DA “MENO STATO E PIU’ MERCATO” A “PIU’ STATO PER IL MERCATO”

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   La crisi del coronavirus costituirà una svolta storica nei rapporti sociali delle nostre società e ciò non solo a livello nazionale ed europeo, ma anche a livello mondiale. L’egemonia statunitense, che è composta, come tutte le egemonie, da direzione e dominio, sta a poco a poco perdendo direzione e rimane solo con il potere del dominio. Ne è palmare esempio il fatto che, mentre la Cina ci invia troupes di medici e tonellate di materiale sanitario, gli USA ci vorrebbero mandare 30.000 militari per fare esercitazioni ai confini con la Russia. O peggio quando Trump offre un sacco di soldi per avere in esclusiva per gli USA un eventuale vaccino antivirus. L’Europa si dibatte nella sua “inutilità” perdendo un’altra volta l’occasione di essere una comunità solidale per rifugiarsi nel burocratismo, lasciando emergere gli egoismi dei singoli paesi che si sentono sempre meno aggregati, sempre meno soggetti che aspirano a viaggiare uniti, ciascuno con il proprio contributo. Questa crisi mette in discussione tutto l’assetto europeo costruito fino ad oggi, e non è detto che la rimessa in discussione non sfoci in una evaporazione della comunità. Il nostro paese sta reagendo bene, ma il punto culminante della situazione si riscontrerà quando si inizierà a gestire la parte economica di questa crisi. La posizione del capitale sarà quella con cui ho titolato questo pezzo; non più “meno stato e più mercato” ma “più stato per il mercato”. Parliamo di sussidi, di contributi a fondo perduto, di agevolazioni fiscali a favore del capitale, il tutto fatto pagare dallo Stato che è finanziato dai contribuenti in gran parte lavoratori e pensionati. Evitare, insomma, che si ripeta quello che è successo con gli effetti della crisi finanziaria del 2008, quando la crisi dalla finanza con un effetto, questo sì, trickle down, è stato scaricato sugli stati, poi sull’economia reale ed infine ha creato milioni di disoccupati;  possiamo star certi che i poteri economici conteranno, come al solito, di scaricare sulle classi medie e popolari il prezzo da pagare. Di fronte alla probabile caduta del Pil, saranno nuovamente invocati i «sacrifici» – sottintendendo, ovviamente, i sacrifici dei soli lavoratori e pensionati. La mutazione storicamente determinata che risulterà dopo il corona virus, sarà il ripensamento del capitalismo che non potrà più fare a meno dello stato, ma gli sarà indispensabile per sanare le contraddizioni del capitale anche oltre ai limiti che Keynes aveva già tracciato. Sarebbe, a mio parere, un errore se i socialisti si fermassero a Keynes, che diciamolo ha salvato il capitalismo da sé stesso e rimane un deciso antisocialista, occorre andare oltre anche alla pecora di Olof Palme da tosare. Dobbiamo come minimo, rifacendoci alla Costituzione Italiana all’art. 42 e segg. puntare ad una economia cogestita, partecipata, dove a compiere le scelte economiche non sia più il solo capitale, ma sia la collettività organizzata. La necessità di questa svolta (ricordo le riforme di struttura lombardiane) è resa evidente dalla situazione della Sanità che in anni recenti ha teso ad una privatizzazione suicida. Non sto pensando al Dpcm emesso oggi che riguarda solo aspetti emergenziali, sto pensando alle centinaia di miliardi che Gualtieri ha anticipato sull’onda dei 550 annunciati dalla Germania. Lì ci sarà la vera lotta di classe, dove dovremo sostenere che non un euro deve essere regalato al capitale, pretendendo invece che gli aiuti necessari da dare alle imprese sia dati sotto forma di partecipazione azionaria o societaria: IRIZZAZIONE, PARTECIPAZIONI STATALI. Riporto la preveggente indicazione del tavolo ECONOMIA E LAVORO nella convention di Rimini nel febbraio 2019 organizzata da Socialismo XXI secolo (in tale articolo ci si riferiva in particolare agli incentivi fiscali 4.0, ma chiaramente il ragionamento è estendibile a tutte i sussidi erogati dallo Stato al capitale). “Quando si danno sconti fiscali alle imprese che investono in mezzi 4.0 avviene un finanziamento da parte dello Stato, ma con i soldi dei contribuenti, a favore del capitale che, grazie allo sconto fiscale, hanno a disposizione più utile netto di cui decidere la destinazione. I finanziamenti sono incondizionati, nel senso che non esiste alcun limite o vincolo che incida sulla discrezionalità del capitale nel momento in cui delibera la destinazione dell’utile. Val la pena allora riportare l’art.42 della nostra Costituzione “La proprietà è pubblica o privata. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. In sintesi, l’utile societario può essere così distribuito: ● reinvestimento in azienda, ovvero gli utili vengono reinvestiti all’interno dell’impresa per aumentarne i mezzi finanziari per realizzare i suoi programmi; ● distribuzione degli utili ai capitalisti che a loro volta possono destinare le nuove disponibilità: a) in consumi, che a1) se sono domestici si riciclano nella creazione del PIL in funzione alla propensione al consumo; a2) se si traducono in importazioni vanno a costituire un elemento negativo nella creazione del PIL; b) tesaurizzazione, ovvero togliendo i fondi dal processo produttivo c) investimento in attività finanziarie, ovvero dirottando fondi potenzialmente produttivi verso la rendita Anche nel caso più favorevole, ovvero nel caso di reinvestimento in azienda, riscontriamo che gli investimenti produttivi tendono a diminuire il tempo di lavoro immediato, tendono cioè a cancellare posti di lavoro. Appare allora chiaro che la discrezionalità con cui il capitale può disporre dei maggiori utili generati dagli incentivi statali, va a ledere la quota di prodotto che spetta ai produttori del valore creato, non tanto o almeno non solo, dal lavoro immediato, ma soprattutto dal sapere sociale, da quel prodotto sociale di cui il capitale si è appropriato. Negli appunti potremo leggere come Sylos Labini presupponga e James Meade proponga la socializzazione dei mezzi di produzione come presupposto per un nuovo modello redistributivo in cui il tempo sociale, liberato dal tempo necessario per la produzione (liberazione dal lavoro), viene impiegato per fini più consoni alla natura umana quali lo studio, la cultura, la crescita intellettuale, lo svago, l’arte, …

NEBBIA SULLA SANITA’ PRIVATA IN LOMBARDIA

di Maria Elisa Sartor | Non sempre i fatti generati dall’azione politica del governo vengono descritti per quello che sono dal discorso politico. In qualche caso può capitare che i risultati dell’azione, pur essendo stati perseguiti con impegno, una volta raggiunti, vengano dissimulati in tutto o in parte per rispondere a complessi sistemi di interessi e a nuove opportunità strategiche. Per non correre il rischio di essere indotti a distogliere l’attenzione dagli elementi della realtà è importante/conveniente in generale discostarsi dal mero discorso politico. Scusate l’incipit duro e il tono perentorio con cui sto affrontando il tema della privatizzazione del Servizio sanitario della Lombardia, ma credo essi si giustifichino in quanto intendono sottolineare e, per quanto possibile, contrastare una pratica comunicativa che non produce la necessaria informazione, e quindi non consente una sufficiente consapevolezza del fenomeno di cui ci si occupa qui. Qualcosa deve essere fatto per diradare le nebbie in cui siamo avvolti, per rompere atmosfere che ci confondono e trasformare supposti confronti che ostacolano le possibilità di conoscenza in confronti veri. Se il diritto di essere informati in quanto finanziatori e diretti beneficiari del Servizio sanitario regionale della Lombardia non è soddisfatto pienamente dalle istituzioni come dovrebbe essere[1], allora tentare di recuperare i tratti della realtà diventa una necessità per i cittadini, oltre che la materia della buona politica, l’ambito del controllo per chi deve, per obbligo istituzionale, sorvegliare il sistema e  l’oggetto di studio delle scienze sociali, quando svolgono davvero il loro mestiere. Il recupero dei fatti “veri” (e non dei fattoidi, cioè delle versioni solo verosimili dei fatti), serve per costruire una maggiore consapevolezza che può produrre il miglioramento del quadro e consentire di esercitare una responsabilità civica, quando necessaria. E questo tema della privatizzazione del Servizio Sanitario Lombardo (SSL) sembra proprio richiamare a gran voce tale responsabilità. La dissimulazione del processo di privatizzazione Tre sono le principali constatazioni rispetto a quanto è accaduto in Lombardia, in particolare con riguardo ai comportamenti comunicativi passati e recenti dell’ente Regione: ● Non è stato comunicato il fenomeno della privatizzazione del SSL come si sarebbe dovuto fare: nei flussi informativi, e soprattutto nelle elaborazioni primarie di tali flussi rese pubbliche, non sono state sempre evidenziate le variabili “natura privata” e “natura pubblica” delle strutture e delle attività di erogazione dei servizi in serie storiche di lungo periodo. Ad un certo punto del processo (intorno soprattutto alle metà degli anni 2000), queste importanti informazioni sono per lo più sparite dai resoconti e le serie storiche dei dati che le contenevano sono state interrotte e non sono state mai più adeguatamente ricomposte, raccordandone i diversi segmenti. ● Ma anche quando è stata resa disponibile l’informazione circa la natura pubblica o privata degli erogatori e delle attività da loro erogate – e questo è successo sempre più raramente nelle fasi più avanzate del processo di privatizzazione – questa informazione non è stata comunicata in forme che consentissero di avere una nozione completa del fenomeno: le informazioni non sono state aggregate in un modo significativo, tale da essere esplicative di ciò che era rilevante conoscere. ● E per finire, come naturale conseguenza di quanto affermato ai punti 1 e 2, non è stato adeguatamente misurato un fenomeno di cui si è trascurato di evidenziarne l’esistenza e l’importanza. Un comportamento comunicativo non trasparente ha finito così per consentire di non dover registrare la dimensione quantitativa della privatizzazione, cioè di misurare lo sbilanciamento avvenuto verso il privato del SSL. Date le limitazioni di un’informazione istituzionale costruita molto accuratamente per finalità che non sono quelle di una completa trasparenza nei confronti del cittadino, i dati che consentono di misurare quanto si è spinto in avanti lo sbilanciamento non possono essere acquisiti facilmente. La difficoltà riguarda chiunque, all’esterno dell’istituzione, voglia registrare la realtà. È stata così necessaria una ricostruzione dei fatti pure da parte mia, anche perché gli atteggiamenti degli esponenti della istituzione e le teorie che li ispiravano sono stati: ● La perseverante minimizzazione del fenomeno: in altre parole, si è sostenuto che il processo era sì in corso, ma non era poi di dimensioni così rilevanti. E in ogni caso, proprio per la non rilevanza quantitativa del fenomeno, nulla di significativo poteva essere accaduto tanto da cambiare consistentemente il sistema. È questa – a grandi linee – una delle possibili traduzioni delle tesi sia degli ultimi governi della Regione[2], di pari o assimilabile orientamento ideologico-partitico sia, sembra, dei maggiori luoghi di produzione del pensiero, istituiti o sponsorizzati dai principali portatori di interesse che sono direttamente parte in causa. Anche i risultati delle ricerche, effettuate dai centri di ricerca/scuole delle facoltà di economia e di management con sede in Lombardia, non hanno compiutamente descritto il fenomeno che in qualche modo contribuivano a far crescere. In quanto dedite in parallelo anche alla consulenza direzionale sperimentano ancora un vero e proprio conflitto di interesse. Le ricerche non hanno quindi rimesso ordine nel quadro proposto dalla Regione. Come si spiega tutto questo? Affermare, sulla base dei dati di fatto correttamente comunicati, che esiste un consistente sbilanciamento dell’asse pubblico privato, a favore del privato, comporta come conseguenza la necessità di una spiegazione sia del fenomeno sia delle possibili /prevedibili ricadute sul SSL. E la spiegazione avrebbe richiesto un’analisi che portasse ad un’identificazione dei fattori di contesto che facilitano la privatizzazione e anche – principalmente – delle scelte politiche che l’hanno forse indotta. Insomma, affermare l’esistenza di un consistente fenomeno di privatizzazione avrebbe significato esporsi al rischio di un’attività di analisi approfondita del fenomeno che avrebbe complicato l’azione di un governo che avesse inteso continuare liberamente a facilitare tale processo. Ma il punto è: esiste oggi un qualche ambito sicuramente indipendente in grado di effettuare una simile analisi? ● La supposta bassa significatività degli esiti del processo di privatizzazione sul sistema, continuamente dichiarata. Il che corrisponde nella sostanza a dire che il processo in corso, secondo i governi, non presentava alcuna rilevanza perché nel funzionamento del sistema non si era registrata a loro dire alcuna consistente modificazione. E, se c’era stata, non poteva che essere migliorativa, considerata la supposta “maggiore efficienza del privato” (stereotipo comunque da verificare!). Anche per quanto riguarda la tutela della salute del cittadino, dal loro …

DIMISSIONI DELLA LAGARDE CONTRO LE ÉLITES GLOBALISTE

di Maurizio Ballistreri | Non si comprende la sorpresa registrata dopo le affermazioni di Christine Lagarde, presidente della Bce, sull’indifferenza rispetto allo spread che sale, a causa della grave situazione provocata dalla terribile epidemia del Coronavirus. No, non si è trattato di superficialità né di impreparazione, ma, invece, la rappresentazione del pensiero di una esponente dell’élites globaliste, nonché di organizzazioni di tendenza sinarchica come il Gruppo Bildelberg alle cui riunioni “riservate” non a caso la Lagarde, che sembra emula di Crudelia Demon ne “La carica dei 101” di Walt Disney”, partecipa sistematicamente assieme alla presidente Ursula von der Leyen. Si tratta di élites il cui unico obiettivo è il primato del mercato, attraverso la costante e sistematica messa in questione dei diritti sociali e della sovranità popolare. Nel gennaio 2013, su “Foreign Affairs” dedicato agli Stati Uniti, uno studioso del pensiero unico globalista, Fareed Zakaria, ha parlato di “nuova crisi della democrazia”, con un esplicito riferimento al rapporto The Crisis of Democracy della Trilateral Commission del 1975, preparato dal gruppo di politologi e sociologi formato da Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. Zakaria ha sottolineato nel saggio le oscillazioni degli Stati Uniti nell’affrontare i problemi economici e di bilancio, e di tutte le democrazie occidentali destinate, arrivate secondo Zakaria, “non alla morte, ma alla sclerosi”. Quando nel 1975 la Trilateral si chiese perché i governi del mondo industrializzato avevano cessato di funzionare, incombevano la crisi petrolifera e il conflitto con il mondo arabo; di lì a poco l’Unione sovietica si sarebbe preparata a invadere l’Afghanistan nel 1979 e Komehini a realizzare la rivoluzione teocratica e integralista in Iran. Nel 1984 la Commissione Trilaterale (ritenuta anch’essa espressione del presunto “governo occulto” del Mondo, secondo le teorie sulla sinarchia) pubblicò un nuovo rapporto intitolato “La democrazia deve funzionare”, preparato da David Owen, leader del partito socialdemocratico britannico (di orientamento centrista e, quindi, diverso da quello storico laburista), Saburo Okita ex ministro degli esteri giapponese e Zbigniew Brzezinski già assistente per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter e fondatore della Trilateral. Le crisi del decennio precedente erano passate, Ronald Reagan aveva rilanciato gli States secondo la dottrina liberista, mentre in Unione sovietica covava l’implosione, Deng Jiaoping stava introducendo il mercato nella Cina maoista, la democrazia si espandeva nel mondo, e cinque anni dopo sarebbe caduto il muro di Berlino. Se nel 1975 il problema in occidente era la ricerca del consenso e l’estensione della democrazia, a metà degli anni ’80 diventava l’efficienza capitalistica. Insomma, si trattava di gettare le basi della globalizzazione, anche se allora non la si chiamava così e di sostituire al potere della politica rappresentativa quello delle tecnocrazie al servizio di una finanza preponderante rispetto alla produzione e al lavoro, senza scomodare le teorie cospirazioniste di destra, il “complotto demo-plutocratico-giudaico-massonico” nato con i falsi Protocolli di Sion scritti dalla polizia zarista, e di sinistra, lo “Stato imperialista delle multinazionali” di derivazione dalla vulgata leninista. Nel nostro Paese il paradigma è stato il governo di Mario Monti, che ha sospeso la democrazia e la cui onda lunga arriva sino ai giorni nostri, impoverendo la società italiana con l’esplosiva miscela di più tasse, meno Welfare, austerity dei ceti deboli per favorire il mercato ed espressiva proprio della visione della “crisi della democrazia”, basata su classi dirigenti politiche che possono essere in competizione o in accordo, ma, comunque, subalterne al pensiero unico globalista. Ecco perché chiedere le dimissioni della Lagarde da parte del Governo italiano, presentando un esposto alla Procura della Repubblica di Milano ove ha sede la Borsa, per aggiotaggio, alla luce delle colossali speculazioni finanziarie originatesi dalle dichiarazioni della presidente delle BCE. Si tratterebbe di una coerente iniziativa politica con l’autorevole presa di posizione del presidente Mattarella, assumendo il significato di uno stop al primato delle tecnocrazie globaliste e dei suoi corifei (come il ministro dell’Economia Gualtieri) e la riscoperta della democrazia e dei diritti sociali come argine a un tempo al mondialismo e ai nazionalismi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SPECULAZIONE AI TEMPI DEL CORONA VIRUS «E DELLA LAGARDE»

  di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |   La Consob ha sospeso le vendite allo scoperto (short sales) per ben 85 titoli delle più importanti imprese italiane, a seguito dell’eccessivo ribasso di quei titoli, provvedimento similare è stato preso in Spagna per titoli spagnoli che hanno presentato la stessa situazione. La Borsa è nata come sistema di miglior allocazione dei capitali, se voglio investire i miei risparmi comprerò in borsa quei titoli di quelle aziende che più mi danno fiducia di produrre redditi in futuro onde dare maggior valore ai miei risparmi. La Borsa invece, come diceva Keynes, è diventata un casinò, o meglio un casino. La maggior parte delle operazioni si svolgono non per un investimento permanente (molte si svolgono fuori borsa), ma per operazioni a breve per speculare su differenze di quotazioni. Il gioco in borsa consiste nel comperare un titolo a 100 e venderlo subito dopo se la quotazione sale a 105, non si tratta di un guadagno generato dal lavoro, ma di un guadagno speculativo, simile al gioco d’azzardo. Ancor più fantasiose sono le vendite allo scoperto. Esse sono generalmente utilizzate dai ribassisti, da coloro cioè che prevedono (o possono generare) un calo delle quotazioni. Prendiamo un titolo che vale 100 e io lo metto in vendita per 95 ma con la clausola che consegnerò i titoli tra una settimana perché al momento non posseggo il titolo che metto in vendita. Chiaramente se lo vendo a 95 c’è chi pensa di guadagnarci comprandolo, ma c’è chi possedendo quei titoli e vedendo la diminuzione della quotazione da 100 a 95 teme un ulteriore crollo e quindi mette in vendita i suoi titoli contribuendo a far cadere ulteriormente la quotazione, per esempio fino a 90. A questo punto io compero il titolo a 90 e lo consegno come mi ero impegnato a fare guadagnando la differenza tra 95 (prezzo di vendita) e 90 (prezzo di acquisto). In periodi di emergenza queste operazioni si intensificano proprio perché le quotazioni da un giorno all’altro scendono e salgono per importi notevoli, immaginarsi che il crollo a Milano dell’altro giorno ha fatto segnare il 17% e non gli usuali zero virgola. Ma qui si è messa di mezzo la Lagarde, che ha dimostrato tutta la sua incapacità se non peggio mala fede. Non sarei per chiedere le sue dimissioni, ma la sua rimozione con azione di responsabilità e richiesta di rimborso danni.        SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’ABC DELLA DEMOCRAZIA

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania |   Un paese democratico è tale quando consente ad ogni singolo cittadino di esprimere liberamente le proprie opinioni.  L’art. 21 della Costituzione tutela il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, e ogni altro mezzo di diffusione. Questo per dire che le critiche sono sempre ammesse, nelle dovute forme ovviamente, ma ognuno deve potersi esprimere liberamente. La settimana scorsa ho letto un saggio dal titolo “L’ABC della democrazia” di Guido Calogero, oggi scomparso. Antifascista, partigiano, professore e soprattutto SOCIALISTA, ha dedicato tutta la sua vita per difendere i diritti e la democrazia in questo Paese. Nel libro l’autore indicava le regole fondamentali per una “democrazia perfetta” fondata sul dialogo e sul confronto, e sul rispetto reciproco. E’ una lettura che consiglio di fare perché c’è sempre da imparare nella vita e, soprattutto, per non dimenticare quei valori irrinunciabili di libertà da difendere sempre e ad ogni costo. Mi spiace che l’articolo dal titolo :”COVID19? NO, SAN “CORONAVIRUS”. E CONTE SORRIDE” abbia suscitato in qualcuno del risentimento tanto da lasciarsi andare ad espressioni poco gradevoli. L’articolo, o il suo impianto, può anche non essere condivisibile, così come il suo autore, ma altra cosa è pronunciarsi con parole vuote perché prive di un’opinione, di una alternativa, di concetti. Aristotele ricordava come per esprimere il suo pensiero all’ennesima potenza l’uomo dovesse partire da premesse vere. E’ indubbio, senza peccare di presunzione, che l’articolo citato partisse da premesse vere. La critica circa l’operato del Governo nella gestione dell’emergenza “Coronavirus” è sacrosanta, come è sacrosanto sostenere il contrario.Fa parte del vivere in un Paese democratico, civile.  A prescindere dal sarcasmo che ha connotato l’articolo, spirito ben compreso dai più, circa l’operato del Governo nell’affrontare l’emergenza Coronavirus ritengo che le misure adottate di recente dall’esecutivo siano giuste, ma andavano prese molto prima. In Cina dopo i primi venti decessi, le autorità misero da subito in quarantena una intera provincia, circa 60 milioni di cittadini. Chiusi cinema, locali, ristoranti, negozi, scuole, strade. In Italia il Governo aveva sottovalutato fin dall’inizio la diffusione epidemica in alcune aree del Nord Italia, oggi purtroppo dei lazzaretti. Orbene, l’intervento dello Stato, memori dell’esperienza cinese, doveva essere tempestivo per evitare la diffusione del virus. Invece, vi è stata una sottovalutazione del problema e i ritardi del Governo hanno determinato una notevole diffusione del virus tanto che oggi possiamo affermare liberamente che siamo di fronte ad una pandemia. Le misure adottate di recente dal Governo, ripeto giuste, potevano essere applicate prima di arrivare all’attuale situazione. E gli stessi errori del governo italiano, sono stati commessi dai partners europei, i quali solo ora forse hanno ben compreso la reale portata del fenomeno pandemico, non un problema solo italiano evidentemente. Ma i ritardi ci sono stati, ritengo, ed è giusto palesarli. Ma vi è di più. Gli errori di comunicazione commessi dal Governo ( dal Conte ter alla chiusura delle scuole fino al decreto dell’8-3-11) hanno gettato il Paese nel panico e a livello mondiale hanno creato nell’opinione pubblica internazionale la convinzione che l’Italia fosse un Paese di untori. Le cose che ho denunciato con sarcasmo purtroppo rappresentano l’amara realtà con la quale oggi ci dobbiamo confrontare. L’articolo in questione ha rappresentato tutto questo perché poi a pagare saremo noi cittadini. Non solo. Prima dell’arrivo del coronavirus, il Governo Conte era in palese difficoltà, aveva i minuti contati.Ciò era evidente ai più. Si può dire che il Covid-19  ha salvato questa maggioranza di Governo? Io ritengo di poterlo fare e di non sbagliare. Oramai tutti si attendevano la crisi politica del Governo Conte poi rientrata per le note vicende. Si può dire che la nomina del “commissiario delegato” fatta dal governo di recente , tardiva peraltro, ha il sapore di un piccolo commissariamento sugli aspetti operativi e logistici dell’emergenza sanitaria? Ritengo sempre di si! Si può affermare che un ospedale del sud il Cotugno di Napoli, grazie anche al supporto di medici cinesi, è riuscito ad elaborare un farmaco che eviterebbe la polmonite interstiziale causa dei decessi da coronavirus, mentre non sentiamo nulla o quasi dal comitato scientifico, eccezion fatta per il rispetto delle raccomandazioni sanitarie come lavarsi spesso le mani’? La gente si aspetta molto di più. Vuole sapere quando si uscirà da questa emergenza. Vuole, pretende , parole chiare.Vuole tornare a vivere. Si può affermare che sono le regioni a dettare i decreti al Governo? Si può sempre affermare che l’emergenza da coronavirus non può essere impiegato come alibi per nascondere le pregresse difficoltà dell’ecomonia italiana? E a proposito di economia, facciamo due conti. Oggi si parla di flessibilità, di sforamento del deficit, di investire circa 25 miliardi di euro per la Sanità, le famiglie e le imprese. Tutto giusto e necessario, si badi, ma superata l’emergenza, chi pagherà il conto? Semplicemente, noi cittadini. I nostri Governanti non hanno ben compreso che sarebbe il caso di lasciare a casa i proclami e di elaborare una strategia economica di lungo respiro per il “dopo emergenza”. Bisognerà ricostruire il Paese e anche l’Europa una volta sconfitto il virus.  La società nella quale viviamo non sarà più quella di prima. Il virus ha spazzato via le nostre certezze. Non abbiamo denunciato i guasti del neoliberismo? La sanità italiana , specie al Sud, è quella che ha pagato il prezzo più alto per logiche economiche e di mercato che hanno cancellato l’individuo e i suoi reali bisogni. Occorre tutti insieme concorrere per la creazione di un modello di società basato sulla libertà e sulla giustizia sociale. Mi aspetto questo dal Governo italiano e anche dall’Europa. L’Europa non può essere unita solo sulle questioni economiche e di bilancio, sull’euro, e se ne infischia del resto. Non vogliamo un’Europa senza cooperazione e solidarietà tra gli stati membri, fatta solo di contabili. Dietro i numeri, ci dimentichiamo molto spesso, che ci sono le persone , gli individui. E’ questa l’Italia o l’Europa o il Mondo che vogliamo? Credo di no. Sono molto preoccupato per questo …

TRE PUNTI DI VISTA SUL CORONAVIRUS

Nell’immagine di copertina il filosofo Giorgio Agamben di Andrea Ermano – Direttore de L’Avvenire dei Lavoratori | L’indice DJ alla borsa di Wall Street aveva raggiunto prima del coronavirus i suoi massimi storici. Oggi non è più così e non per colpa della pandemia. In politica l’emergenza tende sempre a diven­tare la norma: un rischio democratico su cui vigilare. Ma è neces­sario rallentare la diffusione, guadagnare tempo. Questa la strategia di crono-resistenza sul piano nazionale, europeo e globale, ufficializzata all’ONU dal­l’Organiz­zazio­ne Mondiale della Sanità (OMS). ECONOMIA – Al coronavirus abbiamo accennato per la prima volta il 30 gennaio scorso e l’abbiamo fatto di striscio, nella rubrica “Economia” di Lettieri e Raimondi, i quali mettevano in guardia dall’ennesima bolla finanziaria americana. Sotto un eloquente titolo (“Successo o trappola?”) campeggiavano queste ancor più eloquenti parole: «Prima delle frenate per l’emergenza Virus Corona, il Dow Jones alla borsa di Wall Street ha raggiunto i massimi storici con 29’400 punti». Sono passati quaranta giorni o poco più e, mentre scriviamo, la discesa a perdifiato del maggiore tra gli indici azionari della borsa di New York segna quota 21’400: più di un quarto in meno rispetto a gennaio. Un mese fa i due economisti Lettieri e Raimondi si chiedevano se “per davvero” il traguardo del Dow Jones ai suoi massimi di sempre rappresentasse “un sintomo positivo, di salute del sistema finanziario ed economico americano”, o se non fosse invece il segno premonitore di un “possibile devastante futuro sconquasso?” (ADL 30.1.2020). Oggi sappiamo com’è andata a finire, anche se in realtà non è ancora finita. Per ora abbiamo assistito a un ribaltone, provvisorio ma non del tutto, dei rapporti di forza tra politica, tecnica ed economia. I tempi in cui dettavano la linea i masters of the universe della finanza americana, di cui Trump è il più notevole rappresentante, tendono al crepuscolo. CULTURA – Viviamo in un’epoca di ascesa della “tecnoscienza”. Il filosofo Emanuele Severino, scomparso nel gennaio scorso, amava ripetere che il matrimonio tra capitalismo e tecnoscienza è destinato al divorzio. Mentre il capitalismo non può rinunciare al divario tra abbondanza e scarsità, la tecnoscienza ha il suo fine nell’onnipotenza, sosteneva Severino. Insomma, il capitale e la techne, parafrasando un antico detto cinese, dormono nello stesso letto, ma sognano sogni diversi. E la politica? Anche la politica è una techne, più nel senso di un’arte o mestiere, un po’ come l’arte medica, e anch’essa ama richiamarsi alle scienze naturali “forti”, quelle a impianto matematico, come la biologia, la chimica e la fisica. Ma anche la politica tende all’onnipotenza, in una sua specifica variante, che si chiama “sovranità”. E la sovranità – secondo una celebre formula di Carl Schmitt – appartiene a chi decide sullo stato d’eccezione. E però, se il potere di decidere sull’eccezione equivale al potere di stabilire la norma, allora la politica è l’arte della norma e della normalità, ma anche dell’eccezione e cioè della sospensione di ogni norma e normalità. Questo paradosso sottende all’illusione sovranista. Ma qui si cela anche la sua grande e catastrofica insidia, sulla quale – come esorta il costituzionalista Felice Besostri – ogni sincero democratico ha oggi il dovere di vigilare attentamente. Lunedì scorso la giornalista Lily Kuo, corrispondente di The Guardian da Hong Kong, riportava una presa di posizione di Alex Zhang, un giovane di ventotto anni che vive nella città di Chengdu, capoluogo del Sichuan. Ora, questo giovane intellettuale cinese – richiamandosi a Giorgio Agamben e alla sua teoria, ormai celebre in tutto il mondo, circa la tendenza globale allo stato d’eccezione – notava appunto che: «Questo modo di governare e di pensare in rapporto all’accadimento di epidemie può essere impiegato anche in vista di altre faccende: quali i mass media, i giornalisti o i conflitti etnici. E, dopo che questo metodo è stato impiegato, i cittadini lo accetteranno. Esso diventa normale». Come volevasi dimostrare? Donatella Di Cesare se ne mostra solo parzialmente convinta. Per l’influente filosofa romana stiamo entrando in una sorta di “democrazia immunitaria” in cui «la politica, ridotta ad amministrazione, per un verso si rimette al dettato dell’economia planetaria, per l’altro si autosospende abdicando alla scienza – “facciamo parlare gli esperti!” – che s’immagina oggettiva, vera, risolutiva». Di Cesare, in un recente articolo apparso su il manifesto, afferma che lo “stato securitario” dei nazional-sovranisti va progressivamente mutando in un’agenzia che «garantisce l’immunizzazione al cittadino-paziente, pronto, dal canto suo, a seguire ogni regola igienico-sanitaria che lo protegga dal contagio, cioè dal contatto con l’altro». Insomma, conclude: «non si sa dove finisce il diritto e dove comincia la sanità», ed ecco dunque lo «Stato medico-pastorale… tra diritto all’amuchina e divieto di ammucchiata». Impagabile calembour! Ma… Ma alla base di tutto c’è una presa di posizione dello stesso Giorgio Agamben che, apparsa su il manifesto del 25 febbraio scorso, ha fatto il giro del mondo essendo stata ripresa, oltre che nella stessa Cina, anche dalla stampa di lingua inglese, portoghese, spagnola eccetera. Ecco quel che diceva Agamben nelle sue testuali parole: «Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona, occorre partire dalle dichiarazioni del Cnr, secondo le quali “non c’è un’epidemia di Sars-CoV2 in Italia”. / Non solo. Comunque “l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”. / Se questa è la situazione reale, perché i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni?» Già: perché? POLITICA – Per rispondere alla domanda agambiana occorre calcolare le conseguenze delle premesse esposte qui sopra. Io nutro una grande ammirazione per Giorgio Agamben, ma i numeri e le percentuali da lui …

COVID 19? NO, “SAN CORONAVIRUS”. E CONTE SORRIDE

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania |   Inutile nascondere la gravità dell’epidemia da Covid19, al secolo coronavirus. I dati in Italia circa la diffusione del virus sono allarmanti quanto sono preoccupanti i decessi in numero crescente. Il Governo, oltre ai soliti proclami e ai bollettini di guerra emanati puntualmente tutti i giorni alle ore 18.00 dal capo della protezione civile, come una reclame di profumi, come la pubblicità di una fiction, come i trailers dei films di Dario Argento, ha fatto ben poco per arginare il fenomeno che rischia di espandersi anche al Sud, fino ad oggi una specie di “eldorado”. Ma qui non siamo purtroppo a “Ballando con le stelle”. La realtà è ben altra e rischia di paralizzare per mesi il Paese. Il Governo ha dimostrato ancora una volta tutti i suoi limiti. L’unità tanto invocata dalla maggioranza che governa l’Italia “per il nostro bene” (o per il loro?) non è in grado comunque di nascondere le inefficienze del Presidente del Consiglio e del suo Consiglio dei Ministri né la loro inadeguatezza. Un Governo che aspetta le decisioni del Comitato Scientifico ha abdicato alle sue funzioni di direzione politica del Paese. Un Governo che non è in grado di far rispettare i suoi provvedimenti è un governo poco autorevole. Un Governo che non è capace di coordinare le singole regioni è un governo poco rispettato. Un Governo che invita gli italiani ad avere comportamenti responsabili è un governo che non conosce i suoi amministrati. Probabilmente il virus deve avere contagiato anche la cabina di regia. Tutti contro tutti, insomma, e in questo bailamme, il Paese va in tilt, in confusione. Il panico, l’allarmismo, la psicosi da corovinarus prendono il sopravvento sulla saggezza, sulla calma, sulla fermezza, e sulla tanto invocata unità nazionale e sui comportamenti responsabili. E a contribuire al disordine concorrono anche pseudo-virologi ognuno con la propria ricetta in tasca capaci solo di gettare l’intera comunità nazionale nel panico più assoluto (per la serie: ”si salvi chi può!”). Lo scenario è apocalittico. Città deserte, metropolitane e treni vuoti anche negli orari di punta quando si registravano i consueti affollamenti degli utenti. O per recarsi al lavoro. O per fare ritorno a casa.  Meglio non parlare dello stato dell’economia italiana già in grossa difficoltà prima dell’arrivo del Covid19, oggi alibi del Governo per giustificare la recessione tecnica del nostro Paese e la richiesta di flessibilità all’Europa. In definitiva, nessuno di noi può sorridere tranne il nostro Presidente del Consiglio, l’avvocato del popolo, e la sua variopinta e pittoresca maggioranza di governo, ovviamente. E’ indubbio che prima dell’avvento, non della quaresima, ma del coronavirus il governo Conte fosse in palese difficoltà. Renzi contro Conte. Zingaretti contro Di Maio e Renzi. Di Maio contro Renzi e Zingaretti. Il solito balletto della politica, direbbe qualcuno. Ma in realtà le cose stanno diversamente tant’è che il Presidente Conte aveva invitato a suo tempo le forze di maggioranza a tenere una verifica politica, poi rimandata a causa del coronavirus, che si traduce “nel contiamoci o andiamo a casa. Tutti.” Se lo avessero fatto prima per senso di responsabilità, probabilmente avremmo avuto oggi un Governo all’altezza della situazione, senza la consueta fuga di notizie (Casalino docet) e senza le consuete esitazioni, retromarce, che sono costate care al nostro Paese che di fatto è stato, contrariamente alle buone intenzioni del Presidente del Consiglio, trasformato nel lazzaretto d’Europa alla luce dei numerosi decreti varati in questi ultimi giorni. Ebbene, per esser chiari, il virus Covid19 è una manna dal cielo per il governo Conte, non per gli italiani, che rivendica l’unità e la compattezza della sua maggioranza nell’affrontare un’emergenza sanitaria nazionale epocale, senza precedenti. Grazie al virus tutto è stato accantonato (ma solo in apparenza). Come la polvere, il Governo ha nascosto le contraddizioni interne e del programma politico, a condizione che ve ne sia uno, sotto i tappeti buoni di Palazzo Madama. Grazie al virus è stato rinviato sine die anche il Referendum Costituzionale del 29-3-2020 che consentirà a questo Governo di vivacchiare per almeno un altro anno ancora. Ci auguriamo di no, ovviamente! Probabilmente si terranno più in avanti anche le elezioni regionali.  Insomma, tutto è rimandato: la resa dei conti all’interno della maggioranza governativa e le valutazioni politiche su uno dei peggiori governi della nostra storia repubblicana. Neanche il Governo Tambroni o Scelba riuscirono a fare peggio.   E mentre l’Italia arranca ed è in preda alla paura, l’unico che sorride è il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che da buon cristiano avrà senz’altro acceso un cero (forse più di uno) a “San Coronavirus” perché è solo per grazia ricevuta che è riuscito a tenere in piedi la sua sgangherata compagine governativa, molto più simile all’armata Brancaleone. Viva l’Italia!       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CORONAVIRUS ED ECONOMIA

  di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |   Alla domanda: come andrà l’economia a seguito del Coronavirus? La risposta è facile: le cose andranno male! Il fenomeno del Coronavirus spinge ad alcune riflessioni che mettono in discussione certezze acquisite e spingono a nuove riflessioni che spingono in avanti il pensiero, in questo caso economico, ma che si estendono necessariamente al campo politico. Le tematiche che penso di svolgere riguarderanno: ● Andamento dell’economia mondiale e di quella italiana ● Globalizzazione come causa prima ● Che può fare l’Europa ● Che può fare la BCE ● Caduta del saggio di profitto ● Compito dei socialisti Andamento dell’economia mondiale e di quella italiana L’emergenza virus renderà necessario l’aumento delle spese sanitarie, incrementando la spesa pubblica e aumentando quindi sia il deficit che il debito di tutti i paesi mondiali. Si dovranno assumere più infermieri e medici, forse anche investire in edilizia e in macchinari per attrezzare ospedali per le terapie intensive. Quando fosse scoperto il vaccino si dovrà affrontare il tema se vaccinare tutti gratuitamente e se subire la prepotenza dell’industria farmaceutica che lo produce a meno che il vaccino sia scoperto dalla sanità pubblica ed allora potrebbe essere utilizzato senza royalties. Si dovrà spendere di più per l’assistenza domiciliare; per sanitanizzare locali, treni, stazioni, aeroporti, teatri etc.; si dovrà investire per permettere le lezioni scolastiche via rete per fare telescuola, insomma è facile prevedere un aumento della spesa pubblica, quindi del debito, degli interessi, dello spread e di conseguenza si dovranno aumentare le entrate pubbliche. Ma i costi più alti saranno pagati a causa del calo della produzione e del commercio e ciò a livello mondiale. Scenderanno gli interscambi mondiali che già erano in crisi per la guerra dei dazi tra USA e Cina; purtroppo non è difficile prevedere che l’Europa meno coesa delle altre due potenze continentali, sarà destinata a soffrire più pesantemente, anche a causa del fatto che, congiunturalmente, le cose non stavano già andando bene, si pensi al calo della produzione automotive della Germania. Il calo degli scambi internazionali farà scendere il PIL mondiale e renderà più difficili i rapporti internazionali, basti pensare alle ripercussioni generate dalla produzione di petrolio con le ricadute inevitabili sui paesi importatori, senza dimenticare i riflessi sull’agricoltura e sulle imprese da essa dipendenti. Da non dimenticare poi gli effetti catastrofici che si abbatteranno sul turismo e sulle attività indotte. Quindi ciò che dobbiamo temere, non è tanto quelle decine di miliardi che dovremo spendere come bilancio pubblico per far fronte all’emergenza virus, quanto ai riflessi nella divisione internazionale del lavoro. Per quanto riguarda l’Italia la situazione è ancor più grave in quanto già la stagnazione stava per trasformarsi in recessione e questa ulteriore difficoltà proprio non ci voleva. Inoltre il nostro paese non ha quell’autonomia di azione che potrebbe avere un paese non vincolato a trattati europei e legato ad una moneta unica, non è una critica antieuropeista ma una ovvia considerazione. Molto poi dipende dalla durata che questa emergenza potrà avere, per quanto tempo cioè dovremo subire gli effetti negativi del virus, prima di poter ripartire, sperando che la ripartenza sia programmata e preparata fin da ora per essere pronti quando il tempo verrà; tuttavia non si può sperare che l’epidemia duri pochi giorni, si dovrebbe pensare a una durata di almeno qualche mese, sperando che l’arrivo del caldo possa debellare il morbo. Globalizzazione come causa prima Tornando ai fatti economici rileviamo che le difficoltà nei commerci internazionali sono caratterizzati dalla globalizzazione, cioè da quel fenomeno che contraddistingue l’attuale distribuzione su tutto il globo della produzione di prodotti. Le varie componenti dei prodotti non sono infatti sempre prodotti nello stesso stabilimento ma le parti vengono prodotte in luoghi diversi nello stesso o anche in altri continenti, ad esempio nella produzione di auto lo stabilimento esegue generalmente l’assemblaggio di parti che provengono da tutto il mondo, in particolare dalla Cina, per cui se un paese entra in crisi per qualsivoglia ragione si crea una strozzatura che blocca tutta la linea, e ciò non solo per le auto, ma per tutti i prodotti che conosciamo.  L’interdipendenza della produzione mondiale è la causa di maggior preoccupazione per l’andamento del PIL mondiale anche per il fatto che il blocco della produzione si sposta nel tempo da un continente all’altro facendo dilatare i tempi di blocco combinato. Ecco allora un punto critico di riflessione, ovvero l’inadeguatezza del sistema di produzione attuale rispetto alla globalizzazione della produzione delle varie parti componenti il prodotto finale. Se internet ha superato i problemi di spazio nella rete mondiale, la produzione fisica risente di una debolezza nella rete comunicativa che rischia di creare intoppi e bottle-necks nella catena. Forse le stampanti 3D permetteranno di superare almeno parzialmente queste difficoltà. Che può fare l’Europa L’Europa non ha la forza delle altre potenze continentali per affrontare congiuntamente problemi come quello che stiamo attraversando. Può fare qualcosina come ha fatto come per esempio considerare non strutturale lo sforamento del deficit che uno stato membro dovesse fare per affrontare la crisi del Coronavirus. Ciò significa che lo sforamento per esempio dei 7 miliardi che il governo italiano prospetta non viene considerato strutturale ma eccezionale e quindi non varia i parametri in base ai quali la gestione del deficit viene operata. Ma siamo tutti convinti che lo sforamento di 7 miliardi è solo il primo passo per affrontare le maggiori spese per interventi sanitari e sociali ritenuti necessari in questa prima fase. A mio parere, se l’emergenza durerà qualche mese, serviranno altri stanziamenti specialmente quando le strutture sanitarie non saranno più in grado di sostenere il peso di terapie intensive per grandi numeri di pazienti. Pensiamo ad esempio cosa potrebbe comportare anche una piccola percentuale di casi necessitanti terapie intensive, se il virus dovesse diffondersi su tutto il paese, ipotesi tutt’altro che remota. Dovremmo allora pensare a decine di miliardi. Ma la parte più difficile sarà per quei fondi che il governo dovesse stanziare per aiutare i lavoratori, le imprese, i commercianti ovvero per …

CALMA E GESSO

  di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |   Leggo che “Il Psi invita i sindaci ad abolire la tassa di soggiorno per l’anno 2020” leggo inoltre che “Il Psi chiede un condono fiscale per i debiti delle Pmi per l’anno 2020” e ciò a causa del Coronavirus. I messaggi riportati sono il frutto di un cacciatore di voti che lancia slogan imprecisi e generici. Infatti un sindaco non può abolire una tassa, eventualmente lo può fare un consiglio/giunta comunale, approvando una variazione di bilancio che vedrebbe così dimunuire le entrate; inoltre l’abolizione per il 2020 sarebbe retroattiva alle tasse di soggiorno già riscosse ed eventualmente da restituire ai soggiornanti già ripartiti. L’operazione non aiuta certo l’albergatore o la casa vacanza, la tassa infatti è a carico degli ospiti e non delle imprese ospitanti. Incentiverebbe l’afflusso dei turisti? Ma che 3.5€ per persona al giorno possono far passare ai turisti la paura del virus, mi pare improbabile. Che significhi poi il condono fiscale delle Pmi per l’anno 2020, lo sa solo l’estensore del lancio pubblicitario. Non si può parlare di debiti relativi al 2020 che non sono ancora maturati, si parla allora dei reddi 2019 da dichiarare nel 2020 per cui però si sono già pagati gli acconti? Ma se i redditi sono già stati dichiarati perché dovrebbero essere “condonati”? A tutte e sole le piccole e medie imprese? Anche a quelle che non hanno danni? Anche a quelle che evadono o fanno dichiarazioni infedeli? In queste cose bisogna stare molto attenti, l’obiettivo primo è rifinanziare la sanità perché possa far fronte all’emergenza da virus, la domanda è quindi spendere un euro in più per la salute o regalare un euro alla Pmi che perde un po’ del suo fatturato? L’aiuto deve poi essere conforme alla Pmi come al lavoratore che perde il posto di lavoro, ma ciò al PSI non pare importante. Calma e gesso se c’è da dare un aiuto sia un aiuto ragionato e di maggior efficacia prima per la salute e poi anche per l’economia. Il tema sanità è estremamente importante e, a mio parere, se nei prossimi mesi il virus si diffonderà massicciamente negli USA, la posizione di Bernie Sanders si rafforzerà. Già l’ho scritto e lo ripeto: Va bene, aiutiamo l’economia che non ce la fa. Evitiamo di commentare le fandonie dei libero-mercatisti che predicano che il mercato risolve tutti i problemi e ritrova il suo equilibrio. Torniamo a chiedere al rinnegato Stato aiuti e soccorsi, anche a favore di chi evade il fisco (come dare il RdC a chi viaggia in Ferrari). Va bene, lanciamo questo piano Marshall, ma teniamo presente che le tasse che finanziano il piano o il debito che esso crea sarà pagato dai contribuenti che sono generosi sì ma non fessi. Allora ogni aiuto sia dato con la formula IRI (tanto per capirci) non sia un regalo dello Stato ma un investimento dello Stato. Le imprese si salvano, i contribuenti non ci rimettono. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL DECLINO DELLA CLASSE MEDIA

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Nel Manifesto di Marx si legge che:  “Quelli che furono finora i piccoli ceti intermedi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non basta all’esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza coi capitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore in confronto coi nuovi modi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.” Ma la previsione di Marx non si è avverata, anzi il ceto medio storicamente ha funzionato come maggioranza silenziosa a sostegno del sistema dominante e come cuscinetto ammortizzatore delle spinte sociali provenienti dal basso (operai, sottoproletari). Questa collocazione del ceto medio è stata costruita grazie a preveggenti azioni politiche messe in atto dal potere politico, addirittura a partire da Bismark, finalizzate a favorire l’accesso ad un maggior livello del tenore di vita di larghe fasce di proletariato, costruendo poi, nel secondo dopoguerra, il welfare state, lo stato del benessere quale modello di pacificazione equilibrata. Marx stesso giunse a dubitare della validità sui tempi brevi delle sue previsioni. Infatti in analisi successive, egli considerò la possibilità di una redistribuzione del reddito che potesse indurre un imborghesimento della classe operaia; ma è soprattutto nei Grundrisse che Marx analizzò le conseguenze derivanti dall’aumento della produttività dovuto allo sviluppo di macchine sempre più efficienti. L’aumento della produttività realizzata grazie allo sviluppo e all’innovazione tecnologica sposta lo sfruttamento dalle braccia dei lavoratori  ai loro cervelli facendo apparire “miserabile” il vecchio sfruttamento. Ne consegue l’espulsione dei lavoratori non digitalizzati innescando nuovi processi di proletarizzazione. Negli ultimi decenni, nel modello economico dominante si odono scricchiolii sempre più preoccupanti: dalla crisi petrolifera degli anni 70, al decollo industriale dei paesi sottosviluppati, fino alla grande crisi del 2007. Ma il fenomeno più preoccupante per la stabilità del modello economico dominante lo si riscontra nei fenomeni di polarizzazione nella distribuzione dei redditi. Tale fenomeno si riscontra da consolidati studi statistici che fanno riscontrare il contemporaneo incremento dei decili agli estremi della distribuzione a scapito dei decili intermedi. Grazie al reddito di cittadinanza e ad altri provvedimenti i decili più bassi aumentano il reddito, ma masse sempre più importanti di lavoro precarizzato cadono dai decili intermedi a quelli più bassi mentre il processo capitalistico fa incrementare il reddito dei decili più alti. Si tratta del declino del ceto medio che sta perdendo le sue sicurezze e sta lentamente slittando verso la fascia della povertà relativa. Numerosissime famiglie a reddito fisso, che negli anni precedenti, vivevano decorosamente, hanno ormai difficoltà ad arrivare alla fine del mese, e cominciano a indebitarsi. La società occidentale non si sta, forse, proletarizzando, ma di sicuro si sta scindendo in due categorie: quella dei ricchi, il cui patrimonio aumenta anche nei periodi di crisi, e quella di una vasta fascia della popolazione, maggioritaria, che vive, se non nella miseria, nell’insicurezza, nella precarietà e nella paura del futuro, costretta comunque a ridurre il tenore di vita. Statisticamente il fenomeno viene studiato utilizzando gli indici Gini (del reddito e della ricchezza), ma con più attenzione alla versione assoluta che non alla sua versione relativa; ma soprattutto elaborando, non un indice sintetico (come sono gli indici Gini) ma diagrammi di distribuzione nel tempo della distribuzione tra i vari decili. Ne deriva una distribuzione che sempre più delinea una forma “a corna”, ovvero con l’incremento dei decili estremi e una decrescita dei decili intermedi. Ora gli indici Gini relativi a livello mondiale mostrano una diminuzione delle disuguaglianze e ciò, soprattutto, grazie ai sostanziosi risultati di economie di paesi come la Cina e l’India che hanno ridotto in modo significativo le povertà precedenti nei due paesi. A livello europeo, invece, l’indice Gini relativo dei redditi, sta lentamente ma costantemente aumentando nel tempo, sia nei paesi scandinavi che mostrano le minori disuguaglianze (indice inferiore allo 0,29), sia nei paesi più disuguali, come l’Italia, con indice superiore allo 0,33. L’indice Gini relativo delle ricchezze fa registrare livelli ben diversi, che si aggirano per i paesi scandinavi intorno allo 0.58, e in Italia attorno allo 0.69. Ma gli andamenti degli indici assoluti presentano una situazione mondiale e locale ben peggiore in controtendenza rispetto agli indici relativi. Per dare un’idea della differenza tra indice relativo e indice assoluto si consideri il classico esempio utilizzato a tale scopo: si diano due situazioni la prima in cui il soggetto A ha un reddito di 1 e il soggetto B un reddito di 10, mentre nella seconda situazione il soggetto A ha un reddito di 8 e il soggetto B ha un reddito di 80. Ora l’indice relativo non differisce nelle due situazioni, infatti 1/10 è uguale a 8/80, mentre in termini assoluti la differenza è tra (10-1)= 9 verso (80-8)=72. Ora è chiaro che la polarizzazione della popolazione non è disgiunta nè dalla situazione della ricchezza nè dal modello produttivo, non è infatti accettabile la distinzione supportata da Lionel Robins tra un campo produttivo regno dell’economia disgiunto dal campo distributivo regno della politica. La modifica della struttura della distribuzione dei redditi non può non mettere in discussione non solo la distribuzione delle ricchezze ma coinvolgere anche il modo di produzione, specie in un periodo in cui l’avanzante robotizzazione rivoluziona gli assetti sociali. Quali conseguenze comporta in prospettiva questo fenomeno della polarizzazione? Da un lato pare evidente l’insorgere di nuovi movimenti populisti che offrono una soluzione semplicistica ma attrattiva ai problemi della disuguaglianza e dell’insicurezza; predicano cioè un rinnovato nazionalismo economico e politico, un nazionalismo sovranista che parla ai perdenti nella realtà o nella percezione della globalizzazione. Nel passato quei perdenti si erano rivolti ai partiti di sinistra richiedendo loro un impegno redistributivo, ora si rivolgono ai partiti nazionalisti richiedendo loro di difendere la loro identità minacciata insieme alle loro condizioni sociali. Dall’altro lato, da sinistra, occorre, a mio modo di vedere, evitare l’errore economicista per cui il …