ATTENZIONE ALL’EURO

di Bruno Lo Duca |ex responsabile provinciale di Cittadinanza Attiva – Verbania Per quanto noi ci interessassimo soltanto di sanità, la novità euro era tale che ci chiesero di attivarci per una campagna informativa, con gli anziani, con le scuole e con i Comuni; ed è quello che facemmo, ad esempio, andando a raccontare che una tazzina di caffè da 1.500 Lire doveva essere poi pagata 0,77 Euro e non di più, neppure un piccolo arrotondamento.  Naturalmente, mentre noi dicevamo queste cose vere e sacrosante, altri pensavano già ad arricchirsi poco o anche tanto. Intanto c’era uno che sarebbe diventato famoso per la sua “FINANZA CREATIVA” si chiamava Giulio Tremonti. Con l’arrivo del governo Berlusconi furono immediatamente bloccati i Comitati provinciali prezzi, che avrebbero dovuto “vegliare” sul passaggio dalla lira all’euro, con il bel risultato – solo in Italia – del raddoppio dei prezzi, con grande gaudio di commercianti e similari e con lo svuotamento delle tasche degli italiani.Vi ricordate il motto di Berlusconi “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani” ?Lo ha fatto eccome, in questo modo, dando la colpa all’euro, e ancora oggi ne paghiamo le spese. LA LETTERA (di allora) AL QUOTIDIANO LA STAMPA Desidero soffermarmi sul vs. articolo di ieri L’eurotazzina di caffè? 50 lire in più perché quanto riportato non è che la punta dell’iceberg del problema. Proviamo a stilare un piccolo elenco di cose vere? Allora, vado in un supermercato di Verbania, che espone l’Eurologo (sinonimo di correttezza nell’applicazione dell’euro); al punto 1 si dice che si aderisce a una campagna di stabilizzazione dei prezzi (6 mesi di moratoria, tanto sbandierata dalle Associazioni del commercio), ma una bottiglia “economica” di acqua minerale da un mese costa 260 lire (non più 250), per cui una confezione da 6 costa 1.560 lire, cioè 0,80 euro (non 0,77 come doveva essere); si ripropone pari pari la questione della tazzina da caffè. Capito in una spaghetteria a Domodossola e mi portano il menù, stampato già con i doppi prezzi, e scopro che un piatto da 12.000 lire costerà 6,20 euro (bene!), ma un piatto da 10.000 lire costerà 5,20 euro e non 5,16; perché? Chi autorizzerà l’arrotondamento? Se poi vogliamo parlare dei giornali a 1.600 lire o del biglietto del bus nelle grandi città portato da 1.500 lire a 0,90 o addirittura a 1 euro, allora andiamo ovunque in carrozza! Ma non basta, perché poi ci sono anche gli errori, questi sì involontari, ma ai quali bisogna prestare ancora più attenzione perché possono essere letali. Una notissima banca locale fa girare da mesi dei fac simile di assegni, compilati con un errore madornale nella parte centrale da scrivere in lettere, ma non si sogna nemmeno né di ritirarli, né di ristamparli giusti, né di accludere un errata corrige ovunque affinché i clienti non sbaglino, con il rischio di vedersi rifiutati gli assegni da chiunque. L’altro giorno faccio spesa in un supermercato (che espone l’Eurologo) e mi viene consegnato un listino compilato articolo per articolo in euro, pago con la carta di credito e non bado al conto; ma a casa, più che altro per curiosità, lo controllo e scopro che un pezzo di salame da 5.430 lire (2,80 euro) mi è costato 54,30 euro, vale a dire quasi 108.000 lire; l’episodio si conclude con un sorriso di scuse e con la restituzione della differenza, ma se non avessi controllato bene tutto? E’ bene denunciare i fatti perché non è giusto avere sostenuto per mesi costose campagne di informazione ai cittadini per arrivare a questi scadenti risultati e permettere a chi lo vuole di poter agire indisturbato contro la gente rassegnata. Per concludere, ieri — ancora una volta — ho chiesto alla Prefettura di attivarsi e di attivare il Comitato Provinciale Prezzi per controllare questa fase convulsa di passaggio dalla lira all’euro; questo intervento è indispensabile perché tutto può succedere, voluto o non voluto, e — soprattutto —non possiamo accettare supinamente di vedere aumentare l’inflazione, la cui riduzione è costata a tutti noi comuni mortali tanti sacrifici per tanto tempo. In questo senso i mass media possono fare molto e Cittadinanzattiva li invita cortesemente a farlo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ADDIO MATTEO: IL PD NON SOPPORTA PIU’ RENZI, RENZI NON SOPPORTA PIU’ IL PD

Però ci lascia nelle macerie che ha creato, con un partito “democratico” con lo statuto più antidemocratico che si sia mai visto dopo quello dei fascismi: il partito di un uomo solo al comando, in cui la direzione e l’assemblea non contano niente e conta qualcosa solo la segreteria, formata dai fedelissimi di quello che prese il potere proclamando la rottamazione dei suoi predecessori. Ma chi è stato il costituzionalista traditore, il politologo seguace del teorico delle elites (il consuocero di Einaudi che cominciò come sindacalista rivoluzionario per finire fascistone) che ha trasformato un bel partito dinamico e articolato, con seguito spontaneo in tutta Italia, nel partito di un uomo solo, e dei suoi scherani? Noi, entusiasti del PD , si discuteva della “forma partito”, e qualcuno sghignazzava “te la do io la forma… e il partito” . E ci sarà qualcuno dei candidati alla segreteria che porrà come programma il ritorno alla democrazia nel partito democratico? Per ora si è solo visto un affollarsi di candidati di serie B e C, che probabilmente pensano di garantirsi un posto almeno in assemblea nazionale, dato che nessuno sa chi vincerà e con quale criterio sceglierà i suoi uomini nella scarsamente utile direzione e nell’inutilissima assemblea nazionale.  Claudio Bellavita Aprendo i giornali, due frasi hanno mandato Marco Minniti su tutte le furie. La prima è di Matteo Renzi: «Voi occupatevi del congresso, io sto con la società civile». La seconda è di Maria Elena Boschi: «A prescindere da chi vincerà, il partito va rifatto». Esponenti vicini all’ex ministro dell’Interno, ora ufficialmente candidato alla segreteria del Pd, la interpretano così: «Siccome Marco ha preso le distanze da Renzi, rifiutando il tutoraggio di Teresa Bellanova e insistendo sul fatto che lui non è il candidato di nessuno, ora l’entourage di Matteo non garantisce più il sostegno di voti che aveva promesso». Un corto circuito che va a complicare ulteriormente uno scenario già di per sé molto intricato. Perché, a questo punto, il messaggio che arriva da quello che una volta era il Giglio Magico che aveva in mano il Paese, è chiaro: un vero candidato non ce l’abbiamo e quindi agiremo da battitori liberi. Non è un caso che, proprio nel giorno in cui Minniti lancia la sua candidatura sulle pagine di Repubblica, Sandro Gozi – ex deputato e sottosegretario, ora sherpa del gruppo Pd al Senato, una vera e propria riserva renziana – ribatte sul Messaggero che “i Dem hanno esaurito la propria missione ed è ora di andare oltre”. Una frase che ricalca quella di un utente Facebook a cui, alcuni giorni fa, il “senatore di Scandicci” aveva tributato un emblematico “like”. E non è neppure un caso che i retroscenisti più vicini a Renzi stiano cominciando a riportare virgolettati sempre più espliciti sulla volontà dello stesso ex premier di trasformare in realtà il tanto spesso ipotizzato addio al Pd. Nessuno dei possibili segretari si immagina un futuro zavorrato dall’ombra dell’ex premier e dei suoi pasdaran. Se così fosse, è la convinzione comune, meglio che ognuno vada per la sua strada La prospettiva, però, che non scalda i cuori degli stessi renziani, o almeno non di tutti. Anche perché, come ha sottolineato Michele Anzaldi nei giorni scorsi, «quelli veri sono al massimo 16». Non certo l’esercito che molti descrivono. Di qui il vero motivo di tutti i tentennamenti, più ancora dei sondaggi non entusiasmanti sulla nuova “cosa”: Renzi non è affatto convinto che, se dovesse finalmente dare vita ad un soggetto ispirato alla macroniana En Marche (o a Ciudadanos in Spagna), siano poi in tanti disponibili a seguirlo. E non ha torto. Nelle chat renziane è tutto un invito alla prudenza. Nonostante i mal di pancia – legati soprattutto ad una possibile vittoria di Nicola Zingaretti – pochi pensano veramente che uscire dal Pd sia davvero la soluzione a tutti i problemi. Anche chi preme perché Martina alla fine scelga di correre contro Minniti e Zingaretti (tra tutti Graziano Delrio e Matteo Orfini) sta lavorando affinché lo scontro non si riduca ad un derby tra renziani ed anti-renziani, che finirebbe per ridare centralità, ancora una volta, all’ex segretario. E non lo vuole neppure lo stesso Minniti, che non perde occasione per ribadire la sua autonomia, e che ha già rivolto un appello agli altri candidati “affinché, dopo le primarie, tutti garantiscano il proprio sostegno al vincitore”. La realtà è che l’eventuale addio di Renzi non viene più percepito come una catastrofe. È la convinzione che stanno maturando in tanti all’interno del Pd, non solo tra i suoi oppositori La realtà è che l’eventuale addio di Renzi non viene più percepito come una catastrofe. È la convinzione che stanno maturando in tanti all’interno del Pd, non solo tra i suoi oppositori. «Fino a che Matteo monopolizzerà la discussione – ci spiega un deputato che fino a qualche mese fa era considerato in maggioranza – non riusciremo mai a ricostruire un progetto serio. Ora lui dice che sta con la società civile, ma non perde occasione per muovere le sue truppe corazzate per randellare sui social chiunque si permetta di criticarlo. E pensare che ogni due per tre lamenta di essere stato danneggiato dal fuoco amico. E’ una strategia che finisce solo per danneggiare il Pd, altro che società civile». La strada verso l’elezione del nuovo segretario del Pd è ancora molto lunga. Di qui al 3 marzo (la sempre più probabile data delle primarie) può succedere di tutto. Anche che la consultazione popolare non elegga nessuno (da statuto il nuovo leader, se non otterrà più del 50% dei voti nei gazebo, verrà eletto dall’Assemblea nazionale) e che si debba ricorrere ad un accordo tra due dei tre candidati principali. Molto del futuro del Pd dipenderà da come andranno la campagna congressuale, il congresso stesso e, soprattutto, le elezioni europee. Ma una cosa è certa: con motivazioni politiche e programmatiche differenti, nessuno dei possibili segretari si immagina un futuro zavorrato dall’ombra dell’ex premier e dei suoi pasdaran. Se così fosse, è la convinzione …

LA BREVE E INUTILE STORIA DI LEU

L di Carlo Tarallo | eu fu. È finita così, dolcemente, nel sonno, la storia di Liberi e uguali che è durata poco meno di un anno. Non hanno fatto in tempo a festeggiare il loro primo anniversario Laura Boldrini e Pietro Grasso, gli ex presidenti di Camera e Senato: dalla loro unione politica era nato Leu, partito di cui nessuno ha capito obiettivi e programmi, al di là della riconferma in Parlamento di Grasso (leader e candidato premier del movimento), Boldrini, e di un manipolo di parlamentari (14 deputati e 4 senatori in totale) sopravvissuti alla catastrofe elettorale del 4 marzo, quando “la grande forza progressista, democratica, popolare, riformista” raccolse appena il 3,3% dei voti. Gli spietati elettori italiani hanno separato nella culla i gemelli della nuova sinistra: Pier Luigi Bersani è stato eletto alla Camera; Massimo D’ Alema, invece, bocciato al Senato. Fu l’inizio della fine di una (dis)avventura nata dall’unione di tre brillanti esperienze politiche: Mdp (i fuoriusciti dal Pd, guidati appunto da Bersani e D’ Alema), Sinistra italiana (capeggiata da Nicola Fratoianni) e Possibile, la creatura di Pippo Civati. Il primo ad abbandonare la nave fu proprio Civati, innervosito dalla mancata rielezione alla Camera. Appena 13 giorni dopo il voto criticò aspramente la strategia di Leu e se ne andò, sperando forse che qualcuno gli chiedesse di restare, cosa che ovviamente non accadde. Liberi e uguali è andato avanti a fatica, nel mare in tempesta, fino a quando il comandante Pietro Grasso ha preso saldamente in pugno il timone: lo scorso giugno ha messo nero su bianco il percorso costituente, ma nessuno dei suoi ne ha compreso l’alto valore civile, morale e politico; il 12 ottobre ha vergato di suo pugno gli 8 punti programmatici del Manifesto di valori di Liberi e uguali, con lo stesso risultato: nessuno ne ha colto la portata rivoluzionaria. Risultato: tra Mdp e Sinistra italiana sono volati gli stracci, e ora i bersanian-dalemiani veleggiano verso il ritorno nel Pd, se Nicola Zingaretti ne assumerà il comando, mentre quelli di Sinistra italiana Grasso, fanno l’occhiolino alle formazioni di sinistra più radicale. E la Boldrini? Laura non c’ è, è andata via, ma già da un po’: ottenuta la riconferma alla Camera, ha iniziato a pontificare contro Leu già pochi giorni dopo la disfatta del 4 marzo; recentemente ha annunciato l’imminente formazione di una lista progressista e europeista, ma il progetto è ancora fermo al palo. La “presidenta” formalmente fa ancora parte del gruppo di Leu, e la sua principale attività politica consiste nel rispondere polemicamente ai tweet di Matteo Salvini. Chi invece ha fatto della coerenza il suo stile di vita è Stefano Fassina, ex giovane promessa della sinistra italiana: eletto con Leu alla Camera, ha fondato un suo movimento, sobriamente battezzato Patria e costituzione. Fassina è diventato un esponente di punta (anche perché è l’unico) del “sovranismo di sinistra” e condivide alcune battaglie antieuropeiste del governo Lega-M5s. . Manca solo l’attacco al turbo capitalismo e Fassina potrà fregiarsi del titolo di Diego Fusaro della sinistra. (Post scriptum, dal Manifesto) Il 24 novembre trenta comitati territoriali guidati da Piero Grasso avvieranno Leu verso la trasformazione in partito. Ma Mdp prenderà un’altra strada. Lo annuncia Roberto Speranza lanciando un’assemblea a Roma il 16 dicembre. . Sul sito di articolo1mdp.it le tesi alla base della discussione . Fonte:  La Verità SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VALORE E ATTUALITA’ DELL’ANTIFASCISMO

di Franco Astengo | Riprendiamo di seguito una nota introduttiva riguardante il testo: Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche di Alberto De Bernardi, già presidente nazionale degli Istituti Storici della Resistenza. “La vittoria elettorale della destra populista il 4 marzo 2018 ha sortito, tra gli altri, l’effetto di reintrodurre prepotentemente nel dibattito pubblico la parola «fascismo», attribuendole una nuova attualità come esito possibile della crisi politica italiana e facendo riemergere, soprattutto nella sinistra, la chiamata alle armi sotto la bandiera dell’antifascismo. La contrapposizione fascismo/antifascismo, come non accadeva dagli anni di Tangentopoli, ha riassunto i caratteri di una chiave di lettura per il tempo presente, capace di proiettarsi anche in una dimensione europea. La forza di questo paradigma si traduce in una sovraesposizione dell’uso pubblico della storia, con costanti riferimenti alla Resistenza, alla crisi del 1920-1922, al duce, al razzismo, al neofascismo. La storia torna a essere – come in altre fasi critiche della vicenda repubblicana – uno strumento di lotta politica, con tutto il carico che questo comporta in termini di semplificazioni, strumentalizzazioni, rimozioni e a volte mistificazioni, che rischiano di inficiare la comprensione della realtà. Scopo di questo libro è fare chiarezza cercando di diradare la nebulosa di incrostazioni ideologiche e di false concettualizzazioni che innervano l’uso della storia nel dibattito pubblico e nella lotta politica. Tornano essenziali, a questo fine, i risultati più maturi della ricerca storica, che in questi ultimi anni ha elaborato nuove conoscenze e griglie interpretative del fascismo e dell’antifascismo, in grado di contrastare i forti rischi insiti in quel paradigma. Alberto De Bernardi ricostruisce l’itinerario storico nel quale questa coppia di opposti ha dominato la vita politica e civile dell’Italia, assumendo di volta in volta connotazioni e significati assai diversi. Si parte dalle origini, tra il 1920 e il 1924, in cui le due parole entrano nel lessico della politica italiana ed europea; si prosegue con gli anni trenta, l’epoca dell’egemonia del fascismo in Europa e della sconfitta dell’antifascismo; si passa poi agli anni tra il 1943 e il 1948 con il collasso del fascismo e la nascita della Repubblica fondata sulla Resistenza e sulla Costituzione antifascista; si ricostruisce lo scontro tra fascismo e antifascismo negli anni del terrorismo e dell’«attacco al cuore dello Stato»; per arrivare infine alla crisi della prima Repubblica, da cui prende le mosse una lunga fase dominata dal «post», tra cui anche il post-fascismo e il post-antifascismo, alla ricerca irrisolta di una nuova identità repubblicana. Alla fine del percorso, il lettore avrà acquisito una preziosa «cassetta degli attrezzi», utilissima per leggere il presente fuori dagli stereotipi, dai riflessi condizionati, dalle retoriche.”. Al riguardo del testo di De Bernardi è bene precisare subito che non possono essere messi in discussione il valore storico e l’attualità politica dell’antifascismo. Il tema è naturalmente di grande attualità e si accompagna a quello della crisi della democrazia liberale. Crisi dovuta anche al ritorno in campo dell’accoppiata “amico/nemico” di derivazione schmittiana che ha portato al superamento di quel “politically correct” che sembra ormai essere diventata cifra abituale nel confronto politico.  Per avviare un ragionamento di merito va, prima di tutto, tenuto ben conto del fatto che debba essere mantenuto l’intreccio storia / politica e del come esista e permanga quell’“uso politico della storia” che viene utilizzato da più parti e non certo a senso unico (anche chi ne proclama la necessità del superamento non fa altro che reiterare proprio “l’uso politico della storia”). Premesso questo è il caso di precisare alcuni punti.Da dove deriva, infatti, la riattualizzazione, in particolare nella situazione italiana, del confronto fascismo/antifascismo? Prima di tutto dall’emergere nel dibattito politico di alcuni punti distintivi che vanno attentamente analizzati: 1- Razzismo. E’ indubitabile che esista e si stia affermando, anche e soprattutto a livello di governo, una politica che non può che essere giudicata come razzista. Una politica che si esercita soprattutto nell’identificazione del “diverso” e nell’affermazione di un presunto primato per “alcuni” che poi si traduce concretamente nei tentativi, non sempre riusciti, di respingimento dei migranti oppure in provvedimenti come quelli assunti attraverso il cosiddetto “decreto sicurezza” attraverso i quali, però si rischia di incentivare la clandestinità fattore propedeutico dell’insicurezza per tutti. Razzismo che si è ancora ben espresso in queste ultime ore a Roma con lo sgombero dei migranti dal centro di Baobab. Sgombero per il quale si è proceduto usando i mezzi blindati della polizia mentre qualche giorno prima lo sgombero che sarebbe dovuto svolgersi nell’immobile occupato da Casa Pound in pieno centro di Roma è terminato, come si diceva una volta, a tarallucci e vino; 2- Militarismo. Questo potrà apparire un punto secondario, ma non è così. Ne abbiamo avuto la riprova ascoltando determinati accenti, soprattutto provenienti dall’ambiente militare, in occasione della ricorrenza del centenario del massacro collettivo denominato “Prima Guerra Mondiale”: Abbiamo anche sentito l’espressione di idee riguardanti il ripristino della leva militare obbligatoria intesa come strumento di “educazione nazionale” per le giovani generazioni. C’è n’è da vendere per considerare pericoloso questo “militarismo” di ritorno; 3- Politiche sociali. Sotto quest’aspetto si torna indietro anche rispetto al clientelismo DC, del quale pure si scorgono tracce evidenti. Siamo di fronte ad una generalizzazione dell’assistenzialismo, introdotto come filosofia di vita attraverso una proposta di reddito di cittadinanza che è stata intesa e ha prodotto consenso proprio perché valutata di mera assistenza. Tanto è vero che si sta cercando frettolosamente di porre riparo. C’è poi il capitolo doloroso della politica della famiglia e della natalità emblematizzata dalla proposta del “pezzo di terra” per chi mette in cantiere un terzo figlio tra il 2019, 2029, 2021. Roba da “Agro Pontino” e da “battaglia del grano”, tanto per intenderci. Sul piano culturale, si direbbe quasi antropologico ci troviamo orami davvero sull’orlo dell’abisso; 4- Comunicazione. Come scrive oggi, 14 novembre, Vincenzo Vita sulle colonne del “Manifesto” circola l’idea del “senza dio” e “senza legge” per i dati naviganti in rete e quindi la “non sopportazione” degli apparati comunicativi la cui decostruzione appare come la premessa indispensabile per l’apoteosi tra l’uno e la folla, …

LA MAGGIORANZA SILENZIOSA SFIDA LA MINORANZA RUMOROSA

di Marco Zatterin La maggioranza silenziosa sfida la minoranza rumorosa. «Non si può piùaccettare che il dibattito sull’Europa sia condotto solo da scettici,sovranisti e nazionalisti», sbotta Robert Menasse, austriaco, «poeta e artista»per autodefinizione, europeista convinto ma critico, e coautore con lapolitologa tedesca Ulrike Guérot del «Manifesto della Repubblica europea». È untesto asciutto che verrà letto oggi alle 16, nel giorno della fine della GrandeGuerra sul fronte occidentale, in 140 teatri del vecchio continente.Contemporaneamente. Si presenta come una chiamata alle armi assolutamentepacifica, riassume lo scrittore del best-seller bruxellese “La Capitale”, unacampagna fondata sull’idea che «Europa non vuol dire integrare gli stati, bensìunire i cittadini: con questo spirito vogliamo rilanciare con forza ildibattito sul futuro dell’Unione».  Il 10 novembre è simbolo delle grandi illusioni, il giorno in cui nacquero le fragili repubbliche dopo la fine della prima grande carneficina del secolo breve. Weimar, anzitutto. Menasse sarà nella città della Turingia per leggere il testo che sentenzia «il fallimento dell’Europa degli stati» e dichiara sicuro che «cittadine e cittadini della Repubblica europea sono tutte le persone che ora si trovano in Europa». Lo spirito guida mira a «condividere la nostra terra con le stesse persone che abbiamo cacciato dalla loro». Perché, sia chiaro, «europeo è chi vuole esserlo».   È una iniziativa mitteleuropea che si spinge sino a Lampedusa passando per Roma – al Cinema Savoy nell’ambito del Medfestival e in Piazza SS Apostoli con EuropaNow. Contagio sintomatico, in questa stagione. Perché sui balconi e nelle piazze, stanno arrivando i cittadini stufi di soccombere agli urlatori che colpiscono i loro ideali. E’ successo a Roma, stamane tocca a Torino, più tardi nel resto dell’Unione. «La fetta della popolazione europea che sogna un percorso comune è molto più numerosa di quella che vuole chiudersi in casa», assicura Menasse.  Nella media, argomenta, i movimenti radiali di destra, i sovranisti e nazionalisti rappresentano il 20% dell’opinione pubblica comunitaria. L’Italia è l’unica eccezione, ma lo scrittore austriaco sostiene che il rifiuto dell’Europa è temporaneo. «Siete il paese dove più ha colpito il metodo sbagliato delle decisioni dell’Unione», è normale che il voto sia contro l’Europa, è la conclusione «se gli italiani non si sentano aiutati».  La speranza è che una Europa diversa tornerà ad essere amata dai più. «Ileader politici europei non hanno davvero un’idea di dove andare – sentenziaMenasse – e allora noi artisti dobbiamo salire sul palcoscenico e aprire ilconfronto perché si trovi la giusta rotta». Una cosa deve essere chiara,avverte: «Nessuno stato nazionale può risolvere i problemi che si trova adaffrontare in questa stagione, le insidie sono transnazionali come le rispostepossibili». Proprio così, oggi la realtà è amara. «I populisti e i nazionalistinon lo capiscono e sono stati gli unici a occupare il dibattito. Ma noi siamoqui, adesso, per cambiare la Storia».  Fonte: La Stampa SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NUMERI DAGLI USA 2018

di Franco Astengo | Il lavoro contenuto in questo testo espone schematicamente (tutti i dati sono comunque disponibili a verifica) alcune osservazioni riguardanti le elezioni di midterm svoltesi negli USA il 6 novembre scorso. E’ evidente che il dato politico più rilevante sia stato rappresentato dal passaggio della maggioranza della Camera dei Rappresentanti dal Partito Repubblicano a quello Democratico e su questo punto si sono concentrate le attenzioni della maggior parte degli osservatori. Risulta importante, però, analizzare i dati anche in proiezione delle presidenziali 2020, tra due anni, quindi un tempo non lunghissimo  quello che rimane da trascorrere in attesa di un nuovo responso dalle urne. Allo scopo di eseguire questa operazione di analisi del voto sono stati allora presi in considerazione i numeri in cifra assoluta e non in percentuale riguardanti i 36 stati nei quali si è proceduto al rinnovo della carica di Governatore. Si tratta, infatti, di dati disponibili nell’immediato e di facile lettura. Si ritiene infatti che il tipo di elezione e la dimensione territoriale di riferimento, quella dello Stato, rappresentino al meglio la stessa dinamica dell’elezione presidenziale: preponderante bipartitismo pur in presenza di qualche candidato aggiuntivo e confine geografico del voto all’interno dello Stato. Condizioni come abbiamo avuto occasione di verificare nel novembre 2016 assolutamente decisive, stante il sistema elettorale in vigore per l’elezione presidenziale, all’esito della quale non concorre la maggioranza del voto popolare su tutto il territorio della Nazione bensì la maggioranza acquisita attraverso i delegati dei diversi Stati. Gli stati interessati all’elezione della carica di Governatore, in questa tornata, erano 36 su 50: in 20 di questi è prevalso il Partito Repubblicano , lo stesso numero di Stati nei quali aveva prevalso Trump nel 2016. Diverso sarebbe stato il discorso se si fossero esaminati i dati prendendo a riferimento le precedenti elezioni dei diversi Governatori. L’esito delle elezioni del novembre 2018 dimostra come nella sostanza  non sia mutata più di tanto la geografia del voto in vista delle elezioni presidenziali. Si conferma il colore rosso (quello del GOP) nell’area centrale del Paese, quella che risultò decisiva per il successo di Trump. Il voto popolare invece si è, in una qualche misura, “spalmato” a favore dei repubblicani che nel computo finale hanno ridotto il distacco che a novembre 2016 si era determinato nei riguardi dei democratici affermatisi – appunto –nel voto popolare ma perdenti nell’elezione dei delegati alla Convenzione. Addentriamoci allora nei meandri dei numeri. Prima di tutto va segnalato che non si è verificato il presunto boom nella partecipazione al voto. Nel novembre 2016 nei 36 stati presi in considerazione erano stati deposti nelle urne 106.452.641 voti, ridotti nel novembre 2018 a 84.204.287, quindi con una flessione di 22.248.354 voti. Evidentemente come da tradizione le elezioni governatorali attraggono meno elettrici ed elettori di quelle presidenziali. Il Partito Democratico ha conservato la maggioranza del voto popolare con 41.558.159 voti rispetto ai 52.539.756 voti convenuti nel 2016 sul nome di Hillary Roadman Clinton. Il partito democratico quindi flette di 10.981.597 suffragi. La diminuita partecipazione al voto ha fatto arretrare anche il Partito Repubblicano che scende da 48.046.227 (Trump 2016) a 40.652.420 voti: meno 7.393.807. I voti assegnati ai cosiddetti “altri” scendono da 5.866.658 (2016) a 1.993.708 (2018) con una flessione di 3.972.950 suffragi. In percentuale sul totale dei voti validi il Partito Democratico rimane stabile al 49,35%, il Partito Repubblicano sale dal 45,13% al 48,27% mentre gli “altri” scendono dal 5,52% al 2,38%. Un commento assolutamente sintetico può indicare come, se si fosse pensato con il voto di midterm di minare le basi  per una riconferma di Trump, questo risultato non è stato raggiunto. Siamo di fronte ad un esito del voto fortemente contrastato che conferma la spaccatura verticale della società americana soprattutto vista sotto l’aspetto dell’espressione di valori fondativi:una situazione del tutto inedita per quel che riguarda i tempi più recenti, Quello del novembre 2018 può essere considerato infatti una sorta di voto d’attesa, senza che si siano dimostrati slanci particolari: il GOP può aver perso in alcune situazione di vantaggio come dimostra il voto alla Camera dei Rappresentanti  ma si è probabilmente rafforzato in situazione di sofferenza, attraverso appunto la già citata “spalmatura” del voto che ne ha dimostrato una certa capacità di uscire da un “recinto” pre determinato. Infine l’elenco degli stati interessati per questa rilevazione suddivisi tra quelli a maggioranza democratica e quelli a maggioranza repubblicana. Democratici: California, Colorado, Connecticut, Hawaii, Illinois, Kansas, Maine, Michigan, Minnesota, Nevada, New York, Nuovo Messico, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Wisconsin. Repubblicani: Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, South Carolina, South Dakota, Florida, Georgia, Idaho, Iowa, Maryland, Massachusetts, Nebraska, New Hampshire, Ohio, Oklahoma, Tennessee, Texas, Vermont, Wyoming. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

A CENTO ANNI DAL 4 NOVEMBRE

di Franco Astengo | Questa nota è stata ispirata da un’intervista rilasciata ieri dal capo di Stato Maggiore, Generale Farina sulla ricorrenza del 4 novembre. Si sono lette parole così dense di retorica bellicista e nazionaliste da non poter essere lasciate senza replica. Ricorrono i 100 anni dalla conclusione della prima guerra mondiale e naturalmente sono previste al riguardo cerimonie e manifestazioni di ricordo. Mentre lorsignori celebreranno quella che D’Annunzio poi appellò “vittoria mutilata” e che deve essere prima di tutto ricordata come porta aperta sulla tragedia del fascismo, noi rammentiamo qui la memoria di quante e quanti si opposero a un massacro durato quattro anni. L’Italia entrò in guerra attraverso un vero e proprio colpo di stato come paese aggressore un anno dopo lo scoppio del conflitto europeo. L’Italia sofferse 650.000 morti e un milione di feriti e nel corso dei 3 anni e mezzo di conflitto. In quell’occasione si prepararono le condizioni per l’avvento del fascismo. Questa, ridotta in pillole, l’essenza storica dell’andamento e dell’esito della prima guerra mondiale per cui si può ritenere che non ci sia proprio nulla di trionfalistico da celebrare e che non ci sia nessuna grancassa nazionalista da suonare. Il nostro primo pensiero però va rivolto ai soldati al fronte vittime della decimazione imposta da un’assurda disciplina voluta in prima persona dal generale Cadorna e dagli alti comandi. Un’apposita commissione parlamentare di inchiesta su Caporetto istituita all’indomani della fine della guerra diede le cifre ufficiali delle condanne a morte: 1006 delle quali 729 eseguite. Queste cifre non comprendono le esecuzioni sommarie e l’applicazione della pena capitale in trincea a discrezione degli ufficiali responsabili in caso di emergenza, una stima di questi casi, che comprendono quelli di decimazione si attesta a 300 soldati fucilati. Da ricordare ancora come I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto ad esempio potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni di carabinieri e di queste esecuzioni non si ha menzione ufficiale. Va rammentato ancora che per la prima volta nella storia che immense collettività furono coinvolte in una guerra totale, dove l’intera popolazione visse un’esperienza comune di sacrificio e di dolore per i familiari al fronte e per le nuove condizioni di esistenza imposte dalle esigenze belliche. Ne furono sconvolte le comunità urbane come quelle rurali, la vita familiare e la vita individuale, i rapporti fra uomo e donna, le relazioni sociali, le abitudini civili. In tutti i paesi in guerra la popolazione civile fu sottoposta a un’inaudita esperienza di disciplina collettiva: il potere statale fece sentire la sua forza in una dimensione addirittura di onnipotenza, investito della decisione di vita e di morte per milioni di cittadini come mai era avvenuto in passato. . Le manifestazioni di dissenso e di opposizione alla guerra furono perseguite come atti di disfattismo. Il movimento operaio si scisse, probabilmente in una dimensione irreparabile. Quanto abbia pesato l’adesione dei due grandi partiti, quello francese e quello tedesco nel terribile agosto 1914 sulla rottura storica del movimento operaio deve essere ancora oggi tema di riflessione. Probabilmente la nostra sconfitta, come movimento operaio, non nacque dal fatto che in Russia nel 1917 si sarebbe fatta una “Rivoluzione contro il Capitale” (quello di Marx beninteso, come scrisse subito Antonio Gramsci che poi la sostenne così come aveva riflettuto, ed anche oscillato, sul concetto di“neutralità attiva e operante” al momento dello scoppio della guerra) ma proprio dalla scelta di francesi e soprattutto tedeschi. La grande SPD cedette al nazionalismo, un punto da considerare ancora, certamente non obsoleto rispetto alla nostra riflessione di oggi. Il Partito Socialista Italiano fu l’unico dei grandi partiti occidentali a non allinearsi alla logica nazionalistica e questo va pure ancora ricordato. Durante la guerra continuarono le agitazioni popolari avverso le sempre più precarie condizioni di vita che la condizione bellica stava imponendo. In particolare nel 1917, in Italia,si svolsero scioperi intensi, lunghi e partecipati. La classe operaia tornò a lottare nella sua totalità, scoppiarono le rivolte a Torino, Livorno, Terni, Napoli, in Lombardia. Il più importante fra questi atti di rivolta si verificò nell’agosto 1917 a Torino . Fu quella passata alla storia come “La rivolta del pane” . Una ribellione sfortunata, nel corso della quale il movimento operaio lasciò sulla strada decine di morti e alla quale dedichiamo questo spazio in memoria di quanti, donne e uomini, seppero lottare in quel momento difficile per affermare le ragioni della loro sopravvivenza, della convivenza civile e della pace. E’ passato un secolo: serve ancora ricordare, riflettere, analizzare e soprattutto non piegarsi alla retorica nazionalista. Oggi più che mai è importante la nostra autonomia di pensiero e la nostra capacità di visione dei fatti della storia, al di fuori da ogni indulgenza e senza retorica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DA QUANDO SOCRATES NON GIOCA PIU’

di Luca Castaldo | Stavano per finire i travagliati anni ‘70 quando uno dei più celebrati calciatori brasiliani, colui che portava sulle spalle il nome di un filosofo, Scorates, figura atipica per il mondo del pallone, calciatore e medico al tempo stesso, decide, insieme ai suoi compagni del Corinthians, di dare un messaggio di speranza al Brasile schiacciato sotto una pesante dittatura militare. Il Corinthias, già dalla sua creazione, era considerata la squadra del proletariato, non scendeva in campo solamente per il gioco ma per trasmettere valori e speranze alle giovani leve. Da qui nasce lo spirito della: “Democracia Corinthiana”, ovvero un collettivo più che un club calcistico, dove tutte le decisioni, dalle più elementari alle tattiche di squadra, venivano assunte con metodo democratico, discusse e votate da tutti i giocatori. Siamo nel 1978 quando sulle magliette del Corinthias compare la scritta: “Democracia Corinthiana”, un urlo che vuole destabilizzare il regime sanguinario e violento e sulle spalle di quel ragazzo con il nome da filosofo, ribelle nei capelli selvaggi, fantasioso in campo, fa il giro del mondo. Nel 1984 il Brasile si appresta a smantellare il regime militare ed indire nuove democratiche elezioni, volando anche sulle idee trasmesse dal calciatore-filosofo Socrates che dopo una lunga carriera morirà nel 2011, ed in quel giorno i ragazzi, il collettivo del Corinthias, entrerà in campo con il pugno alzato verso il cielo per omaggiarlo. Oggi, 29 Ottobre 2018, le nubi di un futuro politico cupo in Brasile sono all’orizzonte, il candidato di destra, Jair Bolsonaro è diventato presidente del Paese. Il mondo si sta interrogando su questo personaggio, che durante la campagna elettorale ha utilizzato toni molto duri, utilizzando soprattutto i social network per la propria propaganda. Oggi, tutti dobbiamo sperare che i bambini brasiliani crescano con la favola di Socrates a guidare il loro futuro… Pubblicato anche su: adlculture.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“IDEA SOCIALISTA” VERBANIA SU ESITO REFERENDUM

Meno di 40mila sì al Vco lombardo Referendum. In Ossola ha votato il 39%, Verbano e Cusio freddi L’astensionismo è stato determinante per chiudere la partita della secessione dal Piemonte. Sono stati 47.623 gli elettori del Vco che sono andati alle urne per esprimere il proprio parere, solo il 33,22% dei 143.375 aventi diritto. Ben lontano quindi dal quorum da raggiungere, la metà degli aventi diritto più uno. Nell’Ossola, dove le previsioni del comitato per il sì erano probabilmente più ottimistiche, la percentuale è stata del 39%, mentre nel Verbano del 30% e nel Cusio del 24%. Il referendum è uno strumento previsto dalla nostra Costituzione: è uno strumento di democrazia, è uno strumento serio, è uno strumento “delicato, da maneggiare con cura”. Ogni tipo di referendum prevede norme da rispettare per poterlo attivare e limiti numerici sia per la sua validità sia per la sua conferma. Nel nostro caso questi limiti NON sono stati raggiunti, quindi QUESTO REFERENDUM NON E’ RISULTATO VALIDO ED E’ STATO PERSO DAI SUOI PROPONENTI. Non c’è null’altro da dire né da recriminare. Ognuno può avere le sue valutazioni sul perché della sconfitta, ma questa è innegabile e senza appello. Ha vinto l’astensione, alla quale si possono sempre dare valutazioni diverse. Ma, di fronte a un referendum che poneva una scelta così importante, l’astensione non può non assumere significati molto chiari e inequivocabili: disinteresse? Sì, certamente, ma meglio sarebbe dire NON interesse per la scelta richiesta; rifiuto motivato? Sì, certamente. Quindi una scelta consapevole. Noi, che pensiamo che votare sia un diritto-dovere di ogni cittadino, in questo specifico caso abbiamo coscientemente invitato A NON VOTARE, perché questo referendum era inutile, costoso e pericoloso e ne abbiamo spiegato sinteticamente le ragioni. Se poi si aggiunge la chiara percezione di desideri personali di visibilità e di possibile carriera politica, che hanno spinto verso la scelta di chiedere un referendum così fatto, allora diventa altrettanto chiaro un motivo in più per l’astensione dal voto. Con questo, ovviamente, i “nostri problemi” restano quelli di prima e vanno risolti al meglio possibile. Ma ciò è e sarà possibile solo se si registrerà un minimo comun denominatore di intenti tra le forze politiche e sociali per pretendere dalla Regione la loro soluzione, senza pasticci o sotterfugi o inutili fughe in avanti. Molti strumenti per raggiungere un buon risultato ci sono già, basta decidere di usarli e di pretenderne l’attuazione; non c’è bisogno di alcun elenco, chi fa politica sa bene quali sono. Attendiamo con vivo interesse di vedere se questo “salto di qualità” si vorrà e si saprà fare, FINALMENTE. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONSIDERAZIONI DOPO GENOVA

di Bruno Lo Duca – Gruppo di Volpedo Grazie per la bella riuscita del nostro Forum a Genova. Ho apprezzato molto le analisi e le considerazioni sul caso Genova e capisco molto bene l’impatto socio-economico che questo disastro comporta per la città, per il suo futuro, per gli abitanti tutti, a cominciare da coloro che hanno dovuto abbandonare le case. Credo che ora il “ragionamento” possa e debba continuare per arrivare a risolvere – nei tempi necessari, ma non inutilmente lunghi – sia l’inghippo del traffico bloccato e dirottato sia quello del futuro del porto e delle attività a esso connesse. Penso, però, che il ragionamento debba allargarsi a quella che da tempo chiamiamo la situazione del Nordovest, altrimenti rischia fortemente di rimanere monca la prospettiva. Per questo mi permetto di “riportarvi” alla metà degli anni ’80, quando la nostra provincia del Verbano Cusio Ossola (allora denominata Comprensorio dell’Alto novarese) visse una crisi industriale e occupazionale senza precedenti in un periodo molto breve. Dall’azienda maggiore (Montefibre) a tante altre dei comparti chimico, siderurgico, tessile e cartario è stata un’ecatombe, che abbiamo a buona ragione paragonato a che cosa sarebbe successo se a Torino avesse chiuso i battenti la Fiat. Cassa integrazione e licenziamenti a go go, incontri a non finire con il Governo, intervento della Gepi con risultati molto ridotti rispetto alle esigenze, decisione di investire in nuove infrastrutture, che avrebbero dovuto rilanciare il territorio. E qui ricordo l’autostrada Voltri Sempione, che doveva collegare Genova alla Mitteleuropa e lo scalo merci di Domo 2, che avrebbe dovuto servire a rafforzare il trasporto ferroviario delle merci attraverso il Sempione, nonchè il Parco tecnologico del Lago maggiore. Così, si diceva, si sarebbero visti nuovi investitori – anche nella ricerca industriale e applicata – e una forte “economia centenaria” sarebbe risorta. Non è successo affatto: l’autostrada è sicuramente benedetta per noi, che possiamo percorrerla “in solitaria” fino ad Alessandria, per raggiungere Genova (e oltre); il fantastico scalo merci è rimasto inutilizzato per tanto tempo e ora è ampiamente sottoutilizzato, anche se passano gli Upack con i Tir sotto la galleria del Sempione; il Parco tecnologico è stato utilizzato per lo più da fasulli imprenditori che lo hanno abbandonato molto presto. Per “nostra fortuna” il frontalierato ha conosciuto pochi periodi di stasi e molti ragazzi che hanno frequentato le università maggiori si sono poi trasferiti, non trovando qui soluzioni di lavoro: Ma il doppio risultato è stato una riduzione della popolazione residente e il suo evidente invecchiamento. Ora torno al problema che intendevo porre: se parliamo di Genova, tutto ciò che è stato detto è importante e fondamentale e va sviluppato. Se, invece, vogliamo parlare di Nordovest, allora il ragionamento va decisamente ampliato e con una certa celerità, perché i tempi della politica sono sempre biblici e i cambiamenti elettorali possibili sono pregiudizievoli comunque alla definizione di un progetto realizzabile. Ora arrivo al test di cui dicevo in apertura: ieri – in mancanza di meglio – si è tenuto un fantomatico referendum che chiedeva di fare passare la nostra provincia dal Piemonte alla Lombardia. Fortunatamente la gente ha capito che non era proprio il caso per una boutade di questo genere, che ci avrebbe gettato nel “buio assoluto” per chissà quanto tempo senza sapere che vantaggi ne avremmo avuto, in uno Stato che da troppo tempo non decide nulla sulle sue istituzioni decentrate, anzi (le 21 sanità regionalizzate in primis, un’assurdità totale!). Però, ora, il Piemonte ci deve pur dire che cosa significa avere scritto nel proprio Statuto che al VCO è riconosciuta la “Specificità montana”, perché finora non l’abbiamo capito un gran che (sembra l’abbiano capito di più a Sondrio e a Belluno). Se significa un progetto ben costruito, che consenta uno sviluppo ragionato del nostro territorio, allora non solo ci vogliono deleghe e soldi, ma si può davvero ragionare sul filone dello sviluppo del Nordovest e della sua direttrice stradale e ferroviaria verso la Svizzera e la Germania. Magari, dopo oltre 30 anni da quell’idea, qualche cosa si capirà e si potrà contribuire a un disegno di sviluppo di qualità in questa parte d’Italia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it