PONTE MORANDI EVITATE IL PANTANO

di Giuseppe Scanni A quaranta giorni dalla tragedia le soluzioni possibili per la martoriata Genova sembrano più lontane e confuse. In un mio articolo spiego come e perché ci stiamo complicando la vita. Lo Stato senza tecnici, opportunamente racchiusi in “riserve” che attutiscono le responsabilità del potere, brancola tra le interpretazioni del Diritto amministrativo e le opportunità della politica; pessimi amministratori continuano a danneggiare il Paese. Non v’è dubbio che i comportamenti incoerenti o, addirittura, scorretti troveranno le adeguate sanzioni. Il Parlamento si sveglia pian piano dal suo lungo sonno ed anche oggi una nuova interrogazione accentra l’attenzione politica e della magistratura su Vittorio Armani e su alcuni suoi collaboratori. La questione, però, non è rappresentata dalle sanzioni, piuttosto dal conformismo di una parte rilevante del gruppo dirigente della nazione che accentua la crisi etica ed economica che traversa la nostra democrazia. Fortunatamente l’aria stagnante garantita del consueto anticiclone ci ha liberati ed aria fresca, nuova, comincia ad allontanare lo smog. Il parto di decreti legge in Italia è stato spesso travagliato. Così, nessuna meraviglia se l’andamento dell’iter approvativo del Decreto ‘ponte’, poi divenuto ‘Genova’, poi allargatosi arditamente nello scivoloso terreno delle concessioni autostradali e del potere del Governo di revocarle se non sospenderle, non si è ancora concluso. Il testo forse oggi arriverà al Quirinale, ma non c’è esperto (sia in scienze giuridiche che delle costruzioni) che sia molto ottimista sulla effettiva capacità della legge di risolvere problemi separati e diversi in un unico decreto. La questione autostrade La Commissione Ue non ha potuto dare al Governo un preventivo via libera ad inserire, nella norma che dovrebbe contenere misure di sostegno per Genova, un’affermazione esplicita, ed una autorizzazione implicita, a revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi). Se è vero che il Governo ha concordato con la Regione Liguria ed il Comune di Genova le misure per il sostegno a imprese, trasporto pubblico e portualità, Palazzo Chigi e Porta Pia non riescono a risolvere il dilemma costruito da loro stessi con l’espressa necessità di estromettere Aspi come costruttore, ma non come solo finanziatore dell’opera. Aspi insiste a voler ricostruire, possibilmente da sola, il ponte, sia per motivazioni giuridiche (rendere leggera la presumibile costituzione come parte civile degli enti locali e delle vittime), sia per una strategia tesa a difendere nel tempo futuro la concessione di quel ramo di autostrada oggi in discussione. Non aderisce alla tesi di divenire anticipatrice delle spese a fronte del rimborso del danno futuro perché, al limite, è pronta a dichiararsi come creditrice dello Stato concedente per il lavoro di ricostruzione urgente e necessario di un’opera pubblica a lei affidata in gestione. La questione ‘straordinarietà’ della ricostruzione La parola ‘deroga’, a seconda delle simpatie politiche, ha diverse interpretazioni ma significa indubbiamente che le leggi esistenti non prevedono i casi straordinari. Come se il legislatore, nella sua auto dichiarata onnipotenza, abbia escluso per principio che il Bel Paese possa essere turbato da catastrofi naturali o procurate dalla mano dell’uomo. Significa anche che, nella vita accidentata dei viventi, esistono comunque due categorie delle quali tener conto: quelle sottoposte a legislazione ordinaria e quelle ‘in deroga’. La cultura della deroga ha colpito negli anni tutti, per un verso o per il contrario. Stigmatizzata l’eccezionalità per Berlusconi ricostruttore di disastrati territori terremotati, e accusata la Legge Obiettivo di perseguire tempi veloci nell’esecuzione delle opere, lasciando così l’ombra di affidamenti di lavori troppo celeri per non destare sospetti, gli stessi corrucciati difensori della normalità giuridica amministrativa del sistema appaltistico dichiararono prima “criminogena” la legge Obiettivo; poi esaltarono le virtù operative grazie all’eccezionalità garantita al commissario Sala nella costruzione della nuova Fiera e nella realizzazione dell’Expo; tacquero, o per lo meno negarono di aver partecipato in qualsiasi veste alla redazione della nuova legge sugli appalti (che è finita senza padri, persino l’ex vice ministro Nencini vagheggia quando se ne parla) ed anzi nelle ultime settimane i corrucciati difensori della normalità iniziano a criticarla. Il decreto non affronta la questione cruciale di quanto costerà il ponte Il decreto non affronta un problema cruciale: quanto costerà il ponte? Uno dei migliori tecnici italiani mi ha, chiedendo come è suo diritto l’anonimato, sottolineato l’assurdità della presunta cessione pro solvendo di un credito fissato arbitrariamente dal commissario. Se è pro solvendo, chi garantisce l’eventuale mancato pagamento da parte di Aspi? Il commissario decide in autonomia su modalità di demolizione e sul tipo di progetto del nuovo ponte? È lo stesso fare un ponte strallato o sospeso o il ponte mausoleo di Piano, un ponte in cemento armato o in acciaio? Oppure, come suggerisce Enzo Siviero, unanimemente conosciuto come uno dei massimi esperti di ponti nel mondo, si può ricostruire solo il pezzo crollato, ripristinando una grande opera di ingegneria, invece di sostituirla: è possibile, sostiene Siviero, rimpiazzare il pilastro caduto al suolo con una sua replica rovesciata, una doppia ‘A’ che aprendo le braccia, a metà del viadotto spezzato, verso il cielo si tramuta in una doppia ‘V’. Il problema è economico/finanziario, e di tempi di realizzazione (l’ipotesi Siviero si può edificare in un anno), ma anche ambientale. O si opera in deroga anche sulla normativa ambientale? Non sarebbe necessario prevedere la predisposizione di un piano da parte del commissario, per le modalità di demolizione, il progetto, le modalità per la scelta di demolitori, progettisti e costruttori del nuovo ponte? Un piano da far approvare a Regione, Comune, Governo e, perché no, anche ad Aspi/concessionario. Il commissario non dovrebbe presentare ogni 3 mesi una relazione sullo stato di realizzazione? Povero commissario se viene lasciato da solo davanti a problemi enormi ad alto rischio personale. La struttura assai farraginosa del commissario, che ha tutti i poteri ma è obbligato a scegliere i suoi collaboratori nell’ambito della pubblica amministrazione, è una sorta di mission impossible per centomila euro lordi annui, un po’ più della metà del salario che riceve Rocco Casolino. Con quali tempi? Ricordo nella mia attività professionale che il commissario per la viabilità in Sardegna, sconvolta dalle alluvioni, ebbe bisogno di diverse settimane …

CONDONO, PACE FISCALE, DEFICIT

di Franco Astengo Il governo, in questa fase convulsa di preparazione della manovra, gioca sulle parole tra “Condono” e “Pace Fiscale”: in realtà si sta preparando un grosso premio a quella che è stata l’enormità dell’evasione fiscale accumulata nel corso degli anni. Si parla di 1.050 miliardi. Arrivano al pettine i nodi creati dal modello economico – produttivo ispirato dal centro-destra nella sua versione “classica” degli ultimi anni ’90 del XX secolo e del primo decennio del secolo che stiamo vivendo: quello degli “spiriti animali del capitalismo”, della “imprenditoria rampante”, di un in molti casi ingiustificato e avventuristico, “spirito imprenditoriale” alimentato dalla filosofia del “sogno”, stile “american way life”. Tutto questo emerge benissimo, ad esempio, in un’intervista rilasciata dall’ex-sindaco di Padova e attuale sottosegretario, Bitonci, che in un assoluto crescendo giustificazionista parla di “ci hanno imposto il nero o non abbiamo potuto lavorare, aiutateci”. E’ la filosofia del considerare lo stato criminogeno e di considerare quindi l’evasione un “diritto naturale”, del resto proclamata dallo stesso Berlusconi nel suo famoso discorso di giustificazione dell’evasione e dell’elusione tenuto all’ANCE il 2 aprile del 2008 nel corso della campagna elettorale che registrò una rimonta del centrodestra, superato dall’eterogenea “Unione” per soli 24.000 voti. Il centrosinistra dell’epoca ebbe le sue pesanti responsabilità sotto quest’aspetto per aver espresso una contraddittorietà di fondo tra la “bellezza delle tasse” evocata da Padoa Schioppa e l’adesione complessiva al modello che, a partire dal discorso sulle privatizzazioni dell’industria pubblica, approdò all’accettazione piena e supina del neo-liberismo. Sono risultati profondamente sbagliati i modelli dei “distretti del Nord-est”, della “fabbrichetta”, del “sciur Brambilla” anni ’80: è lì che nasce la questione dell’evasione fiscale a dimensioni gigantesche, equilibrata drammaticamente dall’esplosione del debito pubblico e fautrice di disuguaglianza, sfruttamento, lavoro nero svolto in particolare dagli immigrati (pensiamo alle concerie di Vicenza), di arricchimenti indebiti. Così sono stati distrutti i settori portanti e decisivi dell’industria italiana, si è abdicato a qualsiasi idea di programmazione economica, si è data via libera a un mercato selvaggio del quale – appunto – i 1.050 miliardi di evasione e contenzioso fiscale rappresentano l’espressione più evidente, si sono impoveriti interi pezzi di società, demoliti settori portanti come quelli dell’amministrazione pubblica, della scuola, dell’Università. La differenza tra centro destra e centro sinistra, a suo tempo, è stata quella che il centro destra ha perseguito ferocemente la strategia dell’arricchimento per poco e della disarticolazione e anestetizzazione della società italiana, mentre il centro sinistra in alcune sue parti ha perseguito una stupida politica di accreditamento a palazzo e in altre parti esaltandola necessità di unirsi contro il pericolo della destra facendo finta di non accorgersi di stare sviluppando proprio la politica della destra (un classico “storico”). So bene che la giustificazione a tutto ciò è stata data dal procedere della tecnologia, dalla necessità di scrostare imposizioni corporative, dall’irrompere della globalizzazione, dallo spostarsi dell’economia verso la finanziarizzazione da cui la scaturigine della crisi del 2008. Non mi è parso però il caso di starci dentro all’epoca, accumulando anche una buona quota di propaganda espressa da luoghi comuni, in una sorta di adeguamento continuo al ribasso, come è stato fatto anche attraverso il tirar fuori come alternativa “i beni comuni”, il “mutualismo” in attesa di riscoprire i falansteri di Fourier e i pre-marxisti. Tutte belle cose ma del tutto insufficienti rispetto alla bisogna che stava esprimendosi pesantemente sulle condizioni materiali di vita, di lavoro, di ambiente. Sono questi punti sui quali riflettere, così come sarebbe il caso di pronunciarci sulla questione del deficit. Abbiamo sempre sostenuto la necessità di utilizzo del “deficit – spending” e osteggiato fortemente le politiche rigoriste imposte dall’UE. Adesso è il caso di affermare che la questione risiede nell’utilizzo dei margini di deficit (al di là della trattativa con Bruxelles): un conto è l’utilizzo del deficit allo scopo di varare un forte piano di programmazione economica e di intervento pubblico destinato all’innovazione tecnologica, alla creazione di lavoro “vivo e vero”, di adeguamento delle infrastrutture, di difesa ambientale (come dimostra purtroppo ancora Taranto) e ben diverso è il quadro che si presenta di utilizzo del deficit per misure assistenziali come il reddito di cittadinanza. Questo va detto chiaro: il reddito di cittadinanza contiene in sé il rischio di rivelarsi una misura assistenziale che nasconde anche una idea negativa del lavoro (ben diversa dall’idea marxiana del “liberarsi” del lavoro); ricordando anche e sempre che, ad esempio, il tema delle pensioni dovrebbe essere legato, per quel che riguarda l’INPS, alla scissione tra assistenza e previdenza di cui si parla dal 1958 e adesso sparita dall’agenda. Così come è sicuramente una misura di ulteriore agevolazione verso i ricchi l’altra faccia della medaglia per la quale si vorrebbe utilizzare il “deficit – spending”. Assistenzialismo, “pro ricchi”, aumento delle diseguaglianze questa pare essere, in pratica, la cifra che esprime attualmente il governo italiano anche oltre il tema politico generale dello spostamento a destra insito nelle logiche razziste – sovraniste. Personalmente con nessun timore, anzi con orgoglio, di essere definito un retrogrado cultore delle “magnifiche sorti e progressive” e dell’antico scontro di classe: ma rimane questo il punto vero di distinzione filosofica e politica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

POTENZIARE LA SANITA’ PUBBLICA

di Aldo Ferrara* Conclusi al Senato i lavori della Indagine sul SSN, in riferimento ai principi di sostenibilità, equità, universalità, indagine che reitera un procedimento simile della XV legislatura. (Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale). Risultato almeno agli atti: giù le mani dall’art.32! Gli ispiratori dell’indagine, senn. Dirindin e D’Ambrogio Lettieri, si erano prefissi di capire il grado di soddisfazione della domanda di salute in un momento ricco di incognite economiche, sociali ed anche epidemiologiche, che alterano il già difficile equilibrio dei Capitoli di spesa. A parole, tutte le forze politiche, a fronte del dissesto che ha imposto i piani di rientro, fin dall’inizio degli anni 2000, ritengono che non si tratti di un problema economico o di conti (generalmente in rosso), ma “la sostenibilità del diritto alla salute è prima di tutto un problema culturale e politico”. La Commissione concorda che il rispetto dell’equità dovrà essere prioritario, garantendo a tutti coloro che ne hanno bisogno accesso alle cure di qualità, nonostante la crisi economica. “In sostanza – afferma la Commissione – la sostenibilità della spesa può e deve essere affrontata come una sfida di pubblica priorità nella riallocazione delle risorse per soddisfare al meglio i bisogni della popolazione”. Il documento approvato ieri, emana 10 considerazioni conclusive che vengono demandate alla XVIII Legislatura. 1. Restringere le restrizioni che il Piano di Rientro ha imposto. Restrizioni che se da un lato migliorano la contabilità bruta, uccidono dall’altro quantità e qualità delle prestazioni erogate. 2. La sostenibilità della spesa privata deve essere commisurata alla situazione economica di famiglia già pesantemente colpite. Fa specie che la Commissione non indaghi sul livello di povertà crescente che coinvolge 12 milioni di italiani. Non è forse un caso che appunto 12 mln di cittadini siano costretti a rinunciare alle cure. 3. “Un piano straordinario di investimenti: la carenza di risorse per gli investimenti costituisce un elemento di grande debolezza per il Servizio sanitario nazionale. Il degrado di molte strutture sanitarie impone un Piano straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie”. La Commissione però non si cura di indicare che per questo è necessaria una ricognizione accurata delle strutture, edilizie e di funzionamento, (laboratori, ambulatori, cliniche etc.) che richiederebbe anni e risorse per individuare anche le c.d. cattedrali del deserto, o le strutture fatiscenti iniziate e mai completate. 4. La ridefinizione e il monitoraggio dei Lea è un nodo cruciale della coperta: revisione della spesa, che pure ha consentito di ridurre i disavanzi, non ha prodotto altrettanti risultati sulla qualità dell’offerta, accessibilità delle cure e dell’equità del sistema. 5. Le diseguaglianze fra regioni e all’interno di una stessa regione sono inaccettabili, ed “esse sono inoltre almeno in parte evitabili attraverso l’adozione di specifici programmi di intervento a livello locale, regionale e nazionale”. Non è chiaro però quali siano detti provvedimenti correttivi e quali siano le misure da adottare per contrastare il pendolarismo sanitario, una delle cause più remote di fallimento del sistema. “La Commissione ritiene opportuno uno specifico sforzo volto a promuovere un sistema organico di strumenti di governance per l’uniformità degli standard dell’offerta sanitaria all’interno del Paese nei diversi aspetti dell’accesso, della completezza e della qualità dell’offerta, degli oneri a carico dei cittadini, degli esiti in termini di salute. A questo riguardo una buona governance del sistema sanitario e sociale, capace di raccogliere le sfide imposte dai tempi, deve necessariamente estendere il proprio ambito di intervento anche alle gravi criticità determinate dalle condizioni di povertà e dalle emergenze ambientali che incidono sulla salute e sui bisogni di assistenza della popolazione” Ma come fare non lo dice! 6. Le risorse umane: carenza di professionalità mediche, le professioni infermieristiche a rischio (ci occorrono circa 12 mln di paramedici), il lievitare dell’età media (54 anni per i medici e 48 anni per i paramedici). “La Commissione ritiene urgente la definizione di un piano di programmazione per le risorse umane, che preveda una accurata revisione dei vincoli vigenti introducendo elementi di flessibilità, favorendo l’inserimento di nuove leve di operatori, rimodulando il turn-over, ipotizzando forme di staffetta intergenerazionale, superando il blocco dei contratti (anche solo nella parte normativa)”. 7. La formazione. Nodo dolente che coinvolge un altro Dicastero, MIUR, o meglio gli Atenei che formalmente godono di autonomia amministrativa e finanziaria. “A tal fine è necessario una maggiore compenetrazione, come ha sentenziato la Corte Costituzionale, tra la missione dell’Università (incentrata prioritariamente, ma non esclusivamente, su formazione e ricerca) e quella del sistema sanitario nazionale (prioritariamente rivolta alla cura e all’assistenza, ma sempre più attenta anche alla ricerca e alla formazione)”. La Commissione non si spinge oltre per una revisione della Aziendalizzazione e della L 517/99 (Bindi-Zecchino). 8. Dare attuazione alla legge sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. Tutela dunque in tempi brevi del paziente che ha diritto, anche secondo norma di legge (L.24/ 2017) “ad una informazione completa e chiara e al risarcimento del danno in tempi brevi, e dall’altro di tutti i professionisti che operano nel settore e che si impegnano nella realizzazione dell’atto clinico (di per sè rischioso). Migliorare la gestione del rischio clinico, garantire sicurezza ai pazienti e agli operatori, contrastare la medicina difensiva, assicurare tempi certi e modalità semplificate per dirimere eventuali controversie, etc..” 9. L’informatizzazione e la digitalizzazione della sanità. Il Patto sulla sanità digitale in fase di elaborazione e previsto nel Patto per la salute 2014-2016, può essere certamente un documento importante di indirizzo strategico per i sistemi sanitari regionali ma occorre mantenere una regia a livello centrale. 10. Legalità e trasparenza. “Nonostante la crescente attenzione, il sistema sanitario deve ancora dotarsi, sul piano culturale ed etico – oltre che tecnico-amministrativo, di un insieme organico di strumenti volti a promuovere l’integrità del settore, per sua natura particolarmente esposto al rischio di contaminazioni da fenomeni di abuso di potere, frodi, corruzione”. “Particolare attenzione dovrà essere dedicata, e non solo nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro, alle connessioni fra disavanzi di bilancio, disordine amministrativo, qualità degli apparati tecnici, corruzione politica e condizionamenti …

30 ORE LAVORATIVE. LAVORO PER TUTTI E PIU’ TEMPO LIBERO PER VIVERE I PIACERI DELLA VITA

di Daniele Delbene Una società che muta sempre più velocemente necessiterebbe di nuovi modelli sociali volti a governarne ed accompagnarne i processi. Al contrario, ci si scontra con una diffusa mancanza di visione del futuro. Ne consegue che la maggior parte dell’impegno e degli sforzi delle forze politiche e sociali siano focalizzati sul solo governo dell’attualità degli eventi. Nascono quindi risposte parcellizzate a grandi questioni che andrebbero affrontate all’interno di ben più ampi e profondi orizzonti. Persa la capacità di immaginare e “sognare” un futuro migliore, tutto viene incentrato su “soluzioni tampone” fini a se stesse. Invece di liquidare come iniziative elettoral-populiste molte delle proposte all’ordine del giorno delle nuove formazioni politiche, bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni profonde sulle quali si fondano. Ci si accorgerebbe che molte di queste sono reali e maturano nell’incapacità dei vecchi modelli sociali di dare le necessarie risposte alle nuove necessità di una società in continua evoluzione. Osservando la società con un occhio consapevole, ci si renderebbe conto che non siamo in presenza di malattie incurabili e che non servono quindi delle risposte palliative: Reddito di cittadinanza (per sopperire alla diminuzione dei posti di lavoro dovuti alle nuove tecnologie, all’automazione e all’intelligenza artificiale); Chiusura dei centri commerciali nelle festività (per ovviare alla mancanza di tempo da dedicare alla famiglia e al riposo); Sussidi e agevolazioni per assistere figli e anziani (a causa della mancanza del tempo necessario da poter dedicare a loro); Una profonda consapevolezza che guarda al futuro coglierebbe le nuove esigenze come l’opportunità per costruire un mondo migliore. Vanno quindi ripensati i grandi modelli sistemici generali, tendendo ad un obiettivo di sempre maggiore giustizia sociale. La necessaria redistribuzione della ricchezza, imprescindibile fondamento per la vera libertà dell’uomo, non può esimersi dall’affrontare la grande questione del lavoro. Lavoro che oggi sta diventando, invece che strumento di libertà, mezzo di schiavitù. La concorrenza per il posto di lavoro, la precarizzazione, la dinamicità degli orari e delle forme di lavoro stanno occupando tutti gli spazi fisici e mentali degli uomini. Non esistono più certezze e vengono meno i “momenti” per vivere i piaceri della vita. L’altra faccia della medaglia è una società che offre molto di più sotto altri punti di vista, ai quali ci siamo abituati e ai quali non rinunceremmo. Come coniugare quindi la tendenza ad una crescente diminuzione dei posti di lavoro con la necessità di un’universale redistribuzione della ricchezza? Come coniugare il piacere e l’opportunità di fare shopping a tutte le ore e tutti i giorni della settimana con la necessità di tempo da dedicare alla propria vita? Come garantire le giuste attenzioni ai nostri figli e ai nostri cari che necessitano assistenza con un impegno lavorativo dinamico che spesso copre l’intera giornata? La risposta non è il reddito di cittadinanza, che oltre a creare concorrenza tra reddito da lavoro e da sussidio rischia di svilire la stessa dignità dell’uomo, o la chiusura dei centri commerciali che gli stessi lavoratori stressati ed esausti vorrebbero (nel loro profondo) aperti a tutte le ore, o la detrazione per le spese di baby-sitter e assistenti ai nostri cari. Un risposta lungimirante e organica non può che essere individuata nella riduzione dell’orario lavorativo che consentirebbe di lavorare tutti e meno! Ovviamente, alla riduzione dell’orario di lavoro non deve conseguire la riduzione delle retribuzioni, che ne neutralizzerebbe gli effetti. La riduzione generalizzata dell’orario di lavoro deve essere parte di un disegno di ben più ampio respiro, che superi gli attuali confini nazionali e che individui nella costruzione di nuove e future organizzazioni democratiche e sovranazionali i propri fondamenti. Pur con lo sguardo rivolto alla costruzione di un nuovo modello futuro, la riduzione dell’orario di lavoro può essere istituita da subito trovando soluzioni tecniche a suo sostegno (ad esempio concentrando le risorse, volte a garantire il reddito di cittadinanza, alcune di quelle che si dovrebbero destinare alle agevolazioni per baby-sitters e sostegno alle persone in difficoltà, ecc, per “coprire” parte della contribuzione fiscale e previdenziale che verrebbe accantonata dallo stato liberando la retribuzione netta in busta paga…). Un invito alle organizzazioni politiche e sindacali, al mondo della cultura e agli uomini che si prefiggono di “guardare al futuro”, riconoscendosi nei valori del socialismo riformista e democratico, affinché si facciano promotori (nel nostro paese e non solo) delle 30 ore lavorative. Fonte: domanisocialista.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STORIA DEL VOTO

di Franco Astengo Sotto il segno di Giuseppe Mazzini: “Date il suffragio a un popolo che non vi è preparato, governato da cieche passioni ed esso lo metterà in vendita o ne farà un cattivo uso e se un rinnovamento morale non governa, probabilmente si vedranno accrescere le già troppe ricchezze dei pochi, ma la massa di coloro che la producono non vedrà migliorare le proprie condizioni”. L’apostolo dell’Unità d’Italia (come si legge nelle targhe stradali) scriveva questa nota nel 1846 sulle colonne del People Journal di Londra. In questi giorni tra alcuni lettori e la rubrica della posta di “Repubblica” tenuta da Corrado Augias si è aperto un dibattito sul suffragio universale partendo dalla convinzione che non esistano più le condizioni per una espressione consapevole di voto nella sopraffazione delle distorsioni mediatiche, delle “fake –news” e dei “like” espressi su Facebook. La proposta è quella di sottoporre potenziali elettrici ed elettori ad un “esamino” di dieci domandine che sarebbero sufficienti a comprendere se l’esaminanda/o può essere in grado di esprimere un voto consapevole. Augias spiega le ragioni dell’impraticabilità della proposta ma non entro nel merito se non per ricordare che siamo di fronte, ancora una volta, ad una espressione di richiesta di vero e proprio “arretramento storico”, dettata da fenomeni evidenti di regressione culturale e di imbarbarimento del dibattito politico che se non la giustificano la rendono almeno degna di comprensione. Si sono messe in discussione conquiste “storiche” ottenuto dal movimento operaio sul piano dell’esercizio della rappresentanza politica come l’immunità parlamentare (che, in origine, doveva servire ai deputati socialisti per entrare nelle fabbriche sottoposte a “serrata” da parte dei padroni) o la stipendio ai deputati (istituito per consentire ai “non abbienti” di esercitare il mandato. Personalmente ho conosciuto il “deputato contadino” Abbo di Oneglia eletto nella XXV e XXVI legislatura che non disponendo delle risorse per stare a pensione a Roma, usufruiva del “permanente” per dormire sul treno Roma – Firenze e ritorno). Non c’è da stupirsi allora che, attraverso una valutazione di uso improprio, si arrivi anche a mettere in discussione il suffragio universale. Allo scopo di ricordare al meglio quale strada difficile fu intrapresa per arrivare al suffragio universale (raggiunto in Italia soltanto nel 1946 con il voto alle donne) e quali furono le variazioni delle diverse leggi elettorale, comprese quelle previdenti soltanto il “listone” fascista sviluppo di seguito, per punti essenziali, una breve storia della legislazione elettorale italiana. Non senza esprimere una grande preoccupazione per la situazione italiana sul piano politico ma soprattutto sul piano culturale ed etico. 1)  Legge elettorale 17 Dicembre 1860, n. 4.513 Estensione della normativa prevista dallo Statuto Albertino alle province annesse. Diritto di voto: sia ai cittadini censiti che sappiano leggere e scrivere (40 lire di imposta), sia ad alcune categorie esplicitamente previste dal testo legislativo: 418.696 persone su circa 22 milioni di abitanti. Sistema di scrutinio: sistema maggioritario uninominale a doppio turno chiuso (ballottaggio tra i due meglio piazzati, nel caso in cui al primo turno la partecipazione al voto fosse inferiore al 30% e nessuno dei candidati avesse superato il 50% dei voti espressi) Elezioni svolte: VIII Legislatura 27 gennaio 1861 IX Legislatura 22 Ottobre 1865 X Legislatura 10 Marzo 1867 XI Legislatura 20 Novembre 1870 XII Legislatura 8 Novembre 1874 XIII Legislatura 5 Novembre 1876 XIV Legislatura 16 maggio 1880 2) Legge elettorale 24 Settembre 1882, n.999 Diritto di voto: a tutti coloro che, compiuti i 21 anni, si trovino in una delle seguenti condizioni: abbiamo superato il biennio elementare obbligatorio; abbiano frequentato la scuola reggimentale; paghino almeno £19,80 di imposta. Nel complesso il 7% della popolazione in luogo del 2% precedente esattamente 2.018.394 elettori aventi diritto. Sistema di scrutinio: sistema maggioritario plurinominale a doppio turno, con voto limitato per i collegi a 5 seggi. Elezioni svolte: XV Legislatura 29 Ottobre 1882 XVI Legislatura 23 Maggio 1886 XVII Legislatura 23 Novembre 1890 3) Legge elettorale 5 Maggio 1891, n.210 Sistema di scrutinio: sistema maggioritario uninominale a doppio turno chiuso. Elezioni svolte: XVIII Legislatura 6 Novembre 1892 XIX Legislatura 26 maggio 1895 XX Legislatura 21 Marzo 1897 XXI Legislatura 3 Giugno 1900 XXII Legislatura 6 Novembre 1904 XXIII Legislatura 7 Marzo 1909 4) Legge elettorale 30 Giugno 1912, n.666 Diritto di voto: a tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto i 30 anni e per tutti i cittadini maschi compresi tra i 21 ed i 30 anni che, o godano già del diritto di voto per la normativa precedente o abbiano prestato il servizio militare. Il numero degli elettori aventi diritto sale a 8.644.699. Elezioni svolte: XXIV Legislatura 26 Ottobre 1913 5) Legge elettorale 16 Dicembre 1918, n.1986 Diritto di voto: per tutti i cittadini maschi maggiori di 21 anni e per tutti i cittadini maschi che, pur non avendo compiuto i 21 anni, abbiano prestato il servizio militare durante il conflitto. Nel complesso 10.239.326 6) Legge elettorale 15 Agosto 1919, n.1401 Sistema di scrutinio: introduzione del sistema proporzionale d’Hondt su collegi plurinominali. Elezioni svolte: XXV Legislatura: 16 Novembre 1919 XXVI Legislatura 15 Maggio 1921 7) Legge elettorale 18 Novembre 1923, n.2444 Sistema di scrutinio: introduzione del premio di maggioranza (pari ai 2/3 dei seggi) per la lista che ottenga almeno il 25% dei voti; sistema proporzionale su collegi regionali per le liste di minoranza. Si tratta della cosiddetta “Legge Acerbo”. Il listone fascista, comprendente i liberali di governo come Orlando e De Nicola, supera il 65%. Elezioni svolte: XXVII Legislatura: 6 Aprile 1924 8) Legge elettorale 15 Febbraio 1925, n.122 Sistema di scrutinio: introduzione del sistema maggioritario secco su collegi uninominali: mai applicata, com’è accaduto in tempi recenti all’Italicum. 9) Legge elettorale 17 maggio 1928, n.1019 Sistema di scrutinio: introduzione del sistema plebiscitario. Lista unica da approvare o respingere. Elezioni svolte: XXVIII Legislatura: 24 Marzo 1929 : Lista approvata da 8.517.838 sì e respinta da 135.773 no. XXIX Legislatura: 25 Marzo 1934: Lista approvata da 10.043.875 sì e respinta da 15.215 no. 10) Legge elettorale 19 Gennaio 1938, n.128 Istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni …

IL DIRITTO ALLA SALUTE: SE NON ORA QUANDO?

Lavoro complesso e articolato quello di spulciare tra le pieghe del Bilancio. Da anni andiamo alla ricerca delle magagne. Alcuni risultati sono stati trasferiti sul volume “Quinto Pilastro, il tramonto del SSN”, 2016. Qui riportiamo una silloge di articoli pubblicati, nel 2017, su “glistatigenerali.com, diretto da Jacopo Tondelli. Difficile dar torto all’astensionismo quando temi vitali come la sanità vengono elusi, salvo le contese tra pro e no-vax. Altrettanto problematico per la politica come giustificare che il Capitolo di spesa più alto del nostro Bilancio statale, la Salute appunto, venga da anni derubricato a vera Cenerentola Ministeriale. Ogni anno la Legge di Stabilità comporta tagli e mancati investimenti specie per la Sanità (fig. 1).Come afferma il Rapporto n.3, 2016 del Min. Economia, a fronte di un tasso di crescita medio annuo del 7,4% nel quinquennio 2001-2005, il tasso di crescita del quinquennio successivo scende al 3,1%. Tale andamento si è ulteriormente consolidato nel periodo 2011-2015, dove la spesa sanitaria registra un tasso di variazione medio annuo leggermente negativo pari a -0,1%. Quando alla fine degli anni sessanta, si fece strada il principio della universalità nelle cure, paritarie e partecipi, (Riforma Mariotti degli ospedali, 1968 e nascita del SSN nel 1978, L.833) non avevamo più risorse di oggi. Tuttavia appaiono evidenti due criticità: l’insufficienza, in parte dovuta alla disparità regionale nell’offerta, che penalizza molte fasce di cittadini e la mancata individuazione di un trend di eccellenza che il SSN, pur in grado di offrire, stenta ad individuare per il futuro. Difficile dunque giustificarsi con i 12 mln di cittadini che rinunciano alle cure; o per i 4.4 miliardi out of pocket per ticket, farmaci, visite specialistiche ed accessi al pronto soccorso (Rapporto Oasi 2012 dell’Università Bocconi; Rapporto Censis 2015; Ferrara A. Quinto Pilastro, 2016). Cosa dire ai cittadini che ricorrono al privato perché vi sono sospinti della insostenibilità delle liste d’attesa (Ferrara e Rosafio, 2013)? La spesa sanitaria privata delle famiglie è lievitata, dai 29.6 mld del 2007 ai 34 del 2016 per effetto di ticket, cura specialistica privata che è ormai abituale per il 41.3 % dei pazienti  mentre in parallelo cresce il livello di povertà assoluta (4 mln 742 mila nel 2016) e povertà relativa (8 mln 465mila), per un totale di 13 mln 207 mila. In una sana campagna elettorale qualunque candidato dovrebbe saper affrontare il problema in modo convincente e scegliere degli obiettivi. Quali? Almeno tre: a) Recupero delle incoming priorities; b) Riqualificazione delle strutture periferiche; c) I nuovi farmaci. 1.Recupero delle incoming priorities Liste d’attesa L‘agenda politica ritiene che la lunghezza delle liste per ricoveri e diagnostica sia una delle principali cause di insoddisfazione. In realtà questo nodo è la conseguenza e non la causa dei problemi. Discende dalla rarefazione della Medicina Territoriale per i tagli ai piccoli centri, come i punti nascite, e lo spostamento dell’offerta sanitaria nelle Aziende Ospedaliere, poste di solito nelle aree urbane o metropolitane. Mentre i centri periferici potrebbero essere convertiti in Punti di Prima diagnostica per le piccole e medie patologie. Vero è che nelle aree metropolitane di Milano e Roma si insedia il 70 e 40% della popolazione lombarda e laziale rispettivamente e che dal 2050 il 70% dell’intera popolazione sarà urbana, ma attualmente ben il 65% della popolazione vive in aree rurali ed extraurbane. A tale popolazione è riservato il disagio della desertificazione sanitaria e quando si reca in città trova liste interminabili. Il 77% di coloro che accendono una polizza assicurativa è motivato proprio dall’infinito tempo di attesa. Invecchiamento della popolazione Un elevato numero di over 65 ha imposto una nuova classe di età (ultraottantenni) definita IV età. La popolazione mondiale sta invecchiando in tutti i Continenti: lo scenario demografico dei prossimi decenni indica che il numero degli over 65 è destinato a raddoppiare tra il 1990 e il 2025. Nel 2030, più del 25% della popolazione europea e, nel 2050, più del 30% degli italiani avranno più di 65 anni. In base alle stime dei Centri Studi ONU, nel 2050 per l’Italia si prevede un declino dei soggetti attivi (1.5 persona attiva per ogni non attiva, a fronte del rapporto 3.7 per ogni attiva del 2000 (Pitrelli N.2017). Tuttavia, proprio per le deficienze del SSN, contestuali all’incremento del numero delle famiglie in indigenza, il trend potrebbe subire un’involuzione. I soggetti della III e IV età vanno distinti in apparentemente sani e quelli con conclamata patologia, ipercronica spesso e in genere per sé degenerativa e dunque invalidante. Basti pensare alle gravi patologie osteoartrosiche, all’obesità, all’ipertensione arteriosa, alla celiachia, tutte forme invalidanti ad alta connotazione sociale. Ne consegue il distinguo tra condizione prognostica “quoad vitam” e “quoad valetudinem”. Poiché quest’ultima risulta sempre più spesso inficiata, costi e modalità di trattamento -in regime di ricovero, domiciliare, riabilitativo- tendono a creare un picco di spesa, che un attento Amministratore avrebbe dovuto prevedere già dal trend di aspettativa di vita e ascrivere nel bilancio di previsione. La forma degenerativa più diffusa nei soggetti anziani è l’artrosi, prima causa di dolore e disabilità in Europa e di disabilità lavorativa nel 30% di soggetti con meno di 65 anni; in Italia ne sono affetti circa 4 milioni di persone (circa il 12.2%). Quanto alle forme infiammatorie il Ministero Salute, ha rilevato in Italia circa 780.000 persone affette da Artrite Reumatoide (300.000) e Spondiloartropatie, tra cui l’Artrite Psoriasica (480.000) con una spesa sui  4 miliardi di euro/anno. Malattia di Alzheimer Malgrado siano “solo” 600 mila, i malati di Alzheimer in Italia, comportano una spesa media annua pari a 70.587 euro pro capite, ripartiti nel modo seguente: a) costi diretti 18.941€ (27%) e b) costi indiretti 51.645€ (73.2%) di cui il 60% circa a carico delle famiglie. Obesità e Sindrome metabolica In Italia, il 33.1% della popolazione è in sovrappeso (50% degli uomini e 34% delle donne) e il 19.7% in obesità franca[1]. Negli USA i picchi del 60% della popolazione hanno cause precise negli stili di vita ed abitudini quali fast food e cibi ipercalorici. In Italia, paradossalmente, è più diffusa al Sud (40% …

DOPO BUDRIO IN ATTESA DI NAPOLI E RIMINI

di [avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] Aldo Potenza Dopo un inizio a dir poco irrituale, che ha promosso un Governo nato da un contratto privato e ha espresso un Presidente evanescente, incominciano seri problemi. Il più eclatante riguarda i contrasti che accompagnano la nomina del responsabile delle azioni necessarie per restituire agli sfrattati una abitazione e un giusto risarcimento, a Genova una infrastruttura strategica. Seguono a ruota le contese per il reddito di cittadinanza e per la flax tax, per non parlare delle iniziative europee con Orban. Insomma forse Lega e M5S sapranno trovare un compromesso che speriamo non devasti il bilancio dello Stato, ma è evidente l’esistenza di due linee politiche conflittuali e la scelta  di stare insieme per mancanza di alternative, resa ancora più evidente dalle iniziative di Salvini che continua a curare il rapporto politico con il centro destra secondo la logica che “del domani non c’è certezza“. Ciò che preoccupa è la mancanza di una credibile opposizione. Il PD, che ancora rappresenta la compagine politica che raccoglie maggiori consensi, non riesce a darsi una politica condivisa; è attraversato da profonde divisioni e c’è chi sostiene che sia necessario rifondarlo. Malgrado quanto accaduto, ancora non si scorgono nel PD serie riflessioni sulle ragioni del disastro e si continua a credere che la scelta di far convivere storie politiche che affondano le radici in culture molto diverse possa rappresentare una risorsa e non una difficoltà. Se questo è il quadro politico che schematicamente rappresenta le difficoltà italiane, non si può tacere la complessità della condizione che caratterizza l’unione europea tra sovranismi in crescita, trumpismo destabilizzante, simpatie più o meno evidenti per Putin e le azioni condotte dalla Cina che si scopre globalista occupando spazi strategici come in Africa e non solo. Insomma stiamo attraversando una stagione di instabilità nella quale occorrerebbe una grande capacità di disegnare il futuro e di rilanciare su basi diverse l’Europa, invece si assiste ad un peggioramento delle relazioni e a una mancanza di leadership. Tutto ciò accade per giunta nel pieno di profondi cambiamenti che la robotica promuoverà nel mondo del lavoro e quelli derivanti da una insensata disattenzione sullo stato di salute del nostro pianeta. Manca in Italia la capacità di riannodare i fili politici e culturali che costruirono grandi forze  rese coese grazie ad una comune sensibilità  sociale. Il nostro compito è di lavorare affinchè si superino le confuse aggregazioni che nascono a causa degli errori politici commessi da una sinistra incapace di fare i conti con la storia. L’elettorato italiano o si rifugia nell’astensione o verso movimenti populisti autoritari caratterizzati da orientamenti programmatici contraddittori a causa della profonda sfiducia verso un ceto politico usurato dal tempo a dalle azioni compiute. A Rimini, pur consapevoli della nostra limitata forza, cercheremo di offrire una risposta razionale al  cambiamento che è in atto, ma per governarlo non per bloccarlo. La “decrescita felice” non è nella nostra cultura, noi siamo per il Progresso del popolo. Lo faremo rivolgendoci alle forze sindacali a quelle politiche più vicine alle nostre sensibilità sociali a cominciare dal popolo socialista oggi privo di un riferimento coerente con la sua storia politica e valoriale: l’obiettivo è superare l’anomalia italiana e restituire al nostro Paese una forza di orientamento socialista. Lo dobbiamo all’Italia, alle nuove generazioni e a quanti hanno perso persino la speranza di una vita migliore.       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON SOLO AUTOSTRADE. IN EMILIA IL PD PRIVATIZZA PURE LA SANITA’

di Aldo Ferrara* Il vero cambiamento della vita politica italiana non è la nuova maggioranza quanto la perdita di credibilità politica e sociale di quella che avrebbe dovuto essere l’opposizione di sinistra. Una sinistra di Governo che non è più tale perché non è più al Governo del Paese e non è neanche più sinistra. I segnali preoccupanti arrivano dalla ex roccaforte rosso-pallida Emilia Romagna. È sui concetti di “pubblico” e di “ pubblico servizio” che la sinistra si è giocata il consenso inseguendo i miti della privatizzazione e della sussidiarietà che avrebbe dovuto significare il ruolo coadiuvante del privato dell’erogazione di offerta di servizi (sanità, scuola e trasporti). La trasmigrazione verso temi propri della destra ha fatto sì che l’elettorato si rivolgesse a chi invocava il cambiamento ( M5S) e chi toccava la pancia del cittadino in tema di sicurezza che tra tutti i servizi pubblici appare quello più “ disarmato”. Il 18 luglio 2018 l’Emilia Romagna entra con un protocollo approvato dal Consiglio Regionale nell’ottica legislativa di sancire la presenza di strutture sanitarie private in ambito pubblico concedendo il ruolo di IRCCS e operando per concedere finanziamenti pubblici nazionali e regionali a strutture private. Una formulazione più diretta rispetto alla politica della Regione Lombardia di convenzionamento di strutture private secondo il modello Formigoni. Basti pensare al voto negativo dei 5S a questo progetto perché si configuri un processo privatistico del servizio più pubblico che c’è, la sanità. Una deriva autentica, dettata da motivi elettoralistici, nella Regione più PD, sia sotto il profilo politico sia sotto il profilo dell’autonomia gestionale del partito. Una Regione caratterizzata dal Pilastro, inteso come quartiere popolare di Bologna dove hanno sede le principali Compagnie Assicuratrici, dall’Unipol-SAI all’Uni-Salute. Con la Lega-COOP a fare da capofila. Con questa derubricazione del concetto “costituzionale” del pubblico, diventato surrettiziamente privato, e dunque snaturato, il PD ha finalmente gettato la maschera dell’inseguimento a destra dei miti di privatizzazione. Se i guasti sui trasporti e sulle Autostrade sono emersi dopo i fatti gravissimi e tragici di Bologna e Genova in agosto, nessuno si preoccupa dei 14 milioni di malati che non possono permettersi le cure, dei 7 milioni di malati che si indebitano per curarsi, dei 4 milioni che non accedono alle cure odontoiatriche, dei 7 milioni che pagano le prestazioni sanitarie in black senza fattura. Appare normale che tutto ciò avvenga, appare scontato e ricorda tantissimo il detto milanese che sentivamo ripetere anche negli ambulatori del Policlinico “ chi si ammala è cretino”! Ma oltre al finanziamento pubblico delle strutture sanitarie private, c’è il privatissimo campo delle Assicurazioni sanitarie. Il budget della sanità privata mediante assicurazioni è ricchissimo: Il finanziamento privato della spesa sanitaria è compostoper l’82% da pagamenti diretti delle famiglie, mentre è minima la quota veicolata da polizze assicurative private (3.7%) o da organizzazioni mutualistiche non profit (13.9%) (in genere convenzionate con assicurazioni private profit). Secondo Swiss Re Economic Research e Consulting, “il mercato assicurativo italiano, copre solo il 4% degli italiani gode di polizza sanitaria, in genere acquisita da lavoratori autonomi e da componenti del ceto medio-alto. Il 70% dei premi deriva da polizze assicurative collettive. Da tenere in considerazione l’alto interesse del paziente per la copertura di cure odontoiatriche alle quali le Compagnie per obbligo di legge sono tenute a fornire il 20% delle prestazioni”. Indubbiamente la cosiddetta torta si va espandendo sempre di più. Dai 2 mld del 2013, nel 2018 si ipotizza un budget disponibile per le Compagnie di circa 4 miliardi, malgrado difficoltà nel reperire risorse private e individuali disponibili. Nel 2013 i complessivi 2 miliardi si distribuivano tra Assicurazioni Generali con premi per oltre 600 mila euro e Unisalute, appartenente al gruppo Unipol, al secondo posto con premi per 557 mila euro. Terzo posto per il gruppo RBM, con premi fino a 184.360 euro con un incremento del 47,6% rispetto al 2012. Tra i clienti di quest’ultima si annoverano 120 tra i più importanti fondi sanitari integrativi e casse di assistenza operanti in Italia (fondo sanitario del gruppo Rai, del gruppo Equitalia, del personale non dirigente del gruppo Fiat). Assicura anche istituti di credito, come Unicredit o Casdic, la cassa di assistenza integrativa del settore del credito. La marcia inesorabile della sanità privata si avvia su tre direttrici dunque: 1. Modello Formigoni tramite convenzionamenti e assimilazione di strutture private al pubblico; 2. Conferimento di pubblici finanziamenti alle strutture private elette al ruolo di pubblico, senza prefigurazione di valutazioni comparative ma su la base di protocolli non conosciuti; 3. Processo di iscrizione dei pazienti nel novero degli assicurati. Completato il terzo punto, anche la trasformazione del Servizio in Sistema Sanitario Nazionale potrebbe entrare in Costituzione emendando del tutto o sostituendo l’articolo 32. Su queste tematiche, non abbiamo sentito una sola parola del Ministro Giulia Grillo, che appare impegnata, così dicono, sul fronte dei vaccini che è in modo indiscusso lo specchietto delle allodole, mentre i veri temi scottanti della offerta pubblica di salute e del rispetto e attuazione dell’articolo 32 restano temi del passato, dimenticati e “roba vecchia”. Su queste tematiche, non è necessario che la maggioranza si impegni a privatizzare, ci pensa il PD nelle Regioni. Fonte: glistatigenerali.com   Aldo Ferrara* Dal 1983 Professore di ruolo presso l’Università di Milano e dal 1986 Professore di ruolo di Malattie respiratorie presso l’Università degli Studi di Siena. Ha lavorato alla Tufts University di Boston e al Karolinska Institutet, sezione di Huddinge.È autore di 262 pubblicazioni, 2 Trattati e 20 monografie. Editorialista radiofonico e su carta stampata, è Executive Manager dello European Research Group on Automotive Medicine (ERGAM). Ha curato la rubrica settimanale di medicina “Punto Doc” (Sky 518). È revisore dei Progetti PRIN Cineca. Editor del Volume ” Fisiologia Clinica alla guida”, Piccin Ed., marzo 2015 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, …

VERSO LA CONFERENZA PROGRAMMATICA DI RIMINI

di Luciano Zacchini Intervento al convegno autoconvocato in Budrio il sabato 15 settembre 2018 Contributo per definire ed uniformare il giudizio sulla situazione socio – politica di partenza ed i tratti caratteristici (valori umanitari) del nuovo soggetto politico. Se siamo qui alle 10 e 30 del mattino e molti vengono da lontano, significa che molti, nelle prime ore del mattino, hanno fatto la levataccia pur di essere presenti. Considerando che l’età media (in difetto) dei presenti è superiore a 60 anni, significa che molti, tutti noi, abbiamo fatto la levataccia perché ci manca qualcosa, perché vogliamo colmare un vuoto. A tutti noi manca la rappresentanza delle nostre situazioni, del nostro modo di intendere il rapporto tra pubblico e privato, del nostro modo di intendere il ruolo delle istituzioni, nelle stanze dei bottoni, dove si decide. Da 25 anni mancano rappresentanti del socialismo nelle stanze dei bottoni, cioè manca, in quelle stanze, quella ricerca continua di portare avanti chi è rimasto indietro e, allo stesso tempo, di stimolare ad avanzare chi ne è capace. Il tutto con norme e regole che traggono origine dall’accettazione del metodo democratico nelle decisioni: IL POTERE AL POPOLO, tutto il potere al popolo. Non che il popolo sia coinvolto nella gestione quotidiana del potere. I regimi assembleari sono finiti in dittature. Il popolo, con VOTAZIONE UNIVERSALE, sceglie “liberamente” i gestori del potere per il mandato, di durata definita, e ne giudica l’operato al termine. Per “elezione universale” si deve intendere sì la totalità dei cittadini aventi i requisiti per partecipare, ma si deve intendere altresì che al giudizio del popolo deve essere sottoposto l’intero complesso di materie, competenze e settori, nessuno escluso, che definiscono l’ambito pubblico della comunità nazionale. A solo scopo esemplificativo e non esaustivo, presento un primo elenco di competenze pubbliche che sfuggono al controllo democratico diretto ed indiretto: a) LA GIUSTIZIA, cioè l’operato dei giudici che gli stessi vogliono non venga sottoposto al giudizio di alcuno, se non a loro stessi, proponendosi quale “potere” quando fa comodo o semplice “ordine” quando fa comodo; in entrambi i casi allo scopo di godere dell’immunità nella loro azione. b) LA POLITICA MONETARIA, che sfugge al controllo dei governi, di cui diventa cane da guardia, per conto di pochissime persone, mai elette, detentrici o gestrici di immensi capitali finanziari. c) LA TRILATERALE, la commissione composta di rappresentanti dell’America del nord, dell’Europa e del Giappone, mai eletta, di nomina imprecisata, ma dagli stessi ambienti finanziari che controllano le banche e le banche centrali. d) L’ORGANIZZAZIONE DEL COMMERCIO MONDIALE (WTO), la cui struttura organizzativa delibera senza tenere conto delle leggi nazionali e cala le sue decisioni su governi e popoli. e) L’INFORMAZIONE, anche nella parte pubblica, è fortemente condizionata dagli stessi che detengono il controllo della finanza mondiale. Mi fermo qui. Così i popoli ed i singoli cittadini, da DOMINUS vengono trasformati in SERVI, quando non SCHIAVI, di una elite di pochissime persone (oligarchie) che vogliono disporre della stragrande maggioranza della ricchezza dell’intero pianeta sottraendola alla disponibilità dei popoli. A questi oligarchi, non importa: – Se, allo scopo, bisogna far scoppiare una o cento guerre locali; – Se, allo scopo, bisogna impoverire, affamare interi popoli e farne morire la parte più debole; – Se, allo scopo, bisogna far migrare intere popolazioni sradicandole dai territori di origine; – Se, allo scopo, bisogna, sconquassare l’economia, le tradizioni, la cultura di popoli in via di sviluppo o già progrediti. Quello che importa è la disponibilità e l’uso arbitrario della stragrande maggioranza delle risorse del pianeta e la trasformazione da cittadini a sudditi della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. ECCO IL COMPITO DEL SOCIALISMO DEL XXI° SECOLO: – RIPORTARE IL POTERE SOTTO IL CONTROLLO DEMOCRATICO. – RIDISTRIBUIRE LE RISORSE DISPONIBILI, FINALIZZARNE L’USO ALLA GIUSTIZIA SOCIALE. Ecco la sfida che abbiamo di fronte per costruire una organizzazione che rappresenti e tuteli noi stessi, i nostri simili, quelli che vivono del proprio onesto ed utile lavoro, sia esso manuale, sia esso intellettuale. Il socialismo del XXI secolo, per essere credibile, DEVE PUNTARE ALLA PRESA DEL POTERE CON IL METODO DEMOCRATICO, cioè col consenso. Non è accettabile, da chi vuole essere forza di governo, utilizzare gli escamotage della legge elettorale, di volta in volta, vigente per far eleggere, con i voti di altri partiti, pochissimi sedicenti socialisti, che finiscono inevitabilmente per rimuovere fino a tradire sentimenti ed obiettivi socialisti per approdare nelle fila di chi li ha eletti. Là dove sarà possibile presentarsi alla competizione elettorale, anche a costo di non eleggere alcun socialista, CI PRESENTEREMO CON IL NOSTRO SIMBOLO: IL GAROFANO Da qui il nostro percorso di lavoro politico-organizzativo. Lo sbocco sarà il PROGRAMMA del nuovo soggetto politico da sottoporre all’elettorato. Tuttavia, prima o contemporaneamente, per avere ascolto e successo, dobbiamo impegnarci a guardare dentro di noi, a capire e rimuovere i nostri limiti e le nostre debolezze, ad individuare l’ANIMA del nuovo soggetto politico e ciò che lo differenza (in meglio presso il popolo) rispetto alle altre formazioni politiche. A cominciare dal LINGUAGGIO che deve essere INCISIVO, ma non OFFENSIVO, CHIARO e COMPRENSIBILE, ma non BLASFEMO. Per approdare ad una metodologia nelle discussioni, basata sulla RICERCA della REALTÀ con RISCONTRI e non con AFFERMAZIONI DOGMATICHE. Per arrivare alla individuazione delle caratteristiche intime dell’HOMO SOCIALIS (socialista), che in altri tempi ebbi modo di rappresentare: 1) L’amore per la vita; 2) La ricerca continua della libertà per sé e per gli altri in egual misura (assunzione della responsabilità sociale); 3) La ricerca continua della verità e l’abiura della falsità; 4) L’essere solidali, ma non fessi. Per capire in pieno la PORTATA STORICA DELLA RICOSTRUZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE DEI SOCIALISTI in Italia. Per capire che essa (la ricostruzione) o non sarà o non potrà non comportare o coincidere con la RICOSTRUZIONE DELLA NAZIONE ITALIA. A noi spetta costruire non solo i socialisti, ma gli italiani del XXI° secolo, come già fecero all’inizio del XX° Turati, Prampolini, Massarenti, Salvemini e tantissimi altri che insegnarono che dipendeva da ogni cittadino il proprio futuro e quello dei propri figli, che nessuno …

ALCUNE RIFLESSIONI SUGLI INTERVENTI DEI VARI COMPAGNI, SABATO A BUDRIO

di Roberto Finessi Cari compagni, c’è stata una lunga diaspora socialista e noi stessi che siamo partiti da “Livorno 2018” e vogliamo andare verso Rimini per la Conferenza programmatica, ne siamo una rappresentanza eterogenea. Ci sono socialisti che sono rimasti nel PSI delusi e scontenti dell’attuale gruppo dirigente, ci sono compagni che hanno fatto l’esperienza con Sinistra Ecologia e libertà, ci sono compagni di LeU, ci sono compagni entrati nei DS e non nel PD ed altri entrati nel PD; inoltre ci sono compagni della CGIL e della UIL. Bene, questo è lo stato dell’arte, e mentre la sinistra in generale continua a frammentarsi, l’elettorato l’abbandona e siamo arrivati a livelli che, francamente, non avrei mai immaginato. Pensare quindi con chi allearsi, come partecipare alle prossime elezioni e, sopratutto, giudicare i compagni e verificare il loro pedigree, come se a Rimini ci fosse una mostra canina, ebbene, compagni, la sinistra questo lo ha già fatto ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si continua a costruire la casa partendo dal tetto e lei continua a crollare, perchè mancano le fondamenta. Noi dovremmo cogliere quello che ha detto Aldo, discutere le tesi e ognuno di noi dovrebbe arrivare a Rimini con le  stesse: discuterle, litigare, arrabbiarsi, urlare, ma trovare una sintesi da stigmatizzare in un manifesto fondativo. Guardate compagni che non basta dire che il capitalismo finanziario noi non lo vogliamo, non basta criticare sia i mondialisti che i sovranisti, noi dobbiamo scrivere in un Manifesto su come intendiamo contrastare la teologia del mercato come unità di misura assoluta. E’ possibile immaginare una società diversa e più solidale? E come intendiamo farlo e con quali soggetti, non politici, ma economici e sociali; si parte dalle fondamenta il resto viene dopo, perchè saranno le persone a decidere se vogliono lottare per un modello di società solidale o preferiscono l’attuale sistema economico. Se non saremo capaci di elaborare un programma politico alternativo e chiaro, anche in prospettiva Rimini rischiamo di perdere del tempo prezioso, ed alcuni di noi non è ha più molto tempo da sprecare. Quando parlo di tesi, intendo argomenti, idee. Dario ci sprona ad avere una linea ed ha ragione e quindi costruiamo tutti insieme un programma politico che magari ci permetterà anche di partecipare a qualche tornata elettorale, come ha enfatizzato con passione il compagno Martinelli, ma senza un’idea di futuro da dire ai giovani: “guarda che il lavoro non deve essere necessariamente sfruttamento e precarietà, il lavoro deve essere possibilità di realizzarti, capacità di vivere dignitosamente”. Scusate la filippica cari compagni, vi esorto a metterci tutti al lavoro, il tempo stringe. Fraterni saluti. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it