PERCHE’ RISPUNTA IL SOCIALISMO. UN MANUALE PER UTENTI CONTEMPORANEI

di Arturo Scotto – Già Deputato e cofondatore di Articolo 1 | Ci sono giornate di pioggia dove sei letteralmente recluso in casa. E dove nemmeno una passeggiata è consentita. E allora vale la pena rifugiarsi nei fondamentali. Questo testo, Manifesto socialista per il XXI secolo, scritto dal direttore della Rivista trimestrale Jacobin magazine Bhaskar Sunkara (Laterza), fa capire quanto negli Usa quello che fino a qualche anno fa era impronunciabile oggi non lo è più, è uscito dagli scaffali dalle biblioteche ed è tornato a dire la propria nelle piazze e nei conflitti sociali. La parola socialismo era diventata sinonimo di eversione: un tabù a tutti gli effetti. Eredità del maccartismo, vittima di sconfitte atroci collezionate nel corso del secolo breve. Eppure, nel cuore del paese capitalista più importante del mondo, torna a emergere una cultura critica che è la base teorica delle nuove leadership emergenti nel campo democratico: da Bernie Sanders a Alexandria Ocasio-Cortez. Quelle che stanno facendo tremare l’establishment e terremotando le certezze centriste delle tradizionali leadership democratiche. Perché spunta proprio dove non dovrebbe spuntare un disegno coerentemente alternativo al capitalismo? Perché attrae milioni di persone nei paesi anglosassoni della terza via e non nella vecchia Europa, dove invece i filoni socialisti e laburisti sono chiaramente in affanno? Come è possibile che la maggioranza dei giovani statunitensi tra i 18 e il 29 reputino il neoliberismo non più il sistema nel quale vale la pena vivere? Perché le diseguaglianze sono diventate insopportabili. Le rendite si mangiano i salari, le differenze retributive tra chi sta in alto e chi sta in basso diventano sempre più larghe e sfacciate, il pianeta sta esaurendo le proprie risorse vitali a causa di un modello di sviluppo vorace e senza limiti. Nel libro vengono ripercorsi i successi e i fallimenti dei partiti nati nel gorgo del movimento operaio degli ultimi due secoli. Vengono scandagliate in maniera semplice ma mai superficiale le dispute dottrinali agli albori della rivoluzione industriale, l’evoluzione organizzativa dei sindacati e dei partiti rivoluzionari, gli errori politici che hanno aperto le porte al fascismo e al nazismo, la burocratizzazione e la sclerotizzazione di un sistema di socialismo reale che si è trasformato in macchina di morte e di oppressione. Non ci sono sconti, non ci sono alibi in questo libro: c’è la ricostruzione lineare di tentativi falliti. Tuttavia, emerge con forza la consapevolezza di un nucleo di idee – quello di origine marxista – che ancora deve dispiegare fino in fondo il proprio potenziale di movimento di liberazione dallo sfruttamento e di un modello di democrazia radicale che è l’unica vera alternativa alla nuova destra della protezione. Non ho la pretesa di recensire un libro così ampio e ricco di spunti, comprensivo di un manualetto di cose da fare – che l’autore prova a suggerire a chi oggi in questo secolo continua a sentirsi socialista, talvolta con qualche punta di ingenuità e di volontarismo, ma penso che sia una lettura necessaria per chi non vuole rassegnarsi al sistema così come è. Soprattutto qui, nella vecchia Europa, dove il refrain rassegnato e martellante “there is no alternative” sembra più forte e radicato di chi guida il G7 e dove la sinistra ha arrotolato le proprie bandiere e si è trasformata in una variante perbenista della tecnocrazia? Domande importanti, domande fondative. Eppure il socialismo è giovane, più giovane del suo avversario che oggi sembra imbattibile, debordante, trionfante. Ed essere ottimisti non significa essere fessi: significa semplicemente essere consapevoli che la storia non è finita. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL DISASTRO SOCIALE DI TARANTO. TRA LAVORO, SALUTE E AMBIENTE

di Beppe Sarno – Critica Sociale | E’ ancora notte e piove quando partiamo per Taranto: Io, Modestino ex metalmeccanico, contadino per necessità e “Il Generale” casellante autostradale in pensione. A Taranto per capire e incontrare alcuni compagni che hanno voglia di far conoscere la loro verità.Arriviamo alle undici. C’è un bel sole, gli aranceti sorridono ai margini della strada. Ci fermiamo a Palagiano piccola cittadina alle porte di Taranto. Guido sale in macchina e comincia subito a raccontare la sua rabbia.«Ho una figlia con un tumore alla testa -mi racconta- “Cause ambientali” dicono i medici. Mio padre che lavorava all’Italsider, -cosi Guido si ostina a chiamare lo stabilimento- è morto di tumore! Tre anni di indicibili sofferenze» -continua-. «Se vuoi capire cosa significhi l’Italsider devi guardare gli avvisi funebri di Taranto, di Palagiano e dell”intera provincia. Non c’è famiglia fra Palagiano e Taranto che non abbia un morto di tumore in famiglia».Continuando il viaggio verso Taranto mi fa vedere un edificio bianco su una collina – «Quello è l’ospedale Moscati, lì è pieno di bambini malati di tumore che stanno morendo e nessuno ne parla, l’informazione in Italia fa schifo».Arriviamo in città dalla parte dell’insediamento industriale «lì c’è il Mar piccolo, lì dietro il rione Tamburi e lo stabilimento, da questa parte invece, la Cementir e la raffineria dell’ENI. «Come vedi le fabbriche di morte sono tre, non una!». Arrivati a Taranto ci fermiamo in un bar di periferia dove ci aspetta Lapo. E’ un operaio addetto alla manutenzione degli impianti appena smontato dal turno di notte e ha voglia di raccontare a condizione che venga mantenuto l’anonimato. Perchè?«Se si sa in fabbrica che ho parlato divento automaticamente un esubero» E’ vero che la Arcelor Mittal ha svuotato i magazzini dei prodotti finiti?«Non solo, cosa ancora più grave, fin dal suo insediamento la Mittal si è preoccupata di far sparire ogni pezzo di ricambio, per cui noi operai addetti alla manutenzione siamo nell’impossibilità di fare il nostro lavoro. Se chiedi un pezzo di ricambio ci viene risposto di arrangiarci. Qual’è l’atmosfera che si vive in fabbrica?«In fabbrica c’è un imbarazzo generale perchè non ci sono direttive, la produzione va avanti per inerzia. La sensazione è che fin dall’inizio la Arcelor Mittal non aveva alcun interesse alla produzione. Per esempio alla richiesta di tute nuove ci viene dato un adesivo da sovrapporre a quello dell’ILVA. Mancano le scarpe antinfortunistiche. Sembrano cose di poco conto, ma prova a farti male a un piede con scarpe normali». E il management della Arcelor Mittal cosa dice?«Non si è mai visto nessun manager della A.Mittal. Il senso di precarietà regna sovrano.Per quanto riguarda l’addestramento professionale, questo rimane sulla carta e i programmi dei commissari sono stati completamente messi da parte». Ma la produzione come va?«L’acciaieria va a rilento, come se si avesse la volontà di non produrre. Arriva poca ghisa e ogni altro materiale in maniera ridotta molto al di sotto dell’effettivo fabbisogno». Cosa ne pensi sui discorsi che si fa in merito alla decarbonizzazione?«Conte e Emiliano parlano di cose che non conoscono. I prodotti metallurgici si fanno con il carbone, non puoi fare un pezzo di ghisa con il gas». E dei 5 .000 esuberi di cui parla la Arcelor Mittal e della controproposta di Conte?«E’ una presa in giro, la fabbrica è sotto organico. La A.Mittal vuole chiudere fin da quando è entrata nella gestione dello stabilimento.Ripeto: siamo fortemente sotto organico alcune postazioni vengono coperte dalle stesse persone che passano da una postazione all’altra. Se Conte si mette d’accordo subiremo l’ennesima fregatura. Gli esuberi sono uomini, famiglie, figli». Se Conte fa questo tipo d’accordo con quale spirito rientreranno gli operai in fabbrica?«Siamo consapevoli che questa crisi è stata creata apposta e tutti sappiamo che c’è la volontà da parte di A.Mittal di chiudere lo stabilimento». Ma i sindacati hanno assunto una posizione forte assumendo che lo stabilimento non deve chiudere!«Il mondo sindacale in fabbrica è assente, non si vede un delegato con cui scambiare un’idea, con cui lamentarsi. I delegati compaiono solo quando è il tempo delle tessere. Ma se chiude lo stabilimento anche loro rimangono fregati». Perchè gli operai non reagiscono?«Per paura! Esiste un clima di intimidazione e l’incubo di essere uno dei cinquemila spegne ogni entusiasmo». E’ vero che i subfornitori sono stati pagati come ha detto la Mittal?«Questa mattina ho parlato con un amico che lavora per una ditta di trasporti che mi ha detto che ad oggi (22.11.2019) non si è visto un soldo». Ti sembra giusto che Conte tratti con la A.Mittal dopo quello che sta venendo fuori dalle indagini della magistratura?«Avrei aspettato l’esito delle indagini o almeno l’udienza fissata dal tribunale di Milano». Qualcuno propone la nazionalizzazione dello stabilimento cosa ne pensi?«Sarebbe l’unica soluzione, ma lo Stato dovrebbe mettere a gestire la fabbrica persone capaci di gestire uno stabilimento siderurgico non dilettanti allo sbaraglio come i primi commissari». E’ stato detto che la A.Mittal è a posto almeno per quanto riguarda il risanamento ambientale?«Invito chi lo ha detto a venire a verificare di persona. Per la salute in fabbrica non è stata presa nessuna iniziativa da parte della A.Mittal. La cosa è rimasta lettera morta fin dall’inizio. C’è un vuoto gestionale impressionante.Per quanto riguarda la formazione del personale non è stato fatto nulla; eppure per portare avanti uno stabilimento siderurgico c’è bisogno di quadri preparati, ma la Arcelor Mittal non ha nessun interesse a formare tecnici preparati». E la sicurezza?«Mi pigli in giro?» Se vengono chiusi i forni cosa succede?«Se un forno viene chiuso lo devi buttare e ne devi costruire un altro e per costruire un forno ci vogliono tre anni. Chiudere i forni significa la morte dello stabilimento e gli operai in mezzo alla strada. Il lavoro se ne va e i tumori restano». Incontriamo Dante ex sindacalista, già quadro dell’Italsider. Secondo te c’è qualcuno che ha interesse a chiudere lo stabilimento siderurgico di Taranto e perchè?«La famiglia A.Mittal è il primo gruppo interessato a chiudere lo stabilimento di Taranto. Quando sono arrivati …

PARCO DEI TAMBURI UN SOGNO CHE DEVE DIVENTARE REALTA’

Il Rione Tamburi di Taranto di Onofrio Introna |Già Presidente del Consiglio reglionale della Puglia L’Ilva deve vivere. Non solo Taranto, non solo la Puglia, l’intero sistema Paese non può permettersi di perdere 1,4 per cento del Pil, di fare a meno di oltre un miliardo di investimenti, di mettere un pesante segno negativo davanti all’esportazione di acciaio all’estero. Ma l’Ilva non può continuare ad uccidere: deve modernizzare i suoi impianti, renderli “sterili”, non inquinanti, realizzando auspicabilmente un processo di decarbonizzazione e conversione delle fonti energetiche. È’ chiaro che lo switch off verso una produzione sostenibile, ecocompatibile, non può essere immediato e nemmeno breve, ma il primo passo va fatto in quella direzione obbligata. È altrettanto chiaro, inoltre, che i tempi di una bonifica importante come quella che dovrà rimuovere gli agenti patogeni diffusi nell’ambiente in decenni di pesante inquinamento dei territori e delle acque • il Mar Piccolo. soprattutto, coni suoi un tempo fiorenti allevamenti di mitili • non si conciliano col diritto alla vita e alla salute dei cittadini del quartiere Tamburi. Tra le proposte avanzate, alquanto saggia mi è sembrata quella lanciata dalle pagine de “La Gazzetta del Mezzogiorno” dal prof. Umberto Ruggiero, già rettore del Politecnico di Bari, fatta propria e rilanciata con autorevolezza dal direttore del quotidiano, Giuseppe De Tomaso. Si fonda opportunamente sul sacrosanto e democratico rispetto delle decisioni dei cittadini. Che siano per primi gli abitanti del quartiere Tamburi a beneficiare di un quanto mal opportuno programma di esodo volontario e indennizzato dal rione, il più avvelenato dal colosso siderurgico. Via dai Tamburi ed anche presto, ma non si faccia l’errore fatale di trapiantarli in un nuovo quartiere periferico dove ghettizzare le già sofferenti famiglie dei Tamburi. Si dia loro invece la facoltà di scegliere l’abitazione, nelle tante case sfitte o da recuperare della città vecchia e del centro abitato. L’intervento avrebbe carattere prioritario e non sfugge a nessuno che dovrà trovare l’attenzione del Governo nazionale e della multinazionale che gestisce l’azienda. Per l’Arcelor Mittal o per chi continuerà l’attivitàproduttiva dell’llva dovrà prevedere l’opzione tra i primi punti del piano di risanamento ambientale. Effettivamente, restituire aria pulita, salute e futuro ai tarantini non può che passare dallo “svuotamento” dei Tamburi, col trasferimento per libera scelta dei residenti in altre abitazioni. Abbattendo le costruzioni malsane e rimuovendo dal terreno ogni sostanza tossica, si potrà così bonificare l’ampia area, al momento oggettivamente invivibile, trasformandola in un grande polmone verde, una cerniera ambientalmente risanata tra l’Ilva e il centro abitato. La proposta ha incontrato il favore del presidente dell’Anca Bari, l’architetto Beppe Fragasso: giusto risarcire l’esodo dall’area inquinata e poi acciaio sì, ma senza bruciare carbone. E potrebbe saldarsi alla nuova strategia di sviluppo per il futuro dell’economia tarantina, condivisa da Comune e Provincia di Taranto, Camera di commercio e Autorità Portuale, che provano insieme a costruire un nuovo modello di sviluppo, che consenta alla Città di affrancarsi dalla monocultura siderurgica. È infatti il momento di unire tutte forze, per pensare al domani e metter intanto in sicurezza il territorio, le imprese, i lavoratori e i tarantini tutti. Ma il sogno di un Parco dei Tamburi deve subito diventare realtà: lo “rigiriamo a chi di dovere”, come ha fatto il direttore De Tomaso, perché le immagini del quartiere avvolto da fumi e polveri del siderurgico possano diventare al più presto un triste ma lontano ricordo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COME RIPRENDERE CONTATTO CON LA PARTE DEI CITTADINI

  di Alberto Leoni – Coordinatore Socialismo XXI Nord Italia |   Una Breve nota per riflettere su come riprendere un contatto con la parte dei cittadini che vedono oggi la destra riferimento della loro esistenza. Oggi l’ondata della destra nazionalista è forte in tutto l’Occidente. Si è vestita di nazionalismo. Reagisce alla paura indotta da una globalizzazione selvaggia chiudendosi dentro i confini nazionali. Non è minimamente paragonabile al fascismo (e sbaglia gravemente chi diffonde questa idea). E’ una illusione ovviamente -perchè non ha soluzioni-, ma attecchisce nelle menti di chi chiede protezione. Oggi la sinistra non sembra in grado di difendere i più deboli. Deve tornare a parlare di salari, di educazone, di salute, di merito, di sviluppo economico sostenibile ed armonico. Deve essere però una sinistra -se vuol governare in Occidente-, integrata in Europa e legata al socialismo. La sinistra che governa non può che essere socialista. E chi ha avuto (ed ha) timore di questa parola si ravveda. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ILVA-ARCELOR MITTAL «LA DRAMMATICA STORIA DELLE PRIVATIZZAZIONI»

  di Silvano Veronese* – Vice Presidente Socialismo XXI | Quando la classe politica, sia essa di governo o all’opposizione,  esprime tutta la sua pochezza ed incompetenza, non ha in testa  un disegno strategico in grado di affrontare le gravi emergenze del Paese e per delinearne una prospettiva di rinnovamento e di crescita anche perché  impegnata in una permanente campagna elettorale, l’evolversi di un economia in affanno ci  presenta il conto. La vicenda ILVA è emblematica, purtroppo per la gravità della situazione sia produttiva  che sociale non è la sola. Se la sua situazione di crisi non verrà risolta rapidamente, non è solo il suo indotto che ne pagherà le conseguenze ma anche le aziende della filiera. La motivazione per la quale la multinazionale ARCELOR MITTAL ha disdettato l’accordo concordato con Il  Ministero dello sviluppo economico l’ottobre dell’anno scorso e con esso l’impegno di acquisto di ILVA al termine di  due anni di gestione in affitto puo’ essere respinta dall’attuale Governo che vorrebbe  impugnare legalmente l’atto – certamente grave politicamente e per gli effetti sociali –  ma non è detto che l’esecutivo riesca ad ottenere  il ritiro della scelta anche perché dalla sua il gruppo siderurgico franco-indiano ha qualche freccia per trascinare la vicenda in un lungo iter processuale. Infatti, il “tira e molla” di piu’ governi nel concedere e togliere (piu’ volte) per cause ambientali uno “scudo penale”, che oggi graverebbe sia sul Gruppo siderurgico sia sull’Amministrazione commissariale anche per responsabilità di gestioni precedenti, è un fatto alquanto singolare, superficiale per la  sua strumentalità e non previsto nelle clausole del  contratto, tanto piu’ che Arcelor Mittal si è impegnata  – proprio in base al contratto stesso –  in un programma di risanamento ambientale, impiantistico e di bonifica del sito di rilevante impegno finanziario (circa 1,2 mld in aggiunta al resto dell’investimento di 4 mld). Le complesse prescrizioni emesse poi della magistratura tarantina per  sistemare la situazione dell’Alto forno 2 (operazione certamente necessaria) da terminare però entro il 13 dicembre prossimo (tecnicamente un tempo impossibile da rispettare) viene vissuto dalla multinazionale come un’altra condizione di criticità per la gestione dell’impianto che motiva ulteriormente la scelta di  “sfilarsi” dall’impegno sottoscritto nell’ottobre dell’anno scorso. Certamente, come è emerso nel confronto a Palazzo Chigi dell’altro ieri, vi è ben altro nella grave scelta di Arcelor Mittal ed appare fondata  la sensazione che gli aspetti delle “responsabilità penali” siano usati per coprire strumentalmente altre ragioni inaccettabili. La multinazionale franco-indiana ritiene, anche dopo l’annuncio del Presidente del Consiglio Conte di ripristinare lo “scudo penale”, di non poter piu’ rispettare gli impegni del piano sottoscritto con il Governo italiano sia per quanto riguarda i volumi produttivi da ridurre per quasi la metà, sia per quanto riguarda i livelli occupazionali con la richiesta di ben 5.000 esuberi, sia per quanto riguarda l’ampiezza anche finanziaria del programma di bonifica e di risanamento ambientale, obiettivo inderogabile  per recuperare un rapporto compromesso  con il territorio colpito da danni, anche mortali, di inquinamento pluriennale. Allo stato è difficile immaginare una soluzione rapida e positiva della vicenda, anche perché con queste intenzioni Arcelor Mittal si riporta alle condizioni di partenza contenute nell’offerta iniziale presentata a suo tempo e rigettata dai Sindacati contenente tagli del personale rilevanti, molto piu’ alti di quelli presentati dalla cordata concorrente. Se dette condizioni  furono rigettate allora perché dovremmo subirle oggi? Tanto piu’ dopo la lunga successiva trattativa ed un faticoso accordo raggiunto al Ministero per lo sviluppo economico.   Secondo A.M. questi esuberi dovrebbero essere gestiti con una massiccia dose di ammortizzatori sociali (CIG, prepensionamenti, etc.) il cui costo sarebbe a carico del Governo italiano! Strutturalmente poi, la produzione si dovrebbe attestare a non piu’ di 4 milioni di tonnellate di acciaio contro le 6/7 previste dal piano industriale. Già ora, contrariamente agli impegni presi un anno fa, l’impianto sta lavorando a scartamento ridotto con 1.300 circa lavoratori in CIG. Non si riesce a capire come i Governi (quello precedente e l’attuale) non abbiano potuto seguire e valutare subito l’andamento contradditorio di questa gestione e di capire che – forse come hanno sempre detto alcuni analisti – l’intenzione di Arcelor Mittal, fin da subito, era di intervenire su ILVA  non per rilanciarla ma per impedire che andasse in mano a temibili concorrenti. Si ripete – con questa drammatica vicenda –  la storia delle “privatizzazioni” di pezzi significativi e campioni industriali di IRI ceduti a privati, per lo piu’ stranieri,  senza scrupoli o senza dovute caratteristiche di serietà e capacità imprenditoriali con gli esiti negativi che ben conosciamo. Di fronte al pericolo che il gruppo franco-indiano si “sfili” irrimediabilmente, da piu’ parti (compreso il Presidente Conte) si è parlato di “ri-nazionalizzazione” preceduta da un ritorno di tutti i 10.700 dipendenti in carico all’Amministrazione straordinaria con un pesante carico finanziario per il Tesoro in attesa di una nuova gara, ovviamente per gestire industrialmente  il gruppo e portando avanti il piano di bonifica e risanamento ambientale,  rinnovando anche il “pool” di commissari con personaggi di alto profilo e professionalità  del mondo industriale del settore. Una prospettiva non facile, piu’ semplice a dirsi che ad attuare,  anche perché tra riacquisto della società  ed investimenti su ammodernamento  impianti e per il piano di disinquinamento e bonifica servono non meno di 4.200 miliardi. La negativa congiuntura del settore, la crisi del settore auto grande utilizzatore della materia prima, la concorrenza cinese lasciano poche  speranze di un rapido ritorno all’utile di esercizio. Si paga oggi una non recente colpevole assenza di una seria  politica industriale e si capisce ora, di fronte a queste necessità, quanto stolta sia stata la demagogica decisione di destinare non poche risorse pubbliche alla “quota 100” ed al sussidio del “reddito di cittadinanza” che la recente manovra di bilancio  di questo governo ha riconfermato. *Silvano Veronese – già Segretario Nazionale Metalmeccanici NOTA AGGIUNTIVA in risposta alle dichiarazioni del Presidente di Confindustria Boccia Non siamo stati e non siamo certamente teneri verso le responsabilità di certe parti  politiche, ma al Presidente di Confindustria Boccia, che scarica ogni responsabilità al Governo e …

RINO FORMICA: «ANCHE L’ILVA FINIRA’ COME BAGNOLI, CHIUDERE CON UNA LITE CONVIENE A TUTTI»

di Claudio Marincola | Intervista a Rino Formica su Il Quotidiano del Sud Otto volte ministro, Rino Formica, ha partecipato da protagonista assoluto alla politica del secolo scorso. Classe 1927, deputato e senatore in varie legislature, Formica è la trasfigurazione pietrificata di cosa è stato il socialismo al tempo di Nenni e Craxi. Ha coltivato una sua spiccatissima autonomia, è sempre sfuggito al codice della narrazione ordinaria. Dote, quest’ultima, molto apprezzata dai giornalisti. Tra le battute e gli aforismi che lo hanno reso celebre resta scolpita la frase di cui conserva tutt’ora il copyright: «La politica è sangue e merda». Mai come in questo in caso quell’espressione sembrerebbe fare al caso dell’ex Ilva, onorevole. «Si sta consumando una situazione nata male che impone ormai una scelta obbligata. Conviene a tutti chiudere con una lite. L’azienda cercherà di ottenere il massimo, succhiare ancora quel che c’è da succhiare mentre lo Stato interverrà in vari modi. Un giorno si farà un accordo per tenere buoni i sindacati; un altro si tenterà di accontentare gli ambientalisti, un altro si chiuderà un reparto, assumendo alla fine una cinquantina di dipendenti da qualche parte. Andrà come a Bagnoli, tutto già visto». Che cosa poteva fare che non ha fatto, questo governo? «La trama era già stata lacerata, bisognava avere la pazienza di ritessere i fili. Rammendare, filo per filo, a questo serve l’arte della politica». Invece? «Non si è capito il trauma sociale ed economico che la chiusura comporta. Governo gialloverde e governo giallorosso dimostrano anche in questo una continuità. Non per le persone bensì per la filosofia di fondo: vivono alla giornata. Rinviare, metterci una pezza per passare la nottata, che vuol dire arrivare alle prossime elezioni regionali in Puglia. La posta in gioco non è una scelta tecnica ma l’occupazione, la salute e lo sviluppo di un territorio abbandonato a un destino traumatico. Non siamo più al pluralismo delle idee ma al pluralismo dei reggimenti elettorali. I problemi vengono compressi finché alla fine esplodono». Per il Mezzogiorno sarà la mazzata finale? «È la punizione che ricevono le classi dirigenti degli ultimi 25 anni. Non hanno goduto della protezione della memoria. E la memoria è quella che ti consente di non ripetere gli stessi errori, che te li fa correggere. L’Italia repubblicana nacque su un progetto chiaro, che aveva memoria del passato. Le nuove classi dirigenti hanno ignorato la storia, hanno detto “la storia comincia da noi”». Il ministro per il Mezzogiorno Beppe Provenzano ha annunciato un grande Piano per il Sud. «Provenzano è un ottimo giovane che viene da una fucina importante come la Svimez, ma non è una situazione semplice. Il contesto politico è asfissiante». Il clima, però, è cambiato. «Con voi è partita l’operazione-verità. Va benissimo ma non basta. Per ora è solo un sentimento diffuso, fiammelle che si accendono. Servono forme organizzate. Le regioni meridionali si comportino come macroregioni. Stabiliscano alcuni punti sui quali intervenire congiuntamente, lavoro, sanità, formazione professionale, scuola. Serve una mobilitazione delle forze sociali e politiche. E un referendum che stabilisca una volta per tutte che un cittadino del rione Tamburi di Taranto avrà le stesse risorse di uno di Treviso». Partiti e sindacati non godono di ottima salute «Il sistema è degenerato. L’idea che non ci sia più una destra e una sinistra vuol dire la morte della politica. Il Sud rimarrà stretto tra assistenzialismo governista e ribellismo. Tra ascari in Parlamento e proteste alla boia chi molla! E poi c’è questa idea che la politica debba essere la professione dei nullafacenti. Vero il contrario. La politica non va fatta per professione ma con la passione della professionalità. La vita democratica è pulsione continua. Va ricreato lo spiritò che negli anni ’60 portò lo sviluppo nel Mezzogiorno, ci fu una vera e propria ondata culturale e politica. Intorno al compromesso Nenni-Moro si costituirono i comitati regionali per la programmazione. Poi arrivò l’ingresso nella Ue e quel processo rimase incompiuto. L’Italia è entrata nella globalizzazione senza una vera unificazione sociale, economica e politica. È l’origine di tutti i mali». Lei non crede che ora i tempi siano maturi per una reazione? «Non so… le dico però quello che rispose a noi giovani Ignazio Silone. Gli chiedemmo qual è il momento della rivoluzione. Con vezzo da letterato lui ci rispose: “Quando la vita di un uomo non conta più”». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RINO FORMICA AL SUSSIDIARIO.NET

Intervista a cura di Marco Biscella | Le conseguenze del voto in Umbria ? Le difficoltà del governo giallo-rosso? Il ruolo di Zingaretti, Di Maio o Renzi? Le discussioni sulla manovra? Per Rino Formica, ex ministro socialista attento osservatore delle vicende politiche, contano poco, di fronte, per esempio, a ciò che sta accadendo in Gran Bretagna, con un Parlamento che ha saputo riappropriarsi delle proprie prerogative in una partita decisiva per le sorti future dell’Europa e del suo ruolo nel mondo. Anzi è proprio lo scenario internazionale, alla ricerca di un nuovo ordine e di nuovi equilibri, che sta mettendo drammaticamente a nudo la debolezza di fondo dell’Italia: “Da almeno 25 anni – ricorda Formica – si sta via via esaurendo un pensiero politico sistemico, di visione, perché l’istinto e la reazione prevalgono, con riflessi sulle forze politiche e sulle istituzioni che oggi sono diventate sterili”. Come uscirne? Serve una scossa, un big bang: tocca a Mattarella “fare un quadro dello stato di salute del Paese al Parlamento. È suo dovere costituzionale, non è una richiesta alla persona. Solo così si possono risvegliare e coagulare le forze vitali presenti nel paese”. E Formica – che dopo il voto in Umbria fatica a individuare l’impatto prodotto sul governo e sui partiti della coalizione giallo-rossa, “perché dovremmo individuare cos’è il governo, cos’è il M5s e cosa sono i partiti oggi – invita a stare “sulla ricerca di cosa si è mosso e cosa si muove nella realtà italiana”. Cosa si sta muovendo? Siamo al punto terminale di una lunga fase che ha visto l’istinto prevalere sul pensiero, la reazione sulla riflessione. È agli sgoccioli tutto quello che poteva produrre un sistema senza pensiero politico e di carattere generale, che da 25 anni si è riversato sulle istituzioni e sull’intero equilibrio del sistema politico italiano. Con quali effetti? Il disperdersi sugli aspetti più minuti di ciò che sta avvenendo sia nell’attività di governo che nell’attività dei partiti è fuorviante. C’è un distacco impressionante tra la valutazione delle questioni quotidiane minori nelle quali siamo immersi e le questioni di carattere generale, interne e internazionali. A cosa sta pensando? È successo qualcosa di politica estera molto più importante che stabilire se in Umbria si è spostato un gruppo sociale a favore di un altro gruppo sociale. In Gran Bretagna, dopo tre anni di guerriglia parlamentare in un Paese investito dallo stesso male del populismo che ha colpito l’Europa, il Parlamento si è riappropriato della sua funzione e ha detto: andiamo alle urne e chiediamo al popolo se noi abbiamo forza politica nazionale tale da poter essere presenti nella nuova prospettiva che rende necessaria la ricomposizione di un ordine mondiale. Ciò che avverrà in Gran Bretagna, da oggi al 12 dicembre, interessa o non interessa l’Italia e l’Europa? La sua risposta? In Gran Bretagna si voterà anche per il futuro non solo del nostro Paese, ma dell’Europa. Le nostre forze politiche e le nostre istituzioni, invece di occuparsi del dettaglio se si dovranno tassare le sigarette o lo zucchero, seguiranno da vicino il dibattito politico e le elezioni inglesi? Perché è così importante? In Italia siamo al dettaglio di ciò che residua della nostra possibilità di influire sugli equilibri economico-sociali e ci dimentichiamo che il 90 per cento delle nostre decisioni dipenderanno da ciò che succede fuori dal nostro paese. Siamo in presenza di una decadenza e di un immiserimento della nostra classe dirigente da paura. Il problema non è se noi giochiamo un ruolo di secondo o di terzo piano sulla scena mondiale, il problema è: abbiamo un nostro pensiero sul futuro dell’Europa? Le nostre istituzioni, sfornite del pensiero politico, sono diventate sterili. Non pulsa il cuore, non funziona il cervello, come possono funzionare le gambe e le braccia? In Gran Bretagna si torna al voto, in Italia lo abbiamo fatto in Umbria. Chi è uscito davvero sconfitto dalle elezioni di domenica? Il M5s? Il Movimento 5 Stelle è nato morto, perché è nato senza pensiero politico, anche se apparentemente, con le elezioni del marzo 2018, ha avuto una ventata favorevole. Quel risultato faceva leva sugli istinti anti-sistema che attraversavano il paese. C’è chi dice che i Cinquestelle erano una forza perché anti-sistema e poi, una volta arrivati al governo, si sono indeboliti. È d’accordo? Se era anti-sistema, vuol dire che il M5s non aveva il pensiero per sostituire il sistema con un altro sistema, perché nelle società moderne non si può essere anti-ordine per il disordine. Nessuna società moderna può accettare il disordine, tutt’al più un diverso ordine. La debolezza di questo governo non è che si fonda su una forza parlamentare del 33% che oggi non è più tale perché indebolita dalle urne, ma che finalmente si è scoperto che non esisteva come pensiero politico nel paese. È stata un’illusione. Neppure l’alleanza con una forza di sistema come il Pd riuscirà a colmare questo vuoto? Il Pd si è trovato ad aver accettato dal 1994 in poi di nascondere il proprio pensiero, di non aggiornarlo; e non poteva non seguire la sorte delle forze che vedevano esaurirsi il proprio pensiero politico. Pensi al paradosso: dove il Pd sopravvive con una certa vivacità è legato al fatto che prende motivazioni esistenziali della destra reazionaria. Faccia un esempio. Prendiamo il caso dell’immigrazione. Le sembra che fosse pensabile, anche solo pochissimo tempo fa, che la Ocean Viking venisse tenuta 10 giorni in mare in attesa che ci fossero le elezioni in Umbria per poi farla attraccare a Pozzallo? È una cosa che non avrebbe fatto nessuna sinistra. L’esperimento dell’alleanza Pd-M5s è fallita ancora prima di nascere. Questo complica i piani di chi? Zingaretti? Di Maio? Renzi? Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere da domani in poi nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione. Che cosa potrebbe o dovrebbe fare Mattarella, visto che questo governo affronta ogni giorno difficoltà, incomprensioni, tensioni? Mattarella ha un giusto orientamento: dopo questo governo non c’è …

RINO FORMICA: «NANI E BALLERINE? NO, OGGI SOLO INSETTI»

di Federico Novella | Mi chiede una lettura della situazione politica? E come faccio? Da quando è caduto il muro di Berlino, è caos permanente.. Rino Formica, a 92 anni non ha smarrito l’acutezza del cavallo di razza della prima Repubblica. Peso massimo nel Psi di Bettino Craxi, più volte ministro, uomo di intelligenza finissima, a lui si deve la piu cruda definizione della politica italiana: «Sangue e merda. O, più elegantemente, passione e spietatezza. Oggi è ancora così? «Diciamo che oggi non vedo più il sangue. Una sorta di anemia politica? «Stiamo assistendo alla vittoria del tarlo. Lo Stato è tarlato. Come un tavolo che pare bellissimo, ma è destinato a sprofondare». Ci aiuti a orientarti. «E’ complicato. In 25 anni abbiamo assistito alla distruzione di tutti i partiti della prima Repubblica, della seconda, e della seconda e mezzo. Ma non è nato mente. Fu lei a coniare la metafora del -circo di nani e ballerine-, riferito all’ultima assemblea del Psi. Vale anche per questo governo? «No, adesso sono scomparsi sia i nani che le ballerine. Restano solo gli insetti». Rimpiange il circo? «Sì. Erano meglio loro. Nani e ballerine avevano una certa dignità». Dunque non crede all’alleanza Pd-5 stelle? «Non sarà mai permanente, e non sarà mai nazionale. Manca la strategia di lungo respiro. Questo governo è sostenuto per metà dal populismo, cioè roba sudamericana. Per l’altra metà da un Pd malriuscito, che ha gemmato due scissioni. Tutti cercano un’identità, in conflitto l’un con l’altro. È follia. È manicomio». Troppo ampie le distanze politiche? «Mi immagino tra 40 anni cosa sarà per uno storico rileggersi i verbali del Consiglio dei ministri di questi tempi. Giungerà alla conclusione che siamo tutti matti». Però i numeri parlamentari ci sono. «Ma è un governo di minoranza nel Paese. Le forze di maggioranza, se facciamo la tara degli astenuti, arrivano al 25% degli italiani. Dove sta davvero il Paese e cosa ci sta bollendo all’interno, nessuno può dirlo». Il premier Giuseppe Conte si è paragonato a Craxi. Conte è un’altra illusione che arriva dagli studi degli avvocati. Che cos’è l’arte forense, se non la facoltà di difendere tutte le cause?» Il Pd spostato a sinistra riscoprirà gli antichi fasti? «Il Pd si vergogna del suo passato ideologico, di cui conserva solo i comportamenti, come il centralismo democratico. Vale a dire la farsa per cui il segretario una mattina si sveglia e annuncia l’accordo con i 5 stelle. E quei poveri disgraziati del Pd in Umbria, buttati giù da Beppe Grillo, sono obbligati a obbedire. La nuova formazione di Matteo Renzi sarà protagonista, o è solo un rumore di fondo nel fluire della storia patria? «Più che un rumore di fondo, direi una pernacchia». Nel senso che non durerà? «I cantastorie durano meno della storia che raccontano. E vale per tutti. Renzi alla Leopolda ha detto che il dovere della maggioranza è scegliere un presidente della Repubblica europeista. «O dice una bugia, oppure ci nasconde qualcosa. Sostiene di aver cambiato idea sui 5 stelle perché bisogna scegliere il presidente giusto? E allora risponda alla domanda: questo nome è nel patto di governo oppure no?». Lei cosa dice? Dico che è l’imbroglio della giornata oggi funziona così. Ognuno si sveglia e dice la sua per passare la nottata. Insomma, è già iniziata la campagna per il Quirinale? «Prepariamoci a 15 mesi di dibattito tra sordi: tra chi cerca il candidato, e chi vuole addirittura cambiare la forma di Stato per eleggerlo direttamente. Prospettive inquietanti: come andare a fari spenti in una notte di tempesta». Quand’è che la situazione è precipitata? «Con lo sbocco della crisi del 2018. Cioè quando il partito del Quirinale ha stabilito che a dare le carte per il governo dovessero essere i 5 stelle». Il partito del Quirinale? «Certo, un partito che è sempre esistito, dalla presidenza Gronchi in poi. È stato questo partito quirinalizio a dare centralità ai 5 stelle». Cosa avrebbe dovuto fare il presidente Sergio Mattarella? «Tentare ogni strada, fallendo. E poi rivolgersi al Paese dicendo: sciolgo le Camere». Un bel salto nel buio. «Pazienza. Meglio un salto nel buio una tantum, che un salto nel buio strisciante ogni mattina. Uno strazio». Come diceva Giuseppe Prezzolini, in Italia nulla è più definitivo del provvisorio. «Sì, ma adesso la provvisorietà è al potere. Più che i partiti personali, dominano i partiti umorali: Renzi da socialista diventa liberale, Matteo Salvini da secessionista diventa nazionalista. Tramontate le grandi religioni politiche, viviamo la stagione degli arruffapopoli, dove l’unico legame è la convenienza». Lo storico taglio dei parlamentari rientra in questa tendenza? «Certo, rispecchia le due tendenze dominanti: verso il caos e contemporaneamente verso l’ordine autoritario». Ci spieghi meglio. «È un passo verso il caos, perché si pretende di modificare le istituzioni partendo dal tetto e non dalle fondamenta. È un passo verso l’ordine autoritario, perché scredita la funzione del Parlamento». Mi pare di capire che non è un ammiratore della piattaforma Rousseau. «Quella poi: il giochino delle tre carte. E questo Davide Casaleggio che si vanta: “Abbiamo consultato 80.000 persone, unico caso al mondo”. Resto di sasso. Si possono fare affermazioni più stupide?». Anche lei suona l’allarme democratico? «La paura è diffusa in vaste schiere dell’opinione pubblica. E la paura porta alla voglia di ordine a tutti i costi. Salvini è un’ottima sintesi di questa pulsione». Teme davvero una dittatura vecchio stile, nel 2019? «No, perché anche le dittature hanno salde visioni politiche, che qui non vedo. E poi i populisti al governo non reggono: esprimono rabbia, ma non riescono ad elaborare una sintesi. Oggi semmai rischiamo la dittatura dell’ignoranza». Come ci siamo arrivati? «Le vecchie scuole di partito sono considerate la fonte di tutti i mali. Abbiamo attinto alla società civile e alle sue categorie purificatrici: gli imprenditori, i magistrati, i giornalisti, gli scienziati, le suore, gli analfabeti. Abbiamo visto com’è finita: con Luigi Di Maio al governo». Preferiva Silvio Berlusconi? «No, anzi. I leader di oggi sono tutti figli suoi. E questo mentre si consumano drammi economico-sociali che …

LE REGIONI DEL SUD SI SVEGLINO

di Onofrio Introna – già Presidente del Consiglio regionale della Puglia | Si parla meno di autonomia differenziata, ma sarebbe un errore abbassare la guardia, perché si tratta di federalismo travestito da regionalismo asimmetrico e continua a rappresentare un vero “tradimento del Sud”. Nel Nord hanno abbassato solo da poco i toni sprezzanti della campagna di diffamazione scatenata contro il Mezzogiorno dal senatur Bossi e Gianfranco Miglio (1918-2001), ora rilanciata, al grido “Attenti al migrante!“, dal già Ministro degli Interni Matteo Salvini. L’ostilità nei confronti degli extracomunitari ha messo solo in secondo piano, ma non ha mandato in soffitta, il disprezzo dei settentrionali verso i meridionali “spreconi, parassiti, fannulloni“. E per quanto possa sembrare incredibile, l’anatema bossiano ha fatto proseliti anche tra gli stessi cittadini del Sud. Resi spavaldi da questo imprevedibile consenso suicida, i Governatori Zaia, Fontana e Bonaccini tentano il colpaccio, i primi con un referendum farsa, per realizzare la secessione dei ricchi, obiettivo principale e vera ragione d’essere della Lega Nord, anche se l’aggettivo Nord è da qualche tempo scomparso e si è adottato lo slogan “Prima gli italiani”. Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, Governatori del Sud, cosa fanno? Si dirà: sono in campagna elettorale, si vota nella prossima primavera, ma non sono stati eletti, voluti, sostenuti dalla gente che crede ancora nei valori della sinistra democratica e riformista? E tra questi valori non prevalgono ancora l’unità del Paese, la solidarietà nazionale, il diritto costituzionale alla perequazione? Consiglio ai due Presidenti di proporre un programma di lotta, senza se e senza ma, all’autonomia differenziata. Un NO forte e chiaro alla secessione del Nord può rappresentare da solo un programma elettorale vincente, oltre che un progetto di riscossa, ancora più se condiviso da Emiliano e De Luca con un atto unitario. Siamo ad una svolta, è il momento giusto. Bisogna essere determinati, decisi, è importante parlare ai Cittadini, soprattutto ai meridionali che votano o voterebbero Lega per paura dei migranti, perché sono “mantenuti dallo Stato“, perché “rubano“, perché “tolgono il lavoro agli italiani“. A questo proposito, è illuminante la dichiarazione del procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco -ne ha dato notizia La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 ottobre- che presentando il bilancio di responsabilità sociale 2018 degli uffici giudiziari milanesi, ha detto testualmente: “il 99.9% dei ladri di appartamento sono bianchi, lo dico perchè a volte si ha un’idea un po’ strana del colore della pelle in relazione alla criminalità”. Quanto a rubare il lavoro, al Sud non ce n’è, tanto per gli italiani che per i migranti e i pochi tra questi che lavorano sono tenuti come schiavi nelle stalle o nelle baraccopoli, pagati a due euro l’ora. Dobbiamo tornare a rendere i meridionali dei cittadini informati e consapevoli. Non possiamo lasciarli nelle mani di chi li circuisce col miraggio della sicurezza, per tradirli con l’autonomia differenziata. L’unità d’Italia non si tocca, il Sud deve esigere che gli venga restituito un ruolo di pari dignità e garantiti servizi uguali da Pordenone a Leuca. L’auspicio è che il governo giallorosso -che col Ministro Boccia si è pronunciato per una correzione in tal senso del federalismo differenziato- possa trovare un valido supporto nell’impegno determinato delle Regioni meridionali, per fare del Mezzogiorno un vero punto di forza del Paese e renderlo a pieno titolo parte dell’Europa. Pubblicato anche su : SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RESOCONTO DELL’ASSEMBLEA DELLE COMUNITA’ SOCIALISTE CREMONESI

Assemblea Aperta del 5 ottobre 2019 – Sala del Circolo Filodrammatici – Cremona Saluto ai presenti e di chi non ha potuto partecipare per impegni precedentemente assunti nella stessa data quali: il Segretario PSI di Lodi Andrea Caserta, il coordinatore per il nord Italia di Socialismo XXI Alberto Leoni, Sergio Denti espone il documento delle comunità socialiste cremasca cremonese e casalasca. Tommaso Anastasio interviene con la sua relazione per una costituente delle comunità socialiste cremonesi autonoma ed a raggio d’azione prettamente territoriale. Altri interventi: Roberto Biscardini (cofondatore di “Socialisti in Movimento”), Enrico Vidali (direttore della storica testata “Eco del Popolo” fondata nel 1889 da Bissolati), Renato Bandera,Maurizio Quirico (iscritto al PSI e vicino a Socialisti in Movimento Treviglio), Virgino Venturelli. — Scopo di questo documento, che abbiamo promosso riprendendo considerazioni lette e condivise, in altre iniziative analoghe, è quello semplicemente di rafforzare le forze favorevoli alla ricostruzione di una  rinnovata, rappresentativa e autonoma forza del socialismo italiano. Lo abbiamo pensato soprattutto rivolto ai giovani nati dopo il 1989 e la fine della prima Repubblica, per la maggioranza dei quali gli ideali del socialismo italiano, non sono propriamente noti, a differenza magari delle vicende che hanno cancellato il PSI storico, dal panorama politico attuale. [Un po’ di storia] Il PSI trae la sua origine storica e ideologica dal Partito Socialista Italiano, nato a Genova nel 1892. Esso fondava in sé l’esperienza socialista sia di ispirazione riformista che marxista. I principali promotori della formazione del PSI furono, tra gli altri, Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida Bissolati. La prima scissione del PSI avviene nel Congresso di Livorno del 1921. Dopo che Lenin aveva invitato il PSI a conformarsi ai dettami dei 14 punti dell’Internazionale Socialista e ad espellere la corrente riformista di Turati, i comunisti di Bordiga e Gramsci, in minoranza, escono dal Congresso e fondano il Partito Comunista Italiano. Nel 1922 la corrente riformista di Turati viene espulsa dal Partito per la collaborazione data ai partiti borghesi nel risolvere la crisi di Governo del 22’, che aprirà le porte al Fascismo. Turati fonda il PSU (Partito Socialista Unitario), che nel 1930, in Francia, nel pieno dell’esilio fascista, si riunificherà con i massimalisti, guidati dal giovane Pietro Nenni. Nel 1943 rinasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il nuovo segretario sarà Pietro Nenni. Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano con una politica di unità d’azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica viene osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, preoccupato che le divisioni interne alla classe operaia potessero favorire l’ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come “il partito della Repubblica”. Il 10 gennaio 1947 il PSIUP riprende la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI). Il cambio di nome avviene nel contesto della scissione della corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat (scissione di palazzo Barberini), il quale darà vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), e marcherà una profonda distanza dai comunisti (ormai definitivamente agganciati allo stalinismo sovietico). Il PSI invece, proseguirà sulla strada delle intese con il PCI, e con quest’ultimo deciderà anche di fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, in vista delle elezioni dell’aprile 1948. Dopo la sconfitta elettorale del 1948, la lista del Fronte Democratico Popolare non verrà più riproposta, ma il PSI resta alleato col PCI, all’opposizione, per ancora molti anni. Una svolta importante nella storia del PSI è costituita dal Congresso di Venezia del 1957, quando, in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria e alla rottura col PCI, il partito comincia a guardare favorevolmente all’alleanza con i moderati: si rafforza il nesso socialismo-democrazia e il PSI abbandona i legami con il blocco sovietico. Nel 1963 il PSI entra definitivamente al Governo, con l’esecutivo guidato da Aldo Moro, dando avvio alla stagione del “centrosinistra”. Dopo lo squilibrio elettorale alle amministrative del 1972 tra PCI e PSI , la segreteria del Partito nel luglio 1976 passa da De Martino a Bettino Craxi, vicesegretario e membro di punta della piccola corrente autonomista di Pietro Nenni. Nell’agosto del 78’, viene pubblicato “Il Vangelo Socialista”, con il quale si sancisce la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli. Nel 1985, dopo gli anni di partecipazione al Pentapartito, il PSI di Bettino Craxi rimuove la falce e il martello dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI. L’elettorato premia questa scelta: la percentuale di consensi infatti sale dal 9,8% ottenuto nel 1979 fino a toccare il picco del 14,3% nel 1987. Con la caduta del muro di Berlino dell’89, reputando imminente una conseguente crisi del Partito Comunista Italiano, Craxi inaugura l’idea della “Unita Socialista” da costruire insieme con il fidato Psdi e nella quale coinvolgere anche ciò che nascerà dalle ceneri del PCI. Come previsto, infatti, il PCI viene sciolto e gli ex comunisti confluiranno nel più moderato e riformista PDS. I primi riscontri elettorali da parte del PSI paiono incoraggianti, poiché alle elezioni regionali del 1990 i socialisti si portano al 18% come media nazionale. Nel 1992 scoppia lo scandalo di Tangentopoli, che colpisce prevalentemente Bettino Craxi ma mette in crisi tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il partito cambia rapidamente molti segretari fino al definitivo sfaldamento in tante parti. Schiacciato dall’offensiva giudiziaria e da una feroce campagna giornalistica, il PSI si scioglie definitivamente con il 47° congresso il 13 novembre 1994 presso l’Auditorium del Palazzo dei Congressi di Roma. …