Da sinistra: Bettino Craxi, Angelo Tiraboschi, Rino Formica Contributo dell’On. Angelo Tiraboschi in occasione dell’Evento marchigiano di Socialismo XXI del 7 settembre 2019. Esaminare i problemi contemporanei del socialismo democratico italiano ed europeo è un’impresa molto ambiziosa e complicata. Risparmio a me stesso e soprattutto a chi mi leggerà una specie di trattato lungo, noioso, sostanzialmente inconcludente e presuntuoso. Come sappiamo la crisi del socialismo italiano (si potrebbe anche parlare di fallimento) ormai parte da lontano. Dopo le stagioni sterili e difficili degli “equilibri più avanzati” degli anni sessanta e dei primi anni settanta, la segreteria di Craxi aveva con grandi meriti promosso e realizzato un nuovo corso. I primi segnali di una controtendenza si avvertono però già alla fine degli anni Ottanta. All’inizio degli anni ‘90 la sconfitta socialista si compie. E’ così grande da escludere – come è avvenuto – repliche nel breve e nel medio periodo. In sintesi si può dire che ad essa vi abbiano concorso molti fattori. Non ci sono solo i gravi errori altrui. Non c’è soltanto la miopia dei postcomunisti i quali credevano, con iattanza e pressapochismo, che, una volta ucciso il PSI, avrebbero avuto davanti a loro la strada spianata nel campo della sinistra italiana e nella automatica conquista del governo nazionale. Non c’è solo il ruolo arbitrario e anomalo, da colpo di stato, di alcune Procure che credo si fossero poste al servizio di convincenti “suggerimenti” interni ed esteri. Pagine di storia recente ancora tutta da scrivere. Ci sono anche i nostri errori. Errori del gruppo dirigente del PSI del tempo. Abbiamo compiuto errori tattici e strategici. Quello – a mio giudizio – che ha pesato di più è non aver interrotto, a partire almeno dal ’91, l’alleanza con la DC. Un’alleanza che si era consunta, che era arrivata al capolinea. Quando c’è una crisi di sistema così evidente non serve rispondere inseguendo e difendendo posizioni di potere. Ci vuole una risposta politica netta, di vera discontinuità. Avremmo aperto una nuova fase politica e imbrigliato, sia pure nell’incertezza circa una crisi di governabilità, i giochi politici altrui, specie del PDS. Inoltre, il PSI, si era troppo appesantito. Troppi opportunisti, troppo arrivisti erano saliti sul carro socialista al punto da renderlo “invadente”, tracotante, con crescenti riflessi negativi interni ed esterni. Faccio queste osservazioni soprattutto per introdurre una cosa che credo fondamentale. La illustro prendendo a prestito un’osservazione dello storico francese René Grousset:”nessuna civiltà viene distrutta senza essersi prima rovinata da sola, nessun impero viene conquistato dall’esterno, senza che precedentemente fosse già suicida”. Lo so è una asserzione molto forte. Forse troppo. Ma c’è del vero. Da qui si apre un capitolo che ci porta più direttamente ai giorni nostri. Quello che (oggi – ammetto – è più facile dirlo) non abbiamo compiuto è uno sforzo per capire fino in fondo le ragioni del nostro tracollo. C’è chi tra di noi si è indignato; c’è chi è approdato su altre sponde; chi ha versato lacrime; chi ha legittimamente (parlo specie della base del partito) maturato la convinzione di aver subito un grave torto; c’è chi (io sono tra questi) ha cercato scorciatoie e soluzioni improvvisate quanto politicamente discutibili; c’è – ai nostri giorni – chi pensa che la Lega di Salvini sia un partito di sinistra (sic). Sia come sia bisognava piuttosto capire meglio. Diceva Baruch Spinoza: “nec indignari, sed intelligere”. Ma, a parte le citazioni, lo dico perché bisogna sempre guardarsi dalle nostalgie e dai nostalgici. E’ giusto e perfino entusiasmante ricordare una storia, valorizzarla, difenderla contro i denigratori che non hanno alcun titolo o merito per dare lezioni. Senza però smarrire un adeguato spirito critico. Dobbiamo farlo senza pensare che ci si possa fermare alla constatazione di quanto eravamo bravi. Sì, il gruppo dirigente del PSI (penso anche ai tanti ottimi amministratori locali) aveva qualità, competenze, passione. Penso allo straordinario uomo di governo che è stato Craxi. E Martelli alla Giustizia? A confronto coll’oggi è troppo facile avvertirne le differenze. Sì, nel complesso l’Italia ha perso molta vivacità e qualità politica. Tutto sommato è stata la nostra, la mia una “bella stagione”, ma non con queste idee (sentimenti?) si costruisce il nuovo. Tutto è ancora più difficile per le seguenti ragioni: chi, anche con qualche merito, ha ereditato la sigla PSI ha pensato a sopravvivere, soprattutto si è “coccolato” dentro ad una mediocre posizione di rendita personale e di gruppo. Nessuna vera apertura. Anzi, è stato sagomato un minuscolo partito che sembra avere l’orticaria e che espelle ogni dialettica. Un gruppo dirigente che per lo più chiude le porte anziché spalancarle. Con ristrettezze mentali conservative non si poteva né si può andare lontano. Non è poco. Oltre questo, si deve porre all’ordine del giorno la crisi profonda del socialismo europeo. Perché la crisi? Tante possono essere le spiegazioni avvalorate dagli enormi mutamenti di scenari, di modelli informativi, di modi di vivere e di pensare, di cambiamenti di enorme rilievo in tutti i campi. Negli anni ’70 e negli anni seguenti i socialisti europei erano una primavera, erano portatori di idee innovative. Erano sostenuti da leader di enorme spessore. Erano il cambiamento rispetto alla vecchia Europa conservatrice e, in parte, massimalista e filo sovietica. C’è stato un progressivo e inesorabile invecchiamento. Non c’è sinergia, non ci sono grandi idee per una nuova Europa dei cittadini. Ciascun partito si chiude nel proprio paese nell’intento di “lucrare” qualche rimanente fetta di potere, con l’idea di contenere le perdite. In Spagna c’è una rinascita credo propiziata dallo slancio di un giovane leader e, nel contempo, dalla crisi profonda del centrismo conservatore. Nel resto d’Europa c’è il silenzio a cui si aggiunge una tendenza a burocratizzarsi e a gettare lo sguardo sulle cose di tutti i giorni. Manca una strategia comune, né la si ricerca. Non si avverte che la prima grande urgenza è di tornare, su basi nuove, a caricare di significati e di contenuti il socialismo europeo. Il socialismo o ha una dimensione europea o non ha sbocchi. Occorre costruire un progetto. Che …
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