione diplomatica è, al contrario, continuamente percorsa dal papa, da Erdogan e dal governo cinese. La recente uscita di Stontelberg, che richiede di annullare il divieto all’Ucraina di utilizzare le armi fornite dall’occidente per fini offensivi, persegue una linea politica che ha ancora come obiettivo la vittoria militare dell’Ucraina, linea dettata dal pentagono, linea cui l’Europa non sa contrapporre una valida alternativa. E’ quindi il fine di spingere l’Europa a costruire una valida proposta di trattativa finalizzata alla fine del conflitto in Ucraina che guiderà la mia scelta di voto nelle prossime elezioni. E’ ovvio che lo scontro militare è determinante nel determinare la forza contrattuale delle parti che siedono ad un auspicabile tavolo della pace; è ovvio che la fallita controffensiva di primavera lanciata da Kiev ha diminuito di molto la forza contrattuale dell’Ucraina e che, nonostante i 60 miliardi stanziati dagli USA, la drammatica carenza di uomini renderà ancor più debole questa forza, più debole di quando, penso al documento di Istanbul, si poteva trattare nell’aprile del 2022, documento, quello di Istanbul, che falsifica le affermazioni secondo cui Putin non è disponibile ad un trattato di pace. Il problema che mi si pone è chi votare perché una logica di pace possa prevalere al di là delle titubanze che vedo nello schieramento di sinistra. I candidati sono il movimento di Santoro, i 5stelle, l’alleanza verdi-sinistra; tra questi temo che il voto a Santoro sia destinato ad essere un voto sprecato, quello ai 5stelle mi rende dubbioso di poter condividere altre scelte per me inaccettabili. Il mio orientamento cadrebbe dunque su Avs. Ma a tal punto mi nasce una domanda; ai fini della pace è più utile un voto in più a verdi e sinistra (che ha una posizione definita nel merito) o è più efficace rafforzare la logica pacifista all’interno di una posizione vacillante del partito democratico? Mi spiego; un voto in più ad Avs non modificherebbe l’equilibrio tra le forze sulla materia “pace”, mentre un voto che rafforzi le posizioni pacifiste all’interno del Pd potrebbe modificare sostanzialmente il quadro politico. E’ sulla base di questa logica che penso di votare Marco Tarquinio, una voce importante che all’interno del Pd potrebbe determinarne una posizione più convinta (penso ad esempio al silenzio della Schlein dopo le farneticazioni di Stontelberg) anche come concime per il campo largo.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FIDUCIA E PREMIO DI MAGGIORANZA

Da Wikipedia: Fiducia Nell’ordinamento italiano, la cui forma di governo è definita “parlamentare a debole razionalizzazione”, l’esistenza di un determinato esecutivo è strettamente vincolata all’ottenimento della fiducia da parte del Parlamento della Repubblica, unico organo titolare del potere legislativo e legittimato dal mandato popolare, espresso attraverso libere elezioni. In seguito alla nomina ricevuta dal Presidente della Repubblica, il nuovo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana è tenuto a chiedere a ciascuna delle due camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) la fiducia: all’approvazione della mozione di fiducia è legato lo stesso ingresso del Governo nei suoi pieni poteri. Il meccanismo del voto di fiducia è sancito dall’art. 94 della Costituzione. Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo deve presentarsi alle Camere per il voto di fiducia, che viene espresso tramite mozione motivata e votata per appello nominale. Queste ultime due disposizioni hanno un preciso scopo: quello di creare una stabile maggioranza politica. L’obbligo di motivare la mozione fa sì che i vari gruppi si impegnino, se favorevoli, a sostenere il Governo in modo stabile. La votazione a scrutinio palese serve a far sì che i vari parlamentari si assumano la responsabilità politica personale di sostenere il Governo.[4] Premio di maggioranza A seconda delle peculiarità dei sistemi elettorali che prevedono il premio di maggioranza, questo può essere attribuito alla lista o coalizione vincente in tutti i casi oppure soltanto al verificarsi di certe condizioni, quali ad esempio il raggiungimento di una certa percentuale di voti. Una clausola siffatta ha lo scopo di mitigare la distorsione della volontà degli elettori insita nell’attribuzione del premio. Sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale Nel vigente sistema elettorale proporzionale, il premio di maggioranza, (…), secondo la Corte, “è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”. Questo meccanismo, che si aggiunge alle previsioni in materia di soglie per l’accesso al sistema proporzionale di attribuzione dei seggi, pur finalizzato al “legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi” non solo compromette, ma addirittura, secondo la Corte, rovescia “la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare”. L’effetto che ne deriva è quello di “una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare,secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”. Questo effetto è incompatibile non solo con l’art. 1 Cost., ma anche con l’art. 67 Cost. che configura le Camere come “sedi esclusive della rappresentanza parlamentare” titolari di funzioni esclusivamente proprie, tra cui quella di revisione costituzionale. In queste valutazioni la Corte inserisce la dirimente constatazione dell’assenza nella vigente legge elettorale di “una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio”: questa mancanza determina “un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto” stabilito dall’art. 48, secondo comma, Cost.. Infatti, nei sistemi proporzionali, gli elettori hanno “la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare”. (…) In definitiva, secondo la Corte costituzionale, il legislatore nel perseguire discrezionalmente l’obiettivo di rilievo costituzionale della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali in ambito parlamentare deve rispettare il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, quali la sovranità popolare, l’uguaglianza anche del voto, la rappresentanza politica nazionale. Dalla analisi dei testi sopra ricordati possiamo trarre queste implicite indicazioni: ● La vita del governo dipende dalla volontà delle Camere; ● Il premio di maggioranza nasce all’interno del meccanismo di elezione dei parlamentari; ● La stabilità e l’efficienza dell’esecutivo deve rispettare il vincolo del minor sacrificio della sovranità popolare, dell’eguaglianza del voto e della rappresentanza politica nazionale. Esaminiamo allora la proposta di revisione costituzionale alla luce di queste indicazioni, avendo altresì presente che le variazioni della Costituzione scritta pretendono l’osservanza dei principi, anche non scritti, insiti nella cultura e nello spirito costituzionale. Con la proposta di revisione della Costituzione viene a cadere la prima indicazione secondo cui “vita del governo dipende dalla volontà delle Camere” rovesciata nel suo contrario per cui è  “la vita delle Camere che dipende dalla volontà del governo”. Questo per due ragioni: a – secondo la nuova Costituzione la legge elettorale dovrebbe “assegnare un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del consiglio”; ecco che allora la maggioranza nella Camere è strumentale al supporto dell’esecutivo decretandone la subalternità; b – sempre secondo la nuova Costituzione la sfiducia al presidente del consiglio eletto comporta lo scioglimento delle Camere, scioglimento che il Presidente della Repubblica deve eseguire senza alternative. Nel concreto l’eventuale dissenso della sovranità popolare, rappresentata dai suoi organi eletti, porta allo scioglimento delle Camere e all’azzeramento della sovranità popolare. La seconda indicazione secondo la quale “Il premio di maggioranza nasce all’interno del meccanismo di elezione dei parlamentari” è stravolto in modo inconcepibile; infatti il premio di maggioranza non viene determinato con meccanismi che partono dalle risultanze del voto espresso dagli elettori di Camera e Senato ma viene determinato dalle risultanze del contestuale voto per l’elezione del presidente del consiglio. La cosa è assurda se si consideri che un partito o una coalizione che alle camere prende ad esempio il 10% dei voti ma che avendo presentato un candidato alla presidenza del consiglio di indubbia fama e affidabilità …