LA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

In questi giorni di vacanza natalizia tre articoli hanno solleticato il mio interesse, la mia propensione a pensare alla rivoluzione tecnologica in atto che, da buoni sonnambuli, stiamo acriticamente vivendo senza porci troppe domande se non a livello epidermico, senza cioè senza approfondire le conseguenze che questa rivoluzione potrà (o già sta) apportare alle nostre stanche società. Gli articoli sono: a) “Stato sociale e pieno impiego tra Costituzione ed economia” di Leonello Tronti 23/12/2023 (ed. dalla parte del torto). b) ”Lavoro, tecnologia, conflitti. E’ in corso una rivoluzione” di Massimo Cacciari 24/12/2023 (ed. Il Giornale). c) “Saranno le stesse contraddizioni del capitalismo a indicare la via del suo superamento” di Vittorio Pelligra 24/12/2023 (ed. Il Sole 24 Ore). Nel primo articolo l’amico prof. Tronti affronta la storia dello stato sociale da Bismarck a James Meade, passando per Lassalle, Wagner, Pigou, Keynes e Beveridge. Nelle conclusioni il prof. Tronti affronta il tema esposto nel titolo che ho dato a questo mio intervento con le seguenti parole: “Dinanzi alla prospettiva di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, la sfida più terribile, la minaccia davvero mortale che oggi incombe sulla stato sociale è quella della jobless growth dei lavoratori disarmati nella sfida con i robot (…).Se sviluppo e occupazione non sono più sinonimi, lo stato sociale non può che crollare, perché è l’occupazione piena e regolare, con la completa adesione fiscale e contributiva dei lavoratori occupati, a consentire il finanziamento dello stato sociale: la piena occupazione non ne è che il fondamento finanziario necessario, la condizione economica di sistema indispensabile allo stato sociale, indispensabile perché il mercato del lavoro raggiunge la condizione di piena occupazione. La sfida della jobless growth può essere vinta e la piena occupazione riconquistata, purchè si accetti di rinnovare profondamente i lineamenti dello stato sociale pagando il prezzo che il rinnovamento comporta in termini di aggiustamento sociale, economico e culturale”. Ora, come amava fare Einstein, facciamo un esperimento mentale e ci immaginiamo un mondo in cui tutto ciò che viene prodotto attualmente viene invece prodotto (forse anche più e meglio) dalle macchine; in questo esperimento tuttavia prescindiamo dall’affrontare due tematiche fondamentali quali: a) quella rappresentata dalla sostenibilità, ovvero del consumo di beni rinnovabili senza intaccare le risorse naturali destinate altrimenti a terminare; b) la tematica della mutazione climatica. Posta tale premessa, dobbiamo dedurre che conciliare la fine del lavoro comandato con la piena occupazione è impossibile, non ci pare allora che quello sia il dilemma cui ci troviamo di fronte ma quello che troviamo nelle parole di Massimo Cacciari nella sua intervista quando dice:” Ci troviamo a un bivio, in cui capiremo se questa tecnologia servirà a renderci liberi dalla pena del lavoro ripetitivo e meccanico e ci consentirà di partecipare alla ricchezza prodotta, senza subire la legge del mercato e del lavoro, o se sarà un processo per cui ci disoccuperemo, senza sapere che cosa fare della nostra anima e vivendo di contributi.” Il terrore che si diffonde appena si pone la prospettiva di un mondo in cui le macchine producono tutto e lasciano disoccupati tutti i lavoratori può essere facilmente pacato se pensiamo che se le macchine producono tutto ciò che viene prodotto attualmente tutti potranno, senza problemi, consumare ciò che consumano ora anche senza bisogno di vendere il proprio tempo di vita per sopravvivere rendendo i lavoratori liberi dalla pena del lavoro comandato. Come approccio iniziale dovremmo quindi pensare che la fine del lavoro non pone un problema insolubile, problematica invece è la domanda su come si gestisce, ma soprattutto chi gestisce la fase transitoria. Fase che come scrive il prof. Tronti deve presentare la “gradualità con cui può essere applicata” di modo che consenta “un’applicazione graduale, tale da permettere in itinere le sperimentazioni, gli aggiustamenti e i correttivi che ne assicurino il successo”. Riporto ora quanto scriveva Paolo Sylos Labini nel 1989 nel suo libro “Nuove tecnologie e disoccupazione” (a pag. 218 ed. Laterza) trattando dell’argomento di cui stiamo discutendo. Nell’ipotesi in cui “la produzione di tutte le merci sia robotizzata e che gli stessi robot siano prodotti di robot dobbiamo allora riproporci la domanda: chi è in grado di acquistare le diverse merci? La risposta non può che essere questa: si deve ammettere che uno Stato centrale munito, come tutti gli stati, di poteri coercitivi, provveda ad una redistribuzione del reddito seguendo, come criterio guida non l’umanità, la solidarietà o la carità, ma, più semplicemente, l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti. Un criterio razionale potrebbe essere: “a ciascuno secondo i suoi bisogni”: è il criterio che caratterizza una società senza operai salariati e senza classi intese in senso economico; in una parola: una società comunista. Uno sbocco questo, dello spontaneo processo capitalistico, al di fuori delle tragedie della miseria crescente e delle conseguenti eroiche (e sanguinose) rivoluzioni.” Ma Sylos Labini arriva alle sue conclusioni dopo aver risolto a monte il problema di “chi gestisce la fase transitoria”; infatti nel suo scritto si parla di “uno Stato centrale munito, come tutti gli stati, di poteri coercitivi” che provvede alla redistribuzione generalizzata del prodotto annuo oppure provveda alla distribuzione generalizzata delle azioni delle imprese robotizzate. Quindi a monte delle due ipotesi proposte esiste l’espropriazione dei robot, dei mezzi di produzione accentrandone la proprietà nelle mani dello Stato. Ovvio che l’alternativa è quella della proprietà privata dei mezzi di produzione con la conseguenza che la redistribuzione della produzione annua non verrà fatta con (ritorno alle parole di Sylos Labini) “l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti” ma con l’obiettivo di limitare la produzione di beni per i non proprietari al minimo necessario perché questi non si ribellino e sopravvivano in continua subalternità. Il resto della produzione sarà destinato a soddisfare i bisogni di chi possiede i robot, bisogni creati e perseguiti alla Elon Musk, riproducendo una società neo-schiavistica. Se il salario nel modello capitalista deve permettere al lavoratore a vivere e riprodursi perché nel futuro saranno necessari nuovi lavoratori per sostituire quelli che escono dalla vita lavorativa, nella fase tecnologica del modello …

UNA RIFLESSIONE SULLA NOSTRA GENERAZIONE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Premessa In una recente riunione anniversaria di “reduci”, una mia considerazione sul “fallimento della nostra generazione” ha sollevato molto interesse, tanto da spingermi a chiedere, a tutti quanti mi leggono, di offrire le loro considerazioni e valutazioni in merito, per pervenire ad una partecipata riflessione e valutazione sul comportamento della nostra generazione in questo periodo storico. Nelle mie considerazioni, che vedo di esporre in modo sintetico nei punti seguenti, vorrò ragionare sul “cosa ci aspettavamo di realizzare” e ciò che invece “si è realizzato”; sugli orizzonti e le prospettive che ci eravamo posti al nostro affacciarci alla vita politica e ciò che constatiamo oggi si sia effettivamente costruito; sulle conclusioni che dobbiamo trarre, rivedendo le nostre posizioni o integrarle con nuove considerazioni. Non voglio prendere in esame le indicazioni, i progetti, i sogni dei programmi dei partiti politici, che abbiamo condiviso e contribuito a elaborare, ma voglio limitare il mio ragionamento con un esame critico della nostra Costituzione, mettendo a confronto ciò che essa, pur frutto di alternative visioni politiche, poneva come condiviso percorso ricco di potenzialità, con ciò che nella realtà, nel 75mo anniversario della sua nascita, essa si è concretizzata. Nei punti seguenti prenderò in esame alcuni articoli della nostra Costituzione per esaminarle con lo spirito critico sopra descritto. Inizierò con Articolo 1 di cui farò considerazioni sulle parole “fondata sul lavoro”. Tale formulazione, sintesi tra la proposta socialcomunista e quella democristiana, trova una precisa descrizione nell’intervento fatto da Fanfani nel suo intervento alla costituente, che riporto di seguito: Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d’ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune. Guardando alla società di oggi, considerando come essa si è costruita, non si può non constatare come la negazione dell’eguaglianza dei cittadini misurata dall’indice Gini, dalla crescente polarizzazione dei redditi e delle ricchezze, dal non funzionamento dell’ascensore sociale fermo da anni al piano terra, dimostrino che “privilegio, nobiltà ereditaria e sfruttamento” ancora dominanti nella nostra società, testimonino il mancato raggiungimento degli obiettivi insiti nelle parole “fondata sul lavoro”. L’indice Gini misura la concentrazione dei redditi e della ricchezza nelle diverse classi sociali, tale indice testimonia che la Repubblica non è fondata sul lavoro ma, associando il dato alla paralisi della produttività del nostro sistema produttivo ed all’andamento del target 2 che trasforma il dato positivo delle nostre esportazioni in un dato negativo dovuto all’acquisto di titoli tedeschi (una volta descritti come fuga dei capitali), ma sul capitalismo finanziario che assorbe fondi al sistema produttivo per riversarli su investimenti che non generano ricchezza ma solo la spostano a favore degli insiders ed a danno degli outsiders. L’auspicata finalità delle argomentazioni fanfaniane ovvero “il massimo contributo alla prosperità comune” si è realizzata in una appropriazione basata sulla fatica altrui a favore di pochi speculatori improduttivi. Sul fronte fiscale, poi, sovvertendo le impostazioni dell’art. 2 e 53 della Costituzione, il primo che oltre a riconoscere e garantire i diritti inviolabili richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, il secondo prevedendo la progressività delle imposte, rileviamo che l’introduzione della flat tax per i rediti di capitale, dei fabbricati, dei minimi scaricano sui lavoratori dipendenti e sui pensionati il maggior onere fiscale. La timidezza delle attuali opposizioni su questo fronte pare dare per acquisita la trasformazione della Repubblica fondata sul lavoro in Repubblica fondata sulle imposte pagate dal mondo del lavoro. La caratterizzazione non classista rivendicata dalla formulazione dell’articolo 1 si è concretizzata in una politica fiscale genuinamente classista. Con, in aggiunta, una vergognosa legge di delega fiscale approvata, che estende la flat tax a tutti con una contradditoria assicurazione che ciò verrà fatto nel rispetto della progressività prevista dalla Costituzione. Le tax expenditures, che ammontano a più di 100 miliardi ogni anno, sono una foresta di “privilegi” regalati a fini elettoralistici che offendono in modo spudorato lo spirito costruttivo dei costituenti. E che dire dei sussidi 4.0 Calenda che regala al capitale i soldi per innovare il sistema produttivo quando questo compito è insito nella delega data al privato. Ricordo che la scelta di delegare al privato l’iniziativa produttiva ha sacrificato l’iniziativa pubblica con le privatizzazioni degli scorsi anni- E che dire di una legge fiscale sulle successioni che dà un gettito di 800 milioni di euro, contro i 19 miliardi registrati in Francia, che favoriscono in modo spudorato una “nobiltà ereditaria” estranea al mondo del lavoro, e ciò in netta opposizione all’idea einaudiana di colpire in modo significativo ogni provento economico non frutto di lavoro. Che dire, ad esempio, dell’esenzione dall’imposta di successione per le quote ereditate da soggetti che mantengano il possesso delle quote per almeno un quinquennio (è il caso degli eredi di Berlusconi che non pagheranno un euro sulle quote Mediaset e altre società ereditate)? Il fallimento dell’auspicato “massimo contributo alla prosperità comune” è certificato dall’evasione fiscale che, se combattuta, risolverebbe i nostri problemi di deficit e debito pubblico. Queste considerazioni ci dimostrano che nell’attuazione pratica di un disegno costituzionale ispirato alla solidarietà sociale: l’interesse privato; la logica del profitto come guida delle scelte nella berlingueriana domanda sul “come e cosa produrre” (logica opposta a quella che tende alla prosperità comune); la scelta dei valori di scambio rispetto alla scelta dei valori d’uso ha prevalso, indirizzando il Paese verso un approdo che testimonia sul fallimento dell’orizzonte della nostra generazione. Articolo 3 Il secondo …

UNO STIMOLO PER LA CRESCITA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Se un commerciante vende le sue merci in nero, ovvero senza dichiarare la vendita al fisco, oltre a non pagare l’IVA, l’IRES e l’IRAP, a fine anno, quando fa il bilancio d’esercizio, non avendo scaricato il magazzino contabile con le vendite effettuate in nero, si trova una differenza tra il magazzino contabile ed il magazzino reale. Le giacenze effettive sono più basse di quelle contabili. L’art. 20 del disegno di legge di bilancio permette al contribuente evasore, in questo e altri casi, di sanare le differenze tra contabilità e realtà facendo pagare l’Iva sul valore del minor magazzino moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione che intende calcolare quanto possa essere stato il ricavo non dichiarato. Inoltre sulla differenza tra ricavo calcolato e costo sanato applica una imposta sostitutiva di IRES e IRAP (che cumulate ammonterebbero al 27%) la cui aliquota è il 18%. Applicando questa correzione alle giacenze di inizio anno 2024 il fisco non applica nessuna sanzione e si inibisce la possibilità di fare accertamenti sull’esercizio 2023 né su quelli ancora temporalmente accertabili. Insomma un ulteriore regalo agli evasori fiscali con una spudorata ricerca di consenso elettorale. Ciò che è più vergognosa è la spiegazione fatta dai due promotori leghisti di questa sanatoria (Alberto Gusmeroli e Massimo Bitonci); riporto le loro parole: ”Dopo cinquant’anni di complicazioni infruttuose e deleterie, grazie alla Lega e alla maggioranza di centrodestra, abbiamo ora finalmente l’opportunità di costruire un fisco più snello e più agile, meno nemico di cittadini e imprese, ma anzi stimolo per la crescita”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FAME, CONSUMISMO, DOMANDA AGGREGATA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | (dedicato alla compagna della mia vita) FAME Appena nato mi sono fatto 5 anni di guerra, di fascismo e di monarchia. Conosco il significato della parola “fame”; nelle foto mie di bambino ho un pancione dovuto alla sottoalimentazione, e alle rinsecchite mammelle di mia madre. Ricordo il gusto del pane nero, quello fatto con tutto tranne che con la farina di grano, e ricordo la prima volta che mangiai il pane bianco, appena sfornato da mia madre, che mi parve un dolce. C’era la borsa nera, si andava in campagna cercando di trovare qualcosa da mangiare presso i contadini che avevano più possibilità di procurarne. Mio padre, che faceva le stime dei danni agricoli, per grandine o altro, per le assicurazioni, era conosciuto in campagna e non tornavamo mai a mani vuote. Sulle pagine della Domenica del Corriere c’erano le “ricette di guerra” che insegnavano a usare tutto l’usabile per preparare piatti decenti. Il pane raffermo tagliato a fette, era messo a bagno nel latte cui era aggiunto quel caffè che si faceva con la miscela “Leone” e con la cicoria caramellata. Dopo che il pane avesse assorbito il caffè latte, si disponevano le fette su una padella, si ricoprivano di marmellata (quella fatta in casa con prugne e mele) e si metteva al forno nella “cucina economica”. La cucina economica bruciava legna e/o carbone, ed aveva tre fori sul piano cottura che si chiudevano con cerchi concentrici sempre più piccoli fino al tondino di chiusura, in tal modo si poteva adeguare l’apertura del foro alla grandezza della pentola che si intendeva utilizzare mettendola a contatto diretto con il fuoco; sulla sinistra in alto c’era lo sportello per infilare legna o carbone, sotto c’era lo sportello per la raccolta della cenere; sulla destra c’era in alto il forno e sotto il deposito per la legna o il carbone. Ancora più a destra c’era il contenitore per scaldare l’acqua. Sulla canna fumaria c’era una corona cui incastrando delle bacchette si poteva ottenere uno stenditoio per mettere ad asciugare i panni lavati. Mio nonno era ricco, aveva il riscaldamento in tutta casa perché aveva quelle monumentali stufe di ceramica che distribuivano, attraverso condotti, il calore in tutte le camere. Per noi a casa nostra, l’unica fonte di riscaldamento era la cucina economica, davanti alla quale, d’inverno, ci spogliavamo e mettevamo il pigiama per poi correre nelle camere da letto gelide. Ma sotto le coperte avevamo “il prete” una specie di impalcatura di legno che si infilava tra le lenzuola per ospitare lo “scaldino” di terracotta e pieno di brace, il caldo di un letto riscaldato dal prete è una sensazione irripetibile e ormai rimossa dal senso comune. A scuola, dopo la liberazione, i bambini poveri ricevevano i pacchi UNNRA; cosa ci fosse dentro non l’ho mai saputo, ma certamente c’era la cioccolata che ci rendeva invidiosi della povertà dei fortunati destinatari di quei pacchi. Ricordo il gusto delle carrube, quello del “sairas” una specie di ricotta che i pastori vendevano girando in bicicletta per la città. La merenda era pane burro e zucchero, quando si trovava il burro e quando si disponeva dello zucchero. Al ristorante penso di non essere mai andato se non quando andai militare. Si andava invece, le sere d’estate nel cortile posteriore della latteria, a mangiare il gelato nei bicchieri di vetro. Era quello stesso lattaio presso il quale compravamo il latte; il lattaio immergeva il mestolo nella tanica e versava il latte nel pentolino di alluminio che ci portavamo da casa. Facevamo la spesa alla cooperativa di consumo, con le tessere annonarie, custodite nel cassetto della madia di fianco alla forbice usata per ritagliare i bollini. Non si buttava nulla, tutto era riciclato, riutilizzato e c’era sempre una seconda opportunità per ogni cosa: al cesso ci pulivamo con le strisce del giornale del giorno precedente. L’immondizia che buttavamo era l’ultima fase di vita di qualsivoglia oggetto o merce assolutamente inutilizzabile avendo spremuto da esso ogni possibile succo utilizzabile. Insomma culturalmente il consumo era un concetto negativo, uno spreco, l’opposto del risparmio, l’espressione della favola della formica e della cicala. (Il mio racconto cerca di delineare il concetto di fame che, anche se era dura per noi nei tempi di guerra, nulla ha a che compararsi con la fame odierna nei paesi africani che merita tutto il nostro rispetto e la nostra solidarietà.) CONSUMISMO Per me il miracolo economico cominciò con il mio primo paio di pantaloni lunghi, lenti senza piega un po’ sdruciti ma lunghi, quasi una iniziazione alla maggiore età. Certo i tempi erano ancora duri. Ricordo un cappotto che i miei mi fecero fare rivoltando il cappotto di mio nonno carabiniere. Terribilmente nero e triste, anche se i miei cercarono di schiarirlo con un’improbabile sciarpa rossa. L’inverno resistevo ai freddi più rigidi pur di no andare a scuola con quel pezzo di abbigliamento funerario. Poi venne la Vespa, poi la seicento quindi casa nuova, cominciammo a comperare la carta igienica, improvvisamente si bevve l’acqua minerale invece dell’ottima acqua del rubinetto. Cominciò la marcia trionfale del consumismo, accompagnato dalla campagna culturale pasoliniana anticonsumistica; la prima destinata a trionfare attraverso gli schermi televisivi, la seconda destinata a soccombere nella nostalgia di un tempo irreversibile. Cominciammo a masticare i chewing gums, ci sentivamo culturalmente inferiori agli americani che gettavano gli spazzolini da denti solo dopo dieci volte che li avevano usati; andavamo a comperare, era il venerdì sera, la pizza dal napoletano emigrato al nord, regalavamo i vestiti ai “rascon” reduci dalle alluvioni della valpadana veneta. Anno dopo anno, l’indecenza televisiva rompeva il mito veltroniano del “non si può interrompere una emozione” e ci riversava, ci sommergeva e ci sommerge di merci, di prodotti, di roba da consumare, si esalta la signora che va a fare la spesa perché aiuta l’economia nazionale. Non più il mito dell’oro alla Patria, ma il consumo per far girare l’economia. Ed il corpo umano, la persona umana diventa strumento di conquista del …

QUESTO ARTICOLO E’ GENERATO DA UNA INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un esperimento a cura di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio| Utente Se domani con la robotizzazione non sarà più richiesto lavoro umano come si distribuirà il prodotto nazionale? Bing Questa è una domanda molto interessante e complessa, che non ha una risposta univoca. Ci sono diverse proposte e visioni su come affrontare il problema della distribuzione del reddito in un mondo in cui il lavoro umano diventa sempre meno necessario. Alcune di queste proposte sono: ● Il **reddito di base universale** (RBU), che consiste nel garantire a tutti i cittadini un reddito minimo incondizionato, indipendentemente dal loro status lavorativo, età, reddito o patrimonio. Questa proposta ha il vantaggio di ridurre la povertà, aumentare la libertà individuale e incentivare l’innovazione e la creatività. Tuttavia, presenta anche delle sfide, come il finanziamento, l’impatto sul mercato del lavoro e la sostenibilità sociale. ● La **riduzione dell’orario di lavoro**, che consiste nel diminuire il numero di ore lavorative per persona, mantenendo lo stesso salario o aumentandolo proporzionalmente. Questa proposta ha il vantaggio di ridurre lo stress, migliorare la qualità della vita e creare nuove opportunità di occupazione. Tuttavia, presenta anche delle difficoltà, come la resistenza dei datori di lavoro, la perdita di produttività e la necessità di una maggiore regolazione. ● La **tassazione dei robot**, che consiste nel prelevare una quota dei profitti generati dall’automazione e destinarla a finanziare la protezione sociale, l’istruzione e la formazione dei lavoratori. Questa proposta ha il vantaggio di compensare la perdita di entrate fiscali dovuta alla riduzione del lavoro umano, incentivare l’uso efficiente dei robot e promuovere la giustizia sociale. Tuttavia, presenta anche delle problematiche, come la definizione di robot, l’effetto distorsivo sulle decisioni di investimento e la concorrenza internazionale. Queste sono solo alcune delle possibili soluzioni al problema della distribuzione del reddito in un mondo robotizzato. Si tratta di un dibattito aperto e multidisciplinare, che richiede una riflessione approfondita e una partecipazione democratica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La legge delega sulla riforma fiscale predisposta dal governo Meloni ed approvata dal Parlamento prevede, per quel che riguarda la lotta all’evasione fiscale, l’utilizzo di tecnologie digitali, anche supportate dall’intelligenza artificiale, al fine di ottenere, attraverso la piena interoperabilità tra le banche dati, la disponibilità delle informazioni rilevanti e garantirne il tempestivo utilizzo al fine di individuare l’attività di controllo nei confronti di soggetti a più alto rischio fiscale. L’attuazione della riforma in questo campo ha subito ritardi nell’avvio dei lavori dovuto al confronto con il Tutore della Privacy con cui si sono concordate le regole cui il fisco deve attenersi a tutela della riservatezza dei dati ed inoltre per garantire l’osservanza del rispetto dello Statuto del contribuente. Traggo da un articolo di S.Weisz il seguente esempio di operazione che può essere svolta grazie all’utilizzo di tecniche di Intelligenza Artificiale (d‘ora in poi I.A.) Esempio di analisi basata su algoritmo AI Tra le imprese individuali che operano nel settore del commercio al dettaglio, in un ambito merceologico che il Fisco ipotizza essere tipicamente caratterizzato da elevati margini, vengono selezionate quelle che, relativamente a uno specifico anno fiscale, manifestano una serie di peculiarità. Eccole: ● dall’analisi dei dati della fatturazione elettronica e dei corrispettivi emerge che la differenza tra i ricavi conseguiti nell’attività di impresa e i costi sostenuti è inferiore al 5% dei costi; ● il valore aggiunto calcolato sulla base delle dichiarazioni fiscali presentate risulta estremamente esiguo in relazione al numero di dipendenti dell’impresa (criterio applicato nel solo caso in cui l’impresa abbia personale dipendente); ● il valore della variabile reddito d’impresa per addetto è inferiore al decimo percentile della corrispondente distribuzione riferita alla totalità dei soggetti che operano nel medesimo settore economico. Ai titolari delle ditte individuali identificati in base alla presenza congiunta di tutte le condizioni sopra esposte, vengono successivamente abbinate le informazioni desumibili dall’archivio dei rapporti finanziari. Qui l’analisi inizia a scendere nel dettaglio: per le singole posizioni si considera l’ammontare complessivo dei flussi in avere risultante dai conti correnti e dagli altri rapporti finanziari. A questo punto, si selezionano i soggetti con le seguenti caratteristiche: entrate non inferiori a 300mila euro e superiori di almeno il 150% rispetto ai ricavi dichiarati. Da questa platea, vengono automaticamente eliminati i contribuenti per i quali risultino atti che possano giustificare incrementi patrimoniali compatibili con le risultanze dell’archivio (vendita di immobili, donazioni e/o eredità ricevute, redditi sottoposti a tassazione sostitutiva). Siamo in presenza di un uso mirato affidato all’I.A.; una ricerca di casi che evidenziano parametri anomali rispetto alla generalità dei casi; l’algoritmo prescelto va alla ricerca di anomalie all’interno di chi presenta una dichiarazione iva e/o una dichiarazione dei redditi. In un passato remoto, all’interno della dichiarazione, era richiesta una serie di informazioni del tipo: che auto hai, hai un cavallo, hai una barca o un motoscafo, e simili che tendevano ad evidenziare incongruenze, tra stile di vita e reddito dichiarato, tali da far sospettare una possibile evasione di imposte dovute. Ma anche in quel caso la primitiva indagine, poi abbandonata, era fatta all’interno di chi presentava una dichiarazione fiscale. Con il livello di evasione che abbiamo in Italia oltre alla ricerca di evasori all’interno dei dichiaranti sarebbe auspicabile anche una ricerca apposita sull’evasione totale, ricerca che richiede un approccio all’I.A. ben più sofisticata di quanto appare nell’esempio sopraricordato, un approccio che parta non dalle dichiarazioni presentate ma affronti il problema con presupposti completamente diversi, più congeniali alle potenzialità dell’I.A.  La potenza dell’I.A. nasce dall’abbandono dell’idea illuministica di ridurre il mondo a regole meccanicistiche per sostituirla con l’osservazione di milioni di dati mediante reti neuronali atte a cogliere connessioni intricate, comprese quelle che sfuggono all’osservazione umana. L’esempio del gioco degli scacchi può dare un’idea di come opera l’I.A.. Invece di fornire, da parte dei maggiori scacchisti, le regole e le strategie del gioco, si forniscono le informazioni sul come si muovono i vari pezzi e si avvia la fase di apprendimento dell’I.A. mediante la simulazione di infinite partite che vanno a creare un modello di comportamento continuamente aggiornato dalle successive informazioni generate durante il processo. Il “machine learning” è quindi un apprendimento continuo continuamente perfezionato che può ritrovare connessioni ignorate dagli scacchisti, tanto che Kasparov dopo esser stato sconfitto da AlphaZero affermò che “Il gioco degli scacchi è stato rivoluzionato da AlphaZero”. E ciò perché tra le connessioni elaborate nella fase di apprendimento, l’I.A. aveva ritrovato connessioni assolutamente ignorate dall’uomo fornendo modi impensati per vincere la partita. Per esempio nella strategia di gioco di AlphaZero era possibile il sacrificio della regina, cosa che difficilmente uno scacchista potrebbe concepire. Estendendo il concetto esposto nel caso del gioco degli scacchi, la filosofia dell’I.A. consiste nel ritrovare connessioni e relazioni causali tra gli accadimenti che la ragione umana non ha mai ritrovato e che probabilmente è, per sua limitata natura, incapace di elaborare e in molti casi incapace altresì di comprendere. La realtà può essere conosciuta utilizzando connessioni create dall’I.A. di cui ignoriamo il razionale, ponendoci un problema di fiducia su quell’elaborato, se possiamo cioè fidarci a sacrificare la regina. Finito l’apprendimento, il modello non è più modificabile e si entra nella fase di inferenza, ovvero di utilizzo del modello elaborato. Estrema importanza nella fase di apprendimento è costituita dai data base forniti al sistema; poiché l’elaborazione del modello avviene sulla base dei dati forniti al sistema stesso, è facile comprendere che il modello opererà sulla base dei dati forniti, ignorando possibili connessioni ottenibili con un diverso o addizionale data base. Lo stesso dicasi dell’algoritmo che è sempre indicato dal gestore del sistema e che ne orienta la ricerca delle connessioni. Allora la lotta all’evasione fiscale non parta dalle dichiarazioni fiscali presentate ma parta dall’anagrafe dei residenti: esaminando i miliardi di dati raccolti nelle banche dati di ogni natura, non solo finanziaria, elabori una serie di connessioni in continuo miglioramento ed affinamento che sia in grado di identificare quelle situazioni con elementi contradditori e sospetti tali da raccomandare una analisi più …

INVESTIMENTI E STATO DELL’OCCUPAZIONE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Investire in nuove attività produttive quando i fattori della produzione non sono completamente occupati, quando cioè non si è in fase di piena occupazione, è possibile, anzi, secondo Keynes, è doveroso. Se ci sono fattori della produzione non occupati, se c’è disoccupazione un’economia sana e cosciente che bada al benessere e non solo al profitto, farebbe bene attuare progetti di investimento per dare occupazione e contribuire allo sviluppo del Paese. L’investimento, tuttavia, comporta un problema economico da non sottovalutare; esso comporta il fatto che si utilizzano fattori della produzione che, essendo remunerati, richiedono una maggior produzione di beni di consumo, mentre l’investimento in sé per un periodo di tempo più o meno lungo, dipendendo dal tipo di opera che si vuol realizzare, non è produttivo di beni o servizi consumabili. Si crea cioè una discrasia tra domanda e offerta di beni di consumo. Se siamo in uno stato di non piena occupazione la discrasia è sanabile attingendo alla disoccupazione, in caso contrario ci troviamo di fronte a possibili spinte inflattive. Vediamo allora di creare un esempio utilizzando i seguenti dati: Addetti agli investimenti                                a                       10.000 Disoccupati                                                      d                           700 Consumi degli addetti                                     c                            4 Consumi dei disoccupati rispetto a c            e                            2/3 Produzione addetti ai consumi                      p                            52 Addetti ai consumi                                           b = c*(a+de)/(p-c) = 872 La situazione di equilibrio quand’anche in situazione di non piena occupazione si può riassumere nella seguente tabella: A Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.000,00 4,00 40.000,00 0,00 0,00 Disoccupati 700,00 2,67 1.866,67 0,00 0,00 Beni cons. 872,22 4,00 3.488,89 52,00 45.355,56             Totale 11.572,22 3,92 45.355,56 0,00 45.355,56             Questa situazione di equilibrio può, e deve, essere modificata ricercando la massima occupazione dei fattori della produzione incrementando gli investimenti in attività produttive che permettono di assorbire unità lavorative dalla disoccupazione determinando quindi un aumento dei consumi (gli occupati consumano più dei disoccupati) e di conseguenza la necessità di aumentare la produzione dei beni di consumo richiamando a questo settore ulteriori unità lavorative. Supponiamo, ad esempio, di aumentare gli addetti alla produzione di beni di investimento di 600 unità, ciò richiederà di aumentare di ulteriori 17 unità gli addetti alla produzione di beni di consumo così come appare dalla seguente tabella (attenzione la differenza tra prodotto e consumato va da un minimo di 0 ad un massimo di (p-c) non potendo operare con frazioni di unità produttive). B Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.600,00 4,00 42.400,00 0,00 0,00 Disoccupati 83,33 2,67 222,22 0,00 0,00 Beni cons. 888,89 4,00 3.555,56 52,00 46.222,22             Totale 11.572,22 3,99 46.177,78 44,44 46.222,22             La situazione degna di attenzione poiché produttiva di stimoli inflattivi si determina nel caso in cui l’aumento degli investimenti assorbe più della disoccupazione esistente causando di conseguenza un aumento dei consumi maggiore della capacità produttiva del settore di produzione dei beni di consumo.  Vediamo ad esempio che succede se gli addetti alla produzione di beni di investimento superano la disponibilità di fattori della produzione non occupata. Nella tabella seguente viene avviata la produzione di beni di investimento richiedenti l’occupazione di 900 unità produttive; richiesta che oltre ad assorbire tutta la residua disponibilità di fattori della produzione richiede di assorbire unità di fattori della produzione dal settore che produce beni di consumo. Il risultato è che la domanda di consumi eccede l’offerta degli stessi creando uno stimolo inflattivo. Mostriamo quindi i dati di questa situazione: B Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.900,00 4,00 43.600,00 0,00 0,00 Disoccupati 0,00 2,67 0,00 0,00 0,00 Beni cons. 672,22 4,00 2.688,89 52,00 34.955,56             Totale 11.572,22 4,00 46.288,89 -11.333,33 34.955,56             In questa situazione ci sono tre possibili vie d’uscita: 1 – Si riducono i programmi di investimento in misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio; 2 – Si riducono i consumi unitari nella misura necessaria a raggiungere l’equilibrio (ciò non garantisce tuttavia un equilibrio sociale stante i sacrifici chiesti ai fattori della produzione); 3 – Si aumenta la produttività dei fattori della produzione permettendo di raggiungere l’equilibrio (ma l’azione sicuramente positiva comporta che l’aumento della produttività crei la necessità di aumentare le retribuzioni ai fattori della produzione e quindi i conseguenti consumi). Vediamo allora di ricercare il modello che deriva dal punto 1: se si riducono le unità aggiuntive richieste per i nuovi investimenti al numero di 682, otteniamo un risultato di equilibrio che annulla le unità disoccupate in quanto il settore produzione di beni di consumo richiede 18 unità che aggiunte alle 682 richieste dal settore investimenti azzera la disoccupazione. Ecco la tabella conseguente: B Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.682,00 4,00 42.728,00 0,00 0,00 Disoccupati 0,00 2,67 0,00 0,00 0,00 Beni cons. 890,22 4,00 3.560,89 52,00 46.291,56             Totale 11.572,22 4,00 46.288,89 2,67 46.291,56 Se invece attuiamo quanto detto al punto 2 dovremmo ridurre i consumi a 3.47 per trovare un equilibrio, così come esposto nella tabella seguente: B Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.800,00 3,47 37.476,00 0,00 0,00 Disoccupati 0,00 2,31 0,00 0,00 0,00 Beni cons. 772,22 3,47 2.679,61 52,00 40.155,56             Totale 11.572,22 3,47 40.155,61 -0,06 40.155,56 Passiamo infine all’equilibrio che si può raggiungere ai sensi di quanto previsto al punto 3. Notiamo però che nonostante un aumento della produttività del 10% (da 52 a 57.2) serve una lieve riduzione dei consumi da 4 a 3.82 per ottenere un equilibrio che permetta quell’accelerazione di unità nel settore investimenti. Vediamo allo la tabella del caso 3: 3 Persone c Consumo p Produzione Investimenti 10.800,00 3,82 41.202,00 0,00 0,00 Disoccupati 0,00 2,54 0,00 0,00 0,00 Beni cons. 772,22 3,82 2.946,03 57,20 44.171,11             Totale 11.572,22 3,82 44.148,03 23,08 44.171,11 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti …

RIFLESSIONE SULLA ROBOTICA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Dal mezzo di lavoro all’automazione L’introduzione in atto ormai da 40 anni dei mezzi di produzione automatizzati ha mutato profondamente il “modo di produzione” riducendo il tempo di lavoro necessario per la produzione dei beni e servizi, in cui il ruolo dei lavoratori è quello di supervisore e controllore dell’operato delle macchine stesse. In questa fase assistiamo ad una grande contraddizione: il prodotto del cervello sociale, ovvero il risultato dell’azione delle forze produttive organizzate, viene utilizzato per ridurre i tempi di lavoro necessario. Oggi il meccanismo è a grandi linee il seguente: la collettività, tramite fiscalità, finanzia il sapere generale, che a sua volta crea nuove tecnologie che vengono utilizzate per ridurre il tempo necessario per la produzione. Ma la riduzione del tempo necessario per la produzione significa meno posti di lavoro, più disoccupazione: in sintesi la collettività finanzia la riduzione dei posti di lavoro, cui pure ad essi ambirebbe. Qui si misura la capacità dei governanti di predisporre un sistema economico, produttivo e sociale consono alle nuove esigenze. Nel concreto oggi la mancata corrispondenza delle competenze dell’aspirante lavoratore ed i bisogni del datore di lavoro è una contraddizione che l’attuale politica è incapace di affrontare. E ciò nel tempo in cui la tecnologia 5G, alla base dell’invasione delle applicazioni IOT (internet of things), è acuita dalla lotta concorrenziale tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia economica nel XXI secolo, con il restante mondo che arranca per stare alla pari e non essere colonizzato dalla scienza altrui. Una economia completamente robotizzata Può sembrare una curiosità da fantascienza, quella di immaginarsi una economia completamente robotizzata, in cui tutto è prodotto (anche meglio) nelle quantità (anche maggiori) oggi prodotte, senza l’intervento del lavoro (immediato) umano, nemmeno di quello digitalizzato e professionalizzato in quanto le macchine sono in grado di riprodurre macchine ancor più intelligenti. Di fronte ad un simile nuovo modo di produzione sorgono spontanee alcune domande: ● Siamo ancora in presenza di un modo di produzione industriale? ● Quale modello redistributivo può essere coerente con questo nuovo modo di produzione? Nel nuovo modo di produzione, i possessori dei mezzi di produzione non potranno ignorare a lungo che esiste una massa di ESCLUSI dall’innovazione, che, espulsi dal mondo del lavoro immediato ed in mancanza di un reddito purchessia, costituiranno una massa i cui bisogni di sopravvivenza dovranno in qualche modo essere soddisfatti, al fine di non ingenerare processi irrisolvibili se non mediante guerre. Ecco che allora nasce la necessità di redistribuire il prodotto del processo produttivo in modo adeguato a non mettere in crisi il modo di produzione stesso. Una soluzione socialista Ci troviamo, come abbiamo visto, di fronte ad una prospettiva preoccupante cui i socialisti sono chiamati a dare una risposta per evitare il pericolo di un neo-schiavismo; una volta ancora ci troviamo di fronte all’alternativa: socialismo o barbarie. Il percorso da intraprendere sin da ora, da subito è quello della socializzazione dei frutti della produttività. Ribadiamo che occorre partire da subito perché in caso contrario il processo di totale appropriazione del sapere sociale da parte del nuovo modello capitalistico ci porrà di fronte al fatto compiuto, rendendo sterile ogni tentativo tardivo di modificare il processo. La socializzazione dei frutti della produttività inizia dalla presa di coscienza del fatto che la tecnologia (la digitalizzazione, la robotizzazione, l’internet of things, i big data, l’intelligenza artificiale, il machine learning etc.) è un prodotto sociale, è il frutto del sistema scolastico, delle università, dei centri di ricerca, è cioè il frutto di un investimento sociale finanziato con i soldi dei contribuenti. Val la pena allora riportare l’art.42 della nostra Costituzione “La proprietà è pubblica o privata. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Rifacendosi al pensiero di Paolo Sylos Labini e di James Meade proponiamo una possibile socializzazione dei mezzi di produzione, quale presupposto per un nuovo modello redistributivo in cui il tempo sociale, liberato dal tempo necessario per la produzione (liberazione dal lavoro), viene impiegato per fini più consoni alla natura umana quali lo studio, la cultura, la crescita intellettuale, lo svago, l’arte, in una parola un nuovo umanesimo. Come primo passo Gli incentivi che oggi non hanno vincoli di sorta vanno trasformati in apporto di capitale sociale nelle imprese 4.0, mediante un Fondo di Investimento Sociale che rappresenti la proprietà sociale sui mezzi di produzione generati dal sapere sociale. Con questo sistema l’impresa ha il vantaggio di godere di un incentivo che non va al capitalista sotto forma di maggior dividendo, ma ad incrementare il capitale sociale di un nuovo socio rappresentato dal Fondo di Investimento Sociale. Tale Fondo sarà alimentato da ogni beneficio fiscale quale la decontribuzione, i bonus, le defiscalizzazioni etc. così come potrebbe essere finanziato in occasione dei rinnovi contrattuali prevedendo clausole che destinano nuove risorse ad esso. Quest’ultimo punto è estremamente importante per coordinare la nostra proposta con le forze sindacali, rendendole così partecipi nella politica della produttività. Altra fonte di finanziamento potrebbe essere una nuova imposta di successione rivisitata anche alla luce dell’insegnamento di Luigi Einaudi per quanto riguarda l’eguaglianza dei punti di partenza. L’idea che proponiamo non è poi così nuova, se vogliamo trovare un precedente cui, lo confessiamo, ci siamo riallacciati, è il Piano Meidner de “Capitali senza padroni”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

APPROVATO DAL GOVERNO IL DECRETO LEGISLATIVO FISCALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Premessa Esaminiamo in questa sede il decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche e altre misure in tema di imposte sui redditi. Ricordo che il decreto legislativo, essendo in attuazione di una legge delega con cui il governo è stato delegato ad implementare la riforma fiscale, non è soggetto ad approvazione parlamentare a meno che sia contrario alla delega conferita. La delega conferita prevedeva di: ● Garantire il rispetto del principio di progressività nella prospettiva del cambiamento eli sistema verso un’unica aliquota d’imposta, attraverso il riordino delle deduzioni dalla base imponibile, degli scaglioni di reddito, delle aliquote e delle detrazioni dall’imposta lorda; ● Conseguire il graduale perseguimento dell’equità orizzontale prevedendo, nell’ambito dell’IRPEF, la progressiva applicazione della stessa no tax area e dello stesso onere fiscale per tutte le tipologie di reddito prodotto privilegiando tale equiparazione innanzi tutto tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione. I provvedimenti deliberati Il governo ha quindi attuato quanto previsto al primo punto ma soltanto per l’anno 2024 la riduzione da quattro a tre gli scaglioni fiscali per il calcolo della progressività IRPEF. Ho già esaminato con mio articolo questo passaggio da 4 a 3 scaglioni rilevando che questo passaggio comporta una perdita di gettito di circa 4 miliardi di€, prevedendo una riduzione di imposta così ripartita tra i contribuenti: Contribuenti fino a 15.000€ annui nessuna minor imposta Contribuenti tra 15.000 e 28.000€ annui riduzione da 1€ a 260€ annui Contribuenti da 28.000€ in su riduzione di imposta di 260€ annui. E’ evidente che la perdita di gettito non favorisce i ceti a basso reddito mentre favorisce in modo crescente fino ad un massimo di 260€ annui i redditi medi e alti. Per correggere questa evidente iniquità, si registra una novità, ovvero che i redditi superiori a 50.000€ vedranno ridotte le detrazioni loro spettanti per un importo pari alla riduzione di imposta ovvero 260€, purchè tale limitazione non intacchi le detrazioni relative alle spese sanitarie. Ricordo che le imposte progressive colpiscono solo i redditi da lavoro dipendente, le pensioni e i redditi da lavoro autonomo se aventi un fatturato superiore a 85.000€, mentre tutti gli altri redditi sono soggetti alla tassa piatta (flat tax) imposta sostitutiva di Irpef, addizionali regionali e comunali e di iva. Il percorso verso un sistema con un’unica aliquota fiscale che rispetti il principio di progressività previsto dall’art. 53 della nostra Costituzione sarebbe raggiunto, secondo la legge delega, operando sulle detrazioni di imposta uguali per tutti. Questo sistema, di cui si intuisce il meccanismo, non è, a mio modo di vedere, un sistema di rispetto della Costituzione ma è un sistema con cui si prende in giro la Costituzione. Per attuare l’equità orizzontale prevista dal secondo punto della premessa,  il governo equipara la soglia di applicazione della no tax area oggi diversa tra lavoratori dipendenti e pensionati, innalzando da 1.880 a 1.955€ la detrazione prevista per i titolari di reddito da lavoro dipendente.  Grande passo, ridicolo se pensiamo che l’equità orizzontale richiede che tutti i contribuenti paghino lo stesso importo di imposte indipendentemente dalla natura del tipo di reddito. Cosa violentata dall’introduzione delle varie flat taxes che causano, a parità di reddito, che un lavoratore dipendente o un pensionato paghi molto di più di un percettore di rendite o plusvalenze finanziarie. Ecco il confronto di imposizione per un reddito di 36.000€. Rendita Lavoro Tipologia Titoli stato Interess Fabbricati 1 Fabbricati 2 Forfettari 1 Forfettari 2 Lavoro                 Aliquota 12,50% 26,00% 21,00% 10,00% 15,00% 5,00% 26,39% Imposta 4.320 9.360 7.560 3.600 5.400 1.800 9.500 Addiz. Regionale 0 0 0 0 0 0 586 Addiz.comunal 0 0 0 0 0 0 229 Totale 4.320 9.360 7.560 3.600 5.400 1.800 10.315 Il governo ha pure approvato, solo per il 2024, una norma che prevede che il costo del lavoro dei nuovi assunti dalle imprese e agli esercenti attività di lavoro autonomo sia aumentato nel calcolare l’imponibile fiscale di una percentuale che credo sia del 20%. Non è specificato se i nuovi assunti aumentino il numero dei dipendenti o invece essendo in sostituzione di pensionandi o licenziati o dimessi, non aumentino il numero totale dei dipendenti. Tale precisazione è indispensabile per evitare operazioni canagliesche. Conclusioni La confusione ed iniqua situazione del nostro sistema fiscale, caratterizzata dalla presenza di un sistema di flat taxes, per non parlare delle tax expenditures (la foresta di bonus), non sta certo andando verso un razionale superamento. La filosofia sembra quella di far intravvedere una generale riduzione dell’onere fiscale, un “meno tasse per tutti” di berlusconiana origine, che non affronta il problema del debito che aumenta di 14 miliardi, non affronta il tema degli investimenti versus la spesa corrente e con ciò facendo perdere al paese una prospettiva di crescita, non si fa carico di palesi iniquità quale quella derivante dalla non revisione delle rendite catastali. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN ARTICOLO DI VISCO SULL’IMPOSIZIONE SU LAVORO DIPENDENTE E AUTONOMO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Sulla rivista NENS (Nuova economia nuova società) Vincenzo Visco riflette sulla diversa imposizione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo con flat tax, riflettendo altresì sul fatto che mediamente i redditi di lavoro autonomo sono dichiarati nella misura del 30% dell’effettivo. Riporto parte dell’articolo: “Nelle settimane che hanno preceduto la pausa estiva, si è svolto in Italia un confuso dibattito in tema di evasione fiscale, argomento su cui prevale la tendenza ad eludere, rimuovere, sottovalutare, ignorare. Indicativo del clima prevalente è per esempio il fatto che alcuni giornali, commentando i dati (ufficiali) elaborati in proposito, abbiano intitolato (con indignazione) che il 70% dei lavoratori indipendenti (professionisti, artigiani, commercianti, ecc.) evadono le imposte sul reddito, mentre sono almeno 10 anni che le statistiche annualmente pubblicate indicano la circostanza, ben più grave, e forse per questo poco credibile e da rimuovere inconsciamente, che le menzionate categorie evadono in media il 70% dei loro redditi (e ricavi) e cioè che dichiarano in media solo il 30% del dovuto: si tratta di alcuni milioni di contribuenti responsabili della evasione di massa che caratterizza il nostro Paese e che non ha eguali tra i Paesi economicamente più avanzati. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda consiste nel fatto che le su menzionate categorie continuano a richiedere, e ad ottenere, favori, agevolazioni e privilegi che si aggiungono all’evasione che viene rimossa dalla consapevolezza generale, e anzi considerata inevitabile, parte integrante del modo di funzionare della nostra economia. Tra questi benefici il più rilevante è il sistema forfettario, che sommandosi all’evasione, produce risultati oggettivamente stravaganti e che vanno evidenziati. Come è noto, il regime forfettario prevede che i contribuenti persone fisiche con ricavi fino ad 85mila euro possano limitarsi a versare un’imposta del 15% di un reddito calcolato sottraendo al fatturato dichiarato una percentuale di costi presunti variabile a seconda del settore di attività. Per esempio, per le attività professionali essa è fissata nel 22 per cento. L’imposta così calcolata sostituisce l’Iva, l’Irpef, le addizionali regionali e comunali all’imposta sul reddito, ed inizialmente anche l’Irap dalla quale questi contribuenti sono stati recentemente esclusi formalmente. Un meccanismo di imposizione ultra-semplificata può essere giustificato se applicato a contribuenti marginali, e a tal fine era stata introdotto da chi scrive (Governo Prodi II) e integrato dal Governo Renzi, ma la sua estensione alla maggioranza dei contribuenti con certe caratteristiche è del tutto ingiustificato.” Segue ora il calcolo che mette a confronto l’imposizione fiscale di un dipendente verso quel che paga un  autonomo sul dichiarato e quel che pagherebbe in regime flat sul vero fatturato considerando l’evasione al 70%.   lavoratore autonomo     dichiarato VERO FATTURATO   85.000 283.333 IMPONIBILE 221.000 66.300 221.000 ALIQUOTA 39,67% 15% 39.67% IMPOSTA 87.671 9.945 87.671 Da questo schema risulta che l’autonomo che dichiara 85.000 di fatturato paga una imposta flat di 9.945€, ma se dichiarasse il vero pagherebbe 87.671€ come il lavoratore dipendente, cui si applica la progressività. Ricordo che i soggetti alla flat tax non pagano neppure addizionali regionali e comunali ed iva. E’ evidente come l’autonomo che sta avvicinandosi al limite degli 85.000€ è fortemente tentato di non superare quel limite che gli farebbe perdere il vantaggio della flat tax. Ne consegue una propensione all’evasione, ma senza commettere illecito il contribuente potrebbe far aprire una partita iva ad un figlio o ad un parente per fatturare quanto eccede gli 85.000€ col vantaggio che la nuova partita iva pagherebbe per ben 5 anni l’aliquota del 5% anziché del 15%. L’insopportabile discriminazione tra soggetti che pagano la flat tax e che inoltre evadono mediamente il 70% del fatturato e lavoratori (e pensionati) cui si applica la progressività dovrebbe portare tutta l’opposizione, i sindacati, i lavoratori ad ribellione congiunta e prepotente contro il sistema fiscale esistente, contro la riforma fiscale in elaborazione, che esaspera ulteriormente la discriminazione, e fare di questa lotta un argomento prioritario in campagna elettorale.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it