CONVEGNO: I CERTIFICATI DI COMPENSAZIONE FISCALE

Convegno di Socialismo XXI. Perugia 25 gennaio 2020   di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Sabato 25 gennaio, nel pomeriggio, si è tenuto a Perugia un convegno sui Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) organizzato da Socialismo XXI secolo. Ha aperto i lavori il Presidente di Socialismo XXI secolo Aldo Potenza e Renato Costanzo Gatti (Socialismo XXI secolo Lazio), con la proiezione di slides, ha presentato e commentato il progetto dei CCF Fiscale mentre Stefano Sylos Labini (membro del gruppo che ha elaborato la proposta della moneta fiscale rappresentata dai CCF) ha approfondito la presentazione e risposto alle molte domande poste dagli intervenuti. Dalla presentazione e dalla discussione si sono tratte alcune conclusioni che riassumo: ● I CCF sono uno dei pochi strumenti, attuabili in breve termine, per aiutare il Paese ad uscire dalla stagnazione in cui si trova dalla crisi del 2007. Lo strumento dei CCF permette, senza infrangere le regole europee, di ridare al nostro Paese un minimo di autonomia finanziaria atta a superare il difficile momento economico. ● La valenza tecnica rappresentata dalla moneta fiscale, trova però una sua collocazione più consona ai principi socialisti, quando venga utilizzata all’interno di una ripresa della politica economica improntata alla programmazione. ● Utilizzare ad esempio i CCF per cofinanziare i fondi strutturali europei per la ripresa del mezzogiorno (dove peraltro il moltiplicatore keynesiano è doppio rispetto al resto d’Italia) , attrezzando le regioni di una qualificata capacità programmatoria, costituirebbe una svolta nelle politiche seguite in questi anni dai nostri governi. Quest’ultimo governo, inoltre, è stato limitato nella sua politica economica dal dover riassorbire le clausole di salvaguardia che per il 2020, ma anche per gli anni a venire impediscono qualsiasi programma di sviluppo. Senza sottacere che, dopo la crisi (ma anche prima) si sono penalizzati gli investimenti pubblici privilegiando la spesa corrente alla ricerca del consenso elettorale. ● Ridare alla politica il suo ruolo di programmatore dell’economia nazionale, senza indulgere in una incondizionata fiducia nelle capacità del mercato, puntando ad un soggetto europeo programmatore e proiettato al futuro, richiede la creazione di un soggetto italiano e poi, necessariamente, europeo capace di ridare all’Europa quella missione ispirata al progetto elaborato nell’isola di Ventotene. ● Prendere spunto dall’analisi dei CCF per rivedere criticamente le posizioni miopi e dogmatiche insite nei parametri neo-liberistici e nella logica europea, per contestare anche a livello teorico ma soprattutto pratico, la egemonica conduzione mercantilistica della politica economica europea, onde a fare dell’Europa un modello socialmente propositivo nella globalità di un mondo capitalisticamente soffocante. Riteniamo quindi di approfondire questa tematica, grazie anche al consenso avuto dai partecipanti al convegno, per elaborare un progetto di programmazione economica europea corroborata dal parer di economisti e portata su un tavolo di discussione operativa con i confronto con le forze politiche italiane. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BETTINO CRAXI A VENT’ANNI DALLA SCOMPARSA

di Giorgio Benvenuto – Presidente Fondazione Buozzi | A venti anni dalla morte di Bettino Craxi in Italia per quei paradossi storici che ogni tanto avvengono, la situazione di allora si è capovolta. In quell’inizio del 2000 la sua commemorazione in Parlamento subì la stessa sorte di quella di Aldo Moro, con la bara vuota, mentre il leader socialista veniva seppellito ad Hammamet. Oggi avviene in qualche modo il contrario: ad Hammamet è il momento del ricordo, mentre in Italia torna a prendere forma un tentativo, tardivo probabilmente ma necessario, di riflessione sul Bettino Craxi politico e quindi più reale e, quindi lo statista, il riformista socialista. Un tentativo non facile, ancora avversato dagli effetti di un clima d’odio che probabilmente non ha eguali nella storia più recente dell’Occidente di cui Craxi però fu, lo si voglia o no, un protagonista ed un lucido avversario non tanto e solo del comunismo quanto del totalitarismo. Il film di recente uscita “Hammamet” ha contribuito indubbiamente a riproporre una memoria storica che appariva condannata ad una rimozione senza appello, sostituita dalla egemonia di un pensiero giustizialista che come è noto ha sempre avuto bisogno di “nemici” per alimentare la sua presenza. Probabilmente però si è voluto da più parti attribuire una valenza al film che non poteva avere, perché rimane una bella e toccante riflessione sul tramonto amaro di un protagonista della storia, il cui tratto umano prevale inevitabilmente su ogni altra considerazione. Forse l’unico atto di accusa, implicito ma evidente, riguarda l’assenza di una vera trattativa per salvare la vita a Craxi come avvenne del resto per Aldo Moro. Non a caso l’unico riconoscimento praticamente unanime va alla formidabile performance dell’attore che impersona Craxi.La politica resta fuori, si è detto. Perché quel film semplicemente non poteva diventare “politico”. Il ritorno ad una rilettura politica e storica spetta ad altri, anche se si fa fatica in questa direzione forse solo perché venti anni sono ancora troppo pochi in un Paese che nel frattempo ha perduto consapevolezza su quello che è stato quel periodo storico con i partiti, i rapporti fra politica e società, la divisione in blocchi ideologici, il valore della politica internazionale. In un saggio convincente sulla parabola, Barbara Spinelli ricorda il messaggio inviato da Ciampi alla famiglia dopo la scomparsa di Craxi che si distaccava nettamente dalle commemorazioni del tempo e in modo che la stessa Spinelli giudica “insolito”: “contribuì in modo significativo alla difesa dell’Occidente ed al consolidamento della pace”. Parole che sono state dimenticate ben presto, naturalmente. Eppure evocano un terreno di approfondimento che andrebbe ripreso per uscire finalmente da uno schema di giudizio che propone una contrapposizione che oggi non ha davvero più senso fra demonizzazione ed esaltazione acritica. In quel saggio la Spinelli al dunque ricorda che con la caduta del muro di Berlino il vuoto culturale e politico che ne è seguito non solo ha decretato la fine della prima Repubblica ma ha seppellito in buona parte le prospettive di una sinistra che fosse tale in uno scenario profondamente mutato. C’è molto di vero in questo. Intanto perché ci sono due grandi silenzi che non sono mai stati affrontati come si deve: il valore della esperienza del primo centrosinistra con il ruolo riformatore dei socialisti che poteva condurre ad una evoluzione ben diversa della sinistra italiana e che comunque è l’inizio di un riformismo socialista moderno che ha poi mostrato tante luci ed ombre come sappiamo ma ha inciso con Craxi nella vita economica e sociale del Paese.  Di certo il “vuoto” lasciato dall’89 del muro di Berlino non fu colmato con quel coraggio culturale e politico che ci si poteva aspettare. Fu una grande occasione persa ed un limite politico di tutti i protagonisti di quel tempo. Cosa sarebbe infatti stato necessario fare: una nuova Bad Godesberg per ridefinire il ruolo della sinistra dopo che erano cadute le divisioni ideologiche, ma anche in previsione di scenari internazionali del tutto inediti come poi avverrà con l’avvento della prima globalizzazione. Andando quindi anche oltre il problema storico dell’unità fra forze socialiste e quindi del rapporto da reinventare o saldare fra Psi e post-comunisti. In realtà il tutto si ridusse inevitabilmente ad una lotta per il potere cui non rimase estranea, senza bisogno di rifarsi agli aspetti processuali, anche l’influenza nella opinione pubblica di Tangentopoli e di Mani pulite. In secondo luogo andrebbe riflettuto meglio e di più su quella politica estera che si intravede rappresentata nel messaggio di Ciampi. L’impegno di Craxi come “difensore” dell’Occidente è sparito praticamente dalla riflessione storico-politica ed è un errore. Pensiamo al sostegno dato agli oppositori dei totalitarismi sudamericani, pensiamo all’appoggio dato alla Cecoslovacchia di Havel o alla convinzione con la quale ha sostenuto le ragioni di Solidarnosc. Od ancora alla difficile scelta sui “missili” che, come giustamente si è osservato, ha cambiato assai più di Sigonella lo scenario internazionale ed europeo, indebolendo ancor di più il blocco sovietico.  Sarebbe quindi utile andare oltre gli aspetti divisivi sulla figura di Craxi che possono suscitare polemiche ormai sterili e tornare invece a confrontarsi con il declino inarrestabile che ha accompagnato il percorso della sinistra italiana dagli anni ’90 in poi con le sudditanze che ne hanno compromesso la credibilità a partire da quella subita ed accettata nei confronti della finanza.  Od anche, perché negarlo l’incapacità a contrastare quei modelli di comportamento introdotti dal Berlusconismo, vedi il mito del successo individuale, mettendo fra parentesi valori come la solidarietà per abbracciare confusamente le lusinghe del liberismo.  Ma proprio per tali motivi dovrebbe soprattutto risultare indubbio, come si inizia a fare, che la discussione attorno al Craxi politico è di pertinenza della sinistra e non certo della destra.  Ed avrebbe più senso anche non attardarsi a ribattezzare lo scontro sulla scala mobile degli anni ’80 e il dilemma sulla crescita o meno del debito pubblico, per dedicarsi alla comprensione dei motivi che hanno determinato i ritardi della sinistra italiana rispetto alla evoluzione che la storia del mondo aveva intrapreso e che non fu capita, malgrado …

UNA RICERCA SU INTERNET

  di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |   Premessa Un mio amico mi ha accusato di qualunquismo perchè sostengo che Salvini è geneticamente fascista. Per oppormi al suo rilievo mi sono sentito in dovere di fare la seguente ricerca. Lo Stato secondo Salvini In questa Italia dominata dai tweet e da Facebook si sottovalutano, o quanto meno si archiviano senza analizzarle, le uscite di Salvini sui “pieni poteri”, sulle sue concezioni dell’esercizio della democrazia, sulla sua filosofia istituzionale.  Salvini ha dichiarato:  “E’ grave che un potere dello Stato intervenga nelle prerogative di un altro potere dello Stato”. “Una scelta politica può piacere o non piacere, ma va rispettata. La domanda è: può un ministro fare ciò che ha promesso agli elettori o deve decidere qualcun altro?”. Gli stessi concetti sono stati ripetuti nella memoria difensiva al Tribunale di Catania l’8 febbraio 2019 e nelle scomposte reazioni alla decisione del gip di Agrigento: “Togliti la toga e candidati con la sinistra” (4 luglio 2019). «Chiedo agli italiani, se ne hanno voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo senza rallentamenti e senza palle al piede (..). Siamo in democrazia, chi sceglie Salvini sa cosa sceglie». “Sono sicuro che raccoglieremmo cinque milioni di firme, se smonteranno i decreti sicurezza, per difendere i nostri confini”. “Processare chi ha difeso l’onore, la dignità e la sicurezza del nostro Paese è folle. Propongo una autodenuncia di massa per chi difende il nostro Paese”. “Invito i giudici a cercare un’aula abbastanza grande per processare un intero popolo”.  “Chiederò ai senatori della Lega di mandarmi a processo. I giudici? Non rompessero le scatole a chi lavora”.  “Siamo l’ultima ancora di salvezza per il popolo cristiano occidentale”. Dopo la bocciatura del referendum rivolto ai giudici della Corte Costituzionale: “Vergogna, ladri di democrazia”. Ad agosto mentre Conte ha convocato i sindacati per un incontro con il governo, Salvini convoca i sindacati al Viminale, la CGIL non accetta l’invito. Conte afferma: “Scorrettezza istituzionale”. “Sui temi di controllo dei confini e di criminalità organizzata sono io a decidere”. La minaccia allo Stato di diritto e alla divisione dei poteri portata dal leader leghista è tutt’altro che un’invenzione, come dimostra proprio il caso Gregoretti (e il precedente, identico, della Diciotti). E come confermano al di là di ogni ragionevole dubbio le parole pronunciate dallo stesso Salvini, che minaccia di organizzare una manifestazione contro la possibilità che il parlamento lo mandi a processo per quello che ha fatto. Il dibattito sul caso Gregoretti (come sul caso Diciotti) dovrebbe essere piuttosto lineare: da un lato i difensori delle garanzie costituzionali poste a tutela dei diritti dell’individuo dagli abusi del potere (politico o giudiziario), dall’altro coloro che a quelle garanzie antepongono il mandato, che sostengono di avere ricevuto direttamente dal popolo-nazione, a realizzare il loro programma, posto pertanto al di sopra di tutto (diritti, leggi, principi).  In sintesi la filosofia dello Stato proclamata da Salvini è quella per cui (art. 1 della Costituzione) la sovranità spetta al popolo, e l’eletto dal popolo riceve dal popolo il consenso sul programma da lui elaborato e nessuno si può intromettere a ostacolare il suo operato. Le altre funzioni dello Stato devono cooperare con l’eletto nel perseguimento dei suoi obiettivi e se hanno obiezioni sul suo programma si candidassero alle elezioni e si facessero dare il mandato dal popolo, anche se le obiezioni sollevate rientrassero nelle mansioni spettanti al ruolo ricoperto (giudici, presidenti dell’Inps, etc). Il rapporto diretto tra popolo ed eletto trova un solo ostacolo, nuove elezioni, nuovi programmi, nuovi eletti; altri ostacoli non possono intromettersi tra popolo ed eletto venendo quindi ad un superamento della divisione dei poteri, poteri che vengono ridimensionati a funzioni di cooperazione alla missione/mandato del capo eletto. Con queste premesse ho fatto una ricerca su internet e ho trovato interessante il seguente testo: La teorica della divisione dei poteri nel diritto pubblico fascista del giudice Salvatore Federaro del 1933. L’autore inizia con il sunto del lavoro di Montesquieu, il quale “tendeva con la sua dottrina verso una maggior garanzia delle libertà dei singoli mediante una distinzione dei poteri: La liberté politique dans son rapport avec la constitution est formée par une certaine distribution des trois pouvoirs”, creare cioè dei poteri distinti e autonomi, fra loro separati, indipendenti ed uguali, di modo che all’occorrenza il potere possa arrestare il potere (il faut que le pouvoir arrete le pouvoir) e così prodursi l’equilibrio fra i poteri medesimi (perciò la teoria venne anche detta dei contrappesi): il potere legislativo che crea la norma giuridica; il potere esecutivo che, nei limiti di tale norma, svolge una attività concreta di governo; il potere giurisdizionale che interpreta ed attua la norma stessa, applicandola ai casi concreti.” Mussolini, parlando il 30 ottobre ai Magistrati d’Italia nella sala delle Battaglie a Palazzo Venezia ha enunciato la fine del dogma della divisione dei poteri nel diritto pubblico italiano: ”Nella mia concezione non esiste una divisione dei poteri nell’ambito dello Stato. Per pensare a ciò dobbiamo tornare indietro di un secolo e mezzo, e forse allora si giustificava più da un punto di vista pratico che dottrinale. Ma nella nostra concezione il potere è unitario: non c’è più divisione dei poteri, c’è divisione delle funzioni”. L’autore argomenta la fine della divisione dei poteri scrivendo che “la teorica della divisione dei poteri contraddice a quel principio essenziale, che vede nello Stato un organismo, per quanto sui generis, in cui tutte le parti sono connesse, tutte le funzioni sono coordinate a fondersi tutte in una grande unità.(…) Ma, secondo la concezione integrale dello Stato fascista, la sovranità non appartiene ad alcun organo dello Stato, ma unicamente e totalitariamente allo Stato; allo Stato, che è popolo; e come il popolo è uno, uno è anche lo Stato ed una conseguenza dev’essere anche la potestà sovrana. (…) Solo in questo caso si ha vera sovranità, poichè, come insegnavano esattamente i Romani – imperium nisi unum sit, nullum est. (…) Nella concezione fascista corporativa il potere …

I CERTIFICATI DI COMPENSAZIONE FISCALE

di Dott. Renato Costanzo Gatti Commercialista in Roma | La crisi del 2007 ancora morde sull’economia del nostro Paese che, al contrario di molti altri paese europei, ancora non ha raggiunto i livelli di PIL precedenti la crisi; la produttività ristagna; l’occupazione, specie quella giovanile, stenta a ritornare a livelli più accettabili; la povertà e le disuguaglianze aggravano la situazione. Il convegno tende ad individuare una possibile uscita dalla stagnazione utilizzando i Certificati di Compensazione Fiscale, uno strumento che da anni un team di intellettuali sta propugnando e che è stato recentemente trasformato in disegno di legge depositato il 9 agosto dello scorso anno. Il convegno esamina le norme europee in materia di vigilanza sui bilanci degli stati europei; ci si sofferma sul concetto di Output Gap e sul modello Cobb-Douglas (di ispirazione marginalista) assunto dalla commissione europea come base per la elaborazione del PIL potenziale; ci si sofferma sulle critiche del suddetto modello elaborate dalla scuola keynesiana di Cambridge in particolare dai seguaci di Sraffa, Garegnani e Pasinetti; si esamina il conseguente indice NAWRU, non dimenticando le prospettive che si possono prevedere come conseguenza della rivoluzione 4.0. Considerato questo scenario si esaminerà lo strumento dei Certificati di Compensazione Fiscale sia da un punto di vista della conformità con le norme europee, sia per gli effetti che potranno avere sul rilancio della domanda aggregata, del PIL e della occupazione, il loro funzionamento, le varie alternative in funzione dei beneficiari degli stessi, i punti critici che possono presentare e i riflessi pratici che possono riflettersi sulla vita delle aziende, i riflessi fiscali che essi comportano. Il convegno può essere interessante per la professione dei commercialisti non solo a livello di cultura economico-legislativa ma anche, in un domani quando il disegno di legge fosse convertito, per la sua contabilizzazione, i suoi riflessi fiscali ed infine  per la gestione finanziaria delle imprese e la costruzione di conseguenti budgets finanziari delle imprese assistite. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FORMICA RACCONTA IL SUO CRAXI «ERA UN SOVRANISTA EUROPEO»

da sinistra Mario Soares, François Mitterrand, Bettino Craxi, Felipe González L’ex ministro socialista: «Si dice di Craxi che fosse arrogante. Era l’opposto» Emiliano parla molto e fa poco. Sulle primarie sono d’accordo con Stefàno e Laforgia» di Lucia del Vecchio – Corriere del Mezzogiorno | Domani, sabato 11 gennaio alle 10,00 alcuni socialisti baresi si ritroveranno al cinema Galleria per guardare insieme “Hammamet”, il film di Gianni Amelio su Bettino Craxi appena uscito nei cinema italiani. Lo vedrà, invece, «con tutta calma», l’ex ministro socialista, barese, Rino Formica. «Devo dirle la verità – dice – Non ho questo desiderio spasmodico di vederlo. Anche perché mi pare, da quel che ho letto e sentito, che la chiave di ingresso sul tema non sia assolutamente rispondente al vero». Onorevole, “Hammamet” già non la convince?«Si dice di Craxi che fosse arrogante. Era l’opposto. Craxi, semmai, non era subalterno al potere ed era contro l’arroganza altrui, contro quella della maggioranza eterna di governo della Dc e contro quella dei comunisti per la tutela esclusiva delle ragioni della sinistra italiana. Poi ho anche sentito, dalle dichiarazioni dei protagonisti, che il film sia centrato sugli ultimi mesi dell’esilio craxiano e su come cadde il suo potere. Ma Craxi dall’87 non aveva più alcun potere, anzi era debole anche all’interno del partito, dopo i risultati non soddisfacenti delle elezioni di quell’anno». Quanto sarebbe stata utile la lungimiranza politica di Craxi, oggi? «La lungimiranza di Craxi sarebbe stata utile negli ultimi 20-25 anni. Soprattutto, nel costruire una entità politica sovranazionale. Lui non era un nazional sovranista. Era un sovranista europeo. Puntava alle entità istituzionali sovranazionali, con un forte rispetto delle ragioni dei singoli stati». Molto diverso dal sovranismo odierno di Meloni e Salvini?«Quello di Lega e FdI è nazional sovranismo. Antistorico, ci porta all’isolamento e alla sconfitta, e questi giorni sono da manuale. Oggi, nel Mediterraneo, non abbiamo un solo Paese amico, a causa del nazional sovranismo che ha intaccato anche buona parte della sinistra ufficiale». Ma i socialisti che fine hanno fatto?«I socialisti dovettero soccombere non solo alla decapitazione del proprio leader, ma anche alla criminalizzazione del partito con un intervento chirurgico e selettivo sulla sinistra che non era comunista. La Dc trovò, invece, un punto di salvezza con il Pci e prestò una parte dei suoi personaggi a copertura del Pci per un nuovo ciclo di alleanza. L’Ulivo non è che questo, il tentativo di un cambio di maschera». Un disastro su tutta la linea o c’è chi potrebbe riportare la barra a dritta?«Non bisogna attendere il cavaliere bianco, ma occorre una maturazione di opinione pubblica. Ognuno faccia il suo dovere. Non mi preoccupa la crisi dei vertici delle forze politiche, ma il disarmo generale».Vede il pericolo di un neofascismo?«Vedo il pericolo di una decadenza in coloro che hanno creduto nella democrazia. Il pericolo è il vuoto». Questo governo potrebbe ripensare al Sud in modo diverso rispetto agli altri?«Non riesce a pensare a se stesso, figuriamoci se può pensare al Sud. Abbiamo raggiunto il ridicolo anche su scala internazionale con la vicenda Haftar-Sarraj. Il gioco delle tre carte vale anche per il Sud». Le regionali sono ormai alle porte anche per la Puglia. Il centrosinistra è alle prese con le primarie.«Le primarie hanno un senso quando c’è forte vita democratica negli organismi intermedi. Ma non lo vedo questo vivo fermento. Prima dei candidati, bisogna vedere chi c’è dietro». Alcuni, tra cui l’avvovocato Michele Laforgia e il senatore Dario Stefàno, ritengono queste primarie uno show al servizio del presidente uscente.«E hanno ragione. È come quando in Italia avvenne la privatizzazione della impresa pubblica. Non si aprì un dibattito sulla liberalizzazione, ma si andò direttamente alla privatizzazione, dove il più forte cercò di prendersi il boccone migliore». Che ne pensa di Michele Emiliano?«Penso che alla rottura del vecchio stile – lavorare molto, parlare poco – corrisponda il nuovo stile di parlare molto, realizzare poco». Ha ragione la sinistra a invocare l’unità contro il pericolo della Lega di Matteo Salvini?«Ho l’impressione che ci sia una crisi interna alla sinistra, di visione e prospettive, ma soprattutto di classe dirigente diffusa. È ormai una accozzaglia. Come si dice ‘n derre a la lanz, è quella frittura da fare tutta insieme, senza lavare neanche i pesci». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PARETO E L’ARTE

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Ho sempre ritenuto, e tuttora ritengo, che le opere d’arte non abbiano un valore se non culturale e antropologico. Ma devo inchinarmi alla realtà nel constatare che le opere d’arte, quelle che non sono custodite gelosamente dalla comunità ovvero dallo Stato, che sono sul libero mercato, hanno un valore, tipicamente di scambio. Gli economisti classici da Smith a Ricardo a Marx hanno sempre individuato nel valore “normale” dei beni la quantità di lavoro contenuto nel bene, i classici hanno sempre sostenuto questa teoria che va sotto il nome di “valore-lavoro”. Marx, in particolare, ha identificato il valore cui tendono le transazioni tra domanda e offerta,  come quel valore corrispondente al tempo di lavoro socialmente necessario incorporato  nei prodotti scambiati. Ma la teoria del valore-lavoro è stata posta in soffitta dall’avvento della teoria marginalista che, bollando di arcaismo quella teoria, ha decretato che il valore di scambio derivante dall’incontro della domanda e dell’offerta, sia l’unico valore “vero” ed effettivamente realizzantesi nel mercato. Pareto, per dimostrare incontestabilmente l’erroneità della teoria del valore-lavoro, porta l’esempio di un opera pittorica. Secondo Pareto nella sua opera Les systèmes socialistes, la teoria del valore lavoro sarebbe incompatibile ad esempio nel caso di un quadro il cui prezzo aumenta per il solo fatto che il pittore è diventato famoso, senza che nulla sia intervenuto a modificare la quantità di lavoro in esso incorporato. Ora mi pare semplicistica l’affermazione di Pareto che confonde la variazione del prezzo con la variazione del valore, quest’ultimo rimanendo fermo nel lungo termine, a meno che schumpeterianamente si modifichi il tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. E’ invece il prezzo di mercato derivante dalla domanda e dall’offerta a vagare oscillante in base alle contingenze dei gusti e della moda, ma che tende asintoticamente al valore-lavoro metodologicamente immutato. Ora in un’opera d’arte il tempo di lavoro socialmente necessario, non dipende certo solo dal numero dei minuti che un artista ha impiegato per dipingere una tela; con questo approccio gretto una tela più grande dovrebbe valere più di un’opera più minuta perché c’è voluto più tempo a dipingerla (questo, guarda caso è il metodo adottato dai mercanti d’arte per valutare il valore di scambio). Per una corretta interpretazione del valore-lavoro occorre partire non dai minuti spesi per dipingere una tela, ma dal tempo socialmente necessario per  arrivare a quella produzione. Intanto occorre distinguere, come Marx fa, tra lavoro semplice e lavoro specializzato, nel senso che il tempo di lavoro di un operatore specializzato vale di più del tempo di lavoro di un operatore non specializzato grazie proprio alle conoscenze socialmente acquisite dal lavoratore specializzato e da questi trasmesse nel suo apporto di lavoro. Va poi considerato che, faccio l’esempio di Guernica, l’elaborazione intellettuale di Picasso trasfusa nella sua opera, non nasce dalla sua semplice ed enorme genialità, ma egli ha trasfuso nell’opera tutta la socialità maturata nella cultura partigiana ed antifascista di milioni di persone consapevoli che vanno in tal modo a costituire il lavoro socialmente necessario per la produzione dell’opera. E’ invece il punto di equilibrio tra domanda ed offerta che vacilla, oscilla, si interroga, dubita e stenta a riconoscere il valore-lavoro di quell’opera che se diventa più apprezzata monetariamente non è perché si sia modificato il contenuto di lavoro socialmente necessario, ma perché il prezzo stenta a coincidere con esso nelle sue indecisioni e incapacità di esprimere una valutazione attendibile. Ciò è tanto più vero se prendiamo in esame il fenomeno “bolla speculativa”. Nella meccanica della bolla speculativa i prezzi liberamente determinati dall’incontro tra domanda ed offerta salgono costantemente, autoalimentando la propensione alla crescita fino ad arrivare a valori incredibilmente elevati (come i tulipani della bolla del 1600). Eppure stando a Pareto ed ai marginalisti i prezzi veri,  sono quelli di mercato, non potendosi quindi giudicare come “esagerati” quei prezzi che, in quanto tali, sono quelli effettualmente determinati dal mercato. Ma la falsità dei prezzi della bolla, sono determinati dal successivo crollo e generantesi panico, togliendo di per sé ogni credibilità alla perentoria affermazione per cui il valore “vero” sia quello di mercato. Croce poi, ha affinato filosoficamente la critica definendo “il valore-lavoro di Marx  come un concetto pensato ed assunto come tipo, ossia qualcosa di più o di diverso da un mero concetto logico. Esso non ha già l’inerzia dell’astrazione, ma la forza di qualcosa di determinato e particolare , che compie rispetto alla società capitalistica l’ufficio di termine di comparazione, di misura, di tipo”. Valore che non corrisponde a ciò che fattualmente  si determina sul mercato. Ma la critica di Croce appare come strumentalmente funzionale agli interessi delle classi speculative, e logicamente debole nell’argomentazione che ipostatizza in dimensione astorica l’istituto “mercato” senza sottoporre a verifica galileiana quanto lo stesso asserisce. Il punto qualificante di questa critica è che occorre nelle nostre analisi verificare sempre gli scostamenti dei prezzi dai loro valori-lavoro, proprio perché quegli scostamenti sono all’origine delle pratiche del capitalismo finanziario che opera sull’effimero se non sull’inganno, per cui una seria critica sugli scostamenti dal valore lavoro sono necessari per dimostrare la nudità del re. Esisterebbe forse la speculazione sulle bolle immobiliari se ci fosse un severo controllo sullo scostamento del valore di mercato delle case ed il valore-lavoro delle stesse? Si potrebbero verificare fenomeni come le bolle dei sub-primes, della bolla irlandese, della bolla spagnola? Solo la militante vigilanza su tali fenomeni  può contrastare il dilagare di una economia parassitaria fondata sul guadagno non lavorato, sulla negazione dell’art. 1 della nostra costituzione.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ELENA E ROBERTO ROMANO

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Ho letto l’articolo sul Manifesto che contiene molti spunti che voglio commentare laddove non sia d’accordo o necessiti chiarimanti. ● “La sinistra rivendica meno tasse e più investimenti, la destra si ferma alla riduzione delle imposte per rilanciare i consumi. Su quest’ultimo punto destra e sinistra registrano purtroppo una inedita convergenza” Dissento sull’inedita convergenza perché altro è volere che “paghino tutti per pagare meno” e altro è indicare la via del “pagare meno tasse perché paghino tutti”. Mentre la prima posizione è realistica e (ma lo vedremo mangiando il budino) raggiungibile, la seconda è finalizzata alla riduzione delle imposte sapendo che tale riduzione non si traduce in sconfitta all’evasione; è una posizione berlusconiana (che esalta il diritto ad evadere, seguito da Fassina che parla di evasione di sopravvivenza) che usa il proposito della lotta all’evasione sapendo che tale meccanismo è fallace. La cedolare secca ha sì fatto emergere nuovi contratti di affitto ma ha fatto perdere gettito. E’ poi sostanzialmente diverso indebitarsi per investire che non indebitarsi per ridurre le imposte. Come correttamente detto il PIL è uguale a consumi + investimenti + spesa pubblica + saldo netto export. E’ matematicamente ovvio che se riduco le tasse per aumentare i consumi, la riduzione del gettito causa meno spesa pubblica e quindi all’aumento dei consumi segue una diminuzione di spesa pubblica con effetto zero. A meno di creare deficit inflattivo. Il deficit per investimenti invece aumenta gli investimenti e quindi il PIL, mettendo così in grado il maggior PIL di ripagare le rate del debito contratto per fare gli investimenti. Ciò si chiama golden rule di Delors e tra le altre cose genera una solidarietà generazionale. Su questo fronte dovrebbe aprirsi una battaglia in Europa (notare che anche Monti è d’accordo su questa linea) per modificare l’approccio alla stabilità e crescita, ed anche un pensiero alla Moneta Fiscale sarebbe da affrontare con non superficiale approccio. ● “Entrate aggiuntive dall’uso del bancomat zero, uscite per premiare chi usa le carte di credito 2.8 miliardi” L’autore mi pare scordi che nella manovra erano previsti 7 miliardi (ora forse solo 3) di maggiori entrate per lotta all’evasione. Se la lotta all’evasione si fa anche con le carte di credito è giusto conteggiare il costo dell’incentivazione mentre l’incasso da evasione è già calcolato a monte. Condivido la mancanza di presa di posizione sull’aspetto privacy. Sono scettico che tutto questo lavoro con le carte di credito possa avere una qualche efficacia. Il consumatore dovrebbe pagare con carta di credito 122€ su tutti i prodotti, avendo la prospettiva di avere una befana di 19€ sugli acquisti documentati di un settore a rischio estratto a sorte. Dubito che non si sia più attratti dal pagare senza scontrino 100€ per tutti gli acquisti. Sono invece favorevole al metodo del margine. Una volta data una botta alla evasione nelle transazioni iva B2B con la fatturazione elettronica, per le transazioni B2C, col metodo del margine, si nega la detrazione dell’iva pagata ai fornitori e si applica forfettariamente su mark-up settoriali l’iva da versare. Senza tante complicazioni non vedo insormontabili problemi di attuazione. ● “Pochi hanno indagato e studiato come Industria 4.0 di Calenda abbia impoverito il Paese; ¾ delle risorse nazionali sono andate in Germania via importazioni”. Industria 4.0 di Calenda è un provvedimento con la vista lunga che tende ad aumentare la produttività della nostra economia ferma da 25 anni. Solo robotizzando si mantiene la competitività e non si è emarginati verso il terzo mondo, c’è invece da preoccuparci che solo il 12% delle imprese sia ricorsa a questi incentivi. Nego che le agevolazioni Calenda abbiano impoverito il paese. Non so se ¾ dei contributi siano andati in importazioni dalla Germania, so invece che l’Italia è seconda in Italia e sesta nel mondo nella produzione robotica per cui mi risulterebbe strano che le imprese che hanno investito in 4.0 non abbiano trovato prodotti italiani soddisfacenti. Nego comunque che le agevolazioni per la formazione del personale, agevolazioni 4.0 a tutti i titoli, abbiano comportato importazioni. Mi sarei aspettato dal Manifesto un’altra domanda: ma i contributi dati alle imprese sono: a) pagati con le imposte dei lavoratori; b) utilizzati per acquistare tecnologie che per la gran parte sono prodotti che nascono dalle competenze del general intellect finanziate dalle tasse dei lavoratori per scuola, università, centri di ricerca, ricercatori etc.; c) usati per investimenti che sono per loro natura labour saving. Non viene il dubbio che i lavoratori finanzino il loro licenziamento? Per respingere l’accusa di luddista rilancio la proposta fatta alla convention di Rimini: quei soldi erogati con la 4.0 invece di essere dati come regalo al capitale perché non vengono dati come capitale sociale dell’impresa agevolata, come partecipazione di un fondo che finanzi il reddito di cittadinanza, che introduca una partnership of ownwrship nelle imprese (tanto per rifarci a J. Meade senza risalire fino a Marx)? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA BUONA SANITA’ E’ QUESTIONE DI UOMINI

LA TESTIMONIANZA. Alberto Leoni*, direttore sociale, in pensione il 31 dicembre: ha vissuto l’inizio e a fine dell’Ulss 4, prossima alla fusione con Bassano. Intervista a cura di Marialuisa Duso – Giornale di Vicenza «Sono le qualità dei singoli a fare la differenza» Ogni comune destina al settore 22 euro per abitante. Un nodo irrisolto: i minori con problemi psichiatrici. Ultimo Natale da direttore per Alberto Leoni che il 31 dicembre va in pensione. Una figura storica, per l’Ulss. Un testimone del mutare dei tempi e dei servizi che, da bravo psicologo, analizza i fatti al di là della burocrazia. Come vive questi giorni? Non mi rendo conto di aver terminato un ciclo. Sarà perché è stato un anno molto difficile o forse per una forma di difesa. Non ho chiaro cosa sarà della mia vita, ma i cicli vanno chiusi e, dopo 43 anni, il mio finisce, per dare spazio a persone con idee ed energie nuove. Cos’è cambiato in questi anni? Ho visto l’avvio dell’Ulss 4, 36 anni fa e ne vedrò la fine. La sanità locale è molto cambiata, perché sono cambiati i bisogni di salute e la demografia. Oggi siamo più vecchi, abbiamo più malattie croniche e degenerative. Se 36 anni fa avevamo tre ospedali oggi ne abbiamo uno. Ma abbiamo 46 infermieri nel territorio e una rete importante. Prima i 120 medici di famiglia lavoravano come liberi professionisti, oggi sono quasi tutti associati nelle medicine di gruppo. Allora, per un’appendicite, si stava in ospedale quindici giorni, oggi al massimo due. E il sociale che ha diretto per sedici anni? Nel 1980 muoveva i primi passi. La disabilità era vissuta come un fatto privato, gli anziani autosufficienti andavano in casa di riposo, si affacciava il drammatico tema delle dipendenze, l’ospedale psichiatrico di Montecchio aveva 400 degenti e un forte stigma sociale… oggi c’è una rete di dieci centri diurni per disabili con 230 posti; strutture residenziali per disabili (134 posti) e malati mentali (40) e tossicodipendenti (120); l’ospedale psichiatrico è diventato Rsa e ha 117 posti; sono nati i Consultori Familiari e un Servizio di tutela minori che ne segue quasi 400; le tredici case di Riposo accolgono solo non autosufficienti nei 1400 posti, con 979 quote sanitarie. Abbiamo un Servizio di Integrazione Lavorativa per persone svantaggiate che ne sostiene anche economicamente 450. È stato possibile grazie una forte attenzione della Regione e dei 32 Comuni che hanno avuto il merito di investire risorse importanti. Oggi ogni comune impegna 22,57 euro per abitante per il sociale. Cosa rappresenta il superamento dell’Ospedale Psichiatrico? Chi oggi viene in questo spazio aperto vede un’umanità libera e riconosciuta nella sua dignità. I minori con problemi psichiatrici, che stanno aumentando (e dobbiamo chiederci perché), stanno mettendo in grave difficoltà famiglie e scuole. Non abbiamo ancora una rete di servizi di accompagnamento, accoglienza e ricovero nei momenti crisi acuta. È una delle priorità irrisolte. Cosa porterà la fusione? Mettere assieme due Ulss virtuose è un lavoro complesso. Nascerà una Ulss nuova, con due ospedali con pari dignità. Ma sarà sempre il valore dei professionisti a determinare i servizi. Dà molta fiducia che a guidare questo percorso sia il dottor Giorgio Roberti, tecnico di grande professionalità e forte equilibrio. Sanità sempre più privata? Questa è sanità pubblica. Avrà mille problemi ma è buona. Non vedo privati in grado di competere. Se c’è un problema importante, in Veneto, il sistema pubblico assicura una risposta. Ho fatto qualche viaggio all’estero. Sono sempre tornato con la convinzione che non apprezziamo sufficientemente ciò che abbiamo. Non a caso l’Oms ci inserisce ai primissimi posti della sanità mondiale. Le persone fragili hanno risposte? C’è una buona rete di servizi. In 10 anni gli enti gestori delle case di riposo, delle strutture per disabili e per malati mentali hanno investito 40 milioni. I posti nelle Case di Riposo sono aumentati di 150 unità. Il progetto “Le chiavi di casa”, ha permesso grazie al rapporto tra Comuni, Ulss, terzo Settore e Fondazione Cariverona, di realizzare una nuova comunità alloggio e cinque appartamenti protetti per disabili. E sta nascendo la fase due. Si porta qualche peso nel cuore? La vita di chi si occupa del sociale è totalizzante. Quando vai a casa Bakhita a Schio e vedi che persone senza dimora hanno un pasto, una doccia, un letto stai meglio. Quando apprendi che una persona che i servizi seguivano non ha retto al peso della vita e se l’è tolta ti chiedi se potevi e dovevi fare di più. Tornerà a dedicarsi alla politica? La passione politica per chi l’ha fatta da giovane non passa più. Io l’ho conclusa 20 anni fa. Ho amato la politica in cui si imparava nelle sezioni, si faceva gavetta nei consigli comunali. C’era una selezione darwiniana. E nei partiti si privilegiava il “noi”. Credo che nessuno verrà a chiedermi di rientrare. Ma scriverò un libro “Operazione Britannia”, per ristabilire alcune verità storiche. E la verità di quello che è successo negli ultimi 25 anni di storia italiana sta in quanto accadde il 2 giugno 1992 a bordo del panfilo inglese al largo di Civitavecchia… ma non aggiungo altro per non togliere eventuale attesa agli improbabili lettori. E la sua passione per il Vicenza? È stato mio padre, portiere negli anni 40, a trasmettermela. E con l’età aumenta. Noi tifosi vicentini siamo un po’ i volontari della sofferenza. Ma ai colori biancorossi, al profumo dell’erba del Menti non rinuncerei mai. E spero che poche delle persone che frequento nel lavoro mi vedano allo stadio.   Alberto Leoni * – Coordinatore Regione Veneto di Socialismo XXI   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RISCOPRIAMO L’AGATHOTOPIA

James Meade (1907-1995)   di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Premessa Si parla molto in questi tempi di reddito di cittadinanza, di salario garantito, di lavoro di cittadinanza, come riconoscimento di un problema di povertà dilagante e disoccupazione ancora alta, a dieci anni ormai dallo scoppio della crisi. E’ disarmante che si parli di questi argomenti senza mai interrogarsi sulle cause della crisi del 2007 che partendo dal mondo del capitalismo finanziario si è scaricato sugli stati causando le crisi del debito pubblico, dando il via a periodi di recessione più o meno lunghi e differenziati dalla reattività dei vari paesi, comunque traducendosi poi in disoccupazione a doppia cifra con punte incredibili in Italia e Spagna (e non si può fare a meno di considerare la ricaduta dal capitalismo finanziario, che causa come ultimo risultato la disoccupazione di milioni di persone, come un classico esempio di lotta di classe). Di fronte a tanto sfacelo arrivano proposte che vorrebbero attutire i disagi di disoccupati, esodati, poveri, emarginati con una filosofia che va dal pietoso assistenzialismo ad una versione aggiornata del welfare. Proposte che, nella loro condivisibile ambizione di venir in aiuto dei meno fortunati, trovano, a mio parere, un limite di analisi e quindi di conseguente propositività. Infatti quelle proposte non prendono atto che la crisi che stiamo attraversando è una crisi di sistema, una crisi di gravità tale da dover essere affrontata con visione ampia e sistemica e non con i pannicelli caldi. Se poi pensiamo che con la rivoluzione 4.0 è iniziata la diffusione di un nuovo modo di produzione caratterizzato da uno sviluppo enorme nella tecnologia: con le macchine che si parlano fra di loro (IOT M2M), con i big data, con le stampanti 3d, con la robotizzazione, ci rendiamo conto che questo nuovo modo di produrre comporta la necessità di affrontare il problema della disoccupazione tecnologica derivante dalla sostituzione del lavoro con macchine sempre più intelligenti (IA) capaci di autoistruirsi e di automodificare il loro agire, in modo globale, sistemico, rivoluzionario; occorre cioè inventrsi un nuovo modello redistributivo completamente innovativo e radicale. Le proposte oggi in discussione non sono per nulla all’altezza del tema che stiamo affrontando, altezza e profondità di pensiero che troviamo invece nel libro di James Meade “AGATHOTOPIA”. L’INCIPIT Il libro si apre con una visione che spiega le finalità dello stesso, la ricerca di proposte efficaci, efficienti e possibili. “ Recentemente ho preso il mare per visitare l’isola di Utopia che, mi è stato detto, costituisce un Luogo Perfetto dove vivere. Purtroppo non ho potuto trovare questa terra in Nessun Posto. Tuttavia, sulla strada del ritorno, casualmente mi accadde di vedere la vicina isola di Agathotopia, i cui abitanti non rivendicano certo la perfezione dei loro ordinamenti sociali, ma asseriscono che la loro contrada è un Buon Posto dove vivere”. I due perni sui quali si regge il lavoro di Meade sono: da una parte la convinzione che il liberismo puro non è in grado di risolvere i disequilibri ma soprattutto non è in grado di combattere la disoccupazione e l’ineguaglianza, dall’altra la diffidenza verso i sistemi con economia pianificata con tratti di burocratismo e limitazione alla creatività. Questi due perni sono gli stessi del suo maestro Keynes, ma Meade si contraddistingue per proporre una teoria di mutamento generale dell’economia che in Keynes non c’è ed una sottolineatura della convinzione che per perseguire un mondo più egualitario non è più sufficiente agire sui flussi di reddito, ma occorre agire sugli assetti proprietari, convinzione più radicale dell’indicazione di una certa socializzazione pur presente in Keynes. Il libro fu presentato nel marzo del 1988 a Roma al convegno della Lega Nazionale delle Cooperative, allora diretta da Lanfranco Turci cui parteciparono sia lo stesso Meade che Achille Occhetto. Il convegno dibatteva la possibilità di introdurre nuovo capitale azionario nelle società cooperative e quindi aprire le stesse a nuovi soci apportatori di capitale oltre che di lavoro. Più in generale si discutevano gli articoli 45 e seguenti della nostra Costituzione. La proposta di mutamento generale dell’economia presente nell’ Agathotopia nasce dalla sintesi, fatta in questo testo, di proposte già formulate ed analizzate in altri suoi testi, e rappresenta la vera diversità con le discussioni di questi giorni su reddito di cittadinanza et similia, proprio per la sua struttura radicale, di mutamento generale, di preparazione scientifica e di completezza storico politica.  GLI ORDINAMENTI SOCIALI DEGLI AGATHOTOPIANI Gli ordinamenti organicamente proposti da Meade seguono tre filoni complementari: • La cogestione • Il Welfare • La socializzazione. LA COGESTIONE L’impresa più caratteristica dell’economia agathotopiana, accanto alla vecchia impresa capitalista e a imprese cooperative, è la  Società di Lavoro-Capitale dove i portatori di capitale detengono Certificati Azionari del Capitale e i lavoratori detengono Certificati Azionari del Lavoro. A parte l’origine dei titoli azionari, entrambi i tipi danno uguali diritti in termini di dividendo e di voto in Consiglio di Amministrazione, composto, quest’ultimo, da un numero uguale di detentori di Capitale e Lavoratori, con la consapevolezza che una miglior conduzione dell’impresa porta uguali vantaggi, in termini di dividendo, per entrambi i tipi di detentori di Certificati Azionari, a tal punto che  si è convinti che “tutte le decisioni abbisognino dell’approvazione dei rappresentanti sia dei lavoratori che dei detentori del capitale”. La caratteristica di questa proposta è l’ampliamento della guida dell’impresa e la possibilità di retribuire a mezzo del dividendo, nella stessa misura lavoratori e capitalisti; daltro campo vi è da parte dei lavoratori l’esposizione ad un maggior rischio in caso di insuccesso aziendale, viene perciò a cadere la certezza di un salario fisso, sostituito da una ripartizione degli utili, quando ce ne fossero. Per questa ragione in questo tipo di impresa non tutti i lavoratori sono lavoratori soci, ma solo quelli che se la sentono di essere corresponsabilizzati e di rischiare, mentre altri lavoratori che non se la sentono di correre rischi possono essere assunti a salario fisso come nelle attuali imprese capitalistiche. La proposta, che ricorda quella di Weitzman, è poi arricchita con approfondimenti in particolare …

PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ALLA GESTIONE DELLE IMPRESE

  di Aldo Potenza – Presidente Socialismo XXI |   Qualche cenno di storia e indicazioni alla Conferenza di Socialismo XXI a Rimini L’argomento è stato affrontato nella conferenza programmatica organizzata da Socialismo XXI il 10 febbraio 2019. In conclusione del documento dedicato ai problemi del lavoro, si osserva che: “Una volta “disboscata” la giungla di false organizzazioni e quindi non riconosciuti patti di lavoro “di comodo”, la legge dovrebbe altresì introdurre norme e misure che possano favorire e sostenere forme di “cogestione” e/o “codecisione” ai fini della partecipazione dei lavoratori agli obiettivi di sviluppo aziendale nonché relazioni collaborative tra le parti proprie di Enti o comitati bilaterali per la promozione e gestione comune tra imprese e lavoratori di forme di welfare aziendale o settoriale e della formazione professionale. Rudolf Meidner, studioso e ricercatore socialista svedese della confederazione sindacale L.O. lo definì o il “socialismo dell’autogestione”!! La questione è stata, sin dalla liberazione, un argomento presente nel programma dei socialisti italiani. Mi preme ricordare l’esperienza dei Consigli di gestione creati il 24 aprile 1944 con decreto del CLNAI come “affermazione della nuova democrazia economica sorta dalla guerra di liberazione e si diffusero rapidamente, in modo particolare nel nord.” Successivamente il socialista D’Aragona tentò di dare una veste giuridica ai Consigli di gestione e Morandi, grazie alla collaborazione tecnica del socialista Massimo Severo Giannini, presentò in Parlamento, sulla base della prima elaborazione compiuta da D’Aragona, un più elaborato disegno di legge. A Milano il 13 ottobre del 1946 Morandi incontrò i rappresentanti dei CdG che approvarono il disegno di legge nel loro congresso nazionale. Ci furono, successivamente, ulteriori modifiche al disegno di legge a seguito dei congressi provinciali e nazionale che si tennero a Milano il 23 novembre del ’47 e a Torino il 18 dicembre del ’48. Contro i Consigli di gestione e il disegno di legge Morandi si scatenarono i quotidiani economici, in particolare “Risorgimento liberale” arrivò a stabilire un parallelo tra Goering e Morandi accusando quest’ultimo di essere incapace di liberarsi dalla mentalità corporativa!!!!!!!! Malgrado lo stesso Morandi, rivolgendosi ai critici più intransigenti, che ritenevano il disegno di legge poco incisivo, sostenesse che ” la mia preoccupazione eminente è stata proprio quella di non porre, con una legge che incautamente estendesse questo istituto e gli attribuisse sproporzionati poteri, la pietra tombale sui Consigli di Gestione” la legge non fu mai approvata per la forte resistenza della classe padronale e delle forze politiche conservatrici dell’epoca. Su l’Avanti! del 27 dicembre 1946 Morandi scriveva ancora: “Sarà lecito vivaddio, davanti ai compiti immani della ricostruzione e alla pochezza delle nostre risorse, prospettarsi, piuttosto che un convulso cozzare di interessi, un programma di insieme ed un ordine in cui possa e debba trovare ognuno il suo posto, senza per questo mettere l’iniziativa privata in catene”? Ieri e ancora oggi questo interrogativo sono convinto che dovrebbe trovare una risposta positiva sia pure con tutte le cautele che giustamente sono state,recentemente avanzate, dal compagno e vice presidente di Socialismo XXI Silvano Veronese. N.B. Per chi volesse leggere il testo della legge Morandi, si consiglia: “PSI, i Consigli di gestione, Progetto Morandi, relazione e testo, Roma 1947. Fascicolo 1-2 della “Rivista internazionale della protezione sociale” edita a cura del Centro studi socialis fondato da Giuseppe Romita”   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it