E NOI FAREMO COME GLI U.S.A.

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Bernie Sanders sta sdoganando il “socialismo” negli Stati Uniti d’America, specie tra i giovani ed in particolare quelli di colore. L’altro giorno, rispondendo ad un post di Giuseppe Scanni constatavo che siamo talmente succubi degli statunitensi che importeremo da loro il socialismo. Che Bernie Sanders si proclami “socialista” preoccupa i democratici e fa buon gioco per Trump, e ciò perché nonostante lo sdoganamento che sta attuando Sanders, la parola “socialismo”, nel senso comune statunitense, è ancora un tabù. In effetti Sanders non fa parte organicamente dei democratici costituendone invece una specie di corpo estraneo; estraneo, si può dire, al duopolio delle classi dirigenti statunitensi, costituisce cioè una contraddizione nella logica del potere che a flussi alterni è governata dai repubblicani o dai democratici, ma che consegue all’egemonia del capitalismo dominante. Vorrei allora approfondire al proposito quali siano gli obiettivi del socialismo di Sanders e quale tipo di socialismo sia quello che Sanders sta perseguendo. Gli obiettivi di Sanders Leggo da Wikipedia  che gli obiettivi della sua proposta politica consistono nel «creare un’economia che funzioni per tutti, non solo per i più ricchi» e agevolare la partecipazione democratica dei cittadini, in modo particolare dei più giovani, riconoscendo inoltre salute e istruzione come diritti inalienabili e gratuiti. Dal punto di vista delle politiche sociali e fiscali, Sanders è un sostenitore del modello nordico e dell’adozione di misure di redistribuzione dei redditi; come propria consulente in campo economico ha scelto Stephanie Kelton, una delle principali esponenti della teoria della moneta moderna  È altresì un fermo propugnatore dei diritti LGBT, di quelli delle minoranze etniche, della legalizzazione dell’aborto e della cannabis, nonché un oppositore della pena di morte e del secondo emendamento (nonostante sia favorevole alla tutela giuridica dei fabbricanti d’armi). In politica estera, Sanders si è sempre attestato su posizioni pacifiste, osteggiando ogni intervento militare statunitense, ma difendendo al contempo i diritti dei veterani.  Ha lodato il presidente Barack Obama per gli accordi di pace con Iran e Cuba; in particolare, in questa seconda circostanza, ha manifestato la propria soddisfazione per la fine di una «guerra fredda» durata cinquant’anni. In merito alla questione israelo-palestinese appoggia la soluzione dei due Stati, per «garantire al popolo palestinese una propria nazione e al popolo israeliano una vita tranquilla senza il rischio del terrorismo». Per quanto concerne l’ISIS e il jihādismo, ritiene che i paesi musulmani del Medio Oriente siano chiamati a svolgere un ruolo chiave, più degli stessi Stati Uniti. E’ inoltre un ambientalista ed è stato spesso accostato al Partito Verde: in particolare, è convinto che il riscaldamento globale sia un problema prioritario, da affrontare attraverso un deciso incremento del ricorso alle energie rinnovabili, trovandosi per questo in aperto contrasto con Donald Trump. Più interessante è la lotta che Sanders, ma in particolare la Warren, sua competitrice ma vicina alle sue posizioni, hanno sostenuto contro gli abusi e gli eccessi della finanza; la Warren in particolare con la creazione dell’Ufficio per la protezione finanziaria dei consumatori, ha rappresentato una difesa molto efficace che ha fatto risparmiare alle famiglie miliardi di dollari. Gli obiettivi di Sanders, includendovi anche quelli della sua concorrente Warren, ci rappresentano un socialismo decisamente socialdemocratico con due caratteristiche: conquistare i diritti civili per i cittadini, in primis la riforma sanitaria per tutti, e con ciò molto vicino a ciò che in Europa si è già realizzato o comunque è negli obiettivi dei socialisti europei, e lotta contro la degenerazione finanziaria di un capitalismo produttivo che tuttavia non viene messo in discussione. Ora il limite, a mio parere di Sanders, è quello di ritenere che il capitalismo finanziario sia organicamente diverso da quello produttivo. Sì è vero che molte volte anch’io rimpiango il capitalismo produttivo vs. quello finanziario, ma sono altrettanto convinto, alla luce di ciò che scrisse Marx e traguardando in prospettiva i futuri sviluppi della rivoluzione 4.0 e della robotizzazione, che i due fenomeni sono consustanziali e che le prospettive che ci aspettano, se non agiamo in modo tempestivo e radicale, dimostreranno che i due capitalismi tenderanno a creare una società polarizzata con nuovi aspetti neo-schiavistici. Il declino delle classi medie, ovvero la proletarizzazione della middle class è un fenomeno diffuso e sempre più invadente nelle società a capitalismo avanzato, e le prospettive dell’economia robotizzata, se non contrastata e guidata, ci presentano uno scenario in cui i pochi possessori dei robots globali saranno, e già lo sono, più potenti degli stati più potenti e si confronteranno con una massa di ex lavoratori del braccio e della mente, che dopo aver visto il loro apporto di fatica e di pensiero sfruttato e tradotto in capitale fisso, si troveranno espulsi dal ciclo produttivo senza alcun potere contrattuale e alla completa mercè del capitale. Ecco che allora il saggio obiettivo di “tosare la pecora” può non più bastare, non si può più puntare alla distribuzione dei redditi e dei diritti, serve al contrario imboccare la strada di un nuovo modo di produzione che sia culturalmente socialista e che non si limiti a sostituire o ad affiancare nella stessa logica strutturale le espressioni del capitale. Forse il riformismo sta evidenziando i suoi limiti (lo vediamo da trenta anni a questa parte) e potrebbe non essere più la strada maestra nel disegnare il nostro futuro, richiedendoci, la storia, di puntare a quelle che un vecchio socialista chiamava “riforme di struttura” per differenziarle dalle “riforme all’interno dell’attuale struttura”. Questi obiettivi Bernie Sanders non ce li può esportare, può comunque esportarci sotto forma di senso comune ispirato dall’egemonia statunitense, una nuova ventata di speranza socialista in questa palude in cui ci stiamo impantanando in questo inizio di secolo.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL CAMBIAMENTO STORICO ED IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO

  di Vincenzo Carlo Monaco – Coordinatore Socialismo XXI Sardegna |   E’ giunto il momento del Federalismo Mondiale per la salute, per l’Ambiente e per il riequilibrio del rapporto con la Vita e la Natura. Un secolo di opportunità ci aspetta. La presa di coscienza sulle debolezze del sistema globale e sulla qualità e quantità dei danni derivati da una gestione sconsiderata dell’uso delle risorse umane e naturali, ci consiglia il cambiamento del paradigma dallo sfruttamento alla valorizzazione del produrre e consumare le ricchezze della terra. Non è ambientalismo il motivo della azione futura, ma la necessità della sopravvivenza sul nostro pianeta. L’impegno riguarda tutti, nessuno escluso partendo dai grandi interessi sino alle nuove generazioni che ancora non sono nate. Ripensare tutto è una opportunità per risanare e riqualificare, smontare e ricostruire le politiche per le energie necessarie, per le metodologie di produzione e le strategie di consumo. La nostra infinitesimale presenza nell’universo, ci da l’opportunità di dimostrare la capacità storica degli esseri umani di realizzare un cambiamento epocale che nel futuro degli incontri spaziali ci permetterà di dimostrare l’intelligenza umana. Il passato ed il presente oramai è storia. La classe politica mondiale è inadatta a gestire il presente ed il futuro ed i gravi problemi che ha contribuito a creare. E’ urgente un cambio generazionale della politica e dei suoi rappresentanti a tutti i livelli. Non sono più ammesse le ambiguità ed i tradimenti ideologici. Il rapporto tra lavoro e capitale deve iniziare il miracoloso percorso della nuova storia. I socialisti locali e mondiali hanno la responsabilità politica di gestire gli interessi di miliardi di persone e lavoratori con uno storico progetto che riscrivere i diritti e doveri nel confronto diretto e globale con gli interessi finanziari ed economici dei nuovi capitalisti. La riunificazione nel nuovo soggetto politico Socialista è l’unica speranza per svolgere un ruolo fondamentale per il futuro del mondo. Lavoratori di tutto il mondo, uniamoci.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA CAMPANIA E LE SFIDE DA VINCERE

Comunicato stampa «A pochi mesi dal voto serve la volontà delle principali forze di rendere possibile l’inizio di un concreto lavoro comune». Lo affermano Art.1, Europa Verde, Futura, Italia Mediterranea e SocialismoXXI, ribadendo il loro intento a costruire un percorso che possa portare ad una coalizione in grado di battere le destre ed affrontare le importanti sfide nella nostra regione e nel Mezzogiorno, con l’apporto di tutte le forze progressiste, di sinistra, ambientaliste, le esperienze civiche, i movimenti: La Campania, per le tante sfide aperte e ancora da affrontare (assicurare un futuro  ai suoi giovani, ambiente, regionalismo, lavoro e crisi industriali e di ampi settori produttivi, lotta alla Camorra e a ogni forma di illegalità, nuova Europa e ruolo del Mediterraneo, etc.), ha bisogno della forte unità di tutte le forze progressiste, di sinistra, ambientaliste, delle esperienze civiche, delle grandi competenze presenti in ogni campo, di quei movimenti che in questi mesi hanno rappresentato un elemento di indubbia forza e novità politica. Il voto in Campania, per il ruolo e il peso che ha la nostra Regione nel Paese e nel Mezzogiorno, rappresenta inoltre una sfida per la coalizione che governa oggi il Paese: non avrebbe senso  e non saremmo credibili se nei territori  non  riuscissimo a costruire convergenze e coalizioni in grado di raccogliere la volontà di quanti si battono, non solo contro una destra pericolosa, ma per un’Italia più bella, più giusta, più accogliente, con più diritti. Un Paese che sappia affrontare la crisi ambientale e ragionare su un nuovo modello produttivo e lottare per  cambiare profondamente  la governance della globalizzazione e le politiche di austerity dell’Unione Europea. La stessa positiva proposta del Piano per il Sud con una Campania debole perderebbe di slancio e di credibilità. Per affrontare questa fase certamente complessa ma anche ricca di spinte innovative, che potrebbe liberare energie, dare nuovo senso e valore alla politica come strumento e mezzo per rispondere ai bisogni dei cittadini, favorendone la partecipazione contro le tendenze astensioniste, abbiamo però bisogno di disponibilità e umiltà, elementi essenziali per ricostruire anche la funzione dei partiti. Abbiamo cioè la necessità di non far prevalere le ragioni di parte, ma  di  unità e lavoro comune affinché attraverso il confronto più aperto e persino critico, possa emergere la responsabilità di costruire una proposta che sappia parlare alle persone. E, del resto, questo è un auspicio che trova riscontro in alcune esperienze che stanno maturando a livello locale dove la discussione è già molto più avanzata. Nella riunione del 3 gennaio (in cui si sono incontrati i rappresentanti di Art.1, Sinistra italiana, Democrazia solidale, Futura, Movimento ecologia-diritti e Comunisti Italiani) abbiamo praticato con coerenza questo metodo; abbiamo evidenziato critiche e rilievi su trasporti, crisi industriali, ambiente, acqua pubblica, urbanistica, chiesto una svolta nella sanità dopo l’uscita dal commissariamento, certezze sulle politiche per il lavoro; abbiamo altresì ribadito che si è ribadita la necessità pressoché unanime di moltiplicare gli sforzi per  costruire una larga coalizione in grado non solo di impedire la vittoria della destra ma di delineare una prospettiva di rilancio della Campania. Se vogliamo proseguire questo lavoro non servono, dunque, tatticismi, contrapposizioni, proposte e iniziative che finirebbero ingiustamente per apparire solo un modo per scaricare su altri la responsabilità di una rottura e di una divisione. Abbiamo letto sulla stampa delle scelte fatte dal PD in Campania che propone la riconferma del Presidente De Luca per il lavoro svolto in questi anni, della proposta del M5S sulla candidatura del Ministro Costa e, proprio in ragione di ciò, pensiamo che si renda urgente la convocazione di un riunione affinché si avvii il confronto già chiesto da noi il 3 gennaio E anche se conosciamo le difficoltà – non siamo così ingenui da non saperne valutare la portata – pensiamo che in tutti noi debba trovare spazio anche la riflessione sulle recenti elezioni regionali; per il Mezzogiorno e la Campania sarebbe devastante costruire dinamiche come quelle che hanno segnato la vicenda calabrese. Noi pensiamo che l’accento e le priorità debbano tenere al centro: ● Il valore delle proposte e del programma per dare soluzione ai problemi; ● Il valore dell’unità di una coalizione aperta ● Il valore del metodo per definire gli uomini e le donne a cui affidare la guida di questa sfida. Noi ci siamo mossi e ci muoveremo con l’ambizione di contribuire a costruire unità, contenuti e aperture che vadano oltre le sigle già conosciute. Per vincere in Campania, infatti, è indispensabile uno sforzo superiore a quello che ha consentito  la positiva convergenza che si è realizzata per le prossime elezioni suppletive. Siamo giunti a uno snodo importante e a pochi mesi dal voto serve la volontà delle principali forze di rendere possibile l’inizio di un concreto lavoro comune.  Non spetta a noi convocare l’incontro, ma siamo disponibili e pronti a farlo. Ribadiamo, inoltre, il massimo sostegno affinché Sandro Ruotolo possa affermarsi nelle elezioni suppletive nel collegio napoletano del Senato e dare anche per questa via un segnale di reale cambiamento. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CRITICA DELLA MONETA FISCALE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Premessa Il disegno di legge 5S che prevede la possibilità di emettere Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) atti a far uscire il paese dalla stagnazione sta per essere esaminato dalle commissioni parlamentari competenti. Da parte mia vorrei affrontare i punti critici che quel disegno di legge presenta, e ciò in una ottica socialista. Premetto che dò per scontato che chi legge conosca come funzionano i CCF, e assumo che i CCF siano perfettamente legittimi e rispettosi delle norme UE, cosa di cui sono convinto ma che ultimamente molti organismi anche importanti hanno contestato sollevando dubbi. Voglio soprattutto affrontare in primis il quadro politico-economico in cui collocare i CCF, poi voglio analizzare le tre figure di beneficiari dei CCF, i pro e i contro di queste possibili strade e quindi trarre alcune conclusioni. Il quadro politico-economico I CCF sono uno strumento tecnico atto a far uscire il nostro paese dalla stagnazione con risultati più o meno efficaci alla luce delle considerazioni che seguono. I CCF sono l’unico strumento possibile stante l’attuale interpretazione austera che la commissione dà alle politiche di bilancio dei paesi della UE. Ciò significa che se ad esempio la commissione accettasse lo scorporo dal calcolo del deficit degli investimenti pubblici, i CCF non servirebbero. La proposta dei CCF serve a bypassare le prassi attuali individuando una modalità legittima che permette di ridare un minimo di iniziativa locale ai singoli stati, svincolandoli dai controlli occhiuti e ragionieristici della commissione. Certo che i CCF devono essere usati per agire positivamente sul PIL effettivo ma, e ciò è estremamente importante, devono essere usati contemporaneamente per incrementare il PIL potenziale, in modo da rilanciare le politiche sull’output gap. Gli interventi finanziati dai CCF devono quindi privilegiare gli investimenti infrastrutturali produttivi, senza allargare la spesa corrente e soprattutto essere inquadrati in un quadro che ridia alla politica la capacità di guidare l’economia del paese con una mentalità programmatoria. Riteniamo quindi che l’uscita dalla stagnazione non possa essere affidata alla mano invisibile del mercato rinunciando alla possibilità della volontà politica di voler e poter usare i suoi strumenti ed i suoi mezzi, quali i CCF sono, secondo un proprio piano di politica economica. I beneficiari dei CCF In sintesi abbiamo tre beneficiari cui il disegno di legge prevede di poter assegnare i CCF: i lavoratori, le imprese ed i professionisti, i pubblici investimenti. L’assegnazione dei CCF ai lavoratori, in particolare quelli poveri con alta propensione al consumo richiede che si sia certi che i CCF assegnati non vengano tesaurizzati per godere dopo due anni del cosiddetto sconto fiscale. Nell’ipotesi di tesaurizzazione il regalo fatto ai lavoratori si traduce in minor gettito fiscale (aumento del deficit corrente) senza aver attivato nessun moltiplicatore keynesiano atto a stimolare l’aumento del PIL. Inoltre occorre convincere i probabili soggetti verso i quali i lavoratori potrebbero utilizzare i CCF ad accettarli possibilmente senza sconto finanziario; si tratta fondamentalmente dei supermercati e dei rivenditori on line, che potrebbero così a loro volta rimettere i CCF in circolazione verso i loro fornitori fino a trasformare i CCF in una vera moneta parallela che circola al cambio 1 a 1. In questa casistica c’è pure il pericolo che il consumatore acquisti prodotti di importazione o di origine comunitaria; in tal caso i CCF andrebbero ad aumentare le importazioni deprimendo di conseguenza la domanda aggregata. L’assegnazione alle imprese mi trova decisamente contrario. Intanto se i CCF potessero essere usati per pagare gli oneri costitutivi del cuneo fiscale, i CCF andrebbero dalle imprese beneficiarie all’INPS che, forse, li terrebbe fino a maturazione ovvero stabilendo una convenzione con il MEF. In tal caso sparirebbe lo scopo dei CCF di aumentare la circolazione della liquidità sul mercato attivando il moltiplicatore keynesiano. Si genererebbe tuttavia una diminuzione del costo del lavoro che potrebbe rendere più concorrenziali i prodotti nazionali. Si verificherebbero tuttavia altri due effetti da tenere in considerazione: a) la diminuzione del costo del lavoro cancellerebbe l’effetto Ricardo, ovvero la pressione del costo del lavoro per spingere le imprese ad aumentare il contenuto tecnologico del loro modo di produrre. Si spingerebbero cioè le imprese a propendere ad una competitività basata sul basso costo del lavoro anziché sulla produttività tecnologica b) I CCF regalati alle imprese sono pur sempre finanziati dai contribuenti che pagano le imposte, e ciò per la gran parte (maggioritaria) da lavoratori e pensionati. Si tratterebbe cioè comunque di un trasferimento di fondi (più che parziale) dal mondo del lavoro al capitale, trasferimento ancor più grave in quanto il disegno di legge in esame prevederebbe la non imponibilità fiscale di detti trasferimenti gratuiti. La nostra posizione al riguardo è ben chiarita dalle conclusioni del tavolo di Economia e Lavoro della convention di Rimini dell’Associazione Socialismo XXI secolo e cioè: ogni agevolazione fiscale, ogni sussidio statale, ogni regalo alle imprese deve perdere la figura di “regalo” e trasformarsi in partecipazione azionaria o societaria all’interno delle imprese beneficiate, e ciò al fine di iniziare un percorso di partecipazione del mondo del lavoro alla gestione aziendale e per finanziare un Fondo Sociale per la costituzione di un reddito di cittadinanza unico strumento valido, a detta di molti economisti, per costruire un nuovo modello redistributivo conseguente al nuovo modo di produzione creato dalla rivoluzione 4.0. Il finanziamento di investimenti pubblici. In questa ipotesi si prospetta che l’amministrazione pubblica stipulando contratti di appalto con le imprese che realizzano le opere pubbliche, prevedano una clausola essenziale che stabilisca che i pagamenti dei SAL saranno effettuati utilizzando CCF. Quindi “volontariamente” le imprese che accettano questa clausola accettano di essere pagati con CCF. Sarà la loro capacità di riprodurre questo schema con i loro fornitori a generare un canale di pagamenti ripetuti che più sono agili e veloci più aumentano la liquidità e quindi la crescita del PIL. Si noti che pagando i SAL con i CCF l’amministrazione pubblica non “regala” nulla né a operai né a imprese, non c’è nessun effetto elicopter money, non c’è alcun aggravio nelle spese correnti …

LA RIFORMA FISCALE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Il governo sta varando la riforma fiscale relativamente alla quale, dai primi accenni, sembra di capire ci sia un abbassamento delle prime due aliquote dell’irpef (22% invece di 23% per la prima aliquota e 26% anziché 27% per la seconda) e una reintroduzione di una aliquota iva maggiore per beni di lusso e voluttuari. Commenterò i provvedimenti quando saranno noti, ma vorrei porre alcuni punti che mi sembrano rilevanti al proposito. 1- Riduzione delle prime due aliquote. La riduzione delle due prime aliquote (22% anziché 23% e 26 anziché 27%) riduce il gettito di circa 8 miliardi. Va comunque ricordato che la riduzione delle prime due aliquote riduce le imposte non solo per i contribuenti fino a 28.000€ di reddito, ma le riduce per tutti i contribuenti, causando un effetto non voluto o comunque da evitare. Si dovrebbero allora aumentare le altre aliquote in modo da recuperare quello sconto fiscale non voluto derivante dalla riduzione delle prime due aliquote. La perdita di gettito si ridurrebbe di circa 2 miliardi. Si potrebbe inoltre pensare ad un aumento delle aliquote alte tale che lasci immutato il gettito. Le stesse riflessioni andrebbero fatte qualora, ma non pare più un tema proposto, si passasse all’aliquota continua, cioè non più per scaglioni. 2 – Imposte sostitutive. Il principio costituzionale della progressività dell’imposta è oggi fortemente violato: la progressività si applica solo a lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi con ricavi superiori a 65.000€. Tutti gli altri redditi (locazioni, capitale, interessi, plusvalenze etc.) sono tassati con aliquota flat. La Lega raccoglie voti e consensi in particolare su piccole partite iva proprio per aver regalato loro la flat tax. Ci si chiede perché a parità di reddito un lavoratore dipendente debba pagare imposte doppie rispetto ad un piccolo commerciante, imprenditore o professionista. La flat tax sugli affitti ha permesso di far emergere dal nero molte situazioni, ma in termini di gettito l’erario (cioè gli altri contribuenti) ci hanno rimesso parecchi miliardi. La flat tax sui redditi di impresa penalizza in modo incomprensibile i piccoli azionisti. 3 – Imposta di successione. Nella attuale legislazione fiscale italiana l’imposta di successione è enormemente inferiore a quella di altri paesi europei. Vediamo schematicamente un confronto:  Paese Caso di eredità vedi nota (1) Gettito totale annuo in mln € % sul PIL Italia 0 820 0.05 Germania 75.000 6.800 0.20 Francia 195.000 14.300 0.61 Regno Unito 250.000 5.900 0.25 ● Imposta in € pagata su una eredità di 1 milione di € lasciata da un genitore ad un figlio In tempi di crescente disuguaglianza, in un Paese in cui l’indice Gini (indice della disuguaglianza) è superiore agli altri paesi, un intervento su questo fronte sarebbe raccomandabile. Rammentiamo, perché è un testo interessantissimo, il progetto di 100 anni fa, dell’ing. Rignano (ricordato e ripreso anche da Luigi Einaudi nelle sue Lezioni di Politica Sociale) di una imposta di successione reiterata con l’impiego in investimenti cooperativistici dei proventi ottenuti. Il testo dell’ing. Rignano è scaricabile da internet. ● Imposte dirette ed indirette. Da tempo i politici del main-stream raccomandano di aumentare le imposte sui consumi e diminuire quelle sui fattori della produzione. La raccomandazione può essere accettata se l’aumento dell’imposta sui consumi si riferisce a beni di lusso e/o voluttuari (chiarendo ciò che con questo termine si intende), ed è fortemente appoggiata per quel che riguarda la riduzione dell’imposizione sui fattori della produzione, lavoro in primis. Resta tuttavia sempre presente la consapevolezza che le imposte sui consumi, l’iva in particolare, hanno carattere regressivo anzichè progressivo e vanno quindi applicate con questa consapevolezza. L’iva poi ha il pregio, mai attuato, di svolgere una politica economica anticongiunturale, incentivando i consumi diminuendo le aliquote quando ci si trovi in periodo di depressione, o disincentivandoli aumentando le aliquote quando ci si trovi in periodi di surriscaldamento. ● IRES e imposta sui dividendi Non va mai dimenticato che l’Ires è una imposta riscossa sui redditi delle società di capitale come acconto sull’imposizione sul beneficiario finale ovvero del socio azionista o socio di una s.r.l. Il sistema ha funzionato con tre modalità: a) Dedurre dall’imposta del socio calcolata in modo progressivo includendo il dividendo lordo (prima dell’imposta IRES) l’importo dell’acconto già pagato sotto forma di IRES. b) Applicare l’imposta del socio, calcolata in modo progressivo, solo su una percentuale del dividendo netto; la percentuale varia in modo contrario al variare dell’aliquota IRES. Quando questa diminuisse (aumentasse) la percentuale imponibile aumenta (diminuisce) in modo da riequilibrare la tassazione finale. In pratica se l’acconto diminuisce il saldo deve aumentare e viceversa. c) La normativa oggi in vigore prevede una imposta sostitutiva del 26% da applicare sul dividendo netto. Tale sistema penalizza i piccoli azionisti (o soci di s.r.l.) colpendoli con una aliquota composta più elevata di quanto sarebbe con i sistemi precedenti. Quello cui dobbiamo stare attenti è che, come nel passato, l’aliquota dell’imposta sostitutiva deve essere modificata ogni volta che si modifica l’aliquota dell’IRES. Ad esempio ipotizziamo la riduzione dell’IRES attualmente fissata al 24%: Utile Aliquota ires Importo ires Dividendo netto Aliquota sostitutiva Importo sostitutiva Importo imposta totale 100 24% 24 76 26% 20 44 100 20% 20 80 30% 24 44 100 0% 0 100 44% 44 44   Rimane comunque la nostra preferenza per la cancellazione dell’imposta sostitutiva ed il ritorno alla tassazione secondo progressività. Abbiamo, provocatoriamente, indicato l’aliquota IRES pari allo zero per cento per cercare di ipotizzare le conseguenze di un simile provvedimento che sposterebbe la tassazione (progressiva o sostitutiva) al momento della distribuzione dei dividendi. A mio parere riscontreremmo da una parte uno spostamento nel tempo dei flussi di gettito, infatti perderemmo l’imposizione di acconto aumentando quella a saldo, e contemporaneamente assisteremmo ad un rilancio della propensione all’investimento in attività produttive rispetto a quelle speculative. Ma è solo una prima impressione che mi riservo di approfondire. ● I bonus fiscali I bonus o in genere le agevolazioni fiscali concesse alle imprese se da un lato aiutano le imprese a comportamenti virtuosi dall’altro lato costituiscono un …

SOCIALISMO NECESSARIO

  di Luigi Ferro –  Socialismo XXI Campania|   Domanda: esiste una questione socialista in Italia? Risposta: Credo proprio di si! Dopo l’effetto tangentopoli, il vecchio P.S.I.  veniva nel 1994 messo in liquidazione. Da allora iniziava la diaspora dei socialisti italiani, ancora non conclusasi. Le vicende politiche degli ultimi vent’anni in Italia non hanno consentito ai socialisti italiani e a coloro che si riconoscevano nel partito fondato da Filippo Turati di trovare una allocazione stabile e porre fine al lungo peregrinare nel “deserto”.  Oggi la questione è più viva che mai, soprattutto nel ricordo di Bettino Craxi scomparso nel gennaio del 2000. Si dibatte molto sulla figura carismatica di Craxi. Non vi è dubbio alcuno che Craxi sia stato un grande socialista e un uomo politico di primo piano. Non riconoscergli le grandi doti politiche ed anche umane appartiene alla solita, purtroppo, ipocrisia della politica. Craxi non è divisivo come molti sostengono e non può essere considerato tale. E’ stato un grande uomo delle Istituzioni democratiche di questo Paese. Un riformista convinto. Un uomo di sinistra “senza se e senza ma”. Il ricordo di Craxi ha accesso inevitabilmente i riflettori sulla questione socialista italiana, per tornare alla domanda. Da tempo In Italia manca una grande forza socialista. E si vede. E si sente. Negli ultimi anni le spinte neoliberiste hanno prodotto solo disuguaglianze e contraddizioni sociali, populismo e poca partecipazione. Nel nostro Paese  si sono formate nuove sacche di povertà conseguenza di scelte politiche errate in campo economico e finanziario. L’assenza di piani di sviluppo industriale ed occupazionali degni di nota, sta minando in maniera preoccupante la coesione sociale, e non solo in Italia. La perdita di parte della sovranità nazionale in favore dell’Europa ha costretto gli ultimi governi per il sovraindebitamento del Paese a cedere ai diktat della BCE e dell’alta finanza attraverso liberalizzazioni e privatizzazioni low cost di settori significativi dell’economia italiana . Ciò ha avuto come conseguenza l’allargamento del perenne divario tra Nord e Sud del Paese. L’Italia è ferma o cresce poco. E, come certificato dal calo delle nascite, il nostro Paese è sempre più vecchio e stanco. E le cose non vanno meglio nel resto d’Europa dove la crisi della socialdemocrazia ha indebolito tutti. Le spinte neoliberiste nel nostro Paese ci sono sempre state, inutile negarlo. Ma il partito socialista di allora, secondo il noto motto nenniano, era capace di tutelare le esigenze del capitale con quelle dei cittadini perché tutti dovevano trarre dei vantaggi dalla produzione di ricchezza, poichè “nessuno doveva rimanere indietro”. Insomma, si all’impresa, si alla produzione di ricchezza, si ad una economia di mercato nel rispetto dell’ambiente, ma senza dimenticare gli altri: ovvero il popolo! Parola oggi desueta nel linguaggio politico.  Sul punto, è assordante il silenzio di quelle forze politiche che dovrebbero più di altre avere maggiore attenzione sui grandi temi sociali (lavoro e occupazione, sviluppo, tutela ambientale etc. etc.). La crisi del sistema politico italiano è la crisi della sinistra italiana che si è allontanata dai cittadini, incapace di intercettarne le istanze, i bisogni  e le necessità. (E’ il caso di ricordare che Craxi aveva rifiutato di piegarsi ai “Potenti”, perché un leader è tale se non dimentica il popolo). Ecco perché è importante parlare di socialismo, oggi più di ieri, senza pregiudizi e senza tabù. La storia ha dato ragione al socialismo non al comunismo. Senza socialismo non si va da nessuna parte.  Il dibattito è aperto, ma in realtà è già iniziato da un po’ di tempo. Molte sono le associazioni di ispirazione socialista che come “Socialismo XXI” propone, debbano attraverso la concertazione, il dialogo, il confronto, si faranno interprete, senza primogenitura, della necessità di un partito socialista forte nel nostro Paese, per le ragioni che abbiamo detto. Non si tratta di un gruppo di reducisti o di nostalgici, come direbbe qualcuno. Si tratta di persone di buona volontà che hanno una visione del mondo e della società più equilibrata, più giusta e più libera. Non si tratta solo di restituire al Paese un partito glorioso, ricco di storia , tradizioni, con all’attivo grandi conquiste sociali per il progresso civile e materiale degli italiani, contro le disuguaglianze, contro il divario tra Nord e Sud del Paese, contro i populismi. Si tratta di rifondare una forza liberalsocialista e riformista, forte e autonoma, moderna e nel solco della migliore tradizione socialista europea, capace di essere ago della bilancia tra le esigenze legittime del profitto e quelle altrettanto legittime dell’individuo con le sue aspirazioni e che sappia guardare al futuro e che sia in grado di guidare i repentini processi di trasformazione della nostra società, senza farsi travolgere da tali fenomeni, come è avvenuto a causa della globalizzazione senza regole. Si tratta di proporre agli italiani una alternativa politica valida contro le destre che manca “a sinistra” con proposte chiare in materia di politica estera, circa il ruolo dell’Italia in Europa e nel mediterraneo, in materia di sviluppo e tutela dell’ambiente, sulla politica energetica, sull’istruzione, sull’innovazione scientifica e tecnologica. Manca preoccupantemente una visione di società  e del mondo che vorremmo nei prossimi anni e da consegnare alle future generazioni. Tutto questo è essere socialisti. Tutto questo rende il socialismo necessario. Perfino negli Stati Uniti, il Partito democratico con Sanders ha avuto una svolta socialista, da concretizzarsi certo, ma  si tratta comunque di una svolta epocale. Insomma, c’è bisogno di socialismo nel nostro Paese. E di un partito socialista forte, unitario, onnipresente  su tutte le grandi questioni economiche e  sociali. L’appuntamento è in autunno a Genova dove è nato il P.S.I. con tutti i socialisti di buona volontà per una Epinay tutta italiana. Come in Francia nel 1971.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TARANTO CITTA’ MARTIRE

di Beppe Sarno – Critica Sociale | Scriveva Francesco Forte nel maggio 1969 sulla rivista “Critica Sociale”: “sono comunque del parere che la forza fondamentale di contrapposizione alle gradi imprese private e di salvaguardia del potere politico dalla loro influenza sta nell’azione delle imprese pubbliche e nell’espansione di tale azione. Per quanto “vecchia”  possa apparire questa dottrina essa è invece estremamente attuale. Rendere sempre più pubblica l’azione delle imprese pubbliche e mantenere e potenziare lo sviluppo dell’imprenditorialità pubblica sono i due elementi base per lottare contro la destra economica e contro le forze del potere economico privato come forza di dominio economico e di ipoteca politica.” Non credo che il maestro con il passare degli anni abbia mutato parere, anche se espresse oggi queste idee lo farebbero mettere al bando da chi invece vede nel liberismo economico spinto e nel libero mercato la soluzione di tutti i problemi economici e politici. Le parole di Forte, però, possono illuminarci ed indicare una possibile via d’uscita dal groviglio dell’ex Ilva di Taranto. Facciamo un passo indietro e ripercorriamo le tappe che ci  hanno portato all’attuale situazione. Con la legge 3 dicembre 2012 lo stabilimento dell’ILVA viene qualificato come “stabilimento di interesse strategico nazionale” ciò perché doveva essere assicurata la “continuità produttiva dello stabilimento in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell’ambiente e della salute, di ordine pubblico, di salvaguardia dei livelli occupazionali.”  La legge aveva quindi il compito di trovare soluzioni che ponessero in atto misure per risanare l’ambiente contaminato dalle scorie e dai fumi dello stabilimento; di impedire che diecimila persone andassero in mezzo ad una strada, creando  non solo problemi di miseria, ma soprattutto problemi di sicurezza che una disoccupazione così spinta avrebbe creato. Il decreto legge 4 giugno 2013 autorizzava il Presidente del Consiglio dei Ministri a nominare Commissari per la gestione di stabilimenti di interessi strategici nazionali in caso di oggettivi “pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata dell’autorizzazione integrata ambientale.”. L’art. 2 del decreto fa espresso riferimento allo stabilimento di Taranto. Lo  Stato con inusitata sensibilità, con questi due strumenti legislativi aveva preso atto della gravità della situazione di Taranto  ed è intervenuto in prima persona perché le vicende dell’ILVA  incidono in modo grave sull’economia nazionale, affidando ai commissari la gestione  dello stabilimento. Successivamente il ministro dell’ ambiente nominò un comitato di tre esperti che hanno realizzato il Piano Ambientale dell’ILVA per risolvere il problema dell’inquinamento dell’area intorno agli altiforni. Accade però che nel 2015 c’è una prima inversione di tendenza il “Pubblico” si fa da parte e con il Decreto legge 5 gennaio 2015 il governo dà disposizioni ali Commissari di trovare un affittuario o un acquirente  “tra i soggetti che garantiscono la continuità produttiva dello stabilimento industriale di interesse strategico nazionale”. Di fronte alla gravità del problema di Taranto qualcuno non ha avuto il coraggio di intraprendere una via difficile e tortuosa e piena di incognite e sicuri insuccessi. E’ cosi che lo “stabilimento di interesse strategico nazionale” scala di rango. Il 15 gennaio 2016 i Commissari Straordinari bandiscono la gara per l’affitto o la vendita dello stabilimento di Taranto. Di 29 soggetti interessati  vengono ammesse alla gara solo la Arcelor Mittal e Acciaitalia s.p.a. Siam o al 30 giugno 2016. La Arcelor Mittal nella gara era in cordata con la Marcegaglia Carbon Steel s.p.a., ma la Commissaria Europea alla Concorrenza impone l’esclusione della Marcegaglia da gruppo d’acquisto e  la vendita da parte della Mittal di sei stabilimenti di proprietà. Allo stato non risulta che questa seconda condizione sia stata rispettata. La società Acciaiatalia era invece in partenariato con Cassa Depositi e Prestiti, Delfin, Arvedi acciai, Jsw Limited. In questo secondo gruppo è da evidenziare la presenza della Cassa depositi e prestiti società per azioni il cui capitale sociale per l’80% è di proprietà del Ministero del Tesoro e la restante è detenuta da Fondazioni bancarie che a loro volta son a gestione sia pubblica che privata, inoltre Presidente e Amministratore Delegato sono nominati dallo stesso Ministero e gestiscono di fatto un patrimonio economico e finanziario che si aggira intorno ai 230-250 miliardi di euro – oltre a decine di miliardi in obbligazioni e alla totalità delle azioni SACE – destinati sostanzialmente alla crescita economica del Paese. Inoltre  l’Arvedi, società tutta italiana, ha una tecnologia produttiva che la Mittal non possiede. A prima vista sembrerebbe che la seconda dia maggiori garanzie da ogni punto di vista, ma per il governo non è così. Il 5 giugno 2017 Il Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda autorizza l’aggiudicazione in favore dell’Alcelor Mittal in maniera del tutto apodittica tenuto conto che gli stessi tecnici nominati dai commissari definiscono il piano della Mittal “Incoerente” e che la società Acciai Italia pare abbia offerto migliori garanzie della Mittal. Gentiloni e Calenda tirano dritto. In data 28 giugno 2017 viene sottoscritto il contratto fra i Commissari e la Alcelor Mittal e successivamente il 14 settembre 2018 viene sottoscritto un accordo modificativo e in data 31 ottobre 2018 venivano sottoscritti i contratti attuativi con decorrenza degli affitti aziendali dal primo novembre 2018. Ad oggi dei 180 milioni di affitto da pagare non c’è traccia. Nel frattempo  i sindacati approvano l’accordo intervenuto fra i commissari e l’Alcelor Mittal. Il 92% dei lavoratori dice “sì” all’accordo e i capi sindacali parlano di autentico plebiscito. Cosa prevedeva l’accordo? Il versamento di 1,8 miliardi di euro per l’acquisizione del gruppo ILVA; la garanzia di una produzione di 6 milioni di tonnellate all’anno, con l’impegno ad arrivare al 2023  a dieci tonnellate, in cambio si chiedevano  ingenti tagli occupazionali 9.440 con un taglio di 4.880 unità lavorative, per poi scendere nel 2023 a 8.400. Sotto il profilo ambientale la Mittal si impegnava a impiegare nuove tecnologie, a bassa emissione di anidrite carbonica, che poi si è scoperto non avere, la copertura dei parchi minerari, e investimenti per il risanamento ambientale paria euro 1,15 miliardi. Dal punto di vista industriale la Mittal si impegnava al rifacimento del forno “5” …

IL DIBATTITO SULLA PRESCRIZIONE

  di Silvano Veronese – Vice presidente Socialismo XXI |   Nota Nel dibattito che si è acceso in questi ultimi tempi non solo nell’ambito politico e istituzionale, ma anche nella società civile attorno al provvedimento governativo riguardante la prescrizione non è mancata la presa di posizione pubblica (sulla stampa ed in televisione) del magistrato Davigo, oggi membro del CSM. Intanto, considero l’intervento di un magistrato, tanto piu’ componente del CSM, del tutto fuori luogo – al limite del golpe “istituzionale” perché i magistrati devono applicare correttamente e con imparzialità la legge (e non sempre lo fanno) e non pretendere di influenzare o determinare le leggi in materia di giustizia. Il Presidente della Repubblica, anche nella sua qualità di Presidente del CSM, dovrebbe intervenire per far restare nei “ranghi” il protagonismo di vari Magistrati. Ma al di là delle arcinote posizioni giustizialiste dell’ex-P.M. del pool di “Mani pulite”, ci sono state recenti affermazioni di Davigo che fanno rabbrividire sul piano umano e sulla concezione che ha della giustizia. L’uomo che inventò all’epoca di “mani pulite” il teorema giudiziario, alquanto obbrobrioso, del “non poteva non sapere” per incolpare senza prove taluni indagati ma non altri che si trovavano nelle medesime condizioni, ha infilato ora un’altra perla. Ha detto che, piuttosto di vedere libero un colpevole prosciolto per scadenza dei termini temporali, preferisce un innocente in galera. Una concezione che non ha niente da invidiare a quella che animava il giudice dei processi stalinisti Viscinsky! Ed, in effetti, sulla base di questa perversa “filosofia del diritto”, che ebbe il suo culmine applicativo nel nostro Paese nel biennio ‘92/’94, migliaia di indagati prosciolti in istruttoria, o assolti con la sentenza in primo o secondo grado, da innocenti si sono fatti prima mesi e mesi di carcere e subito lo “sputtanamento” presso l’opinione pubblica, nonché bruciata la carriera! Sono queste posizioni che, al di là delle inconcepibili lungaggini delle istruttorie e dei processi, giustificano le posizioni di coloro che parteggiano per la prescrizione. Al di là delle soluzioni che in materia il Parlamento dovrà trovare con il necessario equilibrio, non disgiunte da una riforma delle procedure processuali per riportare i tempi in termini ragionevoli e comuni a quelli dei Paesi civili, quello che spaventa è la disumanità e la perversità del pensiero del Davigo, anche per le responsabilità che Egli ricopre a livello istituzionale.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VERSO GENOVA

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Ci stiamo avvicinando all’appuntamento di Genova dove si tenterà il rilancio del SOCIALISMO a seguito di un percorso iniziato da Socialismo XXI secolo; in vista di quell’appuntamento vorrei affrontare un tema che, a mio avviso, dovrebbe essere al centro dei nostri obiettivi. Il SOCIALISMO cui puntiamo è sicuramente un socialismo democratico, nessuno di noi ha in mente la realizzazione delle nostre idee percorrendo strade estranee alla democrazia e che rimandino ad esperienze rivoluzionarie che, connotate dal romanticismo della violenza o da forme di governi autoritari, spesso nel passato, oltre ad essere condannate dalla storia, hanno di fatto ritardato il cammino verso l’obiettivo. Sicuramente però non ci possiamo accontentare di una democrazia formale che ricerca la realizzazione dell’eguaglianza nei diritti civili di tutti i cittadini, con ciò mettendo le basi per una convivenza più accettabile, ma che si dimostra incapace di fornire alla società una democrazia concreta che miri ad una uguaglianza sostanziale dei soggetti membri della società. Voglio con ciò sottolineare il fallimento della vita reale del nostro Paese nel realizzare l’obiettivo contenuto nell’articolo 3 della nostra Costituzione. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Nel secondo dopoguerra il percorso del nostro Paese è cosparso di provvedimenti legislativi, di maturazioni culturali e mutazioni nella struttura del Paese che costituiscono passi in avanti nella realizzazione dell’art. 3 della Costituzione, nessuno può negare le conquiste realizzate dal riformismo, ma contemporaneamente non possiamo nasconderci che, in questo momento storico, quel cammino riformista si sia interrotto facendo anche riscontrare significativi passi indietro nella legislazione, nella cultura del paese, nel senso comune, nella prassi quotidiana. Se osserviamo la società attuale non possiamo non rilevare, oltre ad un aumento delle disuguaglianze, il crollo nella speranza in un futuro che sia capace di invertire la tendenza. Se osserviamo l’indice Gini (il misuratore delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza) vediamo che esso è in continuo aumento e ciò in tutti i paesi occidentali. L’Italia poi, in sede europea, è tra i paesi con le disuguaglianze più elevate, sia nella distribuzione del reddito che in quello della ricchezza. C’è in me la convinzione che il meccanismo economico, in particolare dopo lo scoppio della crisi del 2007, non generi sviluppo economico, ma generi da una parte debito e dall’altra disuguaglianza, in una spirale che non dà alcuna illusione di poter essere rovesciata. Il trickle-down E’ crollato il mito della società del trickle-down (sgocciolamento verso il basso) quella dottrina economica, che ha i suoi capostipiti nella coppia Tatcher-Reagan, che si basa sull’assunto secondo il quale i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti abbienti (in termini di alleggerimento dell’imposizione fiscale) favoriscono necessariamente, e ipso facto, l’intera società, comprese la middle class e le fasce di popolazione marginali e disagiate. Ogni giorno sentiamo parlare dell’impoverimento delle classi medie, della situazione disperante delle periferie in un paese con la disoccupazione a due cifre con indici enormi nella disoccupazione giovanile pur decongestionati dall’aumento dei Neet. Siamo usciti dalla crisi con l’1% della popolazione che diventa sempre più ricco ed il 99% che diventa sempre più povero. Osserviamo che le disuguaglianze non sono solo un disastro dal punto di vista sociale, ma anche da quello strettamente economico. Proprio gli anni della crisi dimostrano che la teoria del trickle-down é falsa e, di fatto, i ricchi stanno diventando sempre più ricchi, i poveri più poveri. Ci troviamo di fronte al fatto che 62 persone detengono la metà della ricchezza mondiale: sono dati davvero inconcepibili e forse non riusciamo neppure a renderci conto bene di cosa in realtà questi dati significhino. I difensori dell’esistente sostengono che la nuova crescita economica riequilibrerà la situazione sociale e che lo stesso mercato avrà una funzione redistributrice della ricchezza e dei redditi. I fatti ci dicono che tutto questo non si sta realizzando; l’Italia è un esempio lampante della falsità di tali dichiarazioni. Tagliamo gli stipendi, tagliamo la spesa sociale, tagliamo il Welfare, tagliamo le tasse sulle imprese in modo da diventare più competitivi, puntiamo tutto sull’export, senza porci il problema che la diminuzione della capacità di spesa delle famiglie e la crisi dei mercati emergenti proibiscono la ripresa seguendo questo percorso. L’ascensore sociale Chi nasce in una famiglia ricca rimane ricco e chi nasce in una povera rimane tale. Si è fermato l’«ascensore sociale», la possibilità di migliorare il proprio stato, di generazione in generazione. Le «condizioni di partenza» (ceto, sesso, luogo di nascita, scuole frequentate) sono diventate decisive e vincolanti. Lo dicono recenti e autorevoli studi: il dossier della Banca d’Italia «Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia» e gli ultimi rapporti Istat e poi la ricerca di Oxfam «Non rubateci il futuro» e il WeWorld Index 2019. I figli restano ai livelli dei padri. Chi nasce in una famiglia ricca rimane ricco e chi nasce in una povera rimane tale, col rischio di regredire. I figli dei laureati arrivano a laurearsi, invece, chi è figlio di genitori senza laurea, in 92 casi su 100, a sua volta, non avrà accesso all’istruzione universitaria. Se le cose non cambieranno, dice Oxfam, i discendenti di chi oggi fa parte del 10 per cento più povero delle famiglie italiane, vedranno passare cinque generazioni, prima di percepire il reddito medio nazionale. Ma un Paese bloccato non è solo un problema per chi rimane indietro, ma un guaio serio per tutti, perché, come scrivono i ricercatori Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio nello studio di Banca d’Italia «la possibilità di conseguire un miglioramento delle condizioni di vita costituisce un potente incentivo allo sviluppo delle proprie capacità, all’innovazione, all’impegno nel lavoro; ne trae …

PIANO SHOCK DA 120 MILIARDI

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Renzi a Cinecittà presenta il piano triennale Ne Il Sole 24 ore di martedì 28 febbraio, l’intervista a Renzi “Sabato presenterete a Roma le vostre proposte per il rilancio dell’azione di governo. Riforma fiscale? Sblocco dei cantieri? Su che cosa punta Italia Viva?” “Sabato all’Assemblea nazionale di Cinecittà presenteremo innanzitutto il Piano Shock per sbloccare i cantieri. Ci sono 120 miliardi di €: è fondamentale spenderli per creare posti di lavoro anziché dare sussidi assurdi come il reddito di cittadinanza. Sui temi del Piano Shock ci giochiamo punti di Pil che sono più importanti dei punti dei sondaggi. Offriremo al dibattito parlamentare anche le nostre idee sulle tasse e non solo. Le nostre sono proposte concrete, non chiacchiere” A parte lo stile sempre pungente di Renzi che tra l’altro ritiene assurdo il reddito di cittadinanza e non parla dei suoi 80, ora 100 €, penso che sia da prendere in considerazione la proposta di un piano per spendere 120 miliardi. Io ritengo che occorra un piano per fare uscire il nostro paese dalla stagnazione e per rilanciare produzione, produttività, occupazione e salari. Sono quindi di massima d’accordo con questa proposta che va approfondita e discussa. Le osservazioni che faccio sono: ● Renzi afferma che ci sono 120 miliardi di €. Probabilmente parla di miliardi stanziati, non credo che ci siano nel bilancio dello Stato per il 2020 né ci saranno in quello del 2021 stante i 40 miliardi di clausole di salvaguardia da sterilizzare l’anno prossimo. Quando si dice stanziati significa che le opere sono previste in un bilancio di previsione ma che sono spendibili solo se esistono effettivamente i fondi necessari; cosa di cui dubito. ● L’importo di 120 miliardi in tre anni corrisponde al piano di emissione dei Certificati di Compensazione Fiscale, di cui abbiamo discusso ampiamente al recente convegno di Perugia, promosso da Socialismo XXI secolo. ● Certo il piano deve rispondere a criteri che garantiscano la messa in circolazione al 100% dei certificati emessi, impiegati laddove il moltiplicatore keynesiano è più alto, dove non si creino problemi fiscali di imponibilità o meno. Come abbiamo concluso a Perugia i 120 miliardi dovrebbero essere spesi in investimenti pubblici ad alto moltiplicatore soprattutto nel mezzogiorno. Spero che si approfondisca il tema e si dibatta sulle mie osservazioni, auspicando interventi e critiche per poter portare all’esterno una proposta studiata e condivisa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it