L’INVITO DI CALENDA

di Silvano Veronese – Socialismo XXI Veneto | Ho ricevuto – assieme a tanti altri cittadini una –lettera-invito– di Carlo Calenda con la quale annuncia l’apertura della Sua campagna elettorale nel Nord-est a Vicenza (non è casuale la scelta della provincia, la quarta più industrializzata d’Italia). Nella lettera si dilunga nella presentazione politica di “SiamoEuropei” che concorre a definire la piattaforma elettorale del PD e la sua lista. Dice che non sarà un nuovo Partito per dividere (ovvio, se Lui è iscritto a detto Partito) ma aggiunge alla fine che “dopo le elezioni europee la Sua Associazione continuerà ad esistere e crescere per diventare il punto di riferimento dei cittadini liberali, democratici e progressisti”. Non avevo dubbi, ma perchè resta iscritto al PD ? Ma non è questo aspetto che mi solletica: cita i liberali (non avevo dubbi, Lui lo è!) ma fra i democratici e i progressisti non cita i socialisti (con buona pace di Nencini e soci). Anche Lui, pur ragazzo colto ed intelligente e laico, partecipa al processo di rimozione del socialismo e dei socialisti. Ecco, allora, una ragione in più per procedere con caparbietà nella iniziativa di SOCIALISMO XXI per una Epinay del socialismo e del riformismo autentico italiano. Anche perchè mi sarebbe facile chiedere a Calenda: Hai chiamato la Tua iniziativa “Siamo Europei” (lo siamo tutti dalla nascita, l’Italia non sta in Asia) ma siamo europei per che cosa? Per una Europa dei banchieri e della finanza che detta gli obiettivi alla politica e alle forze sociali e produttive? Per una Europa che non fa niente per porre fine al mattatoio di emigranti subsahariani in Libia o li lascia morire nel Mediterraneo pensando che il loro salvataggio sia compito della sola Italia? Per una Europa del rigore di bilancio ma che accetta fra i suoi Stati alcuni veri e propri paradisi fiscali per le multinazionali? Per una Europa non democratica e non partecipata governata dalle decisioni del duopolio carolingio franco-tedesco? Per una Europa che, oltre alla moneta unica non riesce a far diventare UNICO il modello sociale europeo (imperniato su un welfare serio e l’estensione contrattuale a favore di tutti i lavoratori) praticato solo in alcune poche nazioni fra cui l’Italia e permettendo situazioni di dumping sociale in tanti altri Stati membri? Come dice il compagno Jean Luc Melenchon, il vero Rinascimento europeo passa per motivare i popoli europei a parlare una lingua comune, quella dell’eguaglianza e della solidarietà sociale assieme alla libertà, dell’interesse generale che prevalga su quello di una minoranza di privilegiati, che parli dei diritti sociali e del bene comune da estendere e non da comprimere e devastati in questi anni da una spregiudicata azione della grande finanza che si è imposta sulla politica e sulla sovranità popolare attraverso l’integralismo del pensiero unico liberista, a cui le socialdemocrazie hanno risposto debolmente o non risposto affatto. In poche parole un po’ di più di socialismo e non la sua rimozione. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ECONOMIA, UN PUNTO DI VISTA DOMINANTE

di Pierfranco Pellizzetti | «È importante ricordare che tutti i tipi dimetodi contabili sono convenzioni socialiin evoluzione. […] Che riflettono le idee,le teorie e le ideologie dell’epoca in cuisono concepiti»[1].Mariana Mazzucato «Il PIL (prodotto interno lordo) diventa il suorovescio: LIP (lordura interna prodotta). Lacurva esponenziale della produzione è anchela curva esponenziale dei rifiuti»[2].Giorgio Ruffolo Il mito infranto dell’espansione infinita Novembre 2008. A meno di due mesi dal crollo della banca d’affari newyorkese Lehman Brother, dimostrava di averlo capito perfino la regina Elisabetta II d’Inghilterra quando, durante il tradizionale incontro con gli economisti della London School of Economics, pose loro la domanda decisiva (e ferale): «come è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?»[3]. Una crisi che «affonda le sue radici nella deregolamentazione al ribasso, in una fede ingenua nella capacità dei mercati di correggersi da soli e nella perversa ideologia del ‘valore per l’azionista’, che ha consentito a poche migliaia di banchieri padroni dell’universo di saccheggiare i propri istituti senza sentirsi in colpa»[4]. Cocktail micidiale, cui va aggiunta la bomba a orologeria della cosiddetta cartolarizzazione, ossia la tecnica con cui una banca trasforma crediti illiquidi in titoli cedibili sul mercato, liberandosi del rischio relativo a scapito dell’acquirente, nonché la serie infinita degli altri “derivati”; titoli che – appunto – derivano il loro valore da un altro asset finanziario oppure da un indice specifico. Giochi di puro prestigio, che funzionano fino a quando non esplodano le bolle speculative conseguenti. Come nel fatidico 2007/2008. Già scriveva Luciano Gallino a tale proposito: «una sola cifra può dare un’idea del volume di titoli che non hanno altra base se non un’ipotesi su un futuro scollegato da qualsiasi attività produttiva: per il 2010 si stimava che il valore nozionale o nominale dei derivati in circolazione ammontasse a 1,2 quadrilioni di dollari. Il PIL mondiale di quell’anno arrivava a malapena a 60 trilioni di dollari»[5]. La follia emersa e dilagata a fine Novecento, sommatoria all’ennesima potenza di avidità e incoscienza, percepita compiutamente soltanto nel corso del primo decennio successivo, e che comincia a essere oggetto di crescente esecrazione: a partire dai movimenti dell’indignazione, acquartierati dal 2011 nelle civiche piazze di oltre 950 città, per poi assurgere a vere e proprie icone cinematografiche; quali The Wolf of Wall Street, diretto nel 2013 da Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio, o The Big Short di Adam McKay con Brad Pitt e Christian Bale (2015). Tragica epopea che – come ormai iniziamo a rendercene conto – ruota attorno alla declinazione distorta del concetto di crescita. Ossia l’idea che la corsa a un ininterrotto accumulo quantitativo materiale – in altri termini “lo sviluppo” – sia l’essenza e la missione della civiltà occidentale. Per dirla con l’editorialista economico del Financial Times David Pilling, non solo il metro di misura ma anche le lenti con cui vediamo tutto, a partire dalla politica[6]. L’ideologia che guida le classi dirigenti nel ridisegno sviluppistico del mondo; dal tempo in cui il Capitalismo è assurto a one best way della Modernità. Appunto, nel rapporto collusivo tra tale ideologia e la politica. Come già altre volte ricordato, «una delle ragioni per cui i politici amano tanto la crescita economica è che consente di accantonare lo spinoso problema della distribuzione»[7]. Mistificazione smascherata dall’imprudente (o piuttosto proterva?) dichiarazione dell’ex dirigente di Federal Resetve Henry Wallich: «la crescita è un sostituto dell’eguaglianza di reddito. Finché c’è crescita c’è speranza, e questo rende tollerabili grandi differenze di reddito». La ragione subliminale per cui ancora non esplodono le ricche società del mondo “avanzato”; in particolare il suo capofila americano, dove i salari medi sono in stagnazione dagli anni Settanta, mentre le dimensioni della sua economia solo negli ultimi quindici anni erano cresciute dell’80%. A unico vantaggio dei detentori di capitale. Sia come sia, secondo il professore emerito all’Institut universitaire de hautes études internationales et du développement (IHEID) di Ginevra Gilbert Rist, «questa credenza ha permesso in primo luogo di giustificare l’incredibile ‘progresso nella prosperità’ dei paesi del Nord; essa è poi servita da garanzia a cinque decenni di entusiasmi messianici nel corso dei quali si è fatto di tutto per accelerare e realizzare la generalizzazione di un benessere materiale ricalcato su quello dei paesi detti sviluppati»[8]. L’omologazione planetaria come globalizzazione finanziarizzata: l’assiomatica dell’interesse che esclude qualsivoglia forma di benevolenza; con la sua illusione di rappresentare l’estensione del mercato autoregolantesi all’intero orbe terraqueo. Un altro mito di cui aveva fatto piazza pulita l’economista ungherese Karl Polany nel lontano 1944 («non vi era nulla di naturale nel laissez-faire. I mercati liberi non avrebbero mai potuto esistere se si fossero lasciate le cose al loro corso»[9]). Alle origini (benevole) della tirannia economicista Eppure questa storia plurisecolare era iniziata con premesse ben più rassicuranti; come ci ha raccontato uno straordinario “irregolare” quale Albert Otto Hirschman, grazie al suo sapiente zizzagare tra economia, storia e psicologia sociale, nel suo aureo libello sottotitolato “argomenti in favore del capitalismo prima del suo trionfo”. Un ragionamento che riformula la classica domanda che già si era posto Max Weber nel celebre saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo («come poterono nell’età moderna acquistare rispettabilità il commercio e la banca e le altre attività dirette al solo guadagno, dopo che per secoli erano state condannate o disprezzate come forma di cupidigia, amore del lucro e avidità?»[10]); dandosi una risposta assi diversa da quella weberiana. Secondo Hirschman il punto di intersezione non avviene nella sfera religiosa, ma concerne l’esaurimento (con relativo discredito) dell’ideale cavalleresco, la sua ideologia dominata dal principio aristocratico dell’onore. Sicché la ricerca di una nuova base di ancoraggio portò alla scoperta che «una categoria di passioni sino ad allora note come avidità, cupidigia, amore del lucro potesse essere utilmente impiegata per contrastare e imbrigliare altre passioni come l’ambizione, la brama di potere, la lussuria»[11]. La conseguente riclassificazione del “fare denaro” a “interesse”, contrapposto alla mentalità eroica dominante al tempo in cui egemone era la noblesse d’epée, divenne oggetto di apprezzamento, per essere investito del compito di arginare i devastanti effetti del perseguimento …

CONGRESSO PSI: CAMBIARE TUTTO AFFINCHE’ NULLA CAMBI?

di Luciano Zacchini* | Il congresso è finito: ognuno lo commenta come l’ha vissuto. Potrebbe essere finito Nencini: in troppi lo hanno ringraziato per il lavoro svolto da segretario. In particolare il neo segretario si è speso in lungo elogio e questo non mi fa ben sperare per la discontinuità sulle persone dal passato. Non è affatto detto sia finito il nencinismo: la pratica di tacere e rinunciare a fronte di due strapuntini, uno per sé e uno per gli amici, ottenuti con il voto di altri. Pratica che ha avuto per effetto quello di trasformare il partito nel comitato elettorale del segretario e dei suoi amici. Nonostante ciò, nei delegati, ho letto più la voglia di un aumento immediato della rappresentanza nelle istituzioni che di un percorso per capire che fare per costruire la casa dei socialisti italiani, cominciando dal riconoscimento e dalla correzione degli errori commessi. Nella maggioranza degli interventi, l’essere scesi nel consenso a qualche decimale di percento o non è stato trattato o, al più, è stato considerato quale inevitabile incidente di un destino capriccioso contro cui nessuna volontà umana può valere. Al contrario, il dibattito si è incentrato sulle prossime elezioni europee per decidere se entrare nella lista del PD, di cui il neo segretario Zingaretti ha già presentato il simbolo, o se apparentarsi in una lista comune con più Europa (guarda caso, entrambi al servizio dei poteri forti).  È cambiato l’uomo, non è detto la politica. Lo rilevo, inoltre, dal fatto che la questione centrale per i socialisti italiani, cioè il mettere fine alla diaspora che, assieme alla “damnatio memoriae”, ci rende impotenti e toglie di mezzo la compagine politica che ha permesso all’Italia di diventare la quinta potenza mondiale, non è stata minimamente trattata negli interventi se non da Mauro del Bue, che ha sostenuto che è impossibile (forse inutile) la Epinay italiana perché non ci sono più i Mitterand, i De Gaulle, i Marchais e quant’altri dell’epoca e dal neo segretario Maraio che ha invitato i fuoriusciti a rientrare in aula (immagino all’ultimo banco), senza spendere una parola sugli espulsi dell’ultimo decennio. Eppure gli errori commessi sono stati tanti che, inevitabilmente, hanno fatto capolino negli interventi. In particolare l’aver seguito pedissequamente Renzi è stato individuato la madre di tutti gli errori: dal Job Act, alla maldestra riforma costituzionale, alla legge elettorale incostituzionale, alla buona scuola e via elencando. L’esito di tale denuncia, tuttavia, non ha messo in movimento la ricerca sui motivi che hanno indotto il partito in tanti errori e sulle conseguenze che ne sono derivate. Anche il linguaggio, i toni, i conformismi, le affermazioni mai motivate, la classificazione degli uomini e dei provvedimenti secondo lo schema “destra/sinistra”, tutto ciò denota la permanenza di una cultura tardo sessantottina che resiste alle lezioni della storia. Rimangono le cose che incoraggiano per guardare con speranza al futuro: la buona rappresentanza giovanile, l’ostilità dei giovani ad omologarsi nel linguaggio prevalente, e gli interventi di alcuni compagni, non più giovanissimi, testimoni della cultura socialista di altri tempi costituita da onestà intellettuale, dal coraggio nelle proprie azioni, dalla verifica costante di operare per il bene comune e dall’impegno continuo per raggiungere gli obiettivi. Se posso trarre una prima indicazione per noi che vogliamo ridare agli italiani il vero Partito Socialista, il congresso del PSI, per le dimenticanze che si sono manifestate, ha confermato tutta l’importanza e la necessità della nostra azione (Socialismo XXI) tesa alla RICOSTRUZIONE DELLA IDENTITÀ DEL SOCIALISMO ITALIANO, quale passaggio obbligato verso la ricostituzione del partito che ne riunisca tutte le anime, mettendo fine alla diaspora socialista, voluta dai poteri forti (finanza ed informazione) e sostenuta da magistratura e comunisti. È possibile che nel partito che fu di Nencini, possa aprirsi una nuova fase. A noi compete, più determinati di prima, di completare il nostro percorso e, contemporaneamente, aiutare quei compagni che, dall’interno del PSI, coltivano i nostri stessi obiettivi. Sempre Avanti verso Genova 2020, la Epinay del Socialismo Italiano. Luciano Zacchini *Delegato al congresso Psi SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AL CONGRESSO DEL PSI

di Carlo Felici | Ascoltatemi, compagni, concittadiniIo vengo a seppellire il Partito Socialista Italiano non a lodarlo.Il male che un partito fa vive oltre di esso.Il bene, sovente, rimane sepolto nella sua storia, e sia così del Socialismo Italiano.Il nobile segretario vi ha detto che si pretendeva troppo dal PSIgrave colpa se ciò fosse vero, e il PSI con grave pena l’avrebbe scontataOra con il consenso del segretario e degli altri perché sono tutti uomini d’onore io vengo a parlarvi del Partito Socialista che è morto.Era quello che preferivo.Fedele, giusto, combattivo, generoso, equanime, appassionato….anche se il segretario dice che non si poteva fare di più, che era ambizione vana e il segretario è uomo d’onore.Sì, è vero! Sul pianto dei miseri senza lavoro, esodati, precarizzari, pensionati falcidiati, sulla Costituzione violata, il Partito Socialista lacrimava.Sarebbe di scorza ben dura un’ambizione vana, dice il segretarioe il segretario è uomo d’onore..E’ anche vero che tutti mi hanno visto lodare e offrire al Partito Socialistauna meta nuova e più concreta da condividere nella questione sociale ed ambientale: l’Ecosocialismo e perseguirla tenacemente in autonomia aggregante per sostituire alla becera parola sinistra, quella, più consona e luminosa per tanti, ma il Psi non l’ha adottata, il Socialismo italiano non è ancora Ecosocialismo. Anche se finalmente una mozione si è accorta che esiste. Ma il segretario dice che è ambizione vana, che è meglio entrare nella solita lista con il PD, meglio conservare quel che resta di qualche minuzia politica territoriale, meglio stare bonini anche se prendi un calcio in mezzo ai denti dalla Bonino.E il segretario è uomo d’onore..Io però non vengo qui a smentire il segretario ma soltanto a riferirvi quello che io so.Tutti voi amaste il Partito Socialista un tempo, non senza causa.Quale causa vi vieta oggi di piangerlo?Perdonatemi compagni, il mio cuore giace con il Partito Socialista in questo congresso. Devo aspettare che esso torni a me.Soltanto fino a ieri i valori del Partito Socialista scuotevano il paese e ora giacciono qui in questo congresso e non c’è un solo compagno che sia così miserabile da non dovergli il rispetto compagni.Compagni, se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla ribellione e al rinnovamento farei torto al segretario, al direttore, uomini d’onore, come sapete.No, no. Non farò loro un tal torto.Oh… preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini d’onore quali essi sono.E tuttavia io ho con me trovata negli scaffali della storia una bandiera rossa con il simbolo e la ragione sociale del socialismo, il suo testamento.Ebbene se il popolo conoscesse questo testamento che io non oso mostrarvi perdonatemi, il popolo si getterebbe sulle ferite del Partito Socialista per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro sangue, no…No compagni no, voi non siete pietra né legno ma esseri umani.Meglio per voi ignorare, ignorare… che il Socialismo vi aveva fatto tutti suoi eredi. Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste?Dovrei… dovrei dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato il Partito Socialista, insieme ai compagni esclusi da questo Congresso e a cui la tessera è stata rifiutata?E allora qui, tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a versarle.Io ricordo quando quella bandiera difendeva i lavoratori, tutelava i diritti civili, creava leggi per regolare il lavoro, una scuola e dei servizi sociali che fossero alla portata di tutti, quando faceva salire il prodotto interno lordo e faceva scendere l’inflazione, quando guidava l’Italia nel novero delle cinque maggiori potenze economiche mondiali, quando non si adattava all’Europa del liberismo sfrenato, ma faceva entrare nell’Europa altri paesi a guida socialista, quando difendeva gli oppressi e gli esuli di tutte le dittature, rosse e nere. Quando con il garofano levato, sapeva persino opporsi all’impero con il suo altolà! Tutti voi conoscete questa bandiera rossa, voi tutti sapete quanto il Partito Socialista italiano è stato esiliato, annacquato, umiliato, pugnalato ai piedi della statua di una sinistra prona all’ordoliberismo.Uomini d’onore sono quelli che dicono di avere salvato un partito nella perdita della sua ragione sociale, che hanno intinto il pugnale nel sangue di quella bandiera, dicendoci che da soli saremmo tutti finiti, che senza andare a rimorchio con qualcuno, saremmo stati spazzati via dalla storia.Fu allora che il potente cuore del Partito Socialista italiano si spezzò e con il volto coperto dalla sua bandiera cadde.Quale caduta compagni, tutti… io, voi, tutti cademmo in quel momento mentre disperazione e tradimento fiorivano su di noi.Che …ah… Adesso piangete?Senza aver visto le ferite di questa bandiera? Guardate qui, il Partito Socialista stesso lacerato dai traditori…No… no, compagni no, dolci compagni… Buoni compagni… Nooo… non fate che sia io a sollevarvi in questa tempesta di ribellione.Uomini d’onore sono coloro che hanno lacerato il Partito Socialista e io non sono l’oratore che è il segretario, ma un uomo che amava il Partito Socialista, e che vi parla semplice e schietto di ciò che voi stessi vedete e che di per sé stesso parla.Le ferite, le ferite… Del Partito Socialista… Povere bocche mute…Perché se io fossi al posto del segretario di questo partito, e non oso nemmeno pensarci, qui ora ci sarebbe una tempesta che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferite del Partito Socialista donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi. VAE VICTIS! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA GRANDE RISACCA: SINISTRA E CAPITALISMO AL TEMPO DELL’ALGORITMO

La tecnologia non è né buona né cattiva – nemmeno neutrale. (Prima legge di Kranzberg) L’egemonia viene prima del potere Più che tanti tomi di Aristotele, tre modeste invenzioni hanno cambiato la faccia del mondo: La bussola, la stampa, la polvere da sparo. Francesco Bacone, 1620 Egemonia: da Gramsci L’uso moderno del termine è in gran parte dovuto all’analisi dell’egemonia formulata da Antonio Gramsci per spiegare perché le rivoluzioni comuniste, previste dalla teoria marxista, non si sono verificate nei paesi capitalisti quando erano attese. Secondo Gramsci, questo fallimento delle previsioni è stato dovuto al controllo dell’ideologia, dell’autocoscienza e dell’organizzazione dei lavoratori da parte della cultura borghese egemone. Nell’idea di Gramsci, per poter arrivare alla rivoluzione comunista era prima necessario combattere una “guerra di posizione” per sostituire l’egemonia culturale della borghesia con quella degli elementi anticapitalisti. L’analisi gramsciana dell’egemonia culturale è stata introdotta in termini di classi (in senso marxista), ma può essere applicata in termini più generali: l’idea che le norme culturali prevalenti non debbano essere viste come “naturali” o “inevitabili” ha avuto un’enorme influenza sia nel campo politico che nel campo scientifico. Potere: forza e consenso Un’ulteriore distinzione del potere viene fatta tra il potere inteso come forza o potenza ed il potere inteso come consenso. La forza è la capacità di far valere, anche di fronte a un’opposizione, la propria volontà; il consenso è l’abilità di trovare obbedienza da parte di determinati individui in cui vi è un minimo di volontà di ubbidire, cioè un interesse all’obbedienza. La seconda definizione è più vicina al punto di vista dell’antropologia di potere come autorità. Questa distinzione era già stata anticipata da Machiavelli quando parlava di leoni e volpi; i primi userebbero la sola forza per ottenere il potere (e alla lunga sono sconfitti), i secondi il consenso (la persuasione). Weber (vedi nel seguito) usa le due parole tedesche Macht ed Herrschaftper forza e consenso. Heinrich Popitz vede il primo tipo di potere come imposto dall’alto con la forza e la paura, il secondo che si forma dal basso a causa del rispetto, del riconoscimento di una superiorità. Tra Mondializzazione dei Mercati / Ri-territorializzazione degli Interessi Il mondo da oltre un decennio è attraversato da un doppio movimento: da una parte una sempre più spinta mondializzazione dei mercati, dall’altra una sempre più spinta ri-territorializzazione degli interessi; interessi locali e interessi nazionali. Il primo movimento rimanda al secondo e viceversa. La velocità di entrambi i movimenti sta nella rivoluzione informatica, nella potenza di calcolo che ne è il motore. Le due dinamiche, in una dialettica sempre più aspra e biunivoca, insieme modellano la struttura del mondo. E quindi necessariamente prima o poi anche la sovrastruttura politica e istituzionale, nei contenuti e nelle forme, dei singoli paesi. Questa doppia dinamica, nella potenza tellurica che sta assumendo, porta a configurare una spazialità politica inedita; inedita sia per la progressiva accelerazione assunta da tali movimenti sia per il peso, anche quantitativo dei fenomeni che tali movimenti innescano e producono. L’algoritmo risale ai primordi della storia dell’uomo La potenza tellurica di tali movimenti sprigiona dal nuovo nesso scienza/tecnologia, in accelerazione esponenziale, emblematicamente raffigurata dall’algoritmo. L’algoritmo risale ai primordi della storia dell’uomo, ai Babilonesi, a Pitagora, come ricorda P. Zellini, in La Matematica degli Dei e l’Algoritmo degli uomini. Solo oggi, però, con la potenza di calcolo prodotta dalla rivoluzione informatica, l’algoritmo diventa progressivamente un fattore determinante di ogni aspetto della vita quotidiana.  Il nuovo Spazio politico assume i contorni, la forma di una Grande Risacca: in termini sociali, ad un estremo la secessione dei Patrizi (Saskia Sassen), all’altro estremo la secessione dei Plebei. Le onde della globalizzazione dei mercati producono il Partito della Trilateral, il Partito di Davos, il cosmopolitismo della borghesia; le onde della riterritorializzatine degli interessi producono partiti territoriali, nazionalisti e leghisti. Fino al sangue e suolo di memoria fascista. La forma sociale: il Sindacato – la forma politica: il Partito Sinteticamente, tale doppio movimento spinge la Forma sociale, cioè il Sindacato ad una sua progressiva aziendalizzazione e corporativizzazione del lavoro; spinge la Forma politica, cioè il Partito organizzato, alla frammentazione, alla proliferazione in tanti partiti personali, sempre più simili alle compagnie di ventura dell’età del Rinascimento. Come conseguenza complessiva e ultima, la politica è ridotta ad intrigo, congiure, gioco di Palazzo, ed intrattenimento, maschera di una lotta feroce tra oligarchie, buono soltanto a riempire i palinsesti dell’industria della comunicazione, diventata a sua volta, arma formidabile nella contesa tra le stesse oligarchie. Con il popolo confinato al ruolo di spettatore, come la plebe romana al Colosseo. Ritornare alle origini Naturaliter, in tale Risacca, la Sinistra socialista, proprio perché è l’unica sinistra che non può che essere allo stesso tempo sociale e politica, viene accompagnata alla periferia della storia, alla sua insignificanza: la parabola dei socialisti francesi, del Pasok greco ecc. Come comune destino. Tale destino può essere contrastato ad una sola condizione: se la Sinistra di tradizione socialista – che ha espunto in questi decenni, persino dal suo vocabolario la parola capitalismo – trova la forza di mettere mano ad una grande riorganizzazione teorica e culturale, premessa di ogni controffensiva politica: se opera cioè un ritorno alle sue origini, come sta tentando Corbyn, una Bad Godesberg alla rovescia. Solo così è possibile accumulare la forza sufficiente per forzare i vortici della Risacca, uscire dal buco nero della sudditanza al mercato, e riaprire – dentro la Grande Crisi e la prospettiva della Stagnazione Secolare – la dialettica/conflitto con il capitalismo della attuale fase: il capitalismo informazionale. La fotografia attuale è impietosa La crisi in cui versano tutti gli attuali partiti socialisti parla sostanzialmente di questo: i cambiamenti nella struttura pongono tali forze di fronte ad un bivio inaggirabile. L’Italia vive una situazione ancor più specifica: il triangolo, costituito a un lato dal modello di partito liberal proposto al Lingotto, e agli altri due, dal giornale/partito della Repubblica di Debenedetti, e dalle Primarie come mito fondativo, è diventato rapidamente il triangolo delle Bermude della Sinistra storica italiana, il luogo dove si è progressivamente spenta la …

LETTERA APERTA AL PSI E ARTICOLO UNO

A seguito delle positive risposte emerse sulla nostra proposta politica della Epinay del Socialismo Italiano, Socialismo XXI indirizza ai compagni di Psi ed Articolo Uno, che a breve terranno i loro congressi, ai gruppi e circoli socialisti, alle realtà politiche ed associative interessate alla prospettiva di un unico partito del Socialismo nel XXI secolo, la proposta di costituire da subito un comitato nazionale e dei comitati territoriali, al fine di preparare insieme l’Epinay del Socialismo Italiano. Comitati per lavorare da subito per definire tempi e modi politici ed organizzativi per giungere a questo appuntamento più che mai necessario per costituire un Partito UNITARIO ed AUTONOMO del Socialismo Italiano. Il presidente Aldo Potenza Il coordinatore della Segreteria Antonino Martino SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BISOGNERA’ RIFONDARLO QUESTO SOCIALISMO ITALIANO

di Giorgio Ruffolo | “L’anno scorso la gioventù russa, per ricordare Liebknecht a Mosca, davanti al Cremlino, bruciò il fantoccio di Scheidemann; quest’anno la gioventù socialista italiana chiede ai rappresentanti comunisti di bruciare qui il fantoccio dell’unità”. Qui vuol dire Livorno, gennaio del 1921, Congresso del Partito socialista e della scissione comunista. Chi parla è Secondino Tranquilli, direttore del giornale dei giovani socialisti “Avanguardia”. Più tardi si chiamerà Ignazio Silone. Liebknecht, Scheidemann, Silone. Chi se ne ricorda? Che senso ha ricordare Livorno e la fondazione del partito comunista? Non c’è più. E’ sprofondata l’Unione Sovietica. Viviamo l’era di un capitalismo mondiale trionfante con il quale la sinistra del nuovo secolo deve rifare i conti. Certo, non avrebbe alcun senso farli con le cifre del 1921. Pure, una grande forza politica non vive solo di attualità. Deve avere il senso storico della sua direzione. Se smarrisce la memoria, perde anche la percezione della realtà presente e diventa incapace di progettare il futuro. Da dove veniamo? Dove andiamo?Alfredo Reichlin ha scritto un saggio imperniato sul nesso tra la sinistra italiana e l’identità storica di questo paese. Se non si coglie quel nesso la sinistra pensa nel vuoto e scrive sull’acqua. Da questo punto di vista, Livorno Ventuno non è solo il dagherrotipo sbiadito di una folla di gentiluomini in bombetta e di operai baffuti in tuta che si spostano cantando l’Internazionale, tra due ali di guardie regie, dal teatro Goldoni al Teatro San Marco, dove gli tocca stare in piedi in una platea senza sedie, e ci piove pure dentro. E’ un momento cruciale della grande storia della sinistra italiana e del suo rapporto con la società e con la nazione italiana.Momento drammatico. In Russia, sono al potere da poco i bolscevichi, e combattono per la sopravvivenza. In Italia, le bande fasciste dilagano nelle piazze. Drammatica anche la scena del Congresso (chi ne farà un grande film?) C’è il dramma di Giacinto Menotti Serrati. Non molti ricordano che la scissione avvenne tra la forte minoranza dei “comunisti” e la maggioranza dei socialisti di sinistra (si chiamavano non a caso massimalisti), di cui Serrati era il capo; e che aderiva pienamente alla rivoluzione dei Soviet e alla Terza Internazionale: ma si rifiutava ostinatamente di espellere dal partito la sparuta minoranza riformista di Turati, come Mosca esigeva. Non rompere l’unità della sinistra di fronte all’offensiva della destra. Non vale la pena di ricordare quell’atto di responsabile abnegazione? C’è Turati e il suo poderoso discorso, dapprima interrotto da grida di Viva la Russia, poi man mano sempre più applaudito e finito con la maggioranza del Congresso in piedi. Turati che rivolgendosi ai comunisti, dice: “…se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualcosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto – ma lo farete con convinzione, perché siete onesti – a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei social-traditori ….”. C’è il silenzio di Antonio Gramsci. Gramsci detestava l’ideologismo schematico e l’avventurismo di Bordiga, il più autorevole fondatore del partito comunista. Più tardi affermerà che la scissione di Livorno era stata “il più grande regalo fatto alla reazione”.Da quel Congresso di Livorno, ne è passata di acqua sotto i ponti: talvolta, anche sopra, nel paesaggio della sinistra italiana, da cui – rispetto alla antica problematica – emergono due fatti incontestabili. Il primo è l’esplicita o tacita vittoria del riformismo: e neppure di quello turatiano, concepito come una lunga marcia verso una società socialista, senza capitalismo e senza classi; ma come un durevole indeterminabile compromesso storico con il capitalismo, nel segno e nel senso della giustizia sociale.Il secondo fatto è l’anomalia italiana: e cioè il fatto che, a differenza di quel che accade negli altri paesi europei dove il programma riformista è stato affidato a un grande partito socialista e democratico, in Italia la sinistra si è frammentata – altro che Livorno! – in pezzi grandi e piccoli. Ci sono quelli che si richiamano romanticamente a un comunismo inedito e metapolitico. Ci sono quelli che cercano di presidiare tenacemente i resti del partito socialista. E ci sono persino quelli che odi e rancori personali profondi hanno proiettato ben fuori della sinistra, e spinto fino alla impudenza di celebrare una rinascita “socialista”, con fiori bandiere e lacrime, nel campo della destra, abbracciati affettuosamente al suo capo. C’è infine il partito democratico della sinistra, il pezzo più forte, ma lontano dalla dimensione dei partiti socialisti europei; pienamente socialista in Europa, ma non in Italia, dove resta refrattario ad una identificazione piena ed esplicita con una tradizione storicamente conflittuale.Ecco l’anomalia della sinistra italiana: che è oggi denunciata come una sua grave debolezza anche da alcuni di quelli che a suo tempo, sconsideratamente, la celebravano come una ricchezza. Se oggi l’Italia manca di un grande partito socialista “normale” – insomma, come quelli che pare funzionino in quell’Europa che assumiamo come modello per tutto il resto, dall’euro alla mucca pazza – è anche responsabilità degli inventori di “repubbliche inesistenti” (come diceva Machiavelli e ripeteva Berlinguer). E che continuano imperterriti a indicare, come méta della sinistra italiana, il suo scioglimento in un minestrone vegetal-democratico di cui nessuno , ma proprio nessuno , ha la ricetta. Il gusto della circumnavigazione che ha fatto la gloria degli esploratori italiani del Medioevo è la dannazione di certi politici italiani dell’Evo Moderno. Così si smarrisce la via maestra, per imboccare uno di quelli che Turati chiamava gli “scorcioni“, quelli che non portano da nessuna parte. E così si indebolisce proprio quella coalizione sulla quale si vorrebbe fondare un nuovo partito: perché le coalizioni si fanno attorno a una forza e non mettendo insieme debolezze diseguali. Di costruire un vero grande partito del socialismo italiano. Di un socialismo che non è solo un movimento politico, ma un ideale morale, come il cristianesimo: una forza trascinante della storia dell’Italia e dell’Europa, un fattore costituente della loro identità. E’ un sogno testardo?L’ostinazione dei sogni fa parte integrante dell’impegno politico serio. Arthur Koestler, …

«NATALITA’, ADOTTARE IL MODELLO FRANCESE»

di Alberto Leoni – Socialismo XXI Veneto Culle vuote e case di riposo piene. Nel 1970 nascevano 970 mila bambini, nel 2016 sono stati 450 mila, quasi la metà. Questa la fotografia di un Paese che ha smesso di investire sul futuro e non ha fatto più figli se è vero che oggi abbiamo 1,33 figli per donna in età fertile, quando il numero necessario per garantire un ricambio generazionale accettabile è fissato in due. C’è un problema culturale, alla base, cui si aggiunge quello cronico della carenza di servizi a supporto della famiglia. Ma per riprendere il filo interrotto ormai 40 anni fa, si deve ripartire dal lavoro, favorire l’impiego femminile: nelle aree in cui le donne lavorano di più i tassi di natalità sono più elevati. Ma serve un cambiamento nelle modalità, di lavoro: flessibilità, negli orari, possibilità, di lavoro part time, delocalizzazione del lavoro (possibilità, di lavoro da remoto-telelavoro), valutazione del lavoro in base al risultato e non alle ore d’ufficio, nidi aziendali. E servono azioni concrete di welfare familiare. In realtà, negli ultimi anni numerose misure di sostegno sono state prese dai vari governi, dall’assegno di natalità al bonus per la frequenza al nido. Il vero problema è che le misure non sono stabili nel tempo e non hanno fondi sufficienti. Non si arrivava, bilancio 2019, a 450 milioni. L’assegno di natalità, a seconda del numero di figli, deve essere stabilizzato, prevedendo 1.000 euro annuali per il primo, 1.500 per il secondo, e 2.000 dal terzo in poi per ciascun nuovo nato, fino ai cinque anni di età, del bambino, tenendo conto delle caratteristiche dei nuclei familiari. A tale assegno, inoltre, potrebbe essere aggiunto un “credito familiare” (garantito dallo Stato ma senza oneri diretti da parte dello stesso) da porre in capo alle famiglie di ciascun nuovo nato, per essere utilizzato direttamente nell’abitazione ovvero per altre esigenze familiari, come l’educazione o altre necessità, primarie. I nidi esistenti, nati con la vecchia legge del 1971, vanno stabilizzati; ma accanto ad essi vanno promossi i nuovi nido: quelli famiglia, introdotti con una legge del 2017, fino a sei bambini, flessibili negli orari. E vanno promossi nuovi nido secondo il modello del partenariato pubblico-privato. Non solo. Si può anche pensare il passaggio dal finanziamento dell’offerta (dal Comune all’asilo) al finanziamento della domanda (dal Comune alle famiglie, tramite voucher spendibile in qualunque asilo, pubblico o privato-sociale o privato puro che sia. E’ sul fisco che servono le risorse più ingenti. E probabilmente la riforma che serve all’Italia per rimettere in modi la natalità perché rende conveniente avere più figli è l’introduzione del quoziente familiare. Le aliquote fiscali (modello francese) si applicano sul reddito familiare dopo che è stato diviso per il numero di “parti” del nucleo: 2 i genitori, 0,5 il primo e secondo figlio, 1 il terzo, 0,5 i successivi. Più figli, meno tasse. Costa molto (la stima è almeno di 10 miliardi in base alla definizione dei vari quozienti) ma è uno dei veri investimenti sul futuro se vogliamo con gradualità (servono decenni) ridare un futuro al Paese. Pubblicato su Il Giornale di Vicenza SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TRADIZIONE E POLITICA PER LEGGERE IL PRESENTE

di Anna Rito – Socialismo XXI Basilicata Il rapporto tra tradizione e politica è tornato al centro della riflessione. Negli ultimi vent’anni quel rapporto era entrato in crisi per la messa al bando dei partiti politici tradizionali screditati dalla deriva partitocratica e morale. Nella sostanza si è trattato della crisi dell’intero universo politico, ormai incapace di rappresentare le nuove esigenze popolari prodotte dalla globalizzazione e dalle nuove forme di comunicazione mediatica e interpersonale. La prima ha ridotto l’importanza politica di storiche aree del pianeta favorendo l’ascesa di economie asiatiche con modalità e processi produttivi più aggressivi e con minori forme di tutela del lavoro, nonché la creazione di serbatoi di forza-lavoro concorrenziali all’interno della stessa Europa grazie ad una gestione strumentale dei fenomeni migratori. Le seconde hanno scavalcato la mediazione delle élites dei partiti tradizionali nell’interpretazione degli eventi politici e dei processi economici. I ‘portavoce’ del disagio sociale o del risentimento identitario (costruzione culturale recente di grande effetto anche se con poche giustificazioni reali) hanno superato per rapidità ed efficacia le “scuole di pensiero” di partito immettendo sul “mercato culturale” una quantità di interpretazioni pret-à-porter adatte a soddisfare il malcontento sociale e a  indirizzare la politica, ormai dipendente da sondaggi provvisori e puntualmente ammanniti, verso prese di posizione altrettanto provvisorie e strumentali per fronteggiare la possibile perdita di consensi. La spregiudicatezza e ubiquità con cui i nuovi interpreti e gestori degli umori popolari si muovono sul grande scenario del mondo ha frastornato le ‘vecchie’ formazioni politiche residuali o le nuove improntate sui grandi modelli novecenteschi. Al laboratorio della politica non è più concesso il tempo di assimilare i fenomeni. Le risposte immediate, quale sia il loro valore reale nella scala degli effetti e delle ricadute a medio e lungo termine sulle linee strategiche della politica internazionale o nella composizione dei dissidi sociali interni, invadono il mercato con un effetto perverso di egemonizzazione e saturazione, impendendo il pensiero riflesso e una gestione più consapevole dei problemi. Sono cose ormai dette e ridette dagli osservatori politici, e la riprova l’abbiamo nel fatto che proprio gli osservatori e ragionatori esperti della politica e della società hanno, a loro volta, un’influenza limitata – verrebbe da scrivere pressoché nulla – sull’interpretazione in ricaduta degli avvenimenti e poco vengono ascoltati dai politici delle ‘piazze’ del web o della comunicazione mediatica generalizzata. Verrebbe, dunque, da dire che la forma del partito tradizionale è venuta meno non solo o non tanto per gli indubbi aspetti di corruzione che hanno ‘screditato’ i vecchi partiti, ma per un effetto di senescenza, di superamento storico di fronte ad uno scenario in via di globalizzazione progressiva che ne ha limato e infine limitato la funzione. L’argomento della corruzione non sarebbe bastato ad affossare quelle forze politiche se la loro funzione storica non fosse venuta meno. Che pensare, di fronte all’avvento di capi ‘carismatici’ sempre più sdegnosi di mediazioni e insofferenti di vincoli costituzionali e al modello vincente di comunicazione della distorsione programmatica? Infatti, se la calunnia e l’infamia non sono strumenti politici recenti è però vero che l’estemporaneità dell’origine e l’effetto globale di notizie false o falsanti la realtà è oggi, più che incontrollabile, non arginabile e condizionante su scala planetaria. La verità o l’adeguatezza delle interpretazioni ai fatti non è più il frutto di una ricerca difficile e di analisi complesse, ma la dimensione di un’immediata effettualità ‘monetizzata’ a proprio vantaggio e strumentalizzata per condizionare gli avversari politici. Oggi la polemica contro l’Europa e la globalizzazione si convoglia nel sovranismo, nel particolarismo produttivo e nell’avversione ad analisi e posizioni che tentano di essere “scientifiche”. I valori di uguaglianza e fratellanza storicamente nobili e culturalmente rispettati, indietreggiano rispetto alle rivendicazioni ritenute legittime dell’egoismo e delle paure suscitate dalla propaganda populista.   Forse, a questo punto, abbiamo bisogno di un rimodellamento delle nostre posizioni culturali e di agire con un diverso linguaggio che smascheri non soltanto le falsità patenti ma anche quel semplicismo interpretativo che come la spuma del mare ti sferza la faccia ma non è certo l’onda. Il socialismo per il XXI Secolo, lavora in prima istanza su un linguaggio rinnovato che sia segno di uomini e donne che vogliono pensare diversamente dal depensamento generalizzato, perché pensare è capire e il capire cerca di agire sulle cose e non sulla centrifugazione della realtà nel distorsore dell’ignoranza, matrice di paura e dell’odio. Il primo e necessario passo di una formazione politica che voglia oggi non effetti elettorali immediati, ma una sua collocazione stabile nel dibattito delle idee è quella di avere un linguaggio di verità da usare con costanza e pazienza come grimaldello per scardinare le chiusure ostinate che rendono finti porti sicuri i particolarismi e gli egoismi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VERBANIA: PER CAPIRE ESODO E FOIBE LA VERITA’ SULLE DUE RESISTENZE IN ISTRIA

Un momento dell’incontro organizzato dalla Casa della Resistenza di Verbania. Da sinistra: Ezio Giuricin, Claudio Stocovaz, Franco Biloslavo e Bruno Lo Duca di Rosanna Turcinovich Giuricin Interventi, nel comune piemontese, di Franco Biloslavo, Claudio Stocovaz ed Ezio Giuricin. Si è discusso di Storia ma anche di futuri sviluppi di collaborazione Quindici anni fa il Giorno del Ricordo diventava legge. Tre lustri che ci permettono di giungere alla constatazione che un “obbligo” sia diventato positivamente virale. Tantissime realtà coinvolte in Italia e nel mondo, con vicende a prima pagina come la presa di posizione dei Presidenti della Repubblica e con storie minime che diventano grandi per la loro spontaneità e lungimiranza. Collaborazione con il Crs di Rovigno Franco Biloslavo, rappresentante a Trieste della Comunità degli esuli di Piemonte d’Istria, è stato ospite a Verbania dell’Associazione Casa della Resistenza e Verbania Documenti, insieme al sindaco di Grisignana, Claudio Stocovaz e al giornalista di TV Capodistria e collaboratore del Crs di Rovigno, Ezio Giuricin. Ad accoglierli il saluto del sindaco Silvia Marchionini. Per Biloslavo, “un ritorno”, così come ha voluto sottolineare l’organizzatore Bruno Lo Duca, dopo un primo appuntamento che aveva portato Biloslavo a “raccontare” la vicenda di Piemonte nei piccoli comuni della provincia del Verbano-Cusio-Ossola nel 2016 e poi un secondo, l’anno scorso alla Casa della Resistenza. Ma il contatto da dove parte? “Un membro dell’associazione, durante un viaggio in Istria, si trovò di fronte al cartello che indicava Piemonte. Incuriosito dal nome, anche se non c’è alcun legame reale, volle approfondire tale conoscenza e fui invitato a tenere delle conferenze nella loro zona. Da cosa nasce cosa, l’appuntamento continua”. In effetti l’associazione da tempo cerca di coinvolgere personaggi dal nostro territorio per chiarire posizioni e atteggiamenti spesso contraddittori. Una delle tematiche che quest’anno, nel Giorno del Ricordo, ha creato disagio e polemiche è stata proprio quella delle tesi negazioniste da smantellare. Ecco perché sgombrare il campo da false verità e fraintendimenti è un compito difficile ma semplice, quando la volontà è quella di costruire nuovi legami, fare rete per evolvere una situazione. Dall’incontro svoltosi a Verbania nel Giorno del Ricordo, sono scaturite alcune iniziative che portano a guardare al futuro: un gemellaggio tra Verbania e Grisignana-Piemonte e un accordo di collaborazione della Casa della Resistenza con il Centro di ricerche storiche di Rovigno. Due iniziative che andranno specificate nel dettaglio in un prossimo futuro ma che danno ulteriori contenuti a degli incontri che sono sostanziali e non solo episodici. L’appuntamento con il numeroso pubblico della zona di Verbania è durato un intero pomeriggio-sera dedicato alle tematiche istriane nell’ambito del programma degli eventi del Giorno del Ricordo. La rievocazione dei fatti Per Franco Biloslavo è stata l’occasione — visto il tema dell’incontro che verteva sulla Storia della Resistenza e in particolare della partecipazione degli italiani nelle fila del MPL e dell’impatto di questa lotta sulla popolazione civile e sull’esodo -di raccontare i fatti che hanno segnato la piccola comunità di Piemonte e hanno indotto ad andarsene la quasi totalità della popolazione. “Un esodo – afferma Biloslavo – causato dall’impossibilità di continuare a vivere mantenendo la propria identità e le proprie attività, sia agricole che artigianali”. Anche grazie al supporto di immagini, “sono state proposte alcune vicende personali (arresti, infoibamenti, arruolamenti forzati) che hanno caratterizzato sia il periodo di guerra che quello successivo. Con un elenco di pressioni e vessazioni che determinarono il grande esodo di fine anni ’40”. In attesa dei tempi giusti La scia lunga di questo svuotamento ha creato una realtà di assenze e grandi silenzi che hanno condizionato la vita in questi luoghi per più di 60 anni, se dobbiamo constatare oggi il degrado in cui versa la località di Piemonte, di case implose, crolli e umanità quasi inesistente. Eppure tutto sembra pronto per un recupero che è nei desideri di molti, ma nelle capacità di nessuno, considerato il fatto che espropri e restauri sono di difficile esecuzione. Ci vorrebbe una grande volontà comune, un progetto condiviso, una destinazione ben precisa, un riuso intelligente e lungimirante. Che attende, i tempi giusti. Ma non si arrende. La testimonianza di Claudio Stocovaz Lo sa il sindaco Claudio Stocovaz che ha visto rinascere Grisignana, salvata dal turismo, dall’impegno di artisti e musicisti in anni in cui tutta la zona dell’Alto Buiese era considerata dall’ex Jugoslavia, zona depressa. I giovani venivano preparati per migrare verso le località balneari della costa, per dare supporto a un turismo in velocissima crescita, capace di fagocitare ogni energia disponibile. Le campagne abbandonate, l’allevamento dimenticato. Stocovaz ha sottolineato gli effetti negativi sia della riforma agricola — la nascita delle cooperative (in croato zadruge) — che quella successiva dell’autogestione, che determinarono altri momenti di esodo dopo quello della fine anni ’40. Soltanto dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, la chiusura delle “fabbriche politiche”, la scomparsa del miraggio del lavoro sicuro, il territorio si è rivolto, nuovamente, alle attività tradizionali: la terra con l’agricoltura di qualità, la produzione di vino e olio d’oliva, ma anche la grande miniera rappresentata dal tartufo. Ma una realtà può vivere di solo turismo? Può farlo adeguandosi a ritmi anomali, lo svuotamento nei mesi invernali, l’assalto in quelli estivi in un’oscillazione frastornante che spesso lascia un certo guadagno ma destabilizza. L’esodo si è portato via le attività tradizionali e l’artigianato oggi supporta le esigenze del turista, non quelle di chi vi abita. Un paradosso da comprendere. Negli ultimi anni anche un timido ritorno dei “nipoti” degli esuli alla campagna rimasta fortunosamente in proprietà della famiglia. Singoli episodi emblematici del bisogno di un popolo a una ricomposizione sottile, a volte perplessa, incredula, che passa inosservata. Tante cose da sottolineare, per colmare i silenzi che hanno macinato memoria, sono sacche di sofferenza che persistono ovunque e che la storia, raccontata nel giusto modo, può stemperare ed aiutare a superare l’impasse. La complessa vicenda della Resistenza Anche Ezio Giuricin è stato già ospite di Verbania qualche anno fa, per parlare di minoranza, concetto che spesso non è conosciuto ai più e sfugge al lettore frettoloso o al turista …