LA MIA IDEA DI SOCIALISMO 3.3

di Dario Allamano MAI CONFONDERE LA CAUSA CON GLI EFFETTI La grande capacità della politica di destra è sempre stata quella di costruire il NEMICO, è nel loro DNA ed è una politica che ha consentito ai conservatori di conservare nei secoli il potere. Il problema è che il popolo ha sempre creduto a questa narrazione, e sempre il risultato è SEMPRE stato drammatico per il popolo. Anche in questi anni il capitalismo di rapina, in evidente crisi dopo il 2008, ha lavorato nel profondo dell’immaginario collettivo per costruire il NUOVO nemico: i migranti, che a detta di molti (compreso Bernie Sanders) sarebbero i portatori di una nuova peste: il lavoro a basso costo. Purtroppo la sinistra oggi ha perso, tra le altre sue funzioni, quella forse più importante: saper comprendere le origini delle crisi e pertanto saper trovare delle proposte in grado di combattere le derive economiche, politiche e sociali che derivano dalle crisi. Sbagliare la diagnosi di una malattia ha molte volte un esito infausto, ed è quello che sta avvenendo in Italia ed anche nel resto del Mondo. La sinistra che, verso la fine del XX secolo, ha inventato la narrazione della terza via per galleggiare sugli effetti di una dottrina ideologica che non le era propria: il liberismo, nel XXI secolo sta facendo l’errore opposto, rifiuta di guardare la realtà e si rinchiude in un recinto nazionalistico, che nella Storia ha sempre portato male al socialismo. La globalizzazione ed il liberismo non si battono rifiutando di capirli, ed il rifiuto di capire le origini delle difficoltà economiche e sociali che hanno colpito i ceti più deboli, ed ora anche la classe media, stanno portando la sinistra verso una deriva priva di qualsiasi sbocco utile per i cittadini. L’errore che questa sinistra sta facendo è CONSIDERARE GLI EFFETTI di quarantanni abbondanti di liberismo come fossero LA CAUSA della crisi che stiamo vivendo. E’ un errore letale, perché impedisce ai cittadini di vedere con chiarezza chi sono i colpevoli di questo lento ma continuo arretramento della cosiddetta “civiltà” occidentale. La globalizzazione ha generato un mondo nuovo, in cui i stanno crescendo, con ritmi impensabili per noi,  nuovi Stati dotati di ampi mercati interni, la Cina e l’India, e sta facendo emergere un nuovo grande Continente, l’Africa, giovane e pieno di ricchezze naturali, ma purtroppo ancora legato a vecchi modi di dominazione. Il liberismo ha in effetti “liberato” il grande capitale dai vincoli (i vecchi lacci e lacciuoli) che rendevano difficile la sua crescita, ma ha REDISTRIBUITO le ricchezze verso l’alto della piramide (l’1% famoso) e dentro il capitalismo ha privilegiato il capitalismo finanziario rispetto a quello produttivo. Le nuove tecnologie stanno poi cambiando tutti i paradigmi che hanno governato i due secoli passati. I robot stanno sostituendo gli umani nei lavori, l’informatica sta cambiando le strutture commerciali, è Amazon (ed i suoi derivati) che sta facendo fallire i negozi di vicinato ed anche le grandi catene di distribuzione.  In sintesi gli investimenti non generano più occupazione ma disoccupazione. La conoscenza sempre più pervasiva, da parte di alcuni padroni della rete, dei bisogni e degli interessi dei cittadini rende infine questo sistema sempre più interconnesso e controllato. Di fronte a questo sconquasso raccontare che coloro che stanno subendo gli effetti del cambiamento epocale che stiamo vivendo, sono tra di loro nemici è demenziale, soprattutto se questa narrazione viene fatta da gente che si dice di sinistra. I miei avversari non sono i poveracci che arrivano dall’Africa, o dal Medio Oriente, ma i grandi capitalisti finanziari e le grandi aziende informatiche che stanno cambiando in peggio il mondo, senza neppure rendersi conto che la loro politica alla fine gli si ritorcerà contro. La loro avidità rende il mondo sempre più  povero, impedisce ai cittadini di far fronte ai bisogni immediati, rende sempre più difficile far circolare il denaro, che è il sangue che circolando tiene vivo il corpo. Keynes quasi 100 anni fa ci ha insegnato che lo sviluppo nasce dalla domanda di beni e servizi, non dalla loro offerta come narra l’ideologia del liberismo. Poi è vero che in un mondo interconnesso l’eccesso di domanda diventa un problema ecologico ed energetico difficile da gestire, ma questo è un problema che lo si può affrontare solo se si ha la consapevolezza che oggi la narrazione dominante va comunque rovesciata. Pensiamo al Progresso, evitiamo di regredire verso pulsioni che di socialista hanno poco, ricordiamo sempre che sulle vecchie bandiere del PSI (quelle con il sole nascente ed il libro e la falce e martello) stavano scritte due frasi: “Proletari di tutto il mondo unitevi” e  “Ma l’idea che è in me non muore”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

METODO SOCIALISTA

di Stefano Betti Nell’Era dei bulli politico mediatici, che però tanto piacciono, occorre prendere atto che il nostro non è un paese dove possano confrontarsi due ipotesi di governo sul modello anglosassone, come hanno tentato o provato a farci credere negli ultimi 25 anni. L’Italia è il luogo dei mille campanili, dove il processo unitario è figlio più di operazioni militari di uno Stato nei confronti di altri che di un movimento di popolo. Le minoranze del nostro Risorgimento, seppur nobili negli intenti, erano pur sempre minoranze esigue rispetto ai milioni di italiani che assistettero passivamente agli eventi.  Alle spalle divisioni fratricide fino all’ultimo cantone nei borghi d’Italia. Il paese prova a amalgamarsi, più che con la feroce legislazione centralista post unitaria, con la prima guerra mondiale, dove in trincea, senza capirsi, uomini di Bergamo e Caltanissetta sono costretti a dividere un quotidiano fatto di paura e di morte. Poi il Fascismo generato dalla pancia piccolo borghese del paese, a tentare di plasmare, negli intenti del regime, un italiano che avrebbe rinverdito i fasti dell’Impero romano. La guerra scellerata, la guerra civile, la Liberazione. La Repubblica. Per riprendere l’amalgama ci pensa questa volta Lascia o raddoppia. La tele, con un italiano perfetto o quasi, cerca di dare collante al paese slabbrato, ancora prigioniero fra un nord industriale e un sud agricolo, destinato però a spopolarsi e a rifugiarsi, per chi resta, nell’assistenzialismo clientelare. Il Paese è fin da subito prigioniero della Guerra fredda. I Costituenti progettano un sistema, che impedisca a una parte di prendere il sopravvento. Temono non solo le conseguenze della divisione in blocchi del mondo, ma che la bottega e la pancia del momento finisca per travolgere tutto. Il sistema si struttura con pesi e contrappesi. La legge elettorale è rigorosamente proporzionale e senza sbarramenti. La Repubblica è parlamentare. Il Parlamento è il luogo dove la democrazia indiretta può contemperare le spinte delle singole forze. Il Presidente è super partes e non è soggetto alle maggioranze del momento, almeno negli intenti. L’arbitro. Repubblica di mediazioni, compromessi, di micro partitini che potevano far cadere un governo col 0.9 per cento. La destra non riesce a emergere dai fumi della nostalgia del passato regime. La sinistra si logora dietro la contraddizione dell’inversione di consenso fra comunisti e socialisti rispetto al resto d’Europa. Sinistra divisa, rigorosamente. All’improvviso, a Muro di Berlino caduto, nasce la grande illusione. Finalmente, una piena democrazia sul modello anglosassone, dove si confrontino e si fronteggino due schieramenti, coalizioni o partiti o come volete voi, nel rispetto e riconoscimento reciproco. Insomma, liberali versus socialisti democratici. In realtà niente di tutto questo. Anzi, nella contrapposizione, apparentemente feroce, fra il Berlusconismo e il centro trattino sinistra, si perpetuano i vecchi vizi italici di accordi sotto banco, pastette, bicamerali più o meno sabotate. Poi, la madre di tutte le analisi politiche. “Signori, siamo in un sistema maturo, bipolare. Costruiamo il Partito democratico.” Dall’altra parte il Partito delle Libertà.  Ma qualcosa non funziona. In soffitta finiscono le ideologie del novecento, superate, anzi fastidiose, in nome del pensiero democratico d’ispirazione americana (clintoniana, per l’esattezza). Il tentativo finisce per soffocare sempre di più inevitabilmente le componenti più sensibili alle questioni sociali. Le algebre contabili dei governi di centro trattino sinistra prevalgono su tutto, bisogna “tagliare” la spesa. Un comico genovese, alleato a un imprenditore vorace nell’uso della nascente invasiva Rete, manda tutto per aria. Sotto gli occhi il presente che è tutto meno che bipolare. È il serpente che si morde la coda. La pancia torna a comandare, ma la colpa è di chi ha governato in precedenza, dicono tutti, soprattutto quelli che sentendosi ancora di sinistra sono un tantino a disagio a coabitare al governo con la Lega. Così viviamo un presente dove immigrazione tasse pensioni e reddito di cittadinanza la fanno da padroni. Ecco perché occorre che si costituisca un partito socialista unitario che possa proporre una ipotesi di governo fattiva, con proposte precise e soprattutto realizzabili. A ogni problema, una ipotesi di soluzione concreta. Questo sarà il Metodo Socialista per il XXI secolo. Niente più a che vedere con gli intellettuali del novecento, divisi fra Capalbio e la supponenza d’aver avuto ragione ad aver torto per settant’anni. Né coi i “nani e le ballerine” che tanto hanno funestato il passato del socialismo italiano. Ci diranno che siamo degli illusi, dei nostalgici di un pensiero ormai vinto dalla storia, che saremo l’ennesimo partitino da prefisso telefonico. Lasciamoglielo dire. Noi invece faremo. Un partito di sinistra, socialista, unitario oggi in Italia, in Europa serve come il pane. E senza trattini. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PER UN SOCIALISMO PATRIOTTICO, PARTECIPATIVO ED ECOLOGISTA

di Carlo Felici Le prospettive della cosiddetta sinistra, alla luce dei nuovi esiti elettorali e anche rispetto a quelle che tuttora sono le sue scelte in merito all’immigrazione e alla prevalenza dei diritti civili su quelli sociali, sono quasi azzerate. Se infatti il PD non è palesemente configurabile come partito di sinistra, ciò che esiste alla sua sinistra risulta politicamente irrilevante e con una rappresentanza parlamentare quasi nulla. Tutto ciò, evidentemente, è frutto di una storia di collateralismi e di consociativismi che risulta alquanto datata. Non stiamo a ripercorrerla perché è già molto nota. Quello che ci interessa capire è invece come si debba colmare tale vuoto e se per l’appunto questo è realmente possibile. Cominciamo con il dire che l’appellativo sinistra, come d’altronde quello di destra, in Italia risulta scarsamente significativo, prova né è il fatto che a conseguire la maggior parte dei consensi e a governare, oggi, nel nostro Paese sono partiti che si sono sempre collocati in un’area poco assimilabile alla destra o alla sinistra, almeno in senso stretto. Lega e M5S sono, infatti, definibili, in linea di massima, come movimenti populisti piuttosto che come partiti di centrodestra o centrosinistra, anche se, almeno la Lega, del centrodestra ha fatto e fa tuttora parte ma non in maniera ortodossa come le altre componenti di questo schieramento. Se dunque la parola sinistra ha ormai significato nullo per la stragrande maggioranza degli italiani fino a far risultare il fatto evidente che non ci sarà mai, in queste condizioni, un governo di sinistra, allora vale davvero la pena di chiedersi cosa possa esserci al suo posto. Evidentemente prima che la parola sinistra esistesse, è sempre esistito il Socialismo il quale, pur non manifestandosi sempre e ovunque nello stesso modo, ha rappresentato dall’Ottocento, le migliori istanze di libertà e giustizia sociale oltre che di democrazia partecipativa e non solo rappresentativa da offrire per il miglioramento dell’umanità e da contrapporre alla barbarie della riduzione dell’essere umano e della natura a merce per scopo di profitto. Questo avviene da moltissimo tempo, almeno da quello della Repubblica Romana del 1849 (che non fu un fenomeno politico strettamente socialista ma comunque legato ad istanze socialiste) e della Comune di Parigi (primo vero esperimento di governo socialista). Una storia dunque assai lunga e gloriosa che, specialmente nel nostro Paese, dai tempi di Turati a quelli di Matteotti, di Nenni, Pertini e diremmo anche Craxi (almeno sul piano della crescita economica e della sovranità nazionale), ha contribuito moltissimo al progresso e al benessere degli italiani. Oggi tutto questo non esiste più, anche se sopravvive una sigla socialista di un partito che ha rinnegato esplicitamente soprattutto negli ultimi anni, con il sostegno ed il voto esplicito a politiche che hanno demolito la scuola pubblica, le leggi sulla tutela del lavoro e lo stato sociale, la sua ragione sociale originaria. Se vogliamo quindi costruire o meglio ricostruire un soggetto politico autenticamente socialista in Italia, non possiamo che seguire alcuni indispensabili passaggi. Il primo evidentemente è quello di uscire dalla logica del collateralismo e del consociativismo, negando ogni eventuale riferimento con una sinistra in via di autodemolizione, il secondo è il recupero della ragione sociale originaria del Socialismo ed il terzo è inevitabilmente l’aggiornamento di un progetto che ha antiche radici, con le sfide attuali del nuovo secolo e millennio che stiamo vivendo. Vediamo quindi di analizzare ogni punto. Innanzitutto per realizzare il primo punto, bisogna evitare di entrare in liste elettorali in cui questa sinistra residuale cerca ancora spazio per svolgere le sue ulteriori politiche consociative quasi sempre legate ultimamente alle iniziative del PD. Quindi, un soggetto politico che va a infilarsi in una stessa lista elettorale in cui sono presenti altri soggetti della sinistra residuale, non può che subire la loro stessa sorte: essere cioè sconfitto in partenza. L’esempio delle liste arcobaleno o di potere al popolo parla da solo. Il risultato è minimale e per i socialisti coinvolti inesistente. Per un soggetto autenticamente socialista che ha attraversato tale passaggio fallimentare la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di liberarsi immediatamente del leader che l’ha spinto ad intraprenderla. Se si vuole costruire una novità, bisogna che essa risulti tale, nei personaggi che la rappresentano, nella proposta politica e soprattutto nella sua capacità di farsi valere politicamente in ogni spazio in cui essa voglia attuarsi, dai territori al web. Passando poi al secondo punto, e cioè per recuperare la ragione originaria di un autentico movimento Socialista, bisogna riflettere su quali sono i suoi valori di sempre. Libertà, giustizia sociale, tutela dei servizi sociali e dei beni comuni: casa, scuola, ospedali, trasporti, ordine pubblico, patrimonio ambientale ed artistico, difesa dei lavoratori e delle categorie più svantaggiate, dai disabili ai pensionati, stabilizzazione del lavoro, con la lotta al precariato e al lavoro nero, capacità di combattere la corruzione e tutto ciò che ruota intorno ad essa, sicurezza sociale nel perseguimento del crimine individuale ed organizzato, equità fiscale con tasse progressive in base al reddito, ma senza inutili patrimoniali una tantum e senza accanirsi sui ceti produttivi, indispensabili per la crescita economia e per la competitività del Paese, che, anzi, bisogna sostenere per scongiurare rovinose delocalizzazioni. Capacità di cooperazione ed integrazione soprattutto culturale, al posto dell’accoglienza indiscriminata. Chi viene in Italia deve avere il dovere e anche il diritto di sentirsi italiano tra italiani, specialmente se contribuisce legalmente al benessere di tutti i suoi concittadini. Deve sentire la Costituzione Italiana come il vero salvagente dall’annegamento nella disperazione e nello sfruttamento. Tutto ciò quindi deve essere unito ad una capacità permanente di adeguata informazione, mobilitazione, e di coscienza e difesa proprio di quei diritti e doveri individuali e collettivi che sono mirabilmente rappresentati nella nostra Carta Costituzionale. Questo, in sintesi, vuol dire recuperare, se lo si applica concretamente, la vera ragione sociale per cui un soggetto politico socialista è degno di esistere. Non è quindi né scontro di classe e tanto meno incoscienza di classe, è piuttosto la consapevolezza che un sistema-paese ha bisogno di funzionare soprattutto nella capacità di essere cosciente …

NO, GRAZIE!

di Stefano Betti (Dialogo fra un ex comunista nonché ex Piddiessino nonché ex Diessino nonché al momento Democratico etc. e un Socialista – liberamente ispirato a Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand.) EX – Perché non vieni anche tu in questa fase costituente del centro trattino sinistra? Ci saranno associazioni, sindaci, il terzo Settore… in nome della giustizia sociale e della solidarietà… un Fronte repubblicano per fermare i Populisti! SOCIALISTA – Scusa, non me l’hai già chiesto nel ‘91, quando nacque il P.D.S., quando volevate fare un partito socialista senza chiamarlo socialista, senza essere socialista, ma iscritto all’Internazionale socialista dove i socialisti avrebbero dovuto abbandonare il partito socialista? EX – Che centra, erano altri tempi…sarebbe poi stata la stagione della Gioiosa macchina da guerra dei Progressisti…per fermare le Destre! SOCIALISTA – Scusa, non me lo hai già chiesto nel ‘98, quando nacquero i DS, quando volevate fare un partito socialista senza chiamarlo socialista, senza essere socialista, ma iscritto all’Internazionale socialista? EX – Che centra, erano altri tempi e poi era la stagione dell’Ulivo, della grande alleanza coi laici, ecologisti, sinistra radicale, destra liberale e i cattolici democratici… per fermare Berlusconi! SOCIALISTA – Scusa, non me lo hai già chiesto nel 2007, quando nacque il PD, quando volevate fare un partito non più di sinistra, ma di centro trattino sinistra, per niente socialista, ma iscritto all’Internazionale socialista, ma nella speranza che diventi presto Internazionale democratica? EX – Che centra, erano altri tempi e poi era la stagione del Bipolarismo, della fine dei rigidi steccati ideologici del 900 e della coesistenza fra culture progressiste che confluivano in unico fiume…in una visione matura della democrazia…anglosassone…clintoniana …veltroniana… SOCIALISTA (interrompendo) – Socialista mai? EX – E dagli co ‘sto socialista. Guarda che i socialisti ci sono anche ora dentro il PD e alleati al PD. Certo, in ruoli e importanza proporzionati al loro peso effettivo ….Non pretenderai mica che …E poi molti di noi sono entrati da poco e non sono ex proprio di niente. SOCIALISTA- Di niente. Ecco. EX – Insomma, che fai, vieni o non vieni? Guarda la realtà…Siete sparsi ovunque…da Potere al Popolo a Forza Italia, passando per LEU, PD e partitini socialisti da prefisso telefonico…tutto e il loro esatto contrario…vieni con noi, dai, nel rinnovato moderno autentico vero esaustivo anti populista democratico progressista fiorentino adamantino digitalizzato centro trattino sinistra… Pausa SOCIALISTA – Orsù che dovrei fare? Cercarmi un protettore, scegliermi un signore, e del nuovo partito farne il motore accarezzare il gran tronco della Quercia che fu e leccarne la scorza, arrampicarmi coatto invece di salir per forza? No, grazie! Dedicare com’usa ogni furbone dei versi a qualunque coglione? Far l’arte del buffone pur di veder al fine le labbra di un notabile dell’ex Margherita potente schiudersi in un sorriso benigno e promettente? No, grazie! Saziarmi di elemosine? Digerire lo stomaco per forza dell’andare e venire? Consumar le ginocchia nell’implorar un ex Diessino? Misurar le altrui scale? Far continui prodigi per fa venir fuori un po’ di giustizia sociale? No, grazie! Accarezzare con mano abile e scaltra lo Stato sociale e intanto il neo liberismo annaffiare con l’altra? E aver sempre dedizione a obbedire al dogma della fine delle ideologie del novecento per la divina gioia del mutuo incensamento? No, grazie! Scrivere di Socialismo presso un buon editore, pagando, bada bene, i propri scritti perché il Partito non ne vuol sapere? No, grazie dell’onore! Brigar per farmi eleggere consigliere municipale o, se va bene, comunale in qualche collegata lista civica sì, ma al condizionale? Scoprire ingegno eletto agl’incapaci, ai grulli; alle talpe dare ali, lasciarmi sbigottire dal rumor della tele e dei giornali? E sempre sospirare, pregare a mani tese: Purché un po’ di Socialismo abbia udienza in questo paese? No, grazie! Calcolare, tremar tutta la vita far più tosto al capo corrente una visita che una analisi politica fornita, scrivere suppliche, qua e farsi presentare per ottenere uno spazio politico minuscolo da implorare? Grazie no, grazie no, grazie no! Ma….cantare, sognare …il Sol dell’Avvenir, libero, indipendente, rinunciare al collegio sicuro insieme al servaggio possente, parlar liberamente di Socialismo per mettermi di traverso, per un sì, per un no, battermi o fare un verso! Lavorare, Compagni, senza cura di gloria per fare il Socialismo nella storia! Nulla che sia farina neo liberista d’altri scrivere, e poi modestamente dirsi: Compagno mio, tu puoi tenerti forte nei principi, pago al fiore, alla foglia purché nel tuo giardino socialista, nel tuo e di nessun altro, tu li raccolga! Poi se venga il trionfo, per fortuna o per arte, non dover darne agli altri, la più piccola parte, avrà finalmente fine questa diaspora senza meta e partito ospite in casa d’altri in altrui vestito, e morir a schiena dritta, ma a casa mia perché il Socialismo del passato un ricordo più non sia!   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AMMINISTRATIVE 2018: NUMERI SPARSI

di Franco Astengo Non è facile riuscire a fornire un indirizzo politico complessivo ai dati usciti dalle urne il 10 giugno scorso: elezioni comunali che hanno visto impegnati, tra gli altri, elettrici ed elettori di 20 Città capoluogo. Brescia, Catania, Siena, Pisa, Ancona, Avellino, Barletta, Brindisi, Imperia, Massa, Messina, Ragusa, Siracusa, Sondrio, Teramo, Terni, Trapani, Treviso, Vicenza, Viterbo: su questi 20 comuni si è concentrato il nostro tentativo di focus. Tentativo perché di nient’altro si è trattato proprio perché l’obiettivo è quello di stabilire l’individuazione di un “trend” sul piano esclusivamente politico cercando di raffrontare i dati del 10 giugno con quelli espressi, nelle stesse Città, il 4 marzo in occasione delle elezioni legislative generali. Ci troviamo di fronte, nuovamente, ad una alta volatilità elettorale (Diamanti azzarda un “elettorato liquido”) che fino a qualche anno fa non si reperiva facilmente nelle urne italiane. In questo caso comunque non interessa il gioco dei Sindaci eletti al primo turno, dei ballottaggi, del mutamento di schieramento nella formazione delle maggioranze nei consigli comunali: si cerca di esaminare l’andamento dei singoli partiti e / o liste sul piano generale. Inoltre la scadenza delle elezioni comunali ha indotto alla presentazione di un grande numero di liste cosiddette “civiche”, in particolare al Sud e più specificatamente in Sicilia dove sulle schede è  stato difficile reperire simboli di partito oltre a quello del Movimento 5 stelle presentatosi  invece “en solitaire” su tutto il territorio nazionale (questo dato favorisce il raffronto degli analisti). Liste civiche di diversa natura: ci sono quelle presentate in appoggio a candidature a Sindaco connotate politicamente e quindi facilmente collocabili (liste civiche hanno fiancheggiato anche candidature di Casapound); altre messe in piedi da conosciuti professionisti della politica, magari in rotta con il loro schieramento d’origine come nel caso di Scajola ad Oneglia e che quindi debbono per forza essere collocate in uno schema di riferimento politico ben preciso; ancora le liste civiche non connotabili- almeno a prima vista – e che quindi debbono essere analizzate a parte. Vedremo meglio andando avanti. Prima di tutto però il dato della partecipazione al voto. Come ci capita ormai da diverso tempo il nostro riferimento al proposito è quello del totale dei voti validi: in questa occasione davvero nessuno può vantarsi di essere riuscito a portare al seggio elettrici ed elettori abitualmente astensionisti. Il 4 marzo infatti, nel 20 comuni capoluogo presi in esame, erano stati espressi 1.042.549 voti validi; cifra scesa al 10 giugno a 888.468 con un calo di 154.081 unità. Si accennava alle liste civiche: quelle non catalogabili all’interno degli schieramenti hanno raccolto 66.593 voti pari al 7,49%, dato non raffrontabile ovviamente con altri derivanti dall’esito delle elezioni politiche di marzo. Partiamo allora conducendo il nostro raffronto dal Movimento 5 Stelle che, nel frattempo, ha effettuato il difficilissimo esercizio del passaggio dall’opposizione al governo. Il M5S ha ottenuto il 10 giugno 103.279 voti (da tener presente che il Movimento non aveva presentato il simbolo in alcuni comuni come Vicenza e Siena) pari all’11,62%sul totale dei voti validi. Il 4 marzo scorso M5S aveva totalizzato, nell’insieme dei 20 comuni capoluogo presi in esame in questa sede, 384.825 voti pari al 36,91% sempre sul totale dei voti validi. La flessione è quindi di 281.546 voti e del 25,29% in percentuale. Assolutamente frastagliata la presenza di quello che è stato il centro – destra e che comunque analizziamo in blocco stante la partecipazione comune in molte situazioni locali come avvenne, il 4 marzo, nei collegi uninominali di Camera e Senato (i nostri dati di raffronto sono però sempre desunti dal voto della Camera). Il primato all’interno del centro – destra spetta, in questo caso, alle liste civiche di appoggio ai candidati – Sindaci (in questo dato sono comprese le liste d’appoggio a Scajola, come già riferito, esclusa quella del Popolo della Famiglia che ha una sua valutazione a parte). Le liste civiche di centro – destra hanno dunque messo assieme, sempre in riferimento ai 20 comuni capoluogo analizzati, 178.596 voti pari al 20,10%. Tra i simboli di partito tradizionali: la Lega ha ottenuto 88.369 voti pari al 9,94%% ( 4 marzo: 133.539 pari al 12,80%); Forza Italia 63.123 , 7,10% ( 4 marzo: 152.596 pari al 14,63%), Fratelli d’Italia 35.356, 3,97% ( 45.115 il 4 Marzo pari al 4,32%), UDC 10.900, 1,22% , presente in 9 comuni( 4 marzo. Lista Noi per l’Italia – UDC 11.665 pari all’1,11%), Popolo della Famiglia,presente in 8 comuni, 2.943 voti, 0,33% ( 4marzo 7.812, 0,74%). Con il centro destra anche la presenza in un solo comune del PRI 3.618 voti , 0,40% (PRI – ALA il 4 marzo, nei 20 comuni, 1.339 voti 0,12%). La Lega quindi mantiene il primato all’interno di quello che fu il raggruppamento di centro – destra e raccorcia notevolmente le distanze, rispetto al 4 marzo, dall’alleato di governo del M5S ma non fornisce l’impressione di un vero e proprio sfondamento elettorale, ciò nonostante il calo secco di Forza Italia che, probabilmente, molto concede (assai più della Lega) alle liste civiche. Riassumendo, per quel che riguarda il centro – destra analizzandolo  ancora come schieramento tale e quale quello presentato alle politiche: il 10 giugno i voti raccolti sono 382.905 pari al 43,09%. Il 4 marzo, sempre in riferimento ai 20 comuni in questione, il centro destra ebbe 350.727 suffragi pari al 33,64%. Siamo di fronte quindi ad un incremento notevole dovuto in gran parte alla “tenuta” del proprio elettorato tradizionale, alla presenza di liste civiche che possono aver catturato voti in altri campi e – anche – da una qualche cessione da parte di elettrici ed elettori 5 stelle. Il PD temeva un vero e proprio tracollo,invece il risultato – pur in perdita – non è disprezzabile considerate anche le condizioni interne dell’ex-PdR. Il risultato del PD, inoltre come è già capitato al centro – destra, è corroborato dalla presenza delle liste civiche a sostegno del sindaci presentati dal Partito Democratico: in Sicilia, come è già stato fatto notare, il simbolo del PD non è stato presentato …

LA MIA IDEA DI SOCIALISMO 3.1

di Dario Allamano A fine anni ’80 la crisi definitiva del Comunismo si compie, una rivoluzione nata contro il Capitale (di Marx), come disse Gramsci, implode sulle sue contraddizioni, lasciando spazio agli avventurismi peggiori. Si  chiude un secolo dominato nella sua prima metà dai totalitarismi, con due guerre tremende sul continente europeo, e nella seconda da una netta divisione tra occidente europeo in cui prevale il “compromesso socialdemocratico” tra industria e lavoro, ed un oriente dominato da un totalitarismo tremendo, che genera almeno due drammatiche crisi in Europa (l’Ungheria e la Cecoslovacchia) ed una crisi mondiale (i missili a Cuba). L’inizio degli anni novanta viene visto da tutti come l’inizio della “libertà totale”, la narrazione che si sviluppa, vista ex post, è per un verso fragile, per un altro verso tragica. Fragile perché a sinistra nessuno ha il coraggio di analizzare la realtà per quella che è, la vittoria del capitalismo peggiore, la finanziarizzazione dell’economia. Tragica perché inizia un trentennio in cui i partiti del socialismo europeo abdicano al loro ruolo di guida, si appiattiscono su una ipotetica “terza via” che è pura cogestione di un liberismo senza regole, soprattutto quello finanziario, a cui poi, da inizio del XXI secolo, si aggiunge quello dei “padroni della rete”. L’inizio degli anni novanta si apre, in Italia, con una (voluta) confusione tra “liberalizzazioni” e “privatizzazioni”, con una sinistra che non sa (o non vuole) distinguere e diventa paladina delle privatizzazioni. In un paese in cui ci sarebbe davvero bisogno di creare concorrenza tra i cartelli e gli oligopoli che bloccano il mercato delle merci e dei servizi, si privatizzano invece i monopoli pubblici, generando dei mostri senza alcun controllo. Si privatizzano le banche con la creazione di quelle “cose” senza controllo chiamate Fondazioni. Oggi a quasi trent’anni da quell’epoca siamo ancora in attesa di vedere gli effetti di una vera concorrenza in alcuni settori chiave dell’economia, a partire dall’energia elettrica, che oggi ha costi superiori del 30% alla media europea. La narrazione farlocca delle energie rinnovabili ha portato ad una scelta sbagliata, finanziare i privati per creare dei parchi eolici e fotovoltaici, facendone ricadere i costi sulla collettività con l’addebito dei costi in bolletta, lasciando ai privati il percepimento degli utili. Le energie rinnovabili potevano avere un altro sviluppo, se lo Stato avesse promosso l’installazione dei pannelli sui tetti degli immobili pubblici, avrebbe generato la costituzione di una filiera italiana di produttori-installatori di non poco conto. Nel campo dell’ecologia l’Italia si è cullata, e si sta cullando, da quasi quarant’anni su una narrazione romantica della questione, le domeniche ecologiche ne sono il più chiaro esempio, faccio l’ecologista per un giorno e mi depuro l’anima per gli altri 364, in cui inquino senza se e senza ma, con SUV da 3000 cc, usando plastica a gogo, scaricando gli oli esausti nelle fogne (solo per citare alcuni casi più evidenti). Questo ecologismo del pensiero debole ha poi lasciato la gestione dei rifiuti in mano alle peggiori catene della malavita, l’Italia è piena di rifiuti tossico-nocivi industriali scaricati senza controlli e senza garanzie per i cittadini, il mare è pieno di navi affondate con i loro carichi inquinanti. Ma il fallimento dell’Italia non può essere ridotto solo a questi problemi, seppure importanti, la crisi che abbiamo vissuto in questi 25 anni deriva per l’appunto da una evidente rinuncia della sinistra a fare quel che è sempre stato nel suo DNA, PROGRAMMARE l’economia ed i servizi. Si è scelta un’altra strada, privatizzare tutto creando, secondo una logica molto neo-comunista, dei sistemi di controlli ex post, sostanzialmente dei carrozzoni inutili chiamati “Autorithy”. Per completare un piccolo elenco di iniziative sballate si è scelto di centralizzare gli acquisti della pubblica amministrazione nella CONSIP. Un disastro totale, che ha prodotto la crisi finale di tanti piccoli fornitori di piccoli servizi ed opere pubbliche, che si sono trasformati, nel caso migliore, in subfornitori delle grandi aziende, le sole in grado di partecipare ai grandi appalti, nel caso peggiore sono falliti. La CONSIP una funzione poteva averla, quella di essere il registro centrale dei “costi standard” a cui tutte le stazioni appaltanti centrali e periferiche dovevano essere obbligate ad attenersi, pena l’assunzione della responsabilità civile e penale degli sforamenti, si è preferito costruire l’ennesimo carrozzone, che ha dimostrato una sola cosa che gli appetiti attorno sono enormi e coinvolgono destra, centro e sinistra. Potrei continuare per altre dieci pagine nel descrivere il disastro creato da una incapacità evidente dei dirigenti politici ed amministrativi del Paese chiamato Italia, chiudo con una sintesi fulminante sentita alcuni mesi fa in una intervista a Davigo: D. <A quanto ammonta oggi la corruzione in Italia, più o meno del 1992?> R. <10 volte di più>. Se il socialismo è un Programma minimo per gestire l’esistente nell’interesse di coloro che fanno del lavoro la loro ragione di vita, dobbiamo tenere conto anche di questi problemi, dell’incapacità, o in molti casi della non volontà, della burocrazia italiana di essere un gruppo dirigente che ha quale obiettivo il funzionamento dello Stato, non il controllo dello Stato. Come titolava un libro su Calamandrei: “lo Stato siamo noi”, ma tutti noi e non solo quelli che gestiscono il potere. Lo Stato Italiano non è un’entità immateriale, ma un insieme di 60 milioni di cittadini. Oggi anche l’Europa vive su un equilibrio fragile, che regge, nonostante tutto da 70 anni, il continente delle guerre, l’Europa, vive in pace, dobbiamo esserne consapevoli e agire per continuare a vivere in pace, per noi ma soprattutto per i nostri figli e nipoti. Ma questo è un altro discorso che svilupperò in un prossimo post. Sempre Avanti verso il  Socialismo per il XXI secolo! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA FAVOLA DEI MEROVINGI

di Claudio Bellavita C’era una volta un bellissimo paese in mezzo a un antico mare, pieno di bellezze artistiche e naturali, popolato da gente industriosa e intraprendente ma piuttosto credulona per quel che non riguardava il loro lavoro. Un brutto giorno furono invasi da oriente da un’orda di barbari che spiegarono che toccava a loro governarli, perchè erano i migliori del mondo, venivano da lontano e volevano andare lontano. Questi barbari erano dei merovingi minori, caratterizzati dal fatto che anzichè lasciarsi crescere i capelli, si lasciavano crescere la barba. Cosa che gli riusciva molto bene perchè erano soliti fare discorsi noiosissimi dei quali molto si compiacevano, uscendo dalle loro riunioni esclamando “che barba!” e accarezzandosela con soddisfazione. Erano così tranquillamente convinti di essere i migliori, che non facevano altro che dirlo a tutti, lasciando ogni altro lavoro ai loro maggiordomi. Veramente, quando si trattava di cambiare il loro re, succedevano risse furibonde con ogni erede che pretendeva per sè tutto o una parte del regno, e ci volevano anni di lotte intestine prima di mettersi d’accordo. Ma siccome le lasciavano fare ai loro maggiordomi, le lotte non erano mai troppo cruente, e intanto i maggiordomi diventavano ricchi e potenti. Anche i merovingi di provincia si comportavano nello stesso modo, lasciando tutto il lavoro e la responsabilità ai loro funzionari, mentre loro facevano lunghe cavalcate e caccie con gli eredi dei nobili precedenti, che erano molto più eleganti di loro. Per succedere a un re particolarmente incapace, Clodochetto il Piagnone, si scatenò una lotta terribile tra Dalemberto il Perfido e Veltrorico il Fannullone, che raccontava sempre i suoi bellissimi sogni, e teneva udienza solo ogni tre mesi. Entrambi, per prudenza, rifiutarono il tentativo di mediazione di Bassolindo il Mangiarifiuti, di cui non si fidavano troppo. Nel frattempo, grazie al matrimonio di Dalemberto con la principessa Margherita si erano convertiti al cattolicesimo, ma siccome erano tanto pigri, anche i rapporti con la Chiesa li lasciavano ai maggiordomi. Tra i quali era diventato grande e potente Berluschino il Breve, che controllava l’esercito, le finanze, le comunicazioni e il rapporto con la chiesa. Aveva due figli capaci, il principe Giulio Tremartelli che combatteva con valore le scorrerie dei banchieri saraceni, e Brunetto il Corto, che controllava col terrore i maggiordomi minori. Berluschino si comprò l’appoggio della chiesa, manovrò tra i due in modo da far eleggere il più incapace, Veltrorico, e con un colpo a sorpresa gli tagliò la barba, facendogli perdere ogni segno di regalità. A questo punto tutti i principi merovingi cominciarono a litigare ferocemente tra loro per contendersi la successione, senza accorgersi che per farlo si erano radunati in unico castello, di cui Berluschino aveva chiuso le porte e buttato la chiave. Se ne accorse però un petulante ragazzino, mai stato merovingio, e neanche maggiordomo, Ciccino Matteo, che quando arrivò all’età della ragione proclamò “adesso vi rottamo tutti, merovingi e maggiordomi” e la gente industriosa e intraprendente decise che era ora. Purtroppo Ciccino Matteo cominciò dalla parte più facile, quella dei vecchi, astiosi e noioisissimi Merovingi barbuti, e per rendere le cose ancora più facili accettò i consigli di Berluschino, che era più furbo e più navigato di lui, e lo convinse a cambiare le regole, per cui, quando poi arrivò il momento di misurarsi tra loro due, gli diede una potente fregatura riducendolo a contar meno non solo dei maggiordomi, ma anche dei giovanissimi stellati che si erano andati organizzando tra quelli che non ne potevano più nè dei Merovingi, nè dei maggiordomi e che Matteo si era illuso che stessero con lui… SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LE RADICI DEL FALSO POPULISMO

di Antonio Autuori – Portavoce del Gruppo di Volpedo   Pil procapite in SPA (indici UE27=100) SPA= potere d’acquisto standard Commento dell’autore (Arrigo)”..A metà anni ’90 il Pil pro capite dell’Italia in PPS si trovava 21 punti percentuali al di sopra del valore medio degli attuali 27 paesi che compongono l’Unione e persino 6 punti sopra il valore dei paesi UE-15 pre allargamento. Nel 2003 il dato italiano scendeva al di sotto del dato medio UE-15 e alla fine del decennio azzerava completamente il vantaggio rispetto all’UE-27…” Al grafico [1] ho aggiunto i periodi di governo destra-sinistra, visibili per colore azzurro-rosso. Non ci sono dubbi che il Pil pro-capite italiano sia diminuito, nel periodo considerato (1995-2011) di oltre il 20% ed è evidente che i periodi di governo tra destra e sinistra sono approssimativamente divisi in parti uguali. Questo processo economico ha colpito in particolare i ceti medio-bassi che hanno sperimentato più direttamente l’effetto di questa diminuzione di reddito. Peraltro facendo riferimento al Pil 2011, (1638 miliardi euro circa), si può stimare che l’economia risenta di una diminuzione di reddito complessivo di circa 300 miliardi di euro l’anno. Poiché è evidente che questa diminuzione ha colpito in particolare i ceti meno abbienti e che gli stessi non hanno avuto benefici tangibili dall’alternanza destra-sinistra (vedi grafico), gli stessi ceti sono arrivati alla conclusione che la loro domanda politica dovesse essere rivolta altrove. L’idea, cara ai profeti del bipolarismo perfetto, imposto per legge elettorale, era che la maggioranza dell’elettorato, pur escluso dai circuiti economici principali, avrebbe accettato l’apparente alternativa tra destra e sinistra. In effetti, il calcolo non era sbagliato, perché questa situazione si è protratta ben al di là del periodo riportato dal grafico precedente e cioè approssimativamente fino al dicembre del 2016 (referendum costituzionale); in qualsiasi paese ventun anni equivalgono politicamente all’eternità. Ma tutto tiene finchè tiene, poi bisogna inventare qualcos’altro: l’alternativa populista. Ho fatto un’analisi dei dati correlando, su base regionale, i risultati del referendum quasi definitivi [2] con i dati regionali del Pil pro-capite [3] La linea in rosso mostra una connessione evidente negativa (-0.750) tra la votazione percentuale per il NO e il Pil regionale pro-capite, cioè nelle regioni a reddito più basso, la votazione per il NO è stata maggiore. Esattamente il contrario è avvenuto per il SI (+0.741 traccia blu) e la sconfitta del SI è avvenuta malgrado l’affluenza sia stata maggiore nelle regioni ad alto reddito (+0.832 traccia verde). Tutte le predette correlazioni sono significative con confidenza maggiore del 99%. Se eliminiamo, con una correlazione parziale, l’effetto del fattore affluenza (traccia verde) alla correlazione votoNO-redditopc (e cioè cerchiamo di eliminare il fattore geografico dalla relazione), la correlazione votoNO-redditopc passa da -0.750 a -0.263 e cioè si riduce ma mantiene una significatività relativamente elevata (confidenza 87%). Quindi si può sostenere ragionevolmente che il fattore economico, piuttosto che il giudizio politico sulla riforma costituzionale, sia stato determinante sull’esito del referendum e che il fattore economico a favore del NO, si sia manifestato nell’intero paese e non solo nelle regioni a basso reddito. Se prendiamo in considerazione la storia del governo Renzi, si vede in modo eclatante che le speranze ispirate dalla figura di un giovane presidente del consiglio fattivo e innovatore in grado di progettare un futuro condiviso per l’intero paese, (PD 41% alle europee), si traduca, dopo i primi provvedimenti di natura economica, in una profonda delusione di cui il risultato del referendum costituzionale è l’epilogo. E’ probabile che la gente non si sia resa conto inizialmente degli effetti economici dei famosi ottanta euro, erogati a persone di reddito medio e rivenduti come tentativo di rivitalizzare la domanda interna (un assurdo di politica economica); così come non si sia resa conto degli effetti risibili della generosa decontribuzione fiscale sugli assunti a tempo indeterminato; la decontribuzione di 12000 euro pro-capite per tre anni relativo alle aziende che assumono a tempo indeterminato che costerà allo Stato dai 28 miliardi di euro a consuntivo, distribuito a pioggia su un panorama di aziende che, per almeno i due terzi, non sono competitive per tecnologie e innovazione. In pratica lo Stato con questi due provvedimenti, sta incentivando e finanziando a caro prezzo, la disoccupazione prossima ventura; perché è evidente che esauriti gli incentivi, la maggior parte delle aziende (quelle che non innovano, 2 su 3), si sbarazzerà liberamente di una quota equivalente di occupati. Certamente però, i meno abbienti hanno preso atto a consuntivo del fatto che, da una parte gli effetti economici generali e quelli occupazionali sono stati deludenti e dall’altra parte che il governo con gli ottanta euro e le decontribuzioni triennali a fondo perduto non è intervenuto sui settori al limite di sopravvivenza e/o in regresso economico, cioè a quanto pare, se il precedente grafico ha un senso, il governo ha fallito nell’incidere sulle condizioni economiche della maggioranza degli italiani, a partire dalle classi meno abbienti. In sostanza il governo Renzi, pur nominalmente di centro-sinistra, mancava della qualità principale che Norberto Bobbio attribuiva al termine “sinistra” e cioè l “inclusione”; esso si è dimostrato incapace di elaborare un progetto per l’intero paese e per di più non è riuscito a farlo neppure per la maggioranza del paese. Siamo passati dalla politica “la pioggia lo bagna, il sole l’asciuga” di Berlusconi all’approssimazione dissennata e senza costrutto di Renzi. Dunque si è chiuso il ciclo dell’alternanza fittizia destra/sinistra? Sicuramente si è chiusa la narrazione indotta dalla proposizione dell’alternanza destra/sinistra, ma i commentatori più avveduti (ed estranei al ceto politico della seconda repubblica), hanno già notato che la cosiddetta alternativa populista somiglia in modo impressionante all’alternativa destra/sinistra. Interessante l’articolo di Mario Pianta su Social Europe, il cui titolo è una citazione sufficiente: Lib-Pop Politics: Why Italy’s New Government Is More Neoliberal Than Populist – (Politica liberalpopolare: perché il nuovo governo italiano è più neoliberale che populista). Ma ancora più esplicito e succoso l’articolo di MicroMega di Rosa Fioravante e Paolo Ortelli: “La via stretta della sinistra” “…È evidente il pericolo che la discussione politica si trasformi in una falsa …

SIGNOR PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

di Stefano Betti Signor Presidente, mi rivolgo a Lei riferendomi al Suo discorso di presentazione al Senato della Repubblica il 5 giugno per ottenere la fiducia. Non entro nel merito dei contenuti. Non è il Reddito di cittadinanza (Figlio dei Gialli) l’oggetto delle mie osservazioni. Se sia giusto o meno ma, soprattutto, se sia compatibile con gli equilibri di bilancio. Né la Flat tax (Figlia dei Verdi), se sia o meno compatibile col dettato costituzionale di progressività dell’imposta (le deduzioni basteranno per assicurare la progressività?) e, soprattutto, con gli equilibri di bilancio. Né tantomeno la riforma radicale della legge Fornero (Figlia dei Gialli e dei Verdi) che la riduzione delle pensioni d’oro, rielaborate in base all’effettiva contribuzione versata durante la carriera (principio, questo, che non ho difficoltà a definire equo, salvo riflettere sulle conseguenze a livello di contenzioso per via dei diritti quaesiti) non basteranno certo a coprire. Né sul fatto che un governo di coalizione fra due forze presentatesi alle elezioni come alternative, in realtà, ha la medesima legittimità a governare quanto i governi precedenti, frutto di intese parlamentari. Legittimi, in tal caso, quanto questo fra Gialli e Verdi. Insomma, da adesso in poi dovremo bandire la parola inciucio dal vocabolario. Altrimenti anche questo lo è. Su un programma di governo si possono avere argomentate e motivate opinioni differenti. Ma questo è il sale della democrazia. Ascoltare chi non la pensa come te e, semmai, rivedere le proprie convinzioni in base alle osservazioni degli altri. E viceversa. Questo sì che sarebbe sul serio un segnale di reale Cambiamento. Ma di questo, se mi permette, non voglio parlare. Mi riferisco alla Sua osservazione riguardo al fatto che: Non esistono più forze politiche che esprimono, come un tempo, complessive visioni del mondo, che ispirano la loro azione – vale a dire – in base a sistemi ideologici perfettamente identificabili. Il tramonto delle ideologie forti risale a decenni or sono ed è dimostrato dal fatto che gli ultimi governi hanno promosso iniziative politiche di difficile collocazione secondo le categorie politiche più tradizionali”. Ed è proprio questo il punto. Perché, vede, ogni provvedimento seppur mediato dai compromessi figli di maggioranze di coalizione, ha sempre una connotazione politica. Quando Lei afferma che “gli ultimi governi hanno promosso iniziative politiche di difficile collocazione secondo le categorie politiche più tradizionali” dice il vero. Infatti, proprio dal progetto fondativo del Partito Democratico le ideologie alla base della Costituzione sarebbero dovute confluire in un idem sentire proficuo per il paese. Il tutto nella visione di una realtà politica italiana bipolare, che bipolare in primo luogo non s’è rivelata. E l’omologo Forza Italia, nel campo del centro destra non ha mai nascosto l’aspirazione a mescolare la tradizione liberale con quella dei cattolico liberali fino ai socialisti liberali. Insomma, un partito liberale di massa. ma con un proprietario Tycoon padrone assoluto, un macigno non indifferente. Oggi l’elettorato sembra non nutrire più fiducia nei due contenitori. Proprio perché la loro identità s’è smarrita. Forse perché le fusioni a freddo alla lunga non portano mai da nessuna parte. Resta solo algebra contabile, percepibile ai più. E quello che manca è una presenza, autenticamente socialista, nei principi e nell’azione, che possa essere alternativa al neo liberismo di questi primi del secolo e alle ricette populiste e confuse in politica economica. Il reddito di cittadinanza e la Flat Tax, mi permetta di osservare, sono un ossimoro percepibile anche da una matricola al primo anno d’università. Pertanto, Le comunico che è in atto un processo, condiviso con altri Compagni di viaggio, per la costruzione di un soggetto politico, autenticamente socialista e autonomista per questo secolo XXI. Un po’ come accadde nel 1892. Saremo come le forze politiche socialiste che, in altri paesi europei, “esprimono, come un tempo, complessive visioni del mondo, che ispirano la loro azione – vale a dire – in base a sistemi ideologici perfettamente identificabili.” Sì, è il Suo virgolettato. Spero mi perdonerà.  Con rispetto.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MIA IDEA DI SOCIALISMO 2.0

di Dario Allamano Nel lontano 1982 a Rimini il PSI, da pochi anni diretto da una giovane leva di dirigenti, organizzava una Conferenza Programmatica il cui titolo era “Governare il cambiamento”, era un messaggio chiaro, quel partito era consapevole che quella era un momento di transizione tra un modello produttivo basato sull’industria fordista delle catene di montaggio e del lavoro parcellizzato, dell’ “operaio massa” come veniva definito, ad un nuovo modello che avrebbe cambiato fabbrica e società. Solo un paio di anni prima a Torino alla FIAT era avvenuto un cambiamento epocale, i sindacati, che per una dozzina di anni avevano avuto l’egemonia in fabbrica, venivano sconfitti dalla marcia dei 40mila, un’epoca si chiudeva, e si chiudeva non solo perché la FIAT di Romiti aveva scelto lo scontro, vincendolo, ma anche perché il sindacato torinese, diretto da una maggioranza comunista-massimalista, non aveva compreso i cambiamenti portati alla produzione negli anni precedenti dai primi robot. L’organizzazione della produzione era cambiata, lavori pesanti e nocivi (si pensi alla verniciatura) in cui erano occupati molti operai venivano sostituiti da strutture automatizzate. La scelta di quel sindacato di andare allo scontro frontale su posizioni ideologiche, senza alcuna vera analisi della situazione produttiva che si stava consolidando, fu tragica, il blocco dei cancelli iniziò con una richiesta, trattabile, della FIAT di 14 mila esuberi e si concluse dopo 35 giorni con 23 mila licenziamenti. Per il sindacato poteva e doveva aprirsi un periodo di riflessione obiettiva sulla sconfitta, che invece fu derubricata a “La FIAT è cattiva”. Dopo la grande sconfitta della CGIL nel 1956 bena altra fu la riflessione, e fu una riflessione che la cambiò a fondo. Ma gli anni a cavallo degli ottante furono anche gli anni dell’inflazione a due cifre, portata dalla crisi del petrolio, ma anche da scelte sbagliate del Governo Andreotti o della non sfiducia. L’inflazione è una tassa occulta sui redditi dei poveri, che ogni anno vedono svanire una buona parte dei loro salari e stipendi. La risposta sindacale fu il punto unico di contingenza, che aveva però un difetto, rincorreva l’inflazione, non la controllava. Riduceva invece, e di molto, la possibilità per il sindacato di fare contrattazione, sia nazionale che aziendale. Gli anni ottanta furono davvero un passaggio epocale tra un prima (le grandi industrie manifatturiere) ed un dopo la loro progressiva scomparsa causata dall’automazione. Ma furono anche gli anni in cui l’Italia perse la battaglia sull’informatica e sui personal computer, dopo essere stata avanguardia con gli M20 e gli M24 dell’Olivetti si ritirò in buon ordine lasciando lo spazio agli americani. Rimini cercò di dare delle risposte a questi cambiamenti epocali, l’intervento di Claudio Martelli sull’ “Alleanza tra meriti e bisogni” indicava una possibile strada di uscita. Nonostante tutti gli errori della FIOM e del sindacato torinese, i sindacati Confederali erano ancora  potenti. La battaglia del referendum contro il cosiddetto “decreto di San Valentino”, che tagliava quattro punti di contingenza, segnò, come ancora di recente disse Carniti, la fine del periodo aureo del sindacato, l’ottusa opposizione di Berlinguer obbligò, obtorto collo, Lama e la componente comunista a schierarsi contro il Governo Craxi, e fu l’inizio della fine del sindacato unitario. Purtroppo il PSI, e proprio nel momento di massimo fulgore, non comprese che le parole d’ordine di Rimini potevano essere la solida base su cui costruire un grande partito, si adagiò sulla gestione del potere derivante dalla Presidenza del Consiglio di Craxi, e come ha scritto di recente Rino Formica, nella sua lettera di saluto all’Assemblea di Rimini, “negli anni 80 iniziò il lento declino del gruppo dirigente del PSI”. Lento declino che può essere ricompreso tra due frasi fulminanti di Formica stesso, quella detta nel 1983 da commissario della Federazione di Torino: “il Convento è povero ma i frati sono ricchi” e quella di fine anni 80 “Questo è ormai un partito di nani e ballerine”. La fragilità del PSI era già evidente, soprattutto a coloro che guardavano con obiettività allo stato del Partito, molto prima del 1992, la grande fuga dei nani e delle ballerine che avvenne dopo il 1993 ebbe i suoi prodromi nella seconda metà degli anni ’80. A difendere le posizioni rimasero tanti compagni e compagne di base, ma i generali furono pochi, i più si nascosero o fuggirono, con la fellonia tipica dei comandanti italiani. Se oggi si vuole davvero ricostruire una idea di Socialismo per il XXI secolo occorre ripartire da questa constatazione: superare una volta per sempre l’idea che il socialismo può rinascere se qualche vecchio generale torna a comandare le truppe, Livorno ha dimostrato che ormai siamo in grado di fare da soli, senza capi ed anche bene. La seconda riflessione che mi sento di fare è che occorre ripartire dal metodo che portò a Rimini 1982: “Analizzare e capire la realtà per Governare il cambiamento”, ma, da buoni socialisti, nell’ “interesse di coloro che fanno del lavoro la loro ragione di vita”. Nel momento in cui si insedia un Governo peronista si può riaprire uno spazio ampio per chi avrà la forza ed il coraggio di ricostruire una Idea di Socialismo valida per il XXI secolo, non un generico Fronte (o Alleanza) Repubblicano, ma proprio un partito con una chiara ed autonoma INDENTITA’ socialista. Sempre Avanti verso Rimini 2018! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it