PRECISAZIONE SUL VOTO

di Franco Astengo | In precedenza a un’analisi più compiuta al riguardo del voto del 26 maggio che sarà svolta nelle prossime ore, appare necessario premettere alcuni punti di precisazione necessariamente esplicitai al fine di una corretta interpretazione dei dati stessi: 1)      E’ necessario chiudere i talk – show della domenica basati sul chiacchiericcio da bar riferito exit – poll che tali non sono se non il riciclaggio dei vecchi sondaggi condito dai “desiderata” delle varie cordate televisive; 2)       Per tutta la giornata è stata venduta la favola della crescita della partecipazione. In realtà anche rispetto alla già deprimente partecipazione al voto del 2014 verifichiamo un ulteriore contrazione. Le europee si sono ancora una volta rivelate, in Italia, assai poco attrattive per l’elettorato.  Scrivo quando sono noti i dati di 61.403 sezioni su 61.576 (quindi al 99,7% dello scrutinio). I voti validi in questo momento sono stati 26.591.383 pari al 53,93% del totale degli aventi diritto. Nell’occasione delle elezioni europee del 2014 (quelle dell’illusorio 40% del PD) i voti validi furono 27.448.906 pari al 54,17%. Alle politiche dell’anno scorso questa cifra si impennò fino a 32.841.705, al 70,61%. Rispetto alle politiche 2018 mancano quindi il 16,68% dei voti, circa 2.970.000 unità. Numeri da rendere improbabile qualsiasi raffronto ragionato. Tra le europee 2014 e quelle 2019 ci sono circa 900.000 voti validi in meno. 3)      La maggioranza relativa acquisita dalla Lega con il 34,36%  vale meno di 10 milioni di voti, in questo momento 9 130.873. Per la prima volta nella storia repubblicana il primo partito è sotto la soglia dei 10 milioni di voti. Nel 2014 la maggioranza relativa fu conseguita dal PD con 11.203.231 voti e nel 2018 dal Movimento 5 stelle con 10.732.066 voti. Questo rilievo naturalmente non toglie nulla, all’eccezionale avanzata dalla Lega salita in cifra assoluta dal 1.688.197 voti del 2014 ai 5.698.687 voti del 2018. Quella della Lega è sicuramente una crescita reale testimoniata soprattutto dall’analisi del voto dal punto di vista della dislocazione geografica. La Lega è partito di maggioranza relativa in 76 province. Si tratta soltanto di far notare che questo risultato è ottenuto “in discesa” di fronte a partiti che risultano tutti in calo creando un forte squilibrio sistemico alimentato anche dal persistere di una notevole volatilità elettorale. 4)      Il 22, 75% del PD non ha significato una crescita dal punto di vista numerico e rappresenta, di conseguenza, un altro miraggio elettorale. I democratici tutt’al più possono parlare di scampato pericolo: e, dal loro punto di vista, questo fatto può anche rappresentare già tanto. Il PD a questo punto ha ottenuto 6.036.308 voti a fronte dei 6.161.896 voti del 2018 (che valevano il 18,7%).  Le province nelle quali il PD mantiene la maggioranza relativa sono tutte concentrate nell’antica ridotta toscano -emiliano -romagnola: Livorno, Siena, Firenze, Bologna, Ravenna, Reggio Emilia. 5)      Il Movimento 5 stelle scende di oltre la metà dei voti conseguiti nel 2018: da 10.732.066 a 4.536.778, in calo anche rispetto alle Europee 2014 (5.807.362 voti). Appare evidente l’effetto “promesse mancate” come indicato da molti commentatori. Inoltre il M5S meridionalizza ancor di più la propria presenza sul territorio: conserva infatti la maggioranza relativa in 24 province le più a nord delle quali sono Caserta e Campobasso. E’ proprio nel Sud però che il M5S fa registrare le maggiori flessioni sul piano dei numeri assoluti. In Campania alle politiche 2018 i penta stellati avevano avuto 1.487.505 voti, in questo momento (ripetiamo: al 99,70% dello scrutinio completato) sono fermi  a 738.751 suffragi (più o meno la metà: in crescita comunque rispetto al 2014 dove avevano avuto 528.371 voti).  In Sicilia il Movimento aveva ottenuto alle politiche 2018 1.181.357 voti, adesso siamo a 479.562 (nel 2014: 448.839). In sostanza tra il 2018 e il 2019 tra Campania e Sicilia (due regioni particolarmente interessate al reddito di cittadinanza) il M5S ha ceduto circa 1.200. voti (sul piano nazionale circa 6 milioni di voti: quindi il 20%  della perdita concentrato nelle due regioni citate); 6)      La spaccatura dal punto di vista geografico non è mai stata così netta. L’Italia appare seccamente divisa in due con interessi divaricati che nessun contratto di governo potrà saldare; 7)      L’esito del voto italiano per le elezioni europee segna comunque la suffragazione del primato della Lega all’interno di un eventuale centro destra. Forza Italia non conserva più alcuna provincia di maggioranza relativa e scende ad un distacco dalla Lega di quasi 7 milioni di voti (mentre la Lega stessa è cresciuta tra il 2014 e il 2019 di circa 8 milioni).  Forza Italia in questo momento è ferma a 2.336.680 suffragi con u dimezzamento rispetto sia al 2014 sia al 2018. Dimezzamento che si registra anche in Lombardia: 2014, 826.201 voti; 2018 776.007 adesso 429.720. Si potrebbe affermare che a Forza Italia ormai si sono inaridite le fonti. 8)      E’ completamente sparita la Sinistra: la lista Tsipras nel 2014 ottenne 1.108.457 voti superando il quorum; alle elezioni politiche del 2018 LEU ebbe 1.114.799 voti e Potere al Popolo 372.179 suffragi. Adesso la Lista della Sinistra ottiene 463.620 voti. La differenza non pare sia passata al PD che, come già segnalato, non cresce in cifra assoluta. Aumenta la propria quota il “Partito Comunista” nostalgico dell’URSS e vicino alla Corea del Nord passato da 106.816 voti a 233.522: un aumento esiguo però per indicare un passaggio tra la Sinistra e il Partito Comunista (anche se un minimo di “effetto simbolo” lo si può riscontrare. Parlare di “ricostruzione” nell’ambito della sinistra e di superamento delle soggettività esistenti pare in questo momento un discorso di estrema attualità; 9)      Del tutto inconsistente la presenza elettorale dell’estrema destra. Casa Pound scende da 322.432 voti (politiche 2018) a 88.517 voti (Europee 2019). Forza Nuova riceve 40.632 suffragi su tutto il territorio nazionale. Queste formazioni servono evidentemente agitare la piazza, dare esca alla repressione poliziesca esercitata verso gli antifascisti tra i quali spiccano per attivismo i cosiddetti “antagonisti” e offrire il frutto di questo disordine e relativa stretta alla “legge e ordine” propugnata dalla Lega. 10)   Infine, come …

DA DE MICHELIS AL SOCIALISMO PROSSIMO VENTURO

di Aldo Ferrara – Socialismo XXI Lazio | Prendo lo spunto dalla scomparsa di Gianni De Michelis che non ho avuto il piacere né di conoscere né di frequentare, ma che ricordo negli anni ottanta come Visionario e autentico interprete delle vicende politiche italiane, nient’affatto capito dai suoi colleghi parlamentari. Visionario appunto, unico in Italia, forse con Napoleone Colajanni (il nipote) a capire il significato della svolta di Deng XiaoPing in Cina da cui è poi derivata la sortita di quel grandissimo paese alla conquista del mercato e del mondo con una concezione tutta demichelisiana di Stato Imprenditore e calmieratore del plusvalore privato. La visione della digitalizzazione che ci ha portato al nuovo regolamento GDPR nell’Italia era già in nuce nella concezione del socialista veneziano. La sua immagine apparentemente stravagante in discoteca o a piedi nudi nella laguna aveva caratura ben precisa: magliette e camicie sudate, capelli lunghi e discoteca stanno a Craxi e De Michelis come il doppiopetto a Rumor e Andreotti. Il messaggio lanciato agli italiani suonava: cambiamo modo di vivere, usciamo dalle chiese DC e andiamo ad incontrare la società. Messaggio davvero socialista, neo marxista, d’incontro con il mondo variegato che compone la società attuale. Messaggio autenticamente centrifugo “verso e per”. Da qui bisogna prendere insegnamento specie nel nostro ambito dove le ragnatele politiche vengono tessute come orizzonti nuovi e non ci si accorge che spesso sono zavorre. Zavorre centripete che finiscono per essere confinate a conciliaboli autoreferenziati senza costrutto. E mi riferisco a quel grande Socialista che fu Mitterrand, tuttavia dalla politica contraddittoria, perché seguì De Gaulle nella sua “grandeur” fino alle armi atomiche e allo sviluppo del Deuxième Bureau, quasi fosse la CIA o il Mossad, alla politica africana sostanzialmente post-colonialista, alla sua guerra contro Gheddafi, senza un briciolo di visione prospettica sulla Jihad islamica ferocemente combattuta. Combat che poi ha portato allo sviluppo del terrorismo islamico. Sostanzialmente omologo della politica reaganiana in Europa, non seguì le orme di quell’altro grandissimo Gigante Socialista che fu Willy Brandt che, con la sua Ost-Politik, anticipò con una visione lungimirante l’affiliazione russa verso l’Europa mentre oggi noi, che non la capimmo, siamo subalterni economicamente ed energeticamente a quel paese. Da Mitterrand ad Epinay il passo è brevissimo. Certo fu un colpo da maestro politico, di politica politicienne che a lui riusciva benissimo. Ma che poi vide scomparire quel collante fino al crollo dei socialisti francesi che si riuniscono oggi nel ridotto di una stanza. Noi Socialisti stiamo facendo e faremo la stessa fine con messaggi comunicativi scadenti, come quello che fa riferimento ad Epinay, la cittadina francese in cui si coagularono i gruppetti socialisti che poi portarono Mitterrand alla Presidenza, evento che nessuno al disotto dei 60 anni e che non sia socialista conosce. Faremo questa fine se non si raccolgono in senso centrifugo e non più centripeto le istanze della gente. Personalmente, ricevo segnali inquietanti dall’Umbria dove si muore di cancro come non mai, e dalla Campania, dove operatori sanitari implorano aiuto contro l’occupazione sistematica del potere, nonchè da Taranto e Brindisi, i cui stabilimenti industriali sono diventati killer mortali, mentre all’epoca di De Michelis Ministro delle Partecipazioni statali erano fiorenti e di nostro possesso, ricevo segnali dal Comitato Rodotà che vuole trasformare il Codice Civile sui Beni comuni per evitare le incongruenze degli artt.116 e 117 della Costituzione. E non possiamo disattendere, salvo scomparire dal circuito mediatico e politico, che oggi maledettamente purtroppo coincidono. Ecco la nostra mission, aprire alle istanze della popolazione, persa tra partiti inesistenti e chiacchiere da social dei nostri ministri. De Michelis avrebbe usato i social in modo più congruo, più concreto per aggregare, noi li usiamo per disaggregare o per coagulare al massimo “quei quattro gatti” che erano i repubblicani e che adesso sono i socialisti privi di personaggi carismatici. Da dove ripartire: Lo scopo è quello di una riallocazione dei principi socialisti e di sinistra in genere nel panorama politica anche europeo. Dovremo porre la discussione tra noi tutti allargando il network a tematiche essenziali quali il trend verso cui marcia la società, i nuovi lavori, la digitalizzazione dei dati e le sue possibilità di occupazione, la finanza produttiva e non speculativa, lo stesso stile di vita, la ricerca della felicità come secondo Costituzione Americana, una Europa non più ingessata e che risponda alle istanze delle minoranze emarginate e disagiate. Da lì si dovrebbe ripartire, non certo dalle polemichette che si rivelano sempre più mezzi di distrazione di massa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIANNI DE MICHELIS UN SOCIALISTA VITALE

di Nicolino Corrado | Con Gianni De Michelis scompare un protagonista del socialismo e della vita politica italiana della seconda metà del XIX secolo. Docente universitario di chimica, ma appassionato di politica, si iscrisse giovanissimo alle organizzazioni giovanili e studentesche del Partito Socialista. Dopo essere stato a lungo uno dei più stretti collaboratori di Riccardo Lombardi (lo ricordo nel 1974, a Roma, in via Teulada, quando da ragazzino partecipai alla mia prima riunione politica nazionale, al tavolo della presidenza dell’assemblea della corrente con Lombardi, Claudio Signorile, Livio Labor, divenne uno dei pilastri del nuovo corso socialista inaugurato nel 1976 da Bettino Craxi). Nel partito fu un dinamico e ferreo responsabile del settore “Organizzazione”, come ministro, e, grazie alle sue grandi intelligenza e infaticabilità nello studio dei dossier governativi, si dimostrò un competente ministro delle Partecipazioni Statali, del Lavoro e degli Esteri. Nel clima di intolleranza scatenato dal PCI nelle manifestazioni pubbliche contro i leaders ed i sindacalisti socialisti negli anni in cui Craxi era presidente del consiglio, De Michelis era l’unico ministro che riusciva a parlare nelle fabbriche, suscitando rispetto, a platee pregiudizialmente ostili.     Divenne il bersaglio di avverse campagne di stampa a causa della sua personale passione per le discoteche. Per lui, divorziato, era uno sfogo dello stress accumulato negli impegni governativi, uno spazio riservato al divertimento dopo ore di lavoro e di studio, ma ciò rappresentava un sommo peccato per l’ipocrisia catto-comunista.  Allora non si prevedeva che i politici avrebbero offerto in futuro comportamenti ben più riprovevoli! Furono il preavviso del suo coinvolgimento nelle indagini di “Mani pulite” (tanti rinvii a giudizio, una sola lieve condanna) che provocarono, come un golpe, l’azzeramento della maggioranza di quella classe politica e la dissoluzione del PSI in tante schegge. Successivamente dopo “una transitoria collocazione” – come la definì lui – nel polo di Berlusconi, nel 2007 cercò di riunire la diaspora socialista con il convegno di Bertinoro.  Ancora nel 2011 venne a Stella San Giovanni come un semplice militante, già sofferente, a promuovere la ricomposizione unitaria (lanciata via Facebook) dei socialisti nel nome di Sandro Pertini che – ricordò – “pur da spirito indipendente, aveva accompagnato dal Quirinale il nuovo corso del PSI e la presidenza Craxi”. Il suo nome è stato riportato di recente alla ribalta dall’ex ministro degli Esteri britannico Boris Johnson a proposito del problema dell’immigrazione. Johnson diceva che, per i paesi europei, per arrestare il fenomeno sempre più massiccio delle migrazioni dall’Africa, è ormai diventato improrogabile seguire le indicazioni di quel ministro italiano “a cui piacevano le discoteche” ovvero un piano europeo a lungo termine di investimenti per attivare lo sviluppo economico dei paesi africani. Ora Gianni De Michelis ha raggiunto, dopo otto mesi, il suo amato fratello Cesare, critico letterario ed editore, anche lui socialista. Ad ambedue va il commosso ricordo dei compagni. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PARTITA A SCACCHI NEL MEDITERRANEO: COSA NON DICONO I CANDIDATI EUROPEI?

di Aldo Ferrara | – Socialismo XXI Lazio Il Mediterraneo è sempre al centro della geopolitica petrolifera. In questi giorni iniziano le operazione attive per la costruzione del Poseidon, East Med, l’oleodotto che drena dai giacimenti israelo-libanesi Tamar, Aphrodite e Leviatan e anche la Turchia inizia trivellazioni parallele al largo di Cipro. Una nave turca “Fatih” ha iniziato a perforare un pozzo di 5.500 metri nel Mar Mediterraneo venerdì 3 maggio in una zona rivendicata sia da Cipro che dalla Repubblica turca di Nord Cipro. A nulla sono valse le sollecitazioni della UE e di Washington. Insensibile ai richiami occidentali, la Turchia sembra essere entrata nella sfera d’influenza russa e assume iniziative in palese contrasto con l’UE. Anzi sembra, secondo Rettman (maggio 2019), che l’Azienda petrolifera statale turca (Türkiye Petrolleri Anonim Ortaklığı, TPAO) abbia annunciato di aver acquistato una seconda nave da perforazione, chiamata Yavuz, che lavorerà a fianco del Fatih, nelle trivellazioni. †Si innesca dunque una miccia nello difficile scacchiere del Mediterraneo dell’Est, con la sempre attuale contesa tra la Repubblica Cipriota del Sud  e quella del Nord di sfera turca. Il problema delle trivellazioni nel Mediterraneo, specie in Adriatico e nel Mare Nostrum orientale, è questione di primaria rilevanza UE, sia perché si inscrive nella politica energetica UE, sia perché ancora una volta l’Europa appare un vaso di coccio tra USA e Russia, all’alba di una guerra fredda energetica. Il ruolo primario di Israele nella fornitura di gas mediante Poseidon, favorito da Trump, contrasta vivacemente con le forniture azere di Shah-Deniz e del North Stream II che collega la Russia con la Germania nel corridoio nord delle pipeline. L’Italia non è affatto esclusa da questa partita a scacchi mediterranea. Anzi lo è da tempo, almeno dal 2017 quando l’allora Ministro del MISE Carlo Calenda avallò un memorandum d’intesa (Nicosia, martedì 5 dicembre 2017, firma dei ministri dell’Energia cipriota, greca e israeliana con l’ambasciatore italiano a Cipro, in previsione di un accordo intergovernativo per l’anno successivo). L’Ente nazionale di riferimento, l’ENI, non è interessata nel progetto che è stato preso in carico dalla IGI Poseidon, società in joint al 50% tra Edison e la greca Depa. L’allora ministro dell’industria italiana Carlo Calenda aveva dichiarato: “Siamo la seconda economia manifatturiera in Europa, la diversificazione e la qualità delle nostre fonti energetiche sono fondamentali per il Paese e la sua competitività”. Come dire: Diversifichiamo le fonti e con esse le industrie italiane coinvolte (n.d.a.). Ciò significa che il ruolo dell’ENI resta universale, ma per questo progetto forse era più adatta una Compagnia privata, quasi fosse sganciata dagli obblighi internazionali italiani. Nascono spontanei due quesiti:† – Durante una campagna elettorale per le Elezioni Europee a nessuno viene in mente di riferire agli elettori cosa sta avvenendo nelle acque di casa nostra? Cosa dicono il Presidente del Parlamento Europeo, l’italiano Tajani e i nostri Deputati Europei presenti nella Commissione Energia del PE, la Vicepresidente della Commissione Patrizia Toia e gli italiani, Borrelli, Ciocca, Patriciello, Salini, Tamburrano, Zanonato? – Quali sono i pronunciamenti dei candidati in merito al supplying energetico che tanto incide sul nostro Bilancio e che ci vede coinvolti nella più grave crisi di geopolitica mediterranea dopo la guerra fredda? *Rettmann A. Turkey drills for gas in Cyprus’ waters, prompting EU outcry, EuObserver, 06.05.2019Ferrara A., Colella A., Nicotri P. Oil geopolitics, Agorà&CO, Lugano 2019 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL GOVERNO PERSEGUE L’ABOLIZIONE DEL CNEL

di Giuseppe Scanni | Socialismo XXI Lazio Sabato 4 maggio, alle ore 17, l’ANSA ha battuto un’informazione evidentemente considerata dal Governo essenziale, visto il giorno semi festivo e gli avvenimenti – catastrofici – in cui si dibatteva il pianeta (primi fra tutti il bombardamento palestinese sui territori israeliani, la guerra civile in Libia e la tragedia venezuelana). Titolava l’ANSA: “ Riforme: Fraccaro, 8/5 in Senato per abolizione Cnel”, e quindi veniva riportato il comunicato del ministro per i Rapporti col Parlamento, onorevole Fraccaro: “Impegno nel contratto che manteniamo, ente inefficace (ANSA) – ROMA, 4 MAG – “La proposta di legge per l’abolizione del Cnel mercoledì arriverà in Senato. Un altro impegno del contratto di Governo che manteniamo, nell’ottica di restituire piena efficienza alle istituzioni. Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro si è rivelato un ente inadeguato agli scopi per cui era stato concepito, ed è ormai superato delle dinamiche istituzionali che garantiscono la rappresentanza delle forze sociali”. Lo annuncia il ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia diretta, Riccardo Fraccaro. (ANSA). ESP 04-MAG-19 16:55 NNNN” Perbacco! Un Governo che ha millantato possibile varare una Legge di Bilancio che espone l’Italia a dover sborsare trenta miliardi, ed ora è esposta all’obbligo di dover  aumentare il peso di IVA ed Accise; che ha esautorato il Parlamento costringendo le Camere  a votare una Legge il cui articolato non era ancora stato redatto a causa delle contraddizioni interne all’Esecutivo; che non sa come uscire dalla lacerante crisi interna alle forze di maggioranza; che ha perso il residuo di credibilità internazionale lasciata dall’onorevole Renzi -appena appena ricostituita dall’onorevole Gentiloni-, secondo l’onorevole Fraccaro e l’Avvocato del popolo , Conte, avrebbe un solo problema urgente: abolire il CNEL.  La proposizione in verità apparirebbe ridicola, forsanche scioccherella ove qualcuno avesse pensato di chiamare alle armi, per una guerra dei bottoni un popolo considerato sempre bambino, al fine di nascondere la vera guerra, quella che ha gelato il Contratto di maggioranza e falcidiato i rapporti tra populisti di destra ed altri populismi.  Forse l’immaginazione maliziosa può disegnare i contorni di un’altra interpretazione dei fatti.  Il CNEL, tornato con la guida del Presidente, professor Tiziano Treu, e del segretario generale, Paolo Peluffo, ad una notevole attività ha presentato al Senato, così come previsto dall’art. 99, comma 3, della Costituzione, un disegno di Legge, il n°1214 col quale si definisce l’istituzione presso il CNEL del Comitato Nazionale per la produttività. Il CNEL, nella seduta del 27 marzo 2019, relatore il consigliere Gian Paolo Gualaccini, ha deciso di candidarsi sulla base della Raccomandazione 2016/C 349/01, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 24 settembre 2016, che prevede la creazione di un organismo super partes delegato all’analisi e alla valutazione della produttività e della competitività del sistema-Paese, monitorando gli sviluppi e proponendo le politiche e le riforme necessarie a livello nazionale per il rilancio dell’economia. Se la scelta del CNEL di candidarsi come sede del Comitato è conseguenza logica e giuridica della sua natura costituzionale e delle conseguenti prerogative di luogo istituzionale del dibattito pubblico e della partecipazione sociale, aiuta a comprendere la necessità di approvare il disegno di Legge 1214  anche l’altrettanto logica riflessione sul fatto che il funzionamento del Comitato solleva l’erario dagli oneri aggiuntivi alla finanza pubblica, grazie all’uso delle risorse già assegnate al CNEL.  Il Comitato che dovrà svolgere analisi economiche imparziali, valutare le misure pertinenti e formulare raccomandazioni, tenendo conto delle specificità nazionali e delle prassi consolidate e comunicarle alla Commissione Europea, dovrà anche predisporre e pubblicare una Relazione annuale propedeutica alle analisi della Commissione Europea effettuate nell’ambito del semestre europeo e della procedura per gli squilibri macroeconomici. Secondo il disegno di legge del CNEL sarà composto da rappresentanti suoi e di diverse istituzioni pubbliche, nonché da esperti, scelti tra persone di riconosciuta indipendenza, comprovata professionalità e qualificata esperienza a livello nazionale e internazionale.  Traggo da un comunicato del CNEL, che almeno da vent’anni – dai tempi della presidenza De Rita- non ha goduto come oggi di una diffusione di informazioni garbatamente esaustiva, quale deve esserlo la comunicazione istituzionale, una notizia che merita attenzione: sulla base della Raccomandazione 2016/C 349/01 il Comitato Nazionale per la produttività è stato creato ed è operativo in 10 Paesi Ue, è in fase di attivazione in altri 9. È questa una nota non di cronaca, ma che assume una valenza politica di prim’ordine. La maggioranza governativa, infatti, ha tentato di interpretare in modo originale di fronte ai comuni criteri valutativi la crescita prevedibile dell’economia nazionale, al fine di modificare, ampliandola, la possibilità di intervenire con spesa pubblica al sostegno di politiche dichiarate espansioniste ed anti recessive. Si sono visti i risultati. Un Comitato che produca analisi di alta qualità, aumentando la trasparenza, agevolerebbe sicuramente il dialogo politico tra gli Stati membri dell’Unione, ma renderebbe impossibile, con la indipendenza garantita dalla Costituzione al CNEL, che la propaganda si travesta da scienza, la falsa notizia quotidiana da inappellabile verità. Esattamente il contrario dei desideri di un Governo che disprezza il Parlamento sino a fargli votare in bianco leggi dello Stato e che trova la sua unità nella esasperazione del diniego alla democrazia rappresantiva, base su cui è stata costruita la nostra Costituzione. Questa maggioranza non ha nessun interesse a garantire l’autonomia funzionale degli organismi che cooperano al buon funzionamento della Repubblica. Presentando il disegno di Legge, il Presidente Treu ha ricordato che a partire dal (appena) il luglio dello scorso anno l’intensificazione delle attività del CNEL negli studi e ricerche in materia di competitività e produttività, con il supporto di tutte le forze sociali ed economiche del Paese, fu finalizzato a redigere “le indicazioni espresse nel documento di ‘Osservazioni e proposte sulla Nota di aggiornamento al DEF 2018’, ribadite all’audizione sul DEF 2019 alle Commissioni congiunte Bilancio di Senato e Camera”.   Apriti cielo. Il presidente Treu nel corso dell’audizione non nascose dubbi, perplessità delle forze sindacali e datoriali del lavoro sul documento presentato dal Governo.  Fraccaro non è stato né ridicolo né sciocco. È al contrario previdente, soprattutto se Conte si è …

LA POVERTA’ STRUTTURALE E QUELLA ASSISTITA

di Alberto Leoni – Coordinatore Socialismo XXI Triveneto Esiste una povertà “strutturale” legata a patologie stabili che impediscono il lavoro e l’autonomia economica o al degrado culturale e sociale molto difficile da aggredire e destinata ad essere “assistita” per tutta la vita. Ed esiste una povertà “temporanea”, legata a scarsità di reddito per assenza o insufficienza di redditi da lavoro, che riguarda persone in età attiva senza problemi di salute. Diversi, pertanto, sono gli strumenti con cui sostenere le due tipologie di povertà. Alla prima serve certamente un assegno di cittadinanza che ne garantisca la dignità, sapendo che durerà tutta la vita. Alla seconda servono azioni di inserimento guidato lavorativo, sostenuto economicamente nelle fasi di formazione e di ricerca attiva dai parte dei Centri per l’impiego, pubblici e privati. Nel dibattito che da mesi inonda il Paese sul reddito di cittadinanza questa distinzione fondamentale è sfuggita. Ne è nata molta confusione che ha impedito di rafforzare la legge sul Reddito di inclusione, anzichè perdere mesi per farne una nuova sul Reddito di Cittadinanza e di rivedere alcune misure del Jobs Act per chi resta senza lavoro. Ed è sfuggito un altro dato interessante: già oggi, noi spendiamo oltre 107 miliardi di euro per l’assistenza. Si va dagli assegni sociali (854 mila assegni sociali a 457 euro mensili) erogati dall’Inps a persone con più di 65 anni, senza redditi propri, alle pensioni integrate al minimo (quasi 4 milioni per 508 euro mensili), in costante riduzione negli ultimi anni: si tratta di pensioni “assistite”, non coperte da contributi sufficienti che lo Stato integra, ancora dagli anni ’70, per arrivare al minimo pensionistico. Una pensione su due, in Italia, è sostanzialmente assistita dallo Stato per contrastare il rischio povertà. Nel 2015 (ultimo anno disponibile Istat) i Comuni italiani hanno speso per povertà, disagio e adulti senza fissa dimora, il 7%, 483 milioni, dei quasi 7 miliardi di euro dedicati alla loro spesa sociale: ad essi si devono aggiungere i 465 milioni di euro utilizzati per l’integrazione delle rette di anziani ospiti di strutture protette. In uno scenario così complesso, è giunto il momento di riordinare tutta la spesa assistenziale oggi molto frammentata e non sempre ben distribuita: una Commissione parlamentare, al massimo livello, con 6 mesi di tempo potrebbe farlo. Lo ripeto:parliamo di 107 miliardi di spesa. Si valorizzino, pertanto, tutte le ingenti risorse investite, riutilizzando bene le misure che già ci sono (oltre 60), semplificando le procedure, separando in modo definitivo previdenza ed assistenza nei bilanci Inps. Si ripensino bene e si rafforzino le misure di tutela della non autosufficienza (l’assegno di accompagnamento può continuare ad essere slegato dal reddito?); si portino le misure per la tutela del lavoro nell’ambito delle politiche attive del lavoro stesso e non dell’assistenza. Si promuovano, infine, reti territoriali (non i soli Centri per l’impiego) per il sostegno della persona e della famiglia povera: saranno queste “reti” il vero motore delle misure per una vera inclusione sociale. La storia di questi ultimi trenta anni, infatti, ha insegnato che il solo intervento finanziario non è efficace per uscire dalla povertà. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON E’ POPULISMO, SI CHIAMA ALTRA POLITICA (UNA TERZA VIA TRA ESTABLISHMENT E DEMAGOGIA)

di Giacomo Russo Spena | Partendo dalla battaglia semantica per il recupero della parola “populismo”, un libro di Pierfranco Pellizzetti analizza le storture del Sistema vigente – dominato dalla finanza globale – fornendo alcune strade per l’alternativa: bisogna riorganizzare il frammentato mondo del lavoro e ripartire dai beni comuni. Rilanciando l’idea del conflitto, anche aspro, inteso come motore del cambiamento e della democrazia radicale; la città sarebbe il luogo ideale per esercitare questo (necessario) antagonismo. La battaglia è, innanzitutto, semantica. La tesi di Pierfranco Pellizzetti, saggista ed autore del libro “Il conflitto populista” (138pp, Ombre corte), parte dallo stravolgimento di significato del lemma “populismo”, etichetta ormai utilizzata per espellere dal discorso pubblico le posizioni di chiunque osi criticare i diktat delle oligarchie economico-finanziarie. Peggio ancora, si definiscono “populisti” leader come Trump, Putin, Salvini, Le Pen, Orban e Grillo. Mentre, per Pellizzetti, tali personaggi non sarebbero altro che abili demagoghi sotto mentite spoglie. “Il populismo di destra – si legge nel libro – è soltanto una trappola semantica per dirottare l’energia dei più a vantaggio dei pochi, a favore di interessi e obiettivi anti-popolari”. Come? “Con le politiche della paura e con la mutazione del concetto stesso di sicurezza, da security (il proprio ruolo sociale) a safety (incolumità fisica)”. Una volta puntualizzato come i demagoghi rappresentino l’altra faccia della tecnocrazia e un cambiamento fittizio – più nominale che reale – il populismo, spogliato dalle storture mainstream, rimarebbe termine nobile per individuare gli outsiders, il 99 per cento, in contrapposizione all’elite dominante, l’1 per cento. Il “populismo” sarebbe parola da rivalutare e far coincidere con l’Altra Politica. O, più semplicemente, una mera tecnica per costruire quell’alternativa ad oggi mancante. I punti salienti si possono sintetizzare con la costruzione di un “noi” identitario (basso) contro un “loro” (alto), l’ostilità all’establishment, la personalizzazione della politica, la mobilitazione mediatica, la semplificazione del messaggio e, ovviamente, l’appello al popolo. Prendendo in prestito le tesi dei noti mentori del “populismo di sinistra” Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, il popolo non è definito come referente politico ma è fondamentale la “costruzione di una volontà collettiva capace di determinare una nuova formazione egemonica che ristabilisca l’articolazione tra liberalismo e democrazia”. A differenza di quanto si dica, l’obiettivo è restaurare la democrazia, per rafforzarla ed estenderla, in un’era in cui il Sistema appare sempre più autoritario e dominato dalla finanza globale. Il libro, nei primi capitoli, registra in tal senso un prezioso excursus storico per spiegare come si è giunti all’odierno Ancien Regime. Dalla fine degli anni Settanta – dopo i Gloriosi Trenta che avevano visto la crescita dell’Europa con politiche keynesiane, di sviluppo e di giustizia sociale – inizia una controffensiva neoliberista con la cessazione del gold standard e la stagflazione. Una controffensiva capeggiata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher che ha portato ad un pensiero unico egemone nella società. Il dogma dell’austerity. Vengono messi al bando principi come la solidarietà, l’eguaglianza e la redistribuzione delle ricchezze. Lo slogan dominante è stato “Tina-There is no alternative”. Ciò ha portato alla fine delle socialdemocrazie europee che, negli anni, hanno via via abbandonato le ragioni della sinistra – sposando le larghe intese seguendo la logica dell’estremismo di centro – assumendo come proprio il paradigma della “terza via” di Tony Blair. Quella dei socialdemocratici è stata una mutazione genetica dovuta sia a errori soggettivi che alla insufficiente analisi e comprensione nel “mare in subbuglio di quel capitalismo in via di mutazione”, per parafrasare lo storico Eric Hobsbawm, finendo per screditare – a livello nominale – il termine “sinistra”. Eppure le conseguenze di queste politiche erano lapalissiane. Non soltanto la fine del sogno europeista – l’UE ha imboccato un vicolo cieco ed è ad un passo dall’implosione – ma anche lo svuotamento della democrazia, con annessa perdita della sovranità popolare, e l’aumento esponenziale delle diseguaglianze. E poi hanno prodotto la crisi delle imprese, la disoccupazione crescente, il peggioramento delle condizioni degli occupati residuali e la riduzione delle protezioni sociali. Un Sistema al collasso dove il lavoro è stato assassinato a vantaggio esclusivo del capitale: il lavoro ha totalmente perso la sua centralità in una logica di guerra di classe dall’alto verso il basso, come ammesso dallo stesso miliardario Warren Buffett. Ma se l’irradiamento economico, politico, culturale e mediatico del mondo anglossassone, epicentro del Novecento, è entrato in declino, la riorganizzazione capitalistica – Pellizzetti menziona gli studi di Giovanni Arrighi sulla fine dell’egemonia americana e sui nuovi cicli di accumulazione capitalistica – avrebbe così conscientemente provveduto a cancellare dalla scena le sue storiche controparti, a cominciare dal lavoro organizzato. Oltre a ridefinire il concetto di populismo, l’autore fornisce spunti di riflessioni per costruire l’alternativa al Sistema dominante. Per contrastare la deriva post democratica che affligge le nostre società sarebbe necessario riscoprire la natura agonistica della democrazia stessa. Per questo, come dice, l’economista Thomas Piketty: “Se si vuole riprendere davvero il controllo del capitalismo, non esiste altra scelta se non quella di scommettere fino in fondo sulla democrazia”. Quest’ultima è indissociabile dal conflitto, anche aspro, tra alternative politiche chiaramente distinguibili, in assenza delle quali essa risulta fatalmente svuotata. Nel libro vengono riportate le parole di Albert Otto Hirschman: “Sono i conflitti a produrre quei preziosi legami che mantengono unite le società democratiche moderne […] L’idea che il conflitto possa svolgere un ruolo costruttivo nei rapporti sociali ha una lunga storia”. Il conflitto sociale inteso come sale della democrazia. Dall’autore viene definito anche il luogo ideale per esercitarlo: la città. Gli spazi urbani sono sempre più terreno fertile per le scorribande dell’establishment e hanno, strada facendo, l’idea di bene comune e di coacervo di diritti di cittadinanza. Oggi, infatti, le città sono obiettivo prioritario degli investimenti finanziari di carattere speculativo, che generano dinamiche di gentrificazione molto difficili da contenere per i poteri dei governi locali. Negli anni Sessanta Henri Lefebvre ha coniato il termine di “diritto alla città” per esprimere il fatto che debba tornare alla gente nonostante la sua trasformazione in spazio di speculazione finanziaria e di generazione di profitti. Lefebvre propugna che siano …

L’EDUCANDA CHE AMMINISTRA ATLANTIA SOSPIRA LANGUIDA AL PENSIERO DI UN PROSSIMO LUSSURIOSO PECCATO DA CONSUMARE NEI CIELO DELLO STATO?

di Giuseppe Scanni | Socialismo XXI – Lazio L’avventura dell’ennesimo salvataggio dell’Alitalia, tramite una ri-nazionalizzazione a bassa intensità ottica (maggioranza assoluta azionaria tramite Ferrovie dello Stato, Fondo 4R gestito da Cassa Depositi e Prestiti, in rappresentanza delle quote di CdP e MEF e la partecipazione di società private -Delta Airlines ed un’altra da designare-  per il 30% delle azioni restanti, il 15% cadauna), ha fatto emergere la capacità di condizionamento che la famiglia Benetton, per il tramite della holding Atlantia, è in grado di esercitare sugli interessi dello Stato. Atlantia, che già controlla la società Aeroporti di Roma, che di Alitalia è l’hub, fa mostra di educata ritrosia ad accettare il gravoso impegno; tramite il molto indagato amministratore Giovanni Castellucci (quaranta morti ed il crollo del ponte Morandi a Genova) ha fatto anche sapere pubblicamente che «abbiamo tanti fronti aperti che non possiamo impegnarci su un fronte talmente complesso come è Alitalia». Dichiarazione che la dice lunga su come Castellucci guarda allo Stato concedente, un nemico contro cui si combatte una guerra su più “fronti”. E che si fa col nemico in guerra? si combatte e si tratta (riservatamente). Ed infatti alle domande incalzanti dei giornalisti ieri presenti alla una mostra su Leonardo organizzata nell’aeroporto di Fiumicino, il plurindagato Castellucci, con la ritrosia pudica che gli è propria, si è schernito con la classica e coraggiosa locuzione: «non posso dire di più», buona per il futuro mobile giacché altrimenti si direbbe: «argomento chiuso. Non c’è altro da dire.» Cosa ci sarà che non si può dire? Forse che la sospensione delle concessioni autostradali, lì dove non è stato ottemperato l’obbligo di cura e salvaguardia dell’infrastruttura e della sicurezza, deve essere riposto nel cassetto del dimenticatoio di Stato? Oppure che bisogna anche dimenticare il proposito del ritorno alla legalità sul sistema di assegnazione delle Concessioni, burlato dalla posticipazione concessa dai Governi e dalle loro maggioranze e contraria alle direttive dell’Unione? Ci chiediamo: è vero che la faccia di chi ci governa ha la consistenza della dura pietra ma possibile che la paralisi collettiva dell’apparato uditivo e della lingua abbia drammaticamente e collettivamente colpito tutti, ma proprio tutti i parlamentari dell’opposizione? Sinistra, se ci sei, battilo qualche colpo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ANCORA SU FASCISMO E ANTIFASCISMO

Il 15 aprile 2019 il Comune di Milano, la Fondazione Kuliscioff insieme ad altre Fondazioni, inaugurano una stele commemorativa dove sorgeva la sede dell’Avanti! che fu assalita e devastata dalle squadre dei fasci di combattimento lo stesso 15 aprile di cento anni fa. Il giorno seguente la stele  è stata imbrattata con un simbolo neofascista e la scritta (riprendendo uno slogan del 1919): “l’Avanti! non c’è più”. di Franco Astengo | “Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio”, il libro della giornalista Chiara Giannini – che uscirà per la casa editrice Altaforte, vicina a Casa Pound – fa discutere ancor prima di finire sugli scaffali. “Cento domande all’uomo più discusso d’Europa –“ Questa la notizia di poche ore fa che significa l’ennesima dimostrazione di disvelamento di una realtà che molti non intendono vedere rifugiandosi nell’idea che “il fascismo non potrà ritornare” e che questo razzismo, sovranismo, corporativismo di ritorno è cosa diversa dal fascismo e che il tutto alla fine rientrerà nell’ambito di una sorta di “normalità”. La stessa posizione questa di una sorta di sottovalutazione neghittosa che nel 1921 assunsero i notabili liberali nei confronti del fascismo nascente. Fascismo già capace di imprese come quelle dell’incendio della sede dell’Avanti! di Milano e delle razzie nelle campagne a favore degli agrari. Mentre circolano posizioni del tipo “Mussolini ha fatto anche cose buone” ribadiamo la nostra convinzione, già espressa in tante occasioni, circa la necessità di leggere tempestivamente i segnali che ci vengono di accostamento tra la Lega e le fasce più estreme del fascismo di oggi e valutandoli appieno nella loro pericolosità. In questo senso si ribadisce come emergano complicità e ipocrisie da parte del mondo politico. Complicità e ipocrisie che altro non rappresentano che il frutto delle tante e delle troppe concessioni fatte non tanto sul piano storico, ma su quello morale e sui cedimenti avvenuti nella definizione dei principi fondativi non solo della nostra Repubblica ma della stessa convivenza civile a partire dal mutamento di segno del concetto aberrante di razzismo. Cedimento politico e morale attraverso il quale si sono aperti varchi per l’idea presidenzialista di modifica della centralità del Parlamento nel sistema politico così come previsto dalla Costituzione. Centralità che verrebbe spostata verso il primato del governo esaltando anche la personalizzazione della politica, ormai arrivata al punto di far sì che a livello di massa è diventato senso comune abbandonarsi all’idea dell’uomo solo al comando. Il quadro generale è quello di un sistema politico estremamente fragile, di una struttura dello stato che non regge, di un governo basato su di una logica da “voto di scambio” esercitato a livello di massa e su di una società che in sue larghe parti non riesce a esprimere nulla di più di un corporativismo diffuso, di un “individualismo della paura”, di una richiesta di assistenzialismo passivo. Sistema politico fragile e uomo solo al comando uguale grandi pericoli per la democrazia repubblicana. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’OSSESSIONE PER LA SICUREZZA HA FATTO UN’ALTRA VITTIMA A SINISTRA

di Pierfranco Pellizzetti | Mentre Matteo Salvini impazza nel suo delirio egemonico, arrivando al commissariamento prefettizio dei sindaci, la puntata di Otto e mezzo su La7 del 17 aprile è stata l’ennesima conferma del vassallaggio linguistico (che poi è culturale) di una Sinistra benpensante e titubante nei confronti della Destra tracotante. Iniziava la conduttrice evocando sulle dimissioni della presidentessa della Regione Umbria il fantasma “giustizialismo” (fantoccio polemico creato dagli spin-doctor berlusconiani, già al tempo di Mani Pulite, per cui il movimento peronista anni 50 diventava sinonimo di uso persecutorio della giustizia). Proseguiva la candidata alle Europee Alessandra Moretti, proponendo il solito tema sicuritario come piattaforma per il rilancio del fantasmatico Pd in cui milita (accompagnandone tutte le evoluzioni: da Pierluigi Bersani a Nicola Zingaretti passando per Matteo Renzi). Poi, davanti al severo cipiglio di un Tomaso Montanari alla Piero Calamandrei (e nell’intento di rifarsi una verginità dopo la catastrofe personale alle regionali venete), precisava di riferirsi a “sicurezza garantita da diritti”. E Massimo Cacciari, una volta tanto benevolo (o ancora una volta sensibile all’eterno femminino), gliela faceva passare liscia. Resta il fatto che la Moretti si candida con un documento programmatico di partito che recepisce alla lettera il mirabolante contributo contenutistico pariolino-confindustriale di Carlo Calenda. In un Pd che continua a sbandierare il formidabile ruolo svolto da Marco Minniti foraggiando kapò libici come risolutori del problema immigrati, quando faceva da battistrada a bulli leghisti nel governo di Paolo Gentiloni. Tutto questo per dire che “sicurezza” è termine carico di ambiguità, ampiamente strumentalizzato dalla Destra per la sua corsa al potere. Infatti a tale proposito è più preciso l’inglese quando ne sdoppia il significato in due parole diverse: security e safety. La prima significa “sicurezza della propria posizione nella società” (diritti e lavoro), concetto fondativo dell’ordine benevolo di una stagione che inizia in America con il New Deal e in Europa con il Welfare State nei primi 30 anni del Dopoguerra. La seconda parla di incolumità, quell’ansia che si è diffusa a macchia d’olio fino a diventare vera e propria paranoia di massa grazie alle politiche della paura che hanno trasformato in un bronx, in un delirio tipo Fuga da New York (il film catastrofista di John Carpenter), anche buona parte dei nostri più tranquilli paesaggi urbani. Una profezia da far risalire ai telegiornali ansiogeni e tutto effettacci di Emilio Fede su Retequattro, che si è avverata anche grazie alla totale assenza di politiche dell’accoglienza e al diffondersi di azioni mirate a indurre guerre tra poveri per occultare l’inettitudine delle classi di governo, e al tempo incassarne i dividendi in sede elettorale. Una lezione che noi italioti abbiamo appreso molto bene importandola acriticamente dagli States. La strategia del ribaltamento dei criteri prevalenti dalla solidarietà alla possessività, che i think tanks d’Oltreoceano avevano elaborato in due modalità: appunto, indurre paura per poi agitare il drappo della safety-incolumità. Convincere il ceto medio che era suo interesse pagare meno tasse e sbaraccare il sistema di sicurezze sociali (security), l’infrastruttura pubblica della cittadinanza: sanità, pensioni, scuola. Il tutto coperto da ben studiati slogan (“la società non esiste, esiste solo l’individuo”, “imprenditorializzatevi”, “il consumatore è sovrano”), mentre la solitudine indotta dalle disuguaglianze iniziava a dilagare, cresceva l’espulsione di massa dal lavoro e ora scopriamo come e quanto i nostri comportamenti siano manipolati. L’armamentario della Destra, che una Sinistra inebetita continua a scimmiottare. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it