DIVERSITA’

di Franco Astengo Non è facile declinare in politica il tema di una propria conclamata “diversità soggettiva” senza scivolare nell’arroccamento di una sorta di moralismo che può generare l’idea di una “supremazia di valore” fino al punto di essere fonte odio per il “diverso” e sospetto per tutto ciò che si muove al di fuori della propria sfera, ritenuta intangibile. La “diversità” infatti, è questione di collocazione nella struttura del sistema politico ponendosi sul terreno di un “piano sistemico” e non certo di una “auto proclamazione” a priori. Si ricorda la “diversità” berlingueriana: una “diversità” la cui interpretazione corrente all’epoca nacque , è bene ricordarlo, non tanto per rivendicare una “alterità” nei fini (che rimanevano comunque rivoluzionari) ma soprattutto dalla presa di distanza, secca e inequivocabile, dalla degenerazione che il sistema dei partiti stava attraversando, dopo che erano entrate in scena “decisionismo” e “personalizzazione”. In quel tempo (ci trovavamo all’inizio degli anni’80) si prospettava una grande riforma in senso presidenzialista e si attaccava direttamente il sistema politico fondato sui grandi partiti di massa (emergevano già allora fenomeni di corruzione in sede locale, da Torino a Savona, dovuti proprio all’iniezione, nel corpo dei partiti, segnatamente in quelli economicamente più deboli, di quel virus della “antipolitica” che poi avrebbe trovato largo spazio e seguito). Virus dell’antipolitica il “decisionismo” e la “personalizzazione” ? Molti avranno da obiettare. Eppure è da questo elemento che è necessario partire per riflettere al meglio sull’intreccio perverso tra questione politica e questione morale e di conseguenza ricercare le ragioni fondative di una “diversità”. Il cedimento più evidente è avvenuto nella fase di avvio dell’infinita “transizione italiana”, all’inizio degli anni’90, quando si scambiò l’idea della “governabilità” con quella della “rappresentanza”, consentendo – al momento dell’implosione dei grandi partiti di massa – l’entrata in scena del soggetto “partito-azienda” che avviò la trasformazione completa delle coordinate di fondo sulle quale si era fino ad allora retto il sistema politico italiano. Non ci si è accorti di questo mutamento del tutto – ripetiamo – strutturale e del fatto che i punti di trasformazione del sistema, dalla formula elettorale maggioritaria, alla personalizzazione, all’elezione diretta, al “partito liquido”, alla “vocazione maggioritaria” si collocavano, nello specifico del “caso italiano” in maniera affatto diversa da altri sistemi in cui certi meccanismi erano vigenti. Il tutto in coincidenza con una crisi profonda della cosiddetta “democrazia liberale” anche a livello internazionale e il pratico fallimento dei soggetti sovranazionali che avrebbero dovuto rispondere a quella crisi. Non si sono affrontati i nodi che, sciolti, avrebbero potuto davvero “occidentalizzare” il sistema politico italiano (dato e non concesso che questo fatto potesse risultare positivo) come quello “macroscopico” del conflitto di interessi e ci si è incamminati sulla strada di una progressiva “orientalizzazione” nel senso indicato a suo tempo dal prof. Sartori, del “sultanato”. E’ partita da lì una complessiva degenerazione del sistema. Sistema reso ancor più fragile da eclatanti fenomeni di distacco di massa resisi evidenti in diverse forme e non soltanto nella crescita dell’astensione. E’ mancata una seria riflessione autocritica su questi punti che sono stati quelli sui quali si è avventato un vortice di denaro, sono saliti all’inverosimile i privilegi del ceto politico (che doveva essere “assimilato” in questo modo, almeno per la sua maggioranza, sempre sensibile a questo tipo di sirene) si è annullato il voto di appartenenza e quello d’opinione ha ceduto il passo al “voto di scambio” praticato su scala di massa. A un certo punto sono arrivati addirittura i “contratti di governo” stilati apposta per consentire l’espressione di promesse legate – appunto – al “voto di scambio”. La parabola che sta seguendo il M5S , soggetto sortito esattamente dallo stato di cose fin qui descritto, appare evidente come indicazione della strutturalità del fenomeno e della sua invasività sull’azione politica: la sola risposta che pare si riesca a fornire per continuare a nascondere il processo di omologazione è quella del sospetto e dell’odio attraverso cui il M5S tenta di mantenere per quanto possibile le proprie stimmate di “diversità”. Forse è il caso di riflettere non tanto sul come inoltrarsi ulteriormente all’interno del disastro che si è costruito come da qualche parte si è pur tentati di fare, ma pensando invece a un’inversione di  rotta nel senso di aprire al recupero di un radicamento sociale fondato davvero sulle contraddizioni operanti e alla costruzione di un nuovo “soggetto dirigente” (senza paura delle parole) da costruire per via di crescita culturale e politica e non per via di “cooptazione” personalistica, magari suffragata dalla manipolazione via web. Il quadro generale di riferimento dovrebbe essere, a questo punto, quello di porsi prioritariamente l’obiettivo di ritorno a quella democrazia parlamentare che la Costituzione indica come forma del nostro stato repubblicano. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CAMICIE NERE

di Franco Astengo Savona ha vissuto giornate di vero e proprio dispregio della memoria di un Città medaglia d’oro della Resistenza, la cui ricorrenza quarantennale è stata tra l’altro bellamente ignorata dall’Amministrazione Comunale di destra. Sabato scorso è accaduto un fatto grave, al limite dell’indicibile: la Signora Sindaco e il Signor Prefetto hanno candidamente assistito senza battere ciglio a una cerimonia svoltasi nel cimitero cittadino di Zinola per lo scoprimento di una lapide in memoria dei soldati savonesi caduti nel corso della seconda guerra mondiale: da un lato della lapide sono indicati i corpi combattenti da onorare nella memoria e tra gli alpini, gli artiglieri, i fanti, hanno trovato inopinatamente posto le “camicie nere”. Signora Sindaco e Signor Prefetto rimasti imperterriti al loro posto durante la cerimonia, nonostante che visti i contenuti della lapide i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza se ne fossero immediatamente allontanati. Alla reazione delle associazioni e delle forze politiche democratiche e antifasciste la risposta della Signora Sindaco è stata di “non conoscenza dei contenuti della lapide” e, per il futuro, della necessità di confrontarsi con l’associazione che ha promosso la lapide (una non meglio identificata Associazione “Caduti senza croce”). Potrà apparire superfluo ma invece è assolutamente necessario chiarire un punto preliminare: anche perché, da parte dei rappresentanti dell’Associazione in questione si sostiene la piena integrazione, all’epoca, delle Camicie Nere nell’esercito regolare. Integrazione da cui deriverebbe di conseguenza la loro assimilazione, anche nel ricordo, ai reparti combattenti. Va ricordato con grande chiarezza e disegno di verità storica che la Camicia Nera è stata la divisa del fascismo e che il fascismo rimane la più grande disgrazia capitata al nostro Paese nella sua storia. La Camicia Nera fu adottata quasi subito dal fascismo come suo emblema, del resto il nero era considerato come il colore della morte e la bandiera degli Arditi lo accompagnava con il teschio con il pugnale tra i denti. La camicia nera fu adottata da Italo Balbo fin dalla marcia su Ravenna e poi, naturalmente, nella marcia su Roma. Gli squadristi che nel biennio 1920 – 1922 avevano insanguinato il Paese uccidendo, devastando, incendiando e rappresentando la leva attraverso la quale il fascismo aveva raggiunto il potere. Attraverso lo squadrismo delle Camicie nere, gli agrari e gli industriali erano riusciti a piegare la resistenza dei contadini e gli operai. Gli squadristi in Camicia Nera furono poi inquadrati nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale: un corpo armato parallelo a quelli dello Stato posto al servizio di una parte politica, così come il “Gran Consiglio del Fascismo” rappresentò un organo parallelo a quelli istituzionali previsti dallo Statuto. Tutto questo avvenne molto prima del varo delle leggi cosiddette “fascistissime” (1925) attraverso le quali il fascismo assunse compiutamente le vesti di una dittatura. In questo modo le Camicie Nere parteciparono, inquadrate nell’esercito, alle guerre fasciste in Etiopia, in Spagna per combattere la Repubblica democraticamente eletta, nella Seconda Guerra Mondiale. Fin qui tutto ovvio: deve essere però ribadito ancora una volta che la Seconda Guerra Mondiale non può che essere considerata, per quello che riguarda l’Italia, come una guerra fascista combattuta (fino alla fine per quel che riguarda le truppe della RSI, anch’esse provviste di camicia nera) al fianco del mostro più sanguinario che il mondo abbia mai espresso: il nazismo. E’ bene tenere queste distinzioni, non farci travolgere dal “alla fine tutti eguali”. L’Italia ha ritrovato, il 25 aprile 1945, la propria capacità di governarsi e amministrarsi autonomamente e non come colonia degli Alleati soltanto grazie alla Resistenza che ne ha riscattato l’onore e la presenza nel mondo. La Resistenza ha rappresentato l’atto fondativo del nostro Paese dopo il Risorgimento e dopo che la Casa Regnante aveva trascinato l’Italia in due insensate e tragiche guerre mondiali. Accanto alla Resistenza, naturalmente, vanno ricordate le sofferenze delle popolazioni civili,i 600.000 militari italiani abbandonati dalla fellonia dell’8 settembre all’estero e internati in Germania essendosi rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale, i combattenti dell’esercito schieratisi a fianco degli Alleati nel corso della loro faticosa risalita delle penisola. Faticosa risalita della penisola al punto che, è bene ricordarlo ancora, le grandi città del Nord furono liberate dai Partigiani in anticipo sull’arrivo delle truppe anglo –americane. Questo riassunto, forse inutile ma non è detto che lo sia stato, per dire che le “Camicie Nere” sono state il simbolo del fascismo e che questo fatto non può essere dimenticato o deviato nella costruzione di una memoria storica che deve essere continuamente alimentata per non restare colpevolmente smarrita. Si ricorda ancora che Savona è la città di Sandro Pertini, senza aggiunte o richiami a un nome che da solo spicca nel firmamento della parte migliore della storia di questa Nazione. La città distrutta dai bombardamenti fu poi ricostruita grazie all’operato di una giunta formata in buona parte da operai delle sue grandi fabbriche, l’Ilva e la Scarpa e Magnano, rappresentanti dei grandi partiti di massa della sinistra italiana. Una città ricostruita dalle macerie della guerra in un periodo di grande lotta per la difesa delle sue fabbriche, la cui presenza – nel corso di quei drammatici anni ’40 – ’50 – era stata messa in discussione a causa della riconversione dell’industria bellica portata avanti dal governo democristiano che certo non nutriva grande simpatia per la classe operaia “rossa” della nostra Città. Quella classe operaia che l’aveva liberata dalla tirannia del fascismo in Camicia Nera. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DIAGNOSI DI UNA MALATTIA (con una proposta di prognosi)

di Dario Allamano Se un medico sbaglia la diagnosi è assai probabile che sbagli anche la prognosi, ed il rischio concreto è che il malato raggiunga in tempi più o meno lunghi il padreterno. La regola vale anche per la politica, se l’analisi delle cause che hanno prodotto la crisi è sbagliata, la strategia che ne deriva porta il partito, o movimento politico, fuori strada. Le analisi che vengono oggi fatte dai politici italiani sono adeguate per affrontare nel modo giusto la crisi che l’Italia (e l’Europa) stanno vivendo? E’ questa la domanda che dobbiamo porci. Io me la sono posta più volte e la mia risposta è NO. Le analisi che vengono fatte son per lo più viziate da un difetto, non affondano nelle origini della crisi, le quali risalgono molto indietro nel tempo. Le origini dei mali che hanno originato le crisi economiche e sociali, che oggi viviamo, risalgono all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, allorchè gli Stati Uniti assunsero una decisione politica che avrebbe cambiato per sempre la storia del mondo, una data è emblematica, il 15 agosto 1971, allorchè Nixon denunciò il trattato di Bretton Woods, quello dei cambi fissi e della convertibilità del dollaro in oro. Quella scelta, oltre che modificare i cambi, generò un altro effetto, gli Stati Uniti da quel giorno furono liberi di stampare moneta ad libitum, senza che ciò si trasformasse in aumento dell’inflazione, gran parte dei dollari veniva comprato quale “bene rifugio” da paesi esteri, per circa 40 anni il dollaro è stato prima ancora che una moneta, un “titolo di Stato” solido e sicuro.. All’inizio degli anni settanta negli USA, a Chicago, stava inoltre prendendo forma la teoria economica di Milton Friedman, definita neo-liberista, che puntava al superamento delle teorie Keynesiane. Detto in estrema sintesi. Mentre Keynes basava la sua dottrina su una tesi: la domanda aggregata (consumi, investimenti pubblici e privati e import-export) era la base per la crescita e lo sviluppo, ma, stante la sua articolazione complessa, secondo le teorie liberali classiche, andava comunque governata dagli Stati. Friedman teorizzava esattamente il contrario, una tesi semplificatoria: la libertà totale ed assoluta per le imprese, e che si reggeva su un paradigma indimostrato, i mercati si sarebbero autoregolati. Gli effetti che stiamo vivendo nascono per l’appunto da questa nuova ideologia, perché prima ancora che dottrina economica il neo-liberismo è una ideologia. Gli effetti perversi di questa teoria liberista (ma non liberale) ebbero un ulteriore impulso circa ventanni dopo. Il crollo dei muri dell’est comunista avviò la competizione tra Stati, e la Globalizzazione economica, per la prima volta il confronto non avveniva più dentro il recinto del capitalismo classico (USA-Europa), ma si apriva a nuove economie che, rispetto a quelle cosiddette occidentali, avevano alcuni vantaggi: Erano molto competitive perché il costo del lavoro nella nascente industria era molto più basso; Erano economie di Stati i cui Governi avevano un forte potere di comando (la Cina ad esempio); Gli Stati potevano manovrare sui cambi per favorire l’export. Le economie occidentali soffrivano esattamente degli svantaggi opposti: Costo del lavoro più alto; Stati sempre più deboli nella programmazione economica e industriale; E, dopo il 15 agosto 1971, cambi molto fluttuanti, ma con una egemonia netta del dollaro. L’esito ipotizzato nel caso migliore fu la “decrescita felice”, nel caso peggiore l’allineamento del costo del lavoro verso il basso. Pochi ritennero necessario ed opportuno sfidare la Globalizzazione sul lato della QUALITA’ dei prodotti. Infine, sempre ad inizio anni settanta, si evidenziò il terzo elemento che avrebbe cambiato per sempre l’economia mondiale. In un mondo sempre più energivoro crebbe in modo decisivo la potenza finanziaria degli Stati detentori delle riserve energetiche (petrolio e gas), prima gli Stati del Medioriente (l’OPEC), poi la Russia ed infine alcuni Stati del sud America e dell’Africa. In questo nuovo mondo l’Europa, continente senza risorse energetiche (al di la del carbone), ed appena uscito dai disastri di due guerre mondiali combattute sui suoi territori, con la conseguente subalternità agli Stati Uniti, e vocato essenzialmente all’economia di trasformazione era, ed è, il classico vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. I paesi europei si trovarono di colpo a dover fronteggiare una crisi epocale senza averne gli strumenti politici ed economici adeguati. Tutto ciò che è avvenuto dal crollo del muro di Berlino in poi nel nostro Continente è stato un difficile gioco di equilibrio per mantenere lo spazio che l’Europa aveva prima nell’economia mondiale. La risposta ai nuovi equilibrii mondiali fu quella, corretta ma molto difficile, di costruire un forte MERCATO INTERNO, basato su circa mezzo miliardo di cittadini. Il lato debole fu la mancanza di coraggio nel costruire una Istituzione sovranazionale altrettanto forte, la Federazione di Stati Europei. Oggi scontiamo questi limiti di un continente molto interconnesso dal punto di vista economico, ma che non ha una politica  sociale, economica, fiscale a livello comunitario. Abbiamo una Istituzione che, avendo mantenuto la sua struttura di Confederale, basa quel po’ di politica che fa su dei trattati intergovernativi e non su delle regole condivise tra tutti gli Stati. Il grande limite che oggi blocca l’Europa è il dover portare ogni decisione all’approvazione del Consiglio dei capi di Governo, in cui vige il diritto di veto. Il risultato evidente è che in quella Istituzione, se vi sono divisioni tra Stati, non si vota a maggioranza ma  si decide di non decidere. L’idea romantica di tornare agli Stati nazionali per combattere questi limiti è francamente debole. In una economia finanziarizzata, nella quale le grandi aziende bancarie e di gestione del risparmio manovrano un volume d’affari (180 mila miliardi di dollari) pari a tre volte l’intero Prodotto Interno Mondiale, è semplicemente impossibile pensare che l’Italia sia in grado di reggere da sola con la sua liretta. Nel 1992 in una sola notte un singolo finanziere (Soros) mise in ginocchio la lira. Il costo per gli italiani di quella speculazione fu una finanziaria (quella di Amato) di 92 mila miliardi di lire, è un momento della nostra storia da non dimenticare MAI. Come …

LETTERA AL MINISTRO LUIGI DI MAIO

di Antonella Soddu Caro Luigi, chi tra me e te è un immorale? Caro Luigi Di Maio, l’immoralità è la tua. Lo dico con molta delusione, amarezza e rabbia. Contemporaneamente ti chiedo anche di non parlare – e/o continuare a farlo – di disoccupazione, povertà e immoralità se un povero desidera comprarsi un pacchetto di sigarette anche per scacciare qualche pensiero che in alcuni giorni non si potrebbe proprio dire “positivo“. Vedi, te lo dico con il cuore; io so cosa significa vivere con 461,39 euro al mese. Prendo il REI – misura varata dagli ultimi Governi di Sinistra “ladrona e corrotta” come la chiamate voi colpiti dalle stelle luminose del firmamento – ho sottoscritto un patto di presa in carico – come prevede la legge che ha istituito il REI – mi sono registrata sulla piattaforma online del SIL – Sardegna Lavoro – sono affiancata da un tutor, ho frequentato tutti i seminari che il CPI mi ha proposto, ho inserito il mio curriculum – ben 12 pagine di scheda anagrafica e storica dei lavori che per lunghissimi 16 anni ho svolto – nella piattaforma “incontro domanda/offerta lavoro” vi accedono lavoratori e imprenditori (forse tu non lo sapevi che la Regione Sardegna dal 2016 ha varato una legge di riforma dei centri per l’impiego in ottemperanza alle direttive UE che vincolano lo Stato ad attuare entro il 2020 le riforme in tal senso. Direttive legate ai fondi FES e POR 2007/2014 ed 2014/2020). Spero che queste informazioni siano conosciute da chi oggi si appresta a partecipare ai concorsi ASPAL Sardegna per assunzione personale, perché altrimenti saremmo punto e a capo; cioè, gente che si appresta a diventare prossimo impiegato o funzionario ASPAL che non sa nemmeno di cosa si parla. Comunque, dicevo, percepisco il REI, e oltre ad aver eseguito alla lettera le disposizioni di cui sopra, svolgo per 15 ore settimanali il servizio civico presso il mio Comune di residenza, svuoto e cambio le buste dei cestini nelle piazze, dei marciapiedi e delle strade, spazzo e raccolgo ogni genere di rifiuto che cittadini incivili gettano a terra e spesso qualcuno, mentre io spazzo, getta di nuovo le cicche di sigaretta a terra. Se gli chiedo – “ha visto che ho appena pulito, perché non la gettata nell’apposito contenitore?“, mi risponde – “se noi non sporchiamo voi non pulite, quindi non lavorate“. Pazienza, abbasso la testa e riprendo a spazzare in nome del principio del decoro sul posto di lavoro. Oltre al patto di presa in carico, al servizio civico, ho anche voluto – non ero obbligata a farlo perché da quattro anni ho ripreso gli studi di scuola superiore che avevo interrotto a 17 anni, oggi ne ho 47 – anche sottoscrivere il patto di formazione perché voglio sempre migliorare e aggiornare le mie competenze. Sono, pertanto in regola con gli obblighi e gli adempimenti che prevede la legge sul REI. Al CPI territoriale sono pubblicati ogni settimana elenchi di offerte lavoro, (se vuoi la settimana prossima ti faccio le foto e le pubblico) che però sembrano non esser mai rivolte a persone adulte over40 – molto raramente queste aziende rispondono alla ricezione dei curriculum che invio, e spesso mi sono anche sentita dire – “ha i requisiti ma purtroppo è adulta“. Il personale del CPI, i tutor fanno tutto il possibile per presentare/rmi offerte di lavoro, ma mi avvisano – “ci provi sempre, non si arrenda anche se le rispondono che non ha l’età“. Prima dell’ introduzione del REI in Italia – e quindi anche in Sardegna – era in vigore (misura introdotta dal trattato di Lisbona 2008 ) la linea3 bando estreme povertà. I comuni impegnavano le persone bisognose in servizio civico in cambio di un contributo mensile di 400 euro per 6 mesi a rotazione, ho fatto anche quello per 3 anni consecutivi. E mentre svolgevo servizio civico, purtroppo, ahimè, svolgevo lavori in nero che le ditte mi offrivano, forse le stesse che nella piattaforma incontro “domanda/offerta” lavoro mi escludevano per via della mia età avanzata. Oggi, percepisco il REI, 4 componenti nucleo famigliare Euro 461, 39 al mese per 18 mesi. Somma che per il 50% posso prelevare. Il resto posso spenderlo per acquisti di generi di prima necessità pagando direttamente sul posto – faccio gli acquisti nei negozi e nei supermercati del mio paese senza nessun problema. La metà della somma che posso prelevare, la uso per mettere la benzina per andare a scuola tutti i giorni, ricarico il mio cellulare perché cosi ho anche modo di usare internet per motivi di studio e svago, ho diritto, io e i miei figli di aver ogni tanto bisogno di sentirci liberi e vivi come altri come te. Per questo ogni tanto, una volta al mese, io e i miei due ragazzi minorenni entriamo in qualche pizzeria d’asporto e ci compriamo una CAZZO di pizza, pagandola in contanti come fanno i comuni mortali. Non immagini quanto sia bello ordinare, aprire il borsellino, pagare il dovuto e tornare a casa per assaporarsi la pizza davanti a un film oppure guardando otto e mezzo dalla Gruber e vedere il tuo sorriso beffardo che mi sputa in faccia di essere immorale. Si, perché, caro @Luigi Di Maio, mi compro anche un cazzo di pacchetto di sigarette che cerco di farmi bastare per una decina di giorni. Anche io ho i miei cazzo di vizi immorali. Ma è un immoralità che mi fa sentire libera eguale a voi cittadini “onesti” colpiti dalle stelle più luminose del firmamento. Ora dimmi, chi tra noi due è immorale, io o te? Cordialmente SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DEMOCRAZIA SOCIALISMO LIBERTA’, PER UNA NUOVA SINISTRA

di Felice Besostri Per un socialismo nel XXI° secolo La sinistra il 4 marzo ha conosciuto la sua Caporetto, non ci sarà una rivincita se si affidasse ai suoi Cadorna. Il problema non è neppure di trovare il Suo Maresciallo Diaz o l’equivalente italiano di Corbyn o un Bernie Sanders, ma di trovare una nuova forma di riorganizzazione, in cui la base decida e scelga e al vertice ci sia un organo collettivo pensante, perché gli uomini soli al comando hanno degenerato i partiti, che non sono quelli previsti dall’art. 49 della Costituzione. La nostra Costituzione nell’articolo ispirato dal socialista Lelio Basso pone come soggetti i cittadini, tutti i cittadini che possono fondare liberamente associazioni, rette da statuti democratici per determinare la politica nazionale e non che le partitocrazie si sostituissero alla centralità del Parlamento. I partiti di massa della Prima Repubblica grazie al loro radicamento sociale e ai vincoli ideologici, condivisi dai gruppi dirigenti e dagli iscritti sono riusciti a non compromettere le istituzioni. Neppure il monopolio delle liste e delle candidature con qualsivoglia sistema elettorale, anche quello proporzionale con le preferenze, non aveva impedito la presenza in Parlamento di un buon numero di parlamentari di qualità. I problemi sono cominciati quando con la scomparsa delle ideologie e di progetti di società specialmente a sinistra, constatato che non erano in grado di avere la fiducia della maggioranza degli elettori hanno pensato che c’era una scorciatoia per il potere con premi di maggioranza incostituzionali e liste bloccate. I regolamenti parlamentari contro lo spirito della Costituzione hanno ridotto la centralità del Parlamento, che non può esistere senza parlamentari, come previsti dall’art. 67 della Costituzione, cioè che rappresentino con disciplina e onore (art. 54 Cost.) la Nazione senza vincolo di mandato. I poteri reali sono nelle mani dei capigruppo parlamentari, del collegio dei Questori e degli Uffici di Presidenza delle Camere, cioè degli organi espressione dei partiti. Non è un caso che i parlamentari, singolarmente e in quanto tali, sono stati espropriati contro l’art. 69 della Costituzione di decidere la propria indennità e la misura dei propri vitalizi. Con il risultato che ora sono additati come parassiti e sfruttatori al ludibrio popolare, mentre i responsabili governano ancora i partiti, ridotti a comitati elettorali al servizio dei loro leader o dei loro padroni: che infatti non pagano le loro sconfitte e grazie a liste bloccate, collegi uninominali e pluri-candidature si possono autoperpetuare. La sinistra ha difeso la Costituzione contro la deforma Renzi-Boschi, ha vinto il referendum non da sola, ma non ha trasformato il NO difensivo in un SI alla sua attuazione, che significava porre il popolo, cui appartiene la sovranità, quantomeno la maggioranza al centro dei suoi programmi. Invece si sono accettate le politiche economiche di austerità, le privatizzazioni, come svendita, si pensi alle autostrade, malgrado il Titolo III della Parte Prima, che disegna un’economia mista. Non solo: la sinistra, come centro-sinistra, è responsabile con la riforma costituzionale del 2001 dei presupposti giuridici della privatizzazione della sanità e una sua esponente, la Presidente della Camera, ha inferto una ferita rilevante alla centralità del Parlamento ammettendo in violazione dell’art. 72.4 della Costituzione, il voto di fiducia al Governo su una legge elettorale, per di più incostituzionale: un pericoloso precedente, di cui si è abusato per approvare nel 2017 il Rosatellum. Una nuova sinistra deve ritornare alla Costituzione ai suoi valori, che sono chiaramente enunciati nell’art. 3.2 della Costituzione, per cui è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un programma storicamente socialista e democratico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONSEGUENZE DEL NEO LIBERISMO NEGLI ANNI ’80 E ’90 IN ITALIA

di Stefano Betti Alcuni sostengono che il declino dello Stato sociale nel nostro paese, cosi come fu costruito nei decenni successivi al dopo guerra, quelli della guerra fredda tanto per intenderci, iniziò di fatto con la separazione fra Banca Italia e Tesoro. Un divorzio, sugellato all’inizio del 1981 da uno scambio epistolare fra Ministro e Governatore. Saltando il Consiglio dei ministri. Eludendo il Parlamento. Cosa accadde, in realtà? Staccandosi dal controllo del Ministero, la Banca d’Italia non era più costretta a ricorrere a operazioni di mercato aperto, acquistando i titoli invenduti e, di conseguenza, immettendo moneta nel sistema e generando inevitabilmente inflazione, ma a tassi bassi. I titoli di Stato sarebbero stati acquistati da quel momento in poi da investitori privati, che avrebbero determinato l’interesse. E così, fra l’uovo oggi della spesa contenuta degli interessi, ma ad inflazione galoppante, si preferì la gallina del debito pubblico domani, pigiato dalla spesa per interessi crescente. D’ altro canto, il mondo occidentale dieci anni prima era entrato a vele spiegate nel sistema dei cambi flessibili. Il Mercato reclamava la sua indipendenza dalla politica. Ai socialisti non piacque tutto questo. Anche perché privandosi della capacità di programmare, che l’intervento della Banca centrale avrebbe garantito, come avrebbero potuto dare corso a una politica economica ispirata da principi socialisti? La crisi delle Comari, che vide Rino Formica affrontare Mino Andreatta nel 1982 ne fu l’epilogo visibile. Dunque, il debito cresce con una sempre maggiore incidenza della spesa per interessi. Ma questo non ci esime dal riflettere sul volano sconsiderato della spesa pubblica di allora, come per molti aspetti di oggi, condizionata da sprechi, operazioni poco lecite, pressapochismi, disorganizzazione evidente. Oggi siamo nelle mani dei possessori del debito pubblico, in larga misura esteri. Questa è la realtà. Altri ancora, invece, vedono nelle privatizzazioni degli anni 90 il colpo di grazia allo Stato sociale. Bettino Craxi più volte dichiarò che i socialisti non sarebbero stati certo contrari alle privatizzazioni, ma non senza dubbio favorevoli a una cessione indiscriminata di tutti i gioielli di famiglia. Come qualcuno pensava di fare. Il 1991 è l’anno del braccio di ferro coi liberali e con settori della DC. E con buona parte dell’imprenditoria italiana, ingolosita dagli asset pubblici che avrebbe potuto acquisire. La fine è nota. La sinistra che emerge dalla fine della c.d. Prima Repubblica è in larghissima misura erede del disciolto partito comunista, alleata con le terze linee della DC. C’è una grande voglia di affrancarsi dall’essere considerati figli di un dio minore. Quale migliore garanzia quella di affidarsi di fatto al neo liberismo? E così, costituendo e distruggendo un partito in media ogni otto anni, la sinistra, che tutto è stata meno che socialista (e quindi non è stata vera sinistra), invaghitasi di Blair, un paradossale Tatcher labourista, chiusa nel recinto dogmatico che si era autoimposta, è stata certo più efficace del centro destra nel privatizzare. Nelle macerie di un fallimento, quello della sinistra ex comunista post Tangentopoli, occorre riprendere il filo interrotto allora. Come socialisti.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“CLIMA DA STADIO” PER UNA MANOVRA DI CLASSE E ASSISTENZIALISTA

di Franco Astengo Può essere giudicato davvero inquietante il clima da stadio messo su dal M5S attorno a Palazzo Chigi nella serata dell’approvazione della nota aggiuntiva al DEF, varata ieri sera al Consiglio dei Ministri: con i ministri cinque stelle che si affacciano al balcone (siamo di nuovo alla vigilia di qualche balcone fatale?) esultando come – appunto – dopo una vittoria calcistica. Il segnale visibile di una degenerazione del clima politico ridotto all’espressione di tifoserie (tra l’altro nel filmato si nota bene cha la “claque” è indirizzata e irreggimentata quasi militarmente) che era già nell’aria alimentata dall’idea dell’“uomo solo al comando” materializzata nel decennio precedente. Adesso invece siamo al “popolo” in nome del quale surrettiziamente agisce un gruppo di potere retto in maniera del tutto opaca manovrando il web. Pericoli per la democrazia, tanto più che nel documento in questione si parla di modificare la Costituzione per rafforzare gli strumenti di una presunta “democrazia diretta” riducendo ancora il ruolo dei consessi elettivi e della rappresentanza politica. Quanto al merito della manovra è evidente che si tratterà di verificare i provvedimenti conseguenti, però qualcosa si può già affermare dal punto di vista di una visione di carattere generale. Intendiamoci bene: dal nostro punto di vista non è questione del deficit e dell’eventuale scontro con l’Europa. La questione è di merito cercando di comprendere perché si alza il deficit (con annessi e connessi) e come si va a un eventuale scontro con l’Europa. Parliamoci chiaro. I tre cardini della manovra: riduzione delle aliquote IRPEF, sovvenzioni ai singoli definite “reddito di cittadinanza”, condono definito “pace fiscale”, assommano due caratteristiche ben precise: avvantaggiano i ricchi e gli evasori fiscali (quindi il documento assume su questo punto una dimensione di “classe”) e alimentano l’assistenzialismo, perché nessuno potrà mai convincerci che il presunto “reddito di cittadinanza” non sia altro che un intervento assistenziale che contiene in sé un concetto negativo del lavoro, dello sviluppo economico, di un’idea di eguaglianza (l’assistenzialismo infatti, lo dimostra la storia del regime democristiano, non solo mantiene ma accentua le disuguaglianze sociali). Sicuramente è possibile attingere al deficit spending, ci mancherebbe altro. Accanto alla crescita del deficit spending si poteva pensare a un’imposta patrimoniale progressiva (come prescrive la Costituzione) e a una tassazione adeguata sulle transazioni finanziarie. Diversa partita, inoltre, sarebbe stata se alla crescita del disavanzo avessero corrisposto almeno tre operazioni necessarie per il rilancio del Paese: 1) Un piano di rilancio industriale destinato all’innovazione e ai settori strategici attraverso una programmazione e intervento pubblico; 2) Un piano destinato alle infrastrutture: ferrovie (quelle normali), strade e autostrade. Anche in questo necessità non solo di programmazione ma anche di progettualità pubblica; 3) Un altro piano straordinario destinato alla scuola, all’Università e alla ricerca. Da far notare infine che l’orrida scena recitata dal balcone di Palazzo Chigi e in Piazza Colonna, fa il paio con quella di qualche sera fa con il Presidente del Consiglio che esponeva un cartello dove si leggeva “decreto Salvini”, dopo l’approvazione del cosiddetto “decreto sicurezza e immigrazione”: fatti assolutamente inauditi che dimostrano come in pochi mesi sia ulteriormente degenerata la già precaria situazione italiana. Oltre alla questione della nota aggiuntiva al DEF non si può dimenticare quanto verificatosi appunto con il decreto “sicurezza e immigrazione”. A questo punto, lo ripetiamo da qualche tempo ma ribadire può essere utile, si pone un grosso problema a quella parte di quei settori politici, giornalistici, culturali che intendano muoversi sul terreno dell’opposizione. I contenuti di questi provvedimenti, infatti, chiudono un cerchio ponendo proprio il discorso dell’opposizione al di fuori da semplici riferimenti politico – culturali ma spostandoli sul piano antropologico della concezione della natura umana.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SULLA MANOVRA GOVERNATIVA

di Silvano Veronese Non so contro chi era indirizzato il segno di vittoria esibito da Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi per aver imposto al Governo (e al Paese) una scelta di bilancio pubblico che porterà il deficit al 2,4% del PIL. Per adesso siamo solo alla definizione dei criteri generali della manovra indicata nel DEF ma già le reazioni degli investitori non mi sembrano tranquillizzanti. Qualcuno dovrebbe spiegare a questa caricatura di vice presidente del Consiglio che il problema non è vincere un “braccio di ferro” con Bruxelles (la procedura di infrazione non comporterà danni al nostro Paese) ma convincere i mercati (cioè gli investitori che ci dovrebbero prestare le risorse finanziarie di cui abbiamo bisogno) che la manovra avvierà un percorso di crescita ma cio’ sarà impossibile perchè le misure ipotizzate non sono finalizzate ad investimenti produttivi e nelle infrastrutture e non produranno un posto di lavoro nuovo in piu’. Per quale motivo i mercati dovrebbero sostenere una manovra che aumenterà il debito e finanzierà “in deficit” misure assistenziali e non l’allargamento della base produttiva e della ricchezza nazionale? Si dice, da parte di Di Maio e dei suoi avventuristi compagni, che anche la Francia ha predisposto una manovra con un deficit ancora maggiore ma si dimenticano di dire che la Francia ha un PIL di 2.371 mld contro i nostri 1.716 mld (a fine 2017), che la stessa prevede una crescita superiore alla nostra che è prossima alla stagnazione, che ha un sistema bancario e finanziario ben piu’ solido del nostro, che i tassi di interesse sono piu’ bassi dei nostri e che, in ogni caso, la misura maggiore della sua manovra, in base alla quale registrerà un deficit prossimo al 2,8 %, è “una tantum” e quindi il prossimo anno la Francia rientrerà (a differenza dell’Italia) con il deficit sotto il 2% !! La Lega, che non aveva (e non ha) alcuna intenzione di rompere l’alleanza di governo fino alle “Europee”, perchè il tempo gioca a suo favore, non immagina che l’aumento del costo del debito pubblico (peraltro già iniziato) provocherà l’aumento degli interessi bancari e che, quindi, la sua base elettorale di piccoli imprenditori ed artigiani, le cui aziende vivono sul credito bancario, pagherà un bel costo? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL LABOUR DI CORBYN DOVE FANNO IL CONGRESSO VERO

EM.MA in corsivo Il congresso del partito laburista britannico, svoltosi in questi giorni a Liverpool, si è concluso approvando la relazione di Geremy Corbyn. Il quale ha proposto una piattaforma politico-programmatica in cui si sostiene che il capitalismo liberista è responsabile della grave crisi economica e sociale che ha attraversato il mondo dal 2008 in poi ed è un capitalismo che contrasta radicalmente con gli interessi e le esigenze del Regno Unito. E, quindi, Corbyn ha proposto un’alternativa che consiste in una politica di riforme radicali nell’economia e nella vita sociale che richiama gli ideali del socialismo. Innanzitutto vorrei dire, a chi in Italia milita o ha militato nel Pd, che quello del Labour è un congresso vero, si svolge ogni anno, con delegati eletti dagli iscritti che in questi anni sono cresciuti con una larga partecipazione dei giovani e dove si votano le mozioni congressuali. Questa è la democrazia di un partito. Il Pd, invece, non fa congressi veri e gli iscritti, pochini, non contano niente. Infatti ormai sono i capicordata che posseggono pacchi e pacchetti di tessere fasulle da utilizzare quando occorre. I laburisti a Liverpool hanno approvato democraticamente un programma di riforme che, come ho detto, fanno riferimento agli ideali del socialismo. Sul Corriere della Sera, che ha mosso continuamente pesanti e spesso immotivate critiche a Corbyn, oggi il corrispondente Luigi Ippolito, dopo aver elencato le riforme proposte da Corbyn (consegnare ai lavoratori delle grandi aziene il 10% delle azioni, fare sedere i rappresentanti degli operai nei consigli di amministrazione, nazionalizzare le ferrovie, le poste e le industrie energetiche) annota: “Idee queste (di Corbyn) che, stando ai sondaggi, trovano il consenso della maggioranza dei cittadini”. Quindi, il leader laburista esprime oggi esigenze e problemi che interessano la gran parte del popolo britannico. Il corrispondente de La Repubblica, Enrico Francheschini, a sua volta osserva che Corbyn “ha proposto una narrazione convincente”. E, tra l’altro, sottolinea che “se non sarà la sinistra ad offrire una soluzione radicale alla crescita del razzismo e della xenofobia, alla crisi della democrazia, saranno altri a riempire il gap con la politica dell’odio e della divisione”. Nessuno, più di noi in Italia, sa per averlo vissuto, quando sia vera questa constatazione. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LAVORO, SFRUTTAMENTO, MORTE: L’ETERNA TRIMURTI

di Franco Astengo Mentre il gran circo mediatico batte la grancassa del “non lavoro” diventato “reddito di cittadinanza” nessuno o quasi sembra occuparsi del lavoro vero, del suo sfruttamento, della quotidiana trasformazione dello sfruttamento del lavoro in strumento di morte. Lavoro, sfruttamento, morte: una triade inscindibile, sempre incombente nel ciclo capitalistico, indipendentemente dalle condizioni materiali nelle quali, nello scorrere del tempo, ci si trova ad agire. L’epoca terribile della prima rivoluzione industriale la ritroviamo rinnovata oggi con grande violenza e soprattutto nella misconoscenza generale, senza che neppure – come allora – il movimento operaio sappia riorganizzarsi non solo in difesa ma anche come proposta ideale di una società alternativa. Per questo motivo, proprio per rinnovare e rinsaldare la memoria della Trimurti, lavoro –sfruttamento – morte, in questa occasione si riportano di seguito  le antiche cronache di un vero e proprio eccidio avvenuto il 25 febbraio 1899 all’interno dello stabilimento siderurgico della “Terni” di Savona: già Tardy e Benech e successivamente ILVA, poi Italsider, nuovamente ILVA e infine OMSAV, chiuso negli anni ’90, per lasciare spazio ad una gigantesca operazione di speculazione edilizia attraverso la quale si compiva il capolavoro della chiusura della storia della Savona operaia. Andando per ordine. “Il Letimbro” (giornale della Curia) di martedì 28 febbraio 1899: “Una tremenda detonazione nell’acciaieria della Terni avvertiva gli operai dell’importante stabilimento che era accaduto qualcosa di grave: al forno n.7 per forza di gas era saltata in aria la volta e parte delle pareti. La ghisa bollente sprigionatasi dalla caldaia uccideva sul colpo un operaio, un povero giovane di appena vent’anni, certo Bianconi Ugo di Romualdo, nativo di Susa e ne feriva gravemente altri nove. Al rumore dello scoppio corsero verso il luogo del disastro gli operai e gli impiegati dello stabilimento, le guardie di Finanza, i Carabinieri della stazione del molo i quali tosto provvidero al ritiro dei feriti. Avvertiti del fatto accorsero sollecitamente il sottoprefetto Facciolati, il Procuratore del Re Polito de Rosa, il giudice istruttore avv. Rastelli col Cancelliere, l’ispettore di P.S., delegati e il capitano dei carabinieri ed altri, nonché il dott. Vittorio Carlevarini che apprestò le prime cure ai poveri feriti. Intanto ne venne ordinato il trasporto al Civico Ospedale; i feriti vennero adagiati in pubbliche vetture e giunti all’ospedale vennero immediatamente ricevuti ed amorevolmente curati dai dottori Carlevarini, Meirocco, Aonzo, Rossi, Ramella, Grosso e Astengo. Le suore di carità, il portinaio, la moglie e le figlie coadiuvavano gli egregi dottori che ponevano in atto tutti i mezzi suggeriti dalla scienza medica per salvare i poveretti e per alleviarne le orribili sofferenze. Ma, purtroppo, altre due vittime deve registrare la cronaca! Bogni Claudio fu Faustino di anni 53 da Cagno e padre di numerosa prole; Ruffinoni Giovanni di Antonio di anni 18 da Savona che cessava di vivere domenica alle ore 11 in preda agli spasmi più atroci. Lo stabilimento Terni veniva intanto chiuso e le Autorità si recavano al capezzale dei poveri operai, vittime del lavoro per interrogarli sulle cause che produssero la terribile catastrofe, ma per lo stato gravissimo dei feriti non fu possibile farlo. Gli altri feriti sono: Carlo Alterini di Nicolò da Gaieva, anni 42, manuale; Alfredo Moretti di 49, da Bogliasco, assistente ai forni, Francesco Parodi di anni 30, nato a Stella, Antonio Gualdi nato a Voltri di anni 33, Giovanni Meneguzzi da Cornigliano, fonditore, Carlo Alfredo Peluffo da Savona. Il povero operaio morto sul colpo non era più riconoscibile essendo rimasto completamente carbonizzato. “Il Mare” (organo legato al club “Progresso Operaio”) nel suo numero del 2 marzo (da leggere con grande attenzione n.d.r). Il numero del “Mare” del 2 marzo 1899 fu stampato in 2.000 copie che andarono a ruba. Savona allora contava circa 35.000 abitanti, con un analfabetismo all’incirca del 50%. Ci viene riferito che dopo il disastro un ingegnere dello stabilimento accorso sul luogo dopo il disastro toccava con la punta del bastone il corpo carbonizzato del povero Bianconi, come se fosse stato il cadavere di un cane rognoso, per accertarsi se veramente fosse morto. E faceva ciò con le mami guantate e il sigaro sulle labbra. “Il Mare” prosegue: I funerali ebbero luogo lunedì e riuscirono imponenti e furono uno spettacolo mai visto in Savona. Tutti i negozi furono chiusi in segno di lutto, da molte case sventolavano le bandiere abbrunate. Si calcola che più di diecimila persone (Savona contava allora circa 35.000 abitanti, n.d.r.) presero parte al corteo funebre: contammo 30 bandiere e oltre 40 corone. Alla camera mortuaria parlò splendidamente il giovane avv. Cesare Buscaglia il quale commosse profondamente. Le funzioni religiose si svolsero nella Cattedrale Basilica. Poi l’imponente corteo attraversò per via Vescovado, via Paleocapa, corso Principe Amedeo e via Luigi Corsi sino al luogo di fermata davanti alla chiesa della Consolazione. Qui parlarono l’ing. Mani, direttore tecnico dello stabilimento e due operai. Sciolto il corteo, i feretri furono portati sulle spalle dagli operai che non vollero rinunciare al pietoso ufficio malgrado la presenza dei carri funebri; proseguirono per il cimitero di Zinola (circa 4 Km di distanza, n.d.r.) dove già trovavasi una folla di gente accorsa dai vicini comuni di Vado, Quiliano, Bergeggi e delle borgate vicine (Il giorno di mercoledì 3 marzo ebbero poi luogo i funerali di altri due operai, Antonio Gualdi e Giovanni Meneguzzi, morti in ospedale a causa delle ferite, n.d.r.) Ancora “Il Mare”: La catastrofe avvenuta sabato non ci stupisce ma era da prevedersi e ne accadranno altre fino a che il governo penserà a tutelare le vite dei lavoratori con le leggi eccezionali e il domicilio coatto. Quando una amministrazione come quella della Terni è basta sul sistema delle grette economie, delle speculazioni ingorde sulla vita dei lavoratori, quando questa amministrazione fa lavorare per10 o 12 ore al giorno degli sventurati compensandoli con la paga giornaliera di lire 1,96, se dà grossi dividendi agli azionisti, saranno sempre dolori per i poveri operai. La Società di Terni, d’altronde, insediandosi a Savona trovò degli operai in preda a una dura miseria causa la lunga disoccupazione e se ne …