STATUTO DEI LAVORATORI. 50 ANNI DI CONQUISTE?

  di Massimo Lotti – Socialismo XXI Puglia |   Era il 20/05/1970 quando il Parlamento (con la astensione del Partito Comunista), su impulso dei parlamentari socialisti Gino Giugni e Giacomo Brodolini, approvò la Legge n. 300, meglio conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”. Una legge che arrivava dopo diverse leggi in materia di tutela del lavoro, ma che finalmente scriveva parole chiare in termini di diritti dei lavoratori a non essere discriminati (e quindi licenziati) dal datore di lavoro, per le loro idee politiche, sessuali o religiose. Una legge, insomma di conquista della Classe operaia e del Partito Socialista Italiano. Quest’anno ricorrono i cinquanta anni da quella legge, ed è giusto domandarsi quanto di essa è rimasto. Veramente, a mio giudizio, molto poco, dacché è solo grazie al Governo Renzi che si è proceduto a svuotare quella legge di quell’Articolo 18 che ne era un pilastro portante. Oggi, i lavoratori di fatto sono ritornati ad essere ostaggio dei datori di lavoro, per diversi ordini di fattori: a) la globalizzazione ha reso possibile de localizzare le unità produttive in paesi con salari più bassi e minori tutele dei lavoratori; b) esaurimento della funzione delle organizzazioni sindacali degne di queste nome, perché nel frattempo sempre più preoccupate ad occupare le poltrone nei consigli di amministrazione delle aziende a partecipazione statale o a costituire centri di potere nella erogazione dei sussidi di volta in volta stabiliti dallo Stato. A questo si aggiunga che, causa lo sviluppo tecnologico sempre più marcato e il dramma della crisi da Coronavirus, centinaia di migliaia di lavoratori rischieranno di rimanere disoccupati perché considerati “obsoleti” o “rottamabili” dal sistema produttivo; e senza che nel frattempo venisse avviata una poderosa e seria riforma dei Centri dell’impiego che avrebbero dovuto essere i centri per la erogazione di quei corsi di formazione necessari per aggiornare quei lavoratori che avessero voluto stare al passo con i tempi. Insomma, a cinquanta anni da quel 20 maggio ’70, il quadro sullo “Statuto dei lavoratori” è veramente tragico e desolante. Occorrerebbe che di questo problema se ne faccia carico una nuova forza politica che ritorni, prepotentemente, a riappropriarsi di quella parola “Lavoro” da troppo tempo dimenticata. Anche per questo i Socialisti della “Associazione XXI Secolo” si danno appuntamento a Genova, (insieme a tutti coloro che lo vorranno), per ricostituire, come nell’agosto del 1892, un partito che riparta dal lavoro e dai bisogni della classe lavoratrice.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SENTENZA DELLA CORTE TEDESCA

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   La materia del contendere. La Corte tedesca si è pronunciata a seguito di ricrsi fatti da esponenti della destra tedesca (Alternative fur Deutchland compresa) che eccepivano che il PSPP (Public sector purchase plan) lanciato dalla BCE violasse: a) la proibizione di finanziamento monetario ai sensi dell’art. 123 del TFEU: Article 123 (ex Article 101 TEC) 1 – Overdraft facilities or any other type of credit facility with the European Central Bank or with the central banks of the Member States (hereinafter referred to as “national central banks”) in favour of Union institutions, bodies, offices or agencies, central governments, regional, local or other public authorities, other bodies governed by public law, or public undertakings of Member States shall be prohibited, as shall the purchase directly from them by the European Central Bank or national central banks of debt instruments. b) il principio del conferimento come da art. 5(1) TEU Article 5 (ex Article 5 TEC) 1 – The limits of Union competences are governed by the principle of conferral. The use of Union competences is governed by the principles of subsidiarity and proportionality. c) in connessione con gli articoli 119, 127 e segg. del TFEU Article 119 (ex Article 4 TEC) 1 – For the purposes set out in Article 3 of the Treaty on European Union, the activities of the Member States and the Union shall include, as provided in the Treaties, the adoption of an economic policy which is based on the close coordination of Member States’ economic policies, on the internal market and on the definition of common objectives, and conducted in accordance with the principle of an open market economy with free competition. 2 – Concurrently with the foregoing, and as provided in the Treaties and in accordance with the procedures set out therein, these activities shall include a single currency, the euro, and the definition and conduct of a single monetary policy and exchange-rate policy the primary objective of both of which shall be to maintain price stability and, without prejudice to this objective, to support the general economic policies in the Union, in accordance with the principle of an open market economy with free competition. 3 – These activities of the Member States and the Union shall entail compliance with the following guiding principles: stable prices, sound public finances and monetary conditions and a sustainable balance of payments. Article 127 (ex Article 105 TEC) 1 – The primary objective of the European System of Central Banks (hereinafter referred to as ‘the ESCB’) shall be to maintain price stability. Without prejudice to the objective of price stability, the ESCB shall support the general economic policies in the Union with a view to contributing to the achievement of the objectives of the Union as laid down in Article 3 of the Treaty on European Union. The ESCB shall act in accordance with the principle of an open market economy with free competition, favouring an efficient allocation of resources, and in compliance with the principles set out in Article 119. Le considerazioni della Corte tedesca Nella sua sentenza dell’11 dicembre 2018 la Corte di Giustizia Europea concluse che il PSPP non eccedeva il mandato assegnato alla BCE né violava la proibizione di finanziamento monetario. La Corte tedesca riconosce che finchè la Corte di Giustizia Europea applica riconosciuti principi metodologici e le decisioni che essa emette non sono arbitrarie da un punto di vista oggettivo, la Corte tedesca rispetta dette decisioni anche quando abbia una visione contraria sostenuta da validi argomenti. Ma, sempre secondo la Corte tedesca, la sentenza della Corte di giustizia tedesca dell’11 dicenbre 2018 manifestamente pecca nel non considerare l’importanza e la finalità del principio di proporzionalità riportato all’art. 5(1) e 5(4) del TEU: Article 5 (ex Article 5 TEC) 1 – The limits of Union competences are governed by the principle of conferral. The use of Union competences is governed by the principles of subsidiarity and proportionality. 2 – Under the principle of conferral, the Union shall act only within the limits of the competences conferred upon it by the Member States in the Treaties to attain the objectives set out therein. Competences not conferred upon the Union in the Treaties remain with the Member States. 3 – Under the principle of subsidiarity, in areas which do not fall within its exclusive competence, the Union shall act only if and in so far as the objectives of the proposed action cannot be sufficiently achieved by the Member States, either at central level or at regional and local level, but can rather, by reason of the scale or effects of the proposed action, be better achieved at Union level. The institutions of the Union shall apply the principle of subsidiarity as laid down in the Protocol on the application of the principles of subsidiarity and proportionality. National Parliaments ensure compliance with the principle of subsidiarity in accordance with the procedure set out in that Protocol. 4 – Under the principle of proportionality, the content and form of Union action shall not exceed what is necessary to achieve the objectives of the Treaties. The institutions of the Union shall apply the principle of proportionality as laid down in the Protocol on the application of the principles of subsidiarity and proportionality. e questa mancata considerazione  è semplicemente insostenibile dal punto di vista metodologico dato che la sentenza ignora completamente di considerare gli effetti di politica economica generati dal programma PSPP. Inoltre la Corte di Giustizia europea non si chiede se il programma PSPP vada o meno manifestatamente al di là di ciò che è necessario per raggiungere i suoi obiettivi, e se gli svantaggi creati dal programma siano manifestatamente sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti.  A parere della Corte tedesca il perseguimento incondizionato della politica monetaria del PSPP al fine di raggiungere un tasso di inflazione inferiore ma vicino al 2% nell’ignorare gli effetti economici generati, manifestatamente infrangono il principio di proporzionalità. Le conclusioni Sarebbe bene secondo la Corte tedesca che la BCE …

AIUTARE LE IMPRESE O IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Il decreto di maggio è quello che più degli altri sarà determinante per il futuro dell’economia italiana. La missione è quella di aiutare l’economia del nostro paese, e ciò può essere fatto con diverse filosofie, ma il succo che mi pare debba predominare è quello esposto nel titolo di questo articolo, ovvero “aiutare le imprese” comunque esse siano affinchè esse continuino a comportarsi come si sono comportate finora e lasciando a loro la scelta della strada da perseguire, oppure “aiutare il sistema produttivo italiano” cercando strade diverse dal passato, dove troppe cose non andavano, e ridare egemonia al nostro sistema produttivo. E’ alla luce di questa premessa che esaminerò le proposte che le indiscrezioni o le interviste di imprenditori e politici hanno rilasciato, da tre punti di vista: economico, fiscale e patrimoniale, societario. Prestiti a basso interesse Il prestito agevolato promosso dallo Stato col decreto liquidità, aiuta le imprese a far fronte alle difficoltà che nascono da tre mesi di mancato fatturato. Da un punto di vista economico il prestito ridà liquidità alle imprese e permette loro di evitare procedure concorsuali causate da insolvenza sopravvenuta per colpa del coronavirus. Il prestito tuttavia non aiuta a far fronte alle perdite di gestione incorse in questo trimestre, ma soprattutto non permette di recuperare quella clientela, nazionale e internazionale, persa a causa della chiusura forzata. Da un punto di vista economico il prestito ha poca efficacia anche se dà una boccata di ossigeno a molte imprese. Da un punto di vista fiscale il prestito non incide, se non per il costo di interessi passivi, che vanno a ridurre l’imponibile fiscale riducendo quindi l’onere fiscale. Da un punto di vista patrimoniale il prestito va ad aumentare: da un lato la liquidità aziendale nella sezione attivo, mentre dall’altro lato, nella sezione passivo, va ad aumentare le passività non correnti proporzionalmente alla durata del prestito stesso.  Da un punto di vista societario l’azionariato e l’organo amministrativo rimangono intatti in testa agli originari capitalisti. Sussidi a fondo perduto Lo Stato eroga sussidi a fondo perduto alle imprese. Da un punto di vista economico il sussidio costituisce una componente positiva di reddito che oltre a compensare le eventuali perdite accumulate nel periodo di chiusura, permette all’impresa di riavviare con forza l’attività produttiva, e pensare a programmi di sviluppo e di ampliamento cui probabilmente avrebbe dovuto rinunciare. Non ci sarà inoltre alcun onere aggiuntivo per interessi. Da un punto di vista fiscale la sopravvenienza attiva rappresentata dal sussidio a fondo perduto aumenta l’imponibile fiscale che in sede di dichiarazione abbatterà del 30% il beneficio del sussidio stesso. Da un punto di vista patrimoniale avremo, come nel caso precedente nella sezione attivo un aumento di liquidità, mentre nel passivo non avremo nessuna passività se non per il debito fiscale creato dalla somministrazione del sussidio. Il risultato d’esercizio sarà migliorato per l’importo del sussidio al netto delle imposte e rispetto al caso precedente, nessun interesse passivo aggiuntivo. Da un punto di vista societario l’azionariato e l’organo amministrativo rimangono intatti in testa agli originari capitalisti. Partecipazione dello Stato nell’impresa Lo Stato versa liquidità nell’impresa in cambio di azioni o quote della società stessa. Da un punto di vista economico l’afflusso di liquidità non va a migliorare il conto economico della società, ma permette all’impresa di riavviare con forza l’attività produttiva, e pensare a programmi di sviluppo e di ampliamento cui probabilmente avrebbe dovuto rinunciare. Non ci sarà inoltre alcun onere aggiuntivo per interessi. Da un punto di vista fiscale l’intervento dello Stato non va a modificare l’imponibile fiscale, lasciando all’impresa il beneficio completo senza alcuna incidenza di aggiuntivi oneri fiscali. Da un punto di vita patrimoniale, come nel caso precedente, nella sezione attivo un aumento di liquidità, mentre nel passivo non avremo nessuna passività ma un aumento del valore del netto patrimoniale pari all’importo del conferimento. Il risultato d’esercizio non avrà nessun onere aggiuntivo né per imposte né per interessi passivi. Da un punto di vista societario abbiamo tre alternative: ● Modello Assonime: il socio Stato non ha alcun diritto di guida dell’impresa e forse neppure nessun eventuale dividendo; inoltre dopo un certo periodo di tempo i soci originari possono acquistare a loro discrezione il capitale del socio Stato. ● Modello topsy-turvi (alla James Meade) dove il socio Stato ha diritto agli eventuali dividendi da usare per il welfare state, ma non interferisce nelle scelte aziendali. ● Modello Mazzucato: il socio Stato agisce con tutti i diritti di gestione e di eventuali dividendi come i soci originari, con un peso determinante affinché il capitale conferito sia utilizzato per politiche aziendali che mirino a migliorare obiettivi sociali quali l’innovazione, la riduzione del nanismo aziendale, la digitalizzazione, la produttività. L’opinione delle forze produttive L’opinione di Confindustria è stata da subito chiaramente quella dell’opzione “Sussidi a fondo perduto” riportiamo un passo del presidente di Confindustria Bonomi:  “ Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti, rilanci con più risorse il piano Industria 4.0. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti”. Matteo Renzi è arrivato all’iperbole: “«No alla sovietizzazione dell’Italia».  Matteo Renzi commenta così la proposta del Dem Andrea Orlando di un ruolo dello stato nei cda delle aziende: «In tempi di crisi in tutto il mondo gli Stati danno soldi alle imprese per ripartire: prestiti o contributi a fondo perduto. Solo in Italia qualcuno chiede che lo Stato in cambio abbia posti in Consiglio d’Amministrazione. Noi siamo contrari. Sovietizzare l’Italia? No grazie». Che aveva detto Andrea Orlando? L’ex ministro della Giustizia ha dichiarato: “Il capitale delle imprese non deve essere partecipato dallo Stato per corrispondere ad un astratto modello ideologico. Il tema è valutare se lo Stato debba entrare per un determinato periodo, in modo da garantire che l’impresa mantenga gli impegni assunti nel momento in cui riceve finanziamenti a fondo perduto da parte dello Stato. Nessuno ha proposto che lo Stato entri nella governance delle imprese, né che si proceda a nazionalizzazioni“. La …

LA CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA SFIDA DRAGHI

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   La Corte Costituzionale tedesca accusa la Bundesbank e il governo tedesco di non aver contrastato le decisioni della BCE che, in contrasto con il principio di proporzionalità, potrebbero aver causato effetti economici sproporzionali danneggiando così i conti finanziari della Germania. L’accusa fatta alla Bundesbank e al governo tedesco si estende in una accusa, non tanto velatamente indiretta, sia alla corte di giustizia europea, che aveva giudicato legittimo il Quantitative easing, sia alla BCE ovvero a Mario Draghi. Occorre premettere che il Quantitative easing prevede una parte privata e una parte pubblica, quest’ultima ovvero il PSPP (Public Sector Purchase Programme) è quello su cui la Corte si è pronunciata. Con il PSPP la BCE stabilisce un piano di acquisti che per il 12% riguardano Istituzioni europee sovranazionali, e per il restante 88% acquisto di titoli di stato emessi da paesi membri. All’interno di questo 88%, l’8% rappresenta acquisti diretti della BCE mutualizzando i rischi e per il restante 80% acquisti effettuati dalle banche centrali dei singoli stati membri che si assumono il rischio finanziario. Lo scopo della BCE è quello di perseguire l’obiettivo fissato dal suo statuto di mantenere (o produrre) il tasso di inflazione vicino al 2%. Ed ecco la prima accusa della Corte: “Perseguendo incondizionatamente l’obiettivo di politica monetaria del PSPP al fine di raggiungere un tasso di inflazione vicino al 2% ma ignorando gli effetti economici di tale politica, la BCE manifestamente infrange il principio di proporzionalità.” La Corte considerato che  non è accertabile se la BCE abbia stimato, proiettandoli, gli effetti economici derivanti dal suo programma al fine di testarne la proporzionalità né preventivamente né al momento del lancio né in qualsiasi momento durante la sua attuazione conclude che “a meno che la BCE fornisca documentazione dimostrante che tali proiezioni furono fatte, ed in quale forma, non è possibile esprimere un giudizio effettivo se la BCE abbia o meno rispettato il suo mandato”. Quindi prosegue intimando alla Bundesbank e al governo tedesco di non attuare le indicazioni della BCE “a meno che il Consiglio gestore della BCE stessa adotti una nuova decisione che dimostri in modo comprensibile e con modalità sostanziali che gli obiettivi monetari perseguiti dal PSPP non sono sproporzionati nei loro effetti economici e fiscali risultanti dall’attuazione del programma”. Insomma una sfida. Il PSPP, simile a quello effettuato dalla FED, è sostanzialmente diverso da quello proprio perché il programma statunitense mutualizza al 100% i rischi dei vari stati (ma l’Europa, ci ricorda la Corte, non è uno stato federale), mentre il PSPP, come abbiamo detto, mutualizza solo l’8% del suo programma, restando l’80% a gravare sulle banche centrali dei singoli stati membri. Inoltre i vari stati hanno programmi di acquisti proporzionati alla loro partecipazione al capitale della BCE, il famoso principio del Capital key. C’è da ritenere che la BCE sia molto accorta nell’aver impostato il programma, conscia com’è della pignoleria tedesca ossessionata dal terrore di regalare soldi ai paesi periferici. Ma la Corte segnala che il PSPP produce effetti anche sulle banche commerciali indotte ad acquistare grossi quantitativi di titoli di stato ad alto rischio, ed inoltre fa incorrere perdite notevoli ai risparmiatori privati (a causa della diminuzione dei tassi di interesse). Ma la Corte non fa alcun cenno al fatto che gli interessi che la BCE incassa grazie al possesso dei titoli di Stato acquistati sono poi dalla BCE distribuiti agli stati secondo la Capital key, con la Germania che incassa “paradossalmente la fetta più grossa” ma avendo pagato interessi più bassi grazie al buon standing dei suoi titoli pubblici. La Corte ignora pure che grazie al PSPP che con la sua domanda ha incrementato sostanzialmente il prezzo dei titoli acquistati, ha permesso alle banche private tedesche che detenevano titoli di stati periferici di realizzare “capital gains” calcolabili, nei soli primi mesi del PSPP, in quasi 4 miliardi di euro. Naturalmente la Corte ignora alla grande la politica imperialistico-mercantilistica della Germania che pervicacemente supera il limite del 6% ammesso, generosamente (lo scopo di una unione dovrebbe essere il pareggio), per il saldo della bilancia commerciale. Bella sfida, ma il risultato è già sin d’ora il blocco dell’azione della BCE unica istituzione che può fornire all’Europa una stabilizzazione internazionale.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

EPPUR SI MUOVE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   La crisi-coronavirus tra i tanti danni sta sommovendo il mondo imprenditoriale che si manifesta con gli articoli del Sole 24 ore giornalisticamente encomiabili per completezza di informazione. Il quotidiano confindustriale pubblica, come articolo di fondo, l’intervento di Mariana Mazzucato autrice de “Lo Stato innovatore” e “Il valore di tutto” e consulente del governo Conte per la fase 2.  Ecco ciò che scrive la Mazzucato. “Lo Stato non può limitarsi ad aggiustare i danni economici provocati dalla crisi finanziaria e dall’epidemia. Esso deve dare una forma nuova ai mercati, alle organizzazioni produttive e ai rapporti sociali e di lavoro che premi la creazione di valore e la resilienza sociale e ambientale. In linea con le recenti misure adottate nei precedenti decreti (sui temi della Golden power e sulle condizionalità legate ai prestiti garantiti), andrebbe potenziata la capacità dello Stato di dare direzionalità e promuovere il coordinamento degli investimenti e delle filiere produttive individuate come strategiche. Affinché lo Stato possa portare a termine con successo i compiti di cui la crisi lo sta investendo, si rende urgente un rinnovamento delle competenze statali, la riorganizzazione delle strutture amministrative e l’acquisizione di un senso di missione da parte di chi opera nelle strutture pubbliche. Per la realizzazione di una strategia industriale di successo, è fondamentale che vi siano strutture pubbliche dotate di effettive capacità di indirizzo. Molteplici esperienze nazionali e regionali del passato, quali le agenzie del New Deal rooseveltiano, il ministero dell’Industria giapponese, le tecnocrazie dell’Iri e dell’Eni, possono fornire spunti importanti di design istituzionale. Per esempio, lo Stato italiano non può rinunciare all’opportunità di dare piena realizzazione al potenziale innovativo e sistemico che Cdp e il Mef detengono, rispetto al controllo di strategiche imprese pubbliche e agli strumenti di finanziamento paziente di lungo periodo. È essenziale che l’Italia colga l’opportunità che questa gravosa sfida impone. Lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, può creare e operare nei mercati a fianco delle organizzazioni produttive, impostando quel cambiamento strutturale del modello economico di cui l’Italia ha, oggi più che mai, improrogabilmente bisogno.” Di ben diverso tenore l’intervento del neo presidente di Confindustria Bonomi, che sulle stesse pagine scrive: «Un conto è chiedere un freno alla corresponsione dei dividendi, altro e del tutto inaccettabile è avviare una campagna di nazionalizzazioni dopo aver indotto le imprese a iperindebitarsi, Siamo contrari a sottoporre a sostegni pubblici la liquidità delle imprese a condizione che poi lo Stato possa decidere di convertirli in una presenza diretta o nazionalizzare. Mentre lo Stato chiede per sé in Europa trasferimenti a fondo perduto a noi chiede di continuare a indebitarci per continuare a pagare le tasse allo Stato stesso. La tentazione di una nuova stagione di nazionalizzazioni è errata nei presupposti e assai rischiosa nelle conseguenze, sottraendo risorse preziose alle aziende per soli fini elettorali». Ma nel mondo imprenditoriale c’è anche Assonime – presieduta da Innocenzo Cipolletta, già direttore generale di Confindustria – che ha proposto (vedasi un mio recente articolo) un fondo di investimento a capitale prevalentemente pubblico, che possa supportare le imprese italiane attraverso: nuovi aumenti di capitale, iniezioni di liquidità trasformabile in capitale a determinate condizioni e un incremento della patrimonializzazione attraverso operazioni di debito-equity swap. “Le società target sarebbero identificate tra le società non finanziarie con fatturato superiore a 25 milioni o più di 50 dipendenti, ma non superiore a 5 miliardi di fatturato”, specifica il documento dell’associazione guidata dal direttore generale Stefano Micossi. La dimensione del Fondo – si legge – “è ipotizzabile in 20 miliardi (eventualmente incrementabili fino a un massimo di 25 miliardi)”. L’intervento del Fondo immaginato da Assonime dovrebbe essere temporaneo, senza diritti di voto o con limitati diritti di voto tesi a preservare i valori aziendali; si dovrebbero prevedere meccanismi di uscita verso gli stessi azionisti o verso il mercato. Gli azionisti manterrebbero la gestione dell’impresa, ma sarebbero vincolati nella distribuzione degli utili, nei compensi del management e nell’acquisto di azioni proprie. E c’è anche Leonello Tronti dirigente Istat e docente a Roma-tre che ripropone la topsy-turvy nationalization di James Meade che può essere così raccontata: “ Il regno unito nazionalizzò dopo la II guerra mondiale le sue industrie dell’acciaio, elettricità, ferrovie e del carbone, ma si trattava solo di un controllo parziale dal momento che lo stato non riceveva libero uso dei profitti. James Meade, economista premio Nobel, propose di rovesciare il processo di nazionalizzazione del Regno Unito. Quello che lui chiama “topsy-turvy nationalization” è essenzialmente quello di dare allo stato i diritti come azionista senza i diritti di controllo. I maggiori benefici di questo modello secondo Meade sono due: uso dei profitti distribuiti per finanziare un “dividendo sociale” che provvede flessibilità al mercato del lavoro concedendo una entrata minima a tutti; e separazione tra governo e decisioni dirigenziali di ciò che lo stato possiede. Conclusioni Le proposte sono tante ed interessanti, anche noi possiamo aprire un dibattito su questi argomenti così importanti in questa fase storica.               SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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LA PAURA DEL VIRUS E L’ANNUNCIO DELLE “RIFORME”

  di Aldo Potenza – Presidente di Socialismo XXI |   E’ sempre errato intentare processi alle intenzioni, ma è giusto cercare di trarre dalle singole tessere di un confuso mosaico il disegno ispiratore degli annunci politici. Orbene: è evidente che l’eccezionalità del momento dovuta alla pandemia covid-19 richieda interventi rapidi e sostenuti da attente valutazioni che si avvalgano anche del contributo degli ambienti tecnici e scientifici; è altrettanto evidente che i DPCM adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, anche se previsti dalla legge del 23 agosto 1988 n. 400 che disciplina l’attività del Governo e l’ordinamento della Presidenza del Cosiglio dei Ministri, hanno suscitato da parte di diversi autorevoli costituzionalisti molte preplessità sulla loro costituzionalità. Fatte queste premesse, trascurando molte altre questioni che sono state motivo di polemiche fra le forze politiche, mi preme osservare quanto segue: il Presidente del Consiglio Conte nell’ultima performance televisiva, tra le tante notizie date, in modo confuso, ha accennato, en passant, come se fosse una questione di scarso rilievo, alla necessità di adottare delle riforme. Può darsi che agli ascoltatori sia parsa la solita rituale affermazione che si ripete stancamente da tanti anni. (Anche se un tempo le riforme annunciavano la conquista di nuovi diritti sociali, mentre recentemente hanno assolto ad una funzione nel maggior parte dei casi opposta). L’annuncio però, inserito in un contesto di provvedimenti eccezionali che vengono assunti dal Presidente del Consiglio con un Parlamento pressocché inesistente e in quarantena, con il divieto di promuovere riunioni, di organizzare eventuali dimostrazioni pubbliche, di favorire la piena partecipazione di chiunque sia interessato ai contenuti delle riforme, ci è parso quanto meno fuori luogo e, immaginando che le parole pronunciate del Presidente Conte siano state ben valutate, sollevano non poche preoccupazioni. Sappiamo bene, l’ha ripetuto più volte Conte durante la diretta TV, che gran parte delle decisioni sono suggerite dal coordinatore Colao del gruppo dei 17 esperti. Ebbene recentemente, in occasione di una intervista che Colao ha rilasciato al Corriere della Sera al termine sostiene che: “«abbiamo l’opportunità di fare in ognuno di questi campi (si riferisce all’economia e non solo) cose che avrebbero richiesto molto più tempo. Mai lasciarsi sfuggire una crisi». Una affermazione che richiama alla memoria l’accenno alle “riforme” a cui ha fatto riferimento Conte. Una analoga considerazione fu svolta da Monti quando senza scandalo alcuno disse alla Luiss che c’è bisogno delle crisi per fare passi avanti in Europa poichè i cittadini sono pronti a diverse concessioni solo quando il costo politico e psicologico diventa superiore al costo di non farle. Insomma traducendo: le riforme indigeste possono passare se la condizione psicologica indotta dalla crisi rende facile accettarne le conseguenze. Domanda: possiamo accettare di essere trattati in questo modo? Possiamo consentire che altri profittando della paura del virus decidano i nostri destini? Questo cinismo può essere accettato anche se non dovesse poi avere conseguenze pratiche? Non dobbiamo preoccuparci del silenzio che segue dopo queste affermazioni?         SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CAPITALISMO ACCATTONE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Dal Sole 24 ore del 28 aprile 2020: Il campanello d’allarme ora lo suona anche Banca d’Italia. “Una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile e non tutti i debiti (assistiti da garanzie pubbliche) accesi per far fronte alla crisi saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria. Ne risentiranno la leva finanziaria delle imprese, la loro vulnerabilità e, in ultima analisi, la loro capacità di intraprendere gli investimenti necessari ad accelerare la ripresa economica”. Un effetto a catena che Via Nazionale tuttavia indica come affrontare: “Questi rischi possono essere contenuti se, compatibilmente con le condizioni generali dei conti pubblici,  alla concessione di garanzie si affiancheranno trasferimenti diretti alle imprese da parte dello Stato (volti a coprire, in misura de definire, le perdite di fatturato e le spese operative), operazioni condotte da veicoli finanziari pubblici costituiti per facilitare la ristrutturazione dei debiti delle aziende, incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione”. Insomma, tali provvedimenti “dovrebbero essere attentamente calibrati per commisurare il sostegno pubblico, per quanto ragionevolmente possibile, all’effettivo danno subito in conseguenza della crisi; saranno tanto più efficaci quanto più si baseranno su meccanismi semplici, trasparenti e automatici”. Il capitale viene clamorosamente allo scoperto, il decreto liquidità che concede garanzie dal 70 al 100% dei prestiti fatti dalle banche per ammontari pari al 25% del fatturato dell’anno precedente (e ho già dimostrato altrove la convenienza economica di questo provvedimento) è assolutamente insufficiente a salvare le imprese italiane. Constatato ciò, con l’uso di parole che tendono ad ammantare di ragionevolezza ed eleganza la sostanza del discorso, si arriva alla richiesta esplicita di contributi e sussidi a fondo perduto e di agevolazioni fiscali a favore del capitale. La vecchia politica di socializzare le perdite e privatizzare i profitti ritorna puntualmente a galla, spudoratamente e con tocchi di patetica generosità quando si aggiunge che senza questi aiuti le imprese chiudono e tanti poveri lavoratori rimangono senza lavoro. La cosa è tanto più ipocrita quando si sostiene che i regali fatti al capitale devono essere fatti “compatibilmente con le condizioni generali dei conti pubblici”; con la prospettiva di un deficit al 10% e un debito al 150% la cautela del “compatibile” pare inadeguata. Ora sia chiaro, quello che Bankitalia scrive è tutto vero, molte imprese falliranno e la disoccupazione salirà a due cifre, quello che a mio parere deve essere chiaro è che l’aiuto dello Stato deve avere due caratteristiche: ● Nessun regalo, nessuna esenzione fiscale insomma nessun trasferimento di soldi dal mondo del lavoro al capitale. Se aiuti vanno dati siano dati sottoforma di partecipazioni pubbliche, per essere chiari i soldi che lo stato dà rimangono dello stato, i soldi che i contribuenti danno alle imprese sono investimenti fatti dai contribuenti a mezzo dello stato. Per essere chiari ritorniamo all’IRI. ● Ma gli investimenti non vanno fatti a pioggia con meccanismi “semplici, trasparenti e automatici”. No, gli investimenti vanno fatti sulla base di una politica industriale del Mise che si pone degli obiettivi (ad esempio il superamento del nanismo imprenditoriale), dei risultati (ad esempio l’innovazione, la digitalizzazione, la produzione 4.0) avendo presente un nuovo modo di produzione e di redistribuzione. Scrive Mariana Mazzucato su Repubblica di qualche giorno fa, l’Italia deve ripartire: “ma per l’economia non deve avere come obiettivo la situazione di prima, perché quella situazione era ricca di difetti. Lo Stato deve dare aiuti alle imprese subito, perché è ora che ne hanno bisogno, ma deve legarli a condizioni molto chiare. Spetta a ogni governo decidere, ma certo sono temi che sono sotto gli occhi di tutti: la necessità di andare sempre più verso una green economy, il divario Nord Sud da ripianare, il divario digitale sia da un punto di vista sociale (tra individui) che economico (fra imprese), la piccola dimensione delle imprese che rischiano di non poter resistere a urti sociali e tecnologici. Oggi lo Stato dà già molto alle aziende, ma sempre sotto forma di sussidi e incentivi a pioggia per cercare di risolvere fantomatici fallimenti di mercato. Invece serve un ruolo imprenditoriale dello Stato, che agisca in simbiosi con le imprese, indirizzando e coordinando investimenti ed iniziative e che dimostri di avere una strategia, una visione di quale economia vogliamo. Penso che lo Stato debba interagire con le imprese prendendo i suoi rischi come investitore ma ricevendo anche i suoi utili se le imprese, come è augurabile, fanno profitti e li reinvestono in crescita ed innovazione” La Mazzucato ci convince non solo rispetto a quanto scrive Bankitalia, ma anche rispetto alla proposta di Assonime (Cipolletta) su cui ho già scritto, che vede Cassa Depositi e Prestiti trasformare i debiti delle imprese verso le banche in capitale di rischio della stessa Cassa ma senza diritto di voto quale socio per lasciare alla “libera iniziativa” di continuare con un modello di sviluppo che si dimostra sempre più inadeguato nella crisi del capitalismo globale.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DIRIGISMO O SOCIALISMO?

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   E’ pronto il piano Colao per la fase 2, Borrelli sta pianificando la strategia sanitaria per il Paese, Arcuri ha un piano per il reperimento dei fabbisogni di beni sanitari, non parliamo poi dei piani che stanno predisponendo le varie task forces nominate da ministeri e regioni; efficace o meno, lungimirante o meno si sta sviluppando una attività di pianificazione (addirittura non solo programmazione) per affrontare una situazione cui i normali organi decisionali non sono in grado di far fronte. Capisco che introdurre la categoria “pianificazione” in questa contingenza possa sembrare una forzatura del ragionamento che sto affrontando, ma non c’è dubbio che un elemento provocatorio valido sia presente nella mia ricerca. La prima riflessione è dunque se quando l’equilibrio, chiamiamolo per semplicità liberista, non è in grado di affrontare la situazione, ne discenda necessariamente l’intervento di un organismo programmatorio o pianificatore che si ritiene in grado di affrontare la situazione. Noi siamo giunti a questa situazione con il dubbio mezzo, anche se previsto da una legge del 1988, dei famosi decreti del presidente del consiglio dei ministri che hanno trattato materie così delicate quali le libertà costituzionali. Che la sensibilità del Presidente della Repubblica abbia convinto a portare in Parlamento i vari dpcm anche se inseriti nell’iter di approvazione dei vari decreti-legge, mi pare conferma della delicatezza delle procedure adottate, ben al di là delle becere strumentalizzazioni di Lega e Fratelli d’Italia. A conclusione di questa prima riflessione mi pare poter affermare che sì, in momenti di emergenza sia legittimo, se non necessario, sopperire alle deficienze della società liberista con un intervento decisionale estraneo agli equilibri delle libere scelte di carattere individualistico. La seconda riflessione è se questo strumento pianificatore sia concepibile anche in situazioni, diciamo così, normali sempre che il periodo storico che stiamo attraversando, caratterizzato da continue e sempre più gravi crisi alle quali il metodo, che abbiamo definito sbrigativamente liberista, dimostra di non essere in grado di affrontare denunciando tutti i suoi limiti, sia da considerarsi normale. E’ sempre più evidente che le crisi si ripresentano con cadenza sempre più ristretta e con gravità sempre più crescente. Non voglio accusare il sistema liberista di essere responsabile della crisi del corona virus, come invece è responsabile della crisi del ’29, e di tutte le crisi ripresentatesi e culminate con quella del 2007 che non è stata risolta a tutt’oggi. Mi sembra che, a conclusione di questa seconda riflessione, la sostituzione delle scelte individualiste con un sistema decisionale pianificato, anche se non condivisibile da tutti, abbia seri punti sui quali ragionare. La terza riflessione è se sia necessariamente collegabile il concetto di pianificazione con quello di regime illibertario o meglio dittatoriale. A mio parere questo nesso sinallagmatico è una forzatura polemica che non dico infondata, ma che anzi dovrebbe spingere ad una articolazione democratica del metodo pianificatorio. Non ha senso, a mio modo di vedere, respingere un metodo razionale per i risultati fallimentari che ha prodotto in un particolare caso storico. Esso al contrario deve essere di insegnamento per non incorrere nelle stesse contraddizioni. La quarta riflessione è relativa al contenuto politico di un sistema pianificato. A mio parere il sistema pianificato privilegia il sistema razionale al sistema istintivo del liberismo. I processi decisionali non nascono dall’equilibrio di tanti interessi concorrenti che di per sè sarebbero in grado di risolvere ogni evenienza per “naturale” intrinseca virtuosità della razionalità individuale che genera la razionalità globale. Questo assunto, a parte il fatto che ha dimostrato storicamente la sua fallibilità, ignora a priori la proficuità del processo decisionale di gruppo, come il metodo scientifico dimostra, che esalta la sinergia del ricercare insieme e del concludere in base a ciò che si è ricercato. Mi piace ricordare che mai il CERN sarebbe stato realizzato sulla base degli interessi individualistici concorrenti. Scienza versus istinto può essere il senso della scelta pianificatoria. La quinta riflessione si basa sulla considerazione che ogni scelta, ogni indirizzo, ogni programma, ogni pianificazione ha contenuti di classe. La pianificazione fatta dalle multinazionali è estremamente e seriamente elaborata collettivamente da managers qualificati e competenti; ciò non toglie che la filosofia di classe che la guida è quella imperialistica, quella del capitalismo nella sua fase storicamente determinata. Qui si esprime la vera sostanza politica della pianificazione, la sua vera connotazione di classe. Nel contenuto di classe si distingue quindi, a mio modo di vedere, la differenza tra dirigismo e pianificazione socialista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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LA PROPOSTA DI CIPOLLETTA E MICOSSI

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Sul Sole 24 ore interessante proposta di Cipolletta e Micossi per “Convertire i debiti in capitale di rischio”. Gli autori consci che le misure sulla liquidità emanate dal governo non sono sufficienti formulano una proposta interessante perché se da una parte vengono in concreto aiuto delle imprese aumentando il capitale di rischio di cui le imprese possono disporre, dall’altra questo incremento non costituisce un “regalo” al capitale ma una partecipazione pubblica nel capitale delle imprese aderenti. Gli autori infatti propongono che si costituisca un “Fondo sottoscritto primariamente da una istituzione pubblica (Cassa Depositi e Prestiti) con possibilità di coinvestimento da parte di istituzioni finanziarie e da altri soggetti istituzionali italiani (ad es. Fondazioni bancarie, Fondi pensione, società di assicurazione); tale Fondo con operazioni di debt-equity swap, ovvero con operazioni che prevedono che i debiti delle imprese verso le banche siano trasformati in capitale di rischio (capitale sociale) intestato al Fondo che da parte sua estingue il debito verso le banche che tornano così a poter aumentare la loro capacità di erogazione di crediti. Naturalmente il Fondo avrà un protocollo per selezionare le imprese su cui operare, imprese sane con buona situazione concorrenziale, di efficienza ed innovazione, di medie dimensioni (si prevede un fatturato tra i 25 milioni e i 5 miliardi di fatturato). Tale modello potrebbe anche essere riprodotto in tutta Europa per affrontare la presente pesante crisi. A parte alcune riserve che avrei sui partecipanti al Fondo, oltre a cassa depositi e prestiti, la proposta mi pare degna di attenzione e gradirei i pareri di Aldo, Silvano o chiunque altro fosse interessato all’argomento, penso ad esempio a Sessa e Aletta. P.S. Non sul Sole, ma su un sito Google leggo altre notizie; in pratica si dice che le azioni attribuite al Fondo sarebbero senza diritto di voto e limitate nel tempo nel senso che il capitalista originario, cessata l’emergenza ed avendone la disponibilità, potrebbe riscattare la quota del Fondo. Non conosco l’autenticità della fonte di questa integrazione, dalla quale, comunque, mi dissocio.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL BONOMI PENSIERO

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Scrive il Sole 24 ore:  “Il problema principale è la carenza di liquidità, ed è stato messo a fuoco ormai da settimane da sigle e associazioni di categoria. L’impressione di autonomi e imprese è che i prestiti garantiti – previsti dal decreto Liquidità (Dl 23/2020) – non possano essere la soluzione. Perché si tratta comunque di nuovo indebitamento cui bisognerà far fronte, sia pure dopo un periodo iniziale di preammortamento. Perché la garanzia implicherà comunque un costo.” Preciso che il decreto liquidità prevede un finanziamento per un periodo di 6 anni con un preammortamento di 2 anni e con un costo di garanzia crescente durante i sei anni per importi non superiori al 25% del fatturato del 2019 (o al doppio del costo del lavoro sostenuto nel 2019). Praticamente, nel primo caso, il finanziamento è pari al fatturato di un trimestre (il 25% del fatturato dell’anno precedente) per un periodo che presumibilmente può corrispondere al periodo di lockdown. Il fatturato si documenta con il bilancio approvato per il 2019 o, se questo non è ancora predisposto o approvato, con autocertificazione aziendale. Tali prestiti (non mi riferisco alla procedura prevista per il Fondo garanzia PMI) sono a scaglioni: un primo scaglione prevede fatturati non superiori a 1,5 miliardi di € con meno di 5.000 dipendenti e la garanzia statale è pari al 90%; il secondo scaglione prevede fatturati tra 1,5 e 5 miliardi e con dipendenti oltre i 5.000 ove la garanzia statale è all’80% ed infine le imprese con fatturato sopra i 5 miliardi con garanzia al 70%. Per godere di tali prestiti le imprese non possono deliberare dividendi nel corso del 2020. Ora la copertura di un trimestre di fatturato, eventualmente espandibile dalla conversione in legge, mi pare ragionevole nel senso che durante il periodo di lockdown è vero che si è perso il fatturato (non certo per tre mesi) e si sono sostenute le spese fisse, ma non si sono sostenute spese né per i dipendenti, pagati dalla cassa integrazione, né per gli acquisti necessari all’esercizio delle imprese. Se ad esempio una impresa commerciale fatturava nel trimestre 100.000€ ed il costo del venduto era il 70%, più un affitto di 2.500€ al mese e con tre dipendenti con un costo unitario di 3.000€, spendeva nel trimestre 70.000€ di costo merci, 7.500€ di affitto e 9.000€ per i dipendenti per un totale di 86.500€ e quindi un utile lordo di 13.500. Con le disposizioni antivirus l’esercente ha un prestito di 100.000 e una spesa fissa di 7.500€ di affitto (per il quale è previsto addirittura un credito d’imposta) e nessuna altra spesa, con un residuo di 92.500€ con cui pagare interessi e costo della garanzia, e copertura della quota di garanzia non coperta dallo stato. Ma la Confindustria a trazione Bonomi (quello che ha ribrezzo dell’IRI perché lo stato deve limitarsi a controllare, ma non a gestire) trova che il provvedimento sia inadeguato perché: si tratta comunque di nuovo indebitamento cui bisognerà far fronte, sia pure dopo un periodo iniziale di preammortamento ed inoltre la garanzia implicherà comunque un costo. L’obiezione testimonia a favore di un non-indebitamento cui fare fronte; tradotto in lingua volgare significa la richiesta di una elargizione a fondo perduto; un regalo, una elemosina molto generosa alla luce del conteggio fatto nel paragrafo precedente. Sia chiaro, la risposta nostra deve contrastare elargizioni gratuite al capitale che sono forse anche necessarie, ma che in tal caso devono essere elargizioni a fronte di azioni societarie delle imprese beneficiate. Se il mondo del lavoro si fa carico di aiuti alle imprese, ebbene tali aiuti siano investimenti che il mondo del lavoro fa alla luce degli articoli 40 e segg. della Costituzione. P.S. Il decreto Cura Italia all’art.91 che “la responsabilità del debitore ai sensi dell’art. 1218 c.c. per la quale il D.L. prevede il rispetto delle misure di contenimento da Covid 19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore anche ai fini dell’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Si può leggere come non imputabilità del debitore inadempiente per “forza maggiore”.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it