LA PARTITA DI RITORNO

di Stefano Betti Eravamo rimasti solo pochi giorni fa alla remissione del mandato da parte del Prof. Avv. Giuseppe Conte. Il Governo Giallo Verde, quello del Cambiamento, non sarebbe nato perché il Presidente della Repubblica non avrebbe nominato il Prof. Paolo Savona ministro dell’economia. L’ottantaduenne Professore poteva essere “visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro.” Mica uno scherzo. “O Savona all’economia o morte” gridano i leader Giallo verdi. “È il nostro Cristiano Ronaldo!” Urla il Popolo “e l’Arbitro Presidente lo ha espulso!” Da lì una tempesta, mista d’ignoranza e demagogia. A rincorrersi tesi complottiste e denunce di una sovranità limitata da parte del Quirinale. Come tifosi sfegatati i Gialli (i Verdi mugugnano, ma non lo chiedono), incuranti di analoghi casi in cui i Presidenti si facevano valere sui presidenti incaricati (Il diritto costituzionale è un lusso al tempo del populismo, mettiamocelo bene in testa), chiedono, ma solo per 24 ore, la messa in stato d’accusa. Lo spread impazza e i titoli precipitano. Il Presidente allora gioca la carta del VAR. Si rivede l’azione che ha causato l’espulsione. All’inizio fa intravedere una data per le elezioni e chiama il Prof. Carlo Cottarelli per dargli un incarico per un esecutivo tecnico che a malapena avrebbe avuto, forse, la fiducia di qualche Senatore a vita. Forse. La più vicina possibile è la data del 29 luglio. “Si però la gente è in vacanza a luglio …” e cosi, dal cilindro dei Leader giallo verdi la proposta: spostiamo a centrocampo il Prof. Paolo Savona. Per di più incassiamo l’astensione di Fratelli d’Italia. A questo, punto, come per incanto, l’obiezione del Presidente viene meno e tutto si ricompone. All’Economia il Prof. Giovanni Tria, stimato economista con solide esperienze universitarie e nella Pubblica Amministrazione.  E il Prof. Paolo Savona agli Affari europei. Ma non potevano pensarlo subito, invece di farci vivere quarantotto ore deliranti? Recita Wikipedia (fonte primaria del Populismo contemporaneo):” Il Dipartimento per le politiche europee (già delle politiche comunitarie, poi per il coordinamento delle politiche comunitarie) è uno dei dipartimenti della Presidenza del Consiglio, all’interno del governo Italiano; è la struttura di supporto al Presidente che opera nell’area funzionale dei rapporti del Governo con le istituzioni dell’Unione europea e della quale il Presidente si avvale per il coordinamento nella fase di predisposizione della normativa europea e per le attività inerenti all’attuazione degli obblighi assunti nell’ambito dell’Unione. Nel Governo Conte cambia denominazione in Dipartimento per gli Affari Europei.” Insomma, non certo un ruolo defilato per i rapporti con l’Unione europea. Con il prof. Paolo Savona a centrocampo, dall’Euro non rischieremo d’uscire. Lo spread scende, la Borsa respira e I Giallo Verdi invocano la ragione dalla loro parte. L’espulsione era solo un modo per fermare il Cambiamento. Dicono. Ora, visto che questa vicenda, almeno per il Popolo del Cambiamento, ha avuto un lieto fine, permettetemi di pensare a tutti quelli che hanno abbandonato il voto del Centro sinistra, delusi dal neo liberismo propugnato dal Pd renziano, amareggiati dalla accondiscendenza verso la BCE da parte dei ministri dell’economia da Monti fino a Gentiloni, che si sentono però ancora, in cuor loro, uomini di sinistra perché a tradire è stato il Pd che ha votato la legge Fornero. Li penso mentre, nel silenzio dei loro cellulari (perché almeno la notte non ci pigeranno le dita, spero), si accorgono che il ministro degli interni del loro governo è Matteo Salvini, che la Flat tax premierà i ricchi oltre misura, che le promesse elettorali irrealizzabili per oggettiva carenza di fondi prima o poi si ritorceranno contro gli stessi “eroi” del Cambiamento, che gli evasori, purtroppo, continueranno a evadere, che, speriamo di no, non riusciranno a scongiurare l’aumento dell’Iva, che le magagne del sistema non saranno certo sanate dai propositi semplicistici dei nuovi governanti, un po’ come le buche a Roma. Ci sono e non sono state riempite neanche per una tappa del Giro d’Italia. Perché questa è e purtroppo sarà la realtà. E allora, dovremo trovarci pronti a dar loro una prospettiva reale a sinistra. Ecco perché ci vogliono i Socialisti. In politica, non dimentichiamolo, c’è sempre la partita di ritorno.   UN COMMENTO DI SILVANO VERONESE Giuste considerazioni, del tutto condivisibili. La questione si è risolta ma è opportuno tenere in evidenza ciò che è successo perchè il caso si potrebbe riverificare in futuro ed andrebbe evitata la “gogna mediatica” nei confronti della massima magistratura dello Stato a cui hanno concorso sprovveduti  “costituzionalisti da bar sport della politica” ed autentici provocatori sia tra i politici che tra i commentatori nei media. Purtroppo, tra questi ho potuto leggere – con dispiacere – nei social anche dei commenti di compagni di storia o ispirazione socialista,  dimentichi che, oltre a Scalfaro e Cossiga per non parlare di Napolitano, anche il nostro indimenticato Sandro Pertini interveniva, eccome e non impropriamente, persino con lettere ai presidenti incaricati. Quella che a torto o a ragione viene considerata la Costituzione “piu’ bella del mondo” prevede una sorta di poteri/contropoteri (check and balance) che si bilanciano e lo stesso potere “sovrano” del popolo che si esprime attraverso il Parlamento liberamente eletto non è un potere assoluto (questa era una ingiustificata pretesa dell’autocrate Berlusconi) perchè altrimenti la Corte Costituzionale non potrebbe annullare leggi pur votate a stragrande maggioranza. La cosa paradossale, in questa vicenda,  è stata che sono dovuti  intervenire  Casaleggio  e persino Grillo (è tutto dire) per  far recedere l’insulso Di Maio dai suoi insani propositi di impeachment del Presidente e per obbligarlo a riprendere il discorso con il Presidente Mattarella. Il fatto poi che anche l’altro dioscuro (Salvini) abbia dovuto abbandonare l’assurda intransigenza del “o Savona o morte” è stato a seguito di pressioni  di quadri intermedi leghisti amministratori locali del Nord  (in particolare veneti) di cui si sono fatti interpreti l’intelligente Giorgetti, Maroni e Zaia. Se persino dentro gli schieramenti pentastellati e leghista ci sono state  persone che ragionano, non capisco ancor più le posizioni assunte sul caso da  certi compagni …

LA QUESTIONE SOCIALE 1.0

di Marzia Casiraghi Il tema “Questione Sociale” dovrebbe rivestire un punto cardine per ogni partito politico. Lo è stato senza dubbio per il Socialismo. Nel nostro programma intendiamo ricreare quello stato sociale o welfare, che in questi anni è stato praticamente distrutto, facendo crollare istituzioni che noi tutti abbiamo sempre rispettato : famiglia, scuola, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’obiettivo primario deve essere quello di aprire dei PUNTI DI ASCOLTO dove i cittadini possono rivolgersi per avere risposte ai loro problemi : salute, lavoro, assistenza. Viviamo momenti dove in molti casi mettere insieme il pranzo con la cena risulta miracoloso, figuriamoci poi quando ci si trova davanti alla scelta tra portare il pane in tavola o curarsi. Ci sono famiglie che non possono permettersi di far curare i denti ai propri bimbi. Fare degli esami diagnostici, quasi impossibile con le liste d’attesa esistenti. I medicinali, anche quelli salvavita, sempre più costosi. E l’esito della compressione dei redditi perseguita in questi ultimi trent’anni. Il disagio è alle stelle. Gli anziani sono sempre più soli, e non si possono obbligare ad usare i moderni mezzi d’informazione, in molti casi non sarebbero in grado di farlo. La carenza di asili Nido, per le donne con figli che lavorano è un altro tema scottante. Nei nostri Punti D’Ascolto cercheremo di dare loro queste risposte in modo concreto. Esiste ed è sempre purtroppo più attuale il tema delle donne violate. Cercheremo di dare loro assistenza con l’aiuto di esperti. Sarebbe molto bello, poter creare degli alloggi, dove le madri con figli, che per sicurezza vengono allontanate da casa, potessero tenere compagnia agli anziani soli. Ritrovando  quella sicurezza che le ha private di ogni loro punto fermo. Altro problema quello di chi rimane senza casa. Non sapendo dove sbattere la testa anche per mancanza di soldi. Un’assistenza a tutto tondo nel sociale insomma, senza dimenticare gli ultimi, coloro  cioè che hanno scontato una detenzione. Sarebbe compito dello stato cercare di reinserirli nella società ma questo non succede mai, è sempre un problema dei volontari. Ancora oggi nelle città e nei paesi d’Italia esistono migliaia di circoli, società cooperative, società del mutuo soccorso il cui scopo originale, dare per l’appunto sostegno ai più deboli, è ormai svanito, nella maggioranza dei casi si sono trasformati in semplici bocciofile con annesso bar-ristorante e non sempre gestito secondo canoni di solidarietà sociale. Dobbiamo rientrare in queste strutture, con l’obiettivo di farle tornare ad essere associazioni che facciano del mutuo soccorso la loro ragione sociale. Oggi lo stesso sindacato ha difficoltà ad intercettare quella parte della società che è stata esclusa dal mondo dei lavori, dobbiamo costruire un progetto per la loro rinascita. Partendo magari da alcune esperienze di solidarietà attiva che si sono costituite in alcune parti d’Italia e che in molti casi sono vicine a noi socialisti, un esempio per tutti la Ristorazione Sociale degli Orti di Alessandria. Sono esperienze che hanno creato posti di lavoro dignitosi e aiutato fasce sociali molto marginali, vanno sviluppate e promosse. Serviranno certamente volontari che siano disponibili ad impegnarsi, io credo che sarà un compito difficile si ma non impossibile. Per tutte le problematiche legate alla salute contatterò medici che conosco che fanno già volontariato o operano presso strutture Sociali. La speranza è di riuscire a creare al più presto questi Centri, prima lo faremo prima potremo essere utili.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MIA IDEA DI SOCIALISMO

di Dario Allamano Il 24 marzo a Livorno un bel gruppo di compagni e compagne si sono incontrati per discutere su un tema importante: la Storia è l’avvenire. E’ un modo di approcciare la politica che ha due chiavi di lettura, costruire un movimento che sia in grado di superare una politica tutta schiacciata su un eterno presente, per cui solo ciò che si vive sul momento è realtà, ma che genera la rabbia degli esclusi, i quali non vedono riposte ai loro problemi immediati. quindi ripartire, nella ricostruzione di un Movimento per il Partito del Socialismo nel XXI secolo, da una lettura critica della Storia del Socialismo in Italia, nella convinzione però che solo nelle radici culturali si possono trovare gli anticorpi per rispondere alla malattia descritta nel primo punto. Con un chiaro obiettivo: costruire un Progetto politico con una visione positiva per l’avvenire dei nostri figli; Oggi siamo in una fase di transizione. Le politiche proposte in questi ultimi vent’anni da tutti i Governi (sia di centro sinistra, che di centro destra) sono state fallimentari. La subordinazione al pensiero dominante del liberismo ha generato degli Stati debolissimi, non assolutamente in grado di contrapporsi allo strapotere delle grandi finanziarie, le quali dominano il mondo con l’enorme potere conferito loro dal denaro che gestiscono. La chiave di volta di questo dominio sta per l’appunto nel potere conferito ai gestori di fondi pensione, fondi di investimento ed assicurazioni dal popolo minuto, a cui da trent’anni si racconta una falsità: “Gli Stati non saranno in grado di garantire il vostro futuro, per essere sicuri dovete dotarvi di fondi pensione e assicurazioni private e se avete qualche soldo da parte versatelo nei fondi di investimento”. Le bolle che ogni tanto esplodono sono l’esito di questa narrazione farlocca, servono a tosare le pecore. Purtroppo la sinistra in generale, ed anche il socialismo, ha rinunciato alla propria funzione essenziale, educare i cittadini ad una visione critica ed autocritica della realtà, si è tentato, con il blairismo, di galleggiare sull’onda del liberismo. La transizione può essere vissuta in due modi: il primo, come stanno facendo i populisti-peronisti, generando paure sul futuro, ed è il motivo per cui le loro politiche sono tutte concentrate sulla visione negativa di un mondo e di una Europa irriformabili, il secondo, e dovrebbe essere la funzione di chi è socialista, costruire un Progetto politico che, senza nascondere, anzi evidenziandoli con chiarezza, i problemi che abbiamo di fronte, cerca di generare una nuova fiducia nel futuro dell’Umanità. E’ del tutto evidente che il nostro è un lavoro immane, ma non impossibile, siamo esattamente al punto in cui erano i socialisti ad inizio ‘900, nella transizione tra i cannoni di Bava Beccaris ed il liberalismo di Giolitti. Quel Partito Socialista, appena nato, seppe dare una risposta alla domanda di democrazia civile e sociale che stava emergendo: il Programma Minimo, che non fu altro che un Progetto politico positivo, il messaggio implicito era: “se noi andremo al Governo queste saranno le cose che faremo”. Noi siamo li, spersi in mille rivoli, fermi a discutere di questioni vecchie e logorate, e per ora, salvo una sparuta minoranza, incapaci di CAPIRE LA REALTA’ PER TRASFORMARLA. Molti di noi hanno iniziato a discutere di questa realtà. Lo scorso anno a Volpedo abbiamo discusso di una questione fondamentale per comprendere la realtà, il Lavoro 4.0, perché in questi anni le nuove tecnologie hanno modificato a fondo i modi di lavorare. Pensiamo alla crisi del commercio al minuto generata dalla piattaforma di Amazon. Ma soprattutto dobbiamo essere consapevoli che l’Intelligenza artificiale romperà definitivamente tutti i paradigmi che hanno contraddistinto il secolo delle manifatture. Diversamente di quanto è successo per due secoli gli investimenti non creeranno maggiori posti di lavoro, ma li distruggeranno. Per chi è socialista da qui si riparte, senza fermarsi a discutere troppo sul PD e sulla sinistra in generale, sono problemi che interessano il loro ceto politico e riguardano i loro fallimenti. Rimini 2018 ha per l’appunto questo obiettivo, superare queste sterili discussioni, che al massimo interessano i mestieranti della politica del XXI secolo, per avviare la costruzione di un NUOVO PROGRAMMA MINIMO. Si riparte come sempre hanno fatto i socialisti nei loro 125 anni di Storia, mettendo al centro della narrazione politica la QUESTIONE SOCIALE, dagli interessi di coloro che fanno del lavoro la loro ragione di vita, perché lavoro è dignità. In queste settimane a Torino, all’ISMEL si sono tenuti tanti seminari su queste questioni, Giovanni Ferrero, presidente dell’ISMEL, è il compagno che lo scorso anno a Volpedo ha relazionato sul Lavoro 4.0. Consiglio, a chi avrà la pazienza di farlo, di andare su Youtube canale Gruppo di Volpedo, ad ascoltarlo, è stato un momento molto importante per capire la realtà, e molto utile per iniziare a riflettere sul come cambiarla. Sempre Avanti verso il  Socialismo nel XXI secolo SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISMO CHE SARA’

di Stefano Betti Per colmare un vuoto bisogna sapere esattamente cosa occorre per riempirlo, con qualcosa che sia compatibile col resto dell’insieme. Nel panorama politico italiano il Socialismo andò in soffitta molti anni fa. Prima dell’epilogo del 1994, quando il Partito socialista decise di estinguersi. La sinistra storica, pur nei dovuti distinguo, aveva da tempo optato per soluzioni più soft. Dal Compromesso storico berlingueriano all’Alternativa, dai contorni sfumati per il PCI. Alla Governabilità che, negli anni ’80, chiude in un cassetto il Progetto socialista di Torino. Poi, a cascata, la storia dilaga e il PCI si trasforma più volte contaminandosi, avvolto nell’illusione del bipolarismo, fino a allontanarsi nei fatti dal Socialismo. Per i socialisti, la diaspora, sparsi ovunque, da sinistra a destra o in micro partitini col nome socialista, ma senza respiro. Ecco, tutto questo, sintetizzato in otto righe, è storia impietosa, ma che un giovane che vive il presente confuso e digitalizzato ha difficoltà a comprendere. Che fare? Partiamo da un punto ineludibile. Il Socialismo, per quanti sforzi siano stati compiuti per cancellarlo dalla storia, è una filosofia che non sarà mai estirpata dal cuore e dalla ragione degli uomini. E resterà, nella sua espressione libertaria, l’unica alternativa alla barbarie del neo capitalismo contemporaneo. I concetti base sono tutti negli articoli 2, 3, 4 e 5 della Costituzione. EGUAGLIANZA, non solo di fronte alla legge, ma sostanziale per rimuovere gli ostacoli d’ogni tipo che impediscono all’uomo di poter realizzare le sue legittime aspettative. Imprescindibile la progressività del prelievo fiscale che consente la redistribuzione della ricchezza attraverso la Stato sociale. LAVORO, inteso non solo come diritto, ma anche come dovere per la realizzazione degli obiettivi che la società si prefigge. AUTONOMIE LOCALI, in un impianto organizzativo che superi la gabbia centralista imposta dal processo unitario ottocentesco verso un compiuto regionalismo, nell’ambito del FEDERALISMO EUROPEO. Ultimo, ma non per ultimo, la valorizzazione di tutte le FORMAZIONI SOCIALI tese a valorizzare i principi di libertà e solidarietà. Una sintesi che apre a ulteriori addentellati o principi, ma che deve necessariamente essere una base di partenza per costruire il Socialismo del XXI secolo. Perché oggi, questa società liquida, tutta Social e intollerante, soffocata dal debito pubblico che, nonostante le politiche neo liberiste degli ultimi governi, ha continuato a crescere inesorabilmente, in preda a convulsioni populiste e sovraniste, nel delirio degli intellettuali sbalestrati fra la foglia di fico dell’anti renzismo e la difesa della torre d’avorio con cui si sono rinchiusi in tutti questi anni, ha bisogno di fatti concreti. Quando la sbornia sarà terminata, come puntualmente accade ciclicamente nel nostro paese (ricordate l’ira forcaiola ai tempi di Tangentopoli?), dovremo essere pronti a offrire un approdo logico a sinistra. Il Progetto parte dalle cose da fare. Creiamo (o coinvolgiamo) una rete di soggetti giuridici che lavorano. Che creano lavoro. Penso a quanto fatto a Roma, ad esempio, per il recupero delle sale cinematografiche dismesse, condannate inesorabilmente al gioco d’azzardo. O al mondo ricchissimo di valori come quello dell’artigianato, che va difeso con ogni mezzo dall’invasione massificante dei giganti. O alla questione migranti e al progetto in embrione di costruire un percorso virtuoso che consenta l’insegnamento di professionalità a chi lo richiede per poi poterle mettere in pratica nel proprio paese d’origine. E potrei continuare all’infinito. Come il mondo della società di mutuo soccorso e delle cooperative, che vide i Socialisti all’inizio della loro storia protagonisti attivi, irruppe nel panorama di fine ottocento, così dovremo fare ora. Il Socialismo del XXI secolo potrà esser costruito fin da subito e sarà solo se d’azione.         SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SAPER FAR DI CONTO

di Stefano Betti Nel susseguirsi di dichiarazioni contraddittorie, che i protagonisti della babele politica di maggio non riescono a contenere, magari perché non hanno idee chiare o sono mal consigliati, sono i numeri che contano. Già, perché la materia del contendere è questa benedetta spesa pubblica e la dipendenza dai mercati che tanto fa reagire con smisurato orgoglio i panciuti populisti sovranisti nazionalisti indipendentisti antieuropeisti individualisti giornalisti, pubblicisti sui social, facebookisti. Che però probabilmente ignorano su che polveriera siamo seduti. E che sono proprio i Mercati che acquistano i nostri titoli a permetterci di avere il 23 di ogni mese il nostro stipendio. Se siamo dipendenti pubblici. Già. Pensate che se senza l’odiata BCE non tutti avrebbero la loro pensione. “Ma chi ci ha messo su questa polveriera se non Renzi, che ha pensato solo a tagliare, a salvare le banche e alla fine siamo andati ancora più a fondo?” Pronti all’uso alla risposta repentina. Ricordate quando qualunque, dico qualunque cosa dicesse Il Cavaliere, poi veniva da lui rimangiata il giorno dopo, nell’era del populismo mediatico anni novanta che ci stiamo tragicamente rimpiangendo (il rischio di default del paese poteva travolgere le aziende del leader del Centro Destra, quindi, niente colpi di testa nell’azione di governo…), ma non aveva conseguenze su gran parte dell’opinione pubblica? Così ora. Pertanto, ci dicono con piglio autoritario, che le pensioni d’oro e i vitalizi sono la causa del dissesto. “ma incidono per lo 0,2 per cento…” rispondiamo quasi a bassa voce, per non essere aggrediti verbalmente e inclusi nell’élite (uno spettro si aggira per l’Europa…l’élite…) pausa…”Si, intanto però cominciamo da loro. Diamo il buon esempio…e poi è stato Renzi a salvare le banche…” Proviamo a dire che nel salvataggio anche i tioli posseduti dalle banche sono stati in una qualche misura salvaguardati, ma la discussione si fa sempre più accesa. Meglio battere in ritirata. Fantastico! Allora, vediamo come stanno le cose. Certo, saper far di conto non assolverà l’azione di governo di Centro destra e Centro sinistra che si è succeduta in questi venticinque anni. Il debito pubblico è continuato a aumentare nonostante tagli e lacrime e sangue, da Monti in poi Allora, cominciamo. Prendiamo le previsioni di Cassa per il 2018 emesse dalla Ragioneria generale dello Stato. Di Cassa significa spesa effettiva in moneta, non previsioni d’impegni di spesa per il futuro (la Competenza) che sono regolarmente da sempre più ottimistiche rispetto alla spietata Cassa. La fonte è autorevole. Scopriamo che per l’anno in corso 869,320 miliardi di euro sono la spesa complessiva che dovremo assolvere in moneta sonante. Di questa torta 227,946 miliardi di euro sono la quota di rimborso di prestiti in scadenza. Insomma dobbiamo restituire i soldi a chi ce li ha prestati. Il 26 per cento della spesa complessiva. Ed è una voce che non può comprimere nessun governo, salvo non stare ai patti e rifiutarci di restituire i prestiti. Con conseguenze che possiamo immaginare. E addio stipendi anche dei Populisti del pubblico impiego. Poi aggiungiamo a questa torta 77,941 miliardi di euro d’interessi che prevediamo di corrispondere come costo dei prestiti. Questi sì che possono oscillare e, se c’è tempesta o speculazione, possono decollare drammaticamente. Quasi il 9 per cento della spesa complessiva. E qui mi viene in mente la prudenza del Capo dello Stato di fronte ai rischi di speculazioni dei Mercati. Ebbene sì, ne dobbiamo tenere conto. A questo punto arriva la spesa corrente, quella che si traduce in stipendi pensioni, acquisti di beni e servizi per la pubblica amministrazione e lì abbiamo il grosso, 511,429 miliardi di euro, circa il 58 per cento del totale, più della metà insomma. Difficile comprimere stipendi e pensioni. Restano i beni e servizi, dove tutti i governi pensano di poter mettere mano e vige una presunzione di sprechi e impicci su tutto. Ecco perché è stata creata l’ANAC. Alla fine, in fondo al barile le spese per gli investimenti, quelle che creano ricchezza e permettono al PIL di crescere. 52,453 miliardi di euro. Su questo sono tutti d’accordo. Si crea ricchezza, lavoro, maggiori entrate. Insomma non serve Keynes per capirlo. Peccato che questa voce, nelle previsioni di Cassa per i prossimi anni, è destinata a decrescere fino a 45 miliardi. Già. I tagli. Alla fine, andando a leggere la preziosa tabella della Ragioneria generale, scopriamo, che fra entrate correnti (le tasse, le imposte tanto per semplificare) e le spese correnti, c’è una differenza per quest’anno in negativo di 53.489 miliardi di euro. Numeri spietati, un po’ per tutti, compreso per chi ha governato e che, presumibilmente, ha evitato il peggio a colpi d’algebra forzosa, ma che non si è certo accattivato le simpatie dei più. Figuriamoci chi pensa che si possa risolvere tutto uscendo dall’euro. Il compito che ci attende è spiegare a chi prende un stipendio grazie ai prestiti, che occorre non scherzare col fuoco. Il compito che ci attende è spiegare che occorre mettere in sicurezza in primo luogo lo Stato sociale, che non è un nemico e che gli investimenti sono la medicina corretta per creare ricchezza. Che rimboccarsi le maniche è il futuro logico che ci attende. Tutti però e senza scorciatoie con aliquote a precipizio che fanno bene solo a chi già possiede. Facendo pagare le tasse a tutti. Compito non facile, lo ammetto, ma necessariamente all’ordine del giorno. Con il Contratto di governo (se sarà messo in pratica) il default è all’orizzonte, come scenario del contemporaneo avvento dell’era dell’abolizione della Fornero, del reddito di cittadinanza e della Flat tax all’amatriciana con aliquota massima al 20%. La matematica non è un’opinione e bisognerà saperlo spiegare bene alle prossime elezioni. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL LAVORO, QUESTO SCONOSCIUTO

[avatar user=”Bruno Lo Duca” size=”thumbnail” align=”left” /] di  Bruno Lo Duca Si dice sempre: in Italia non c’è lavoro. Le statistiche, per quanto strane e ballerine, ce lo ricordano molto spesso e non c’è dubbio che sia così (vedi gli articoli di stampa che allego: 1°Link – 2° Link -). Il livello della disoccupazione resta alto, troppo alto, soprattutto tra i giovani, che dovrebbero essere e sono il futuro di questo Paese. Ma anche quelli più anziani non se la cavano bene; tra crisi aziendali e settoriali e innalzamento dell’età per la pensione, chi vorrebbe tornare a lavorare “non trova” e chi vorrebbe “finalmente smettere” non può. Malgrado gli incentivi sparsi a piene mani da tutti i governi, da anni, da molti anni, da troppi anni trovare lavoro diventa complicato. Si dimostra, allora, che gli incentivi da soli non bastano, non possono bastare, non costituiscono a sufficienza lo strumento per la ripresa del lavoro. Eppure, anche il tormentone popolare “non c’è lavoro” è vero solo a metà. Per quel che riguarda la creazione di nuovo lavoro, di nuovi prodotti, di una loro più alta qualità, di uso maggiore delle tecnologie disponibili, di nuovi settori di investimento…. vi lascio volentieri alla lettura del documento redatto da Emanuele Pillitteri. Io cercherò di spiegare l’altra metà della verità. Partiamo dagli incentivi alle assunzioni, cui accennavo prima. Ce ne sono stati molti e molto vari; vere e proprie invenzioni (magari importate da paesi nei quali sono falliti da quel dì). Che cosa non va? Innanzitutto non va che la nostra struttura produttiva (globalmente intesa) sia massicciamente costituita da piccole realtà, le quali quasi sempre si rivelano troppo fragili per poter investire e innovare, specialmente nei periodi di crisi. In queste condizioni molti pensano di assumere personale sfruttando gli incentivi (come è del tutto naturale), ma poi non hanno o non vogliono avere la forza per stabilizzare il nuovo lavoro così creato. E questa è cosa di non poco conto; significa, ad esempio, che l’incentivo (oltre ad essere transitorio) non è legato alla stabilizzazione del lavoro; quindi, è quasi sempre un investimento con risultati scarsi. Non solo. Va di moda da molti anni creare incentivi all’assunzione, per quanto non definitiva, che incidono pesantemente sui versamenti contributivi; e così, oltre il danno (la speranza delusa di un lavoro stabile) anche la beffa (pochi o nulli contributi = poca o nulla pensione, quando sarà il momento). L’ultima idea “i voucher”, di per sé da non scartare (se fosse stata usata con granu salis), è diventata una barzelletta, un elastico da tirare a piacimento (tanto nessuno sarebbe andato a controllare davvero che cosa stava succedendo). Tito Boeri, presidente dell’Inps, ci ricorda che i contributi dei voucher aiutano a pagare le pensioni in essere. Già, ma perché? Semplicemente perché non sono di fatto esigibili ai fini della pensione. Una situazione assurda, tipica di un Paese che fa tante leggi, ma non le fa rispettare. Ma è noto che “l’appetito vien mangiando”. E allora non basta neppure far lavorare con contributi versati, ma non esigibili. Meglio far lavorare senza dover applicare i contratti nazionali (anche in questo caso i voucher sono solo uno degli esempi). Perché dovresti pretendere quello che ti spetta, solo perchè fai lo stesso lavoro di un altro lavoratore assunto in regola? Non ti basta lavorare e “aiutare” così le statistiche sulla occupazione? Se poi il salario è basso e/o l’orario di lavoro è troppo scarso, pazienza: c’è la crisi, non lo sai? Se non ti va bene, non preoccuparti; quanti altri vorrebbero essere al tuo posto! Si è detto per molto tempo; c’è troppa rigidità nei rapporti di lavoro, serve maggiore flessibilità. Bene, allora facciamo qualche esperimento con nuovi strumenti. Ma con quali criteri? Il primo, sapere quel che si è fatto altrove e con quali risultati. Il secondo, assumere una legge ad hoc che non abbia un limite di spesa previsto, ma un limite di durata previsto. Il terzo, controllare se quello strumento viene applicato correttamente. Il quarto, valutare con serietà il risultato tangibile dell’uso dello strumento e aiutare la sua trasformazione in un rapporto stabile. Niente di tutto questo è stato fatto, fin dal lontano 1984, quando per la prima volta si è introdotto per legge il lavoro a tempo parziale, sostenendo – anche a ragione – che poteva essere un’opportunità, addirittura una scelta individuale in una determinata fase della propria vita (si pensi ai giovani e alla loro voglia di sfruttare un po’ di tempo libero per completare gli studi, per arricchire le proprie conoscenze culturali, per fare nuove esperienze utili anche per trovare un lavoro più adeguato alle proprie aspirazioni). Niente di tutto questo è stato. Nel settore privato il tempo parziale è stato quasi sempre un prendere o lasciare: imposto per un’assunzione, negato con mille pretesti quando veniva richiesto. Nel settore pubblico è stato esattamente il contrario: a 6 mesi dalla richiesta l’Ente pubblico si è visto costretto a concedere il part time, anche in forme assurde (32 ore settimanali su 36 o 38), spesso soltanto per evitare i turni (vedi quel che è successo negli ospedali). Quindi, quello che doveva essere un’opportunità si è trasformato in una impossibilità, quello che doveva essere un diritto si è invece trasformato in un abuso. E da allora questa altalena tra opportunità e costrizione è stato un ritornello ricorrente,ogni volta in cui si è inventato un nuovo strumento per favorire l’occupazione. E così, dal concetto teorico di flessibilità siamo arrivati al concetto praticato di precarietà. Se c’è ancora qualcuno che pensa che non sia così, gli può bastare “guardarsi in casa”, alla condizione dei propri figli oppure a quella dei figli di amici e conoscenti, per capire che cosa vuol dire oggi lavorare e in quali condizioni di carico di lavoro, di qualità dell’ambiente lavorativo, di flessibilità della prestazione, di bassi salari e scarsi contributi e via di seguito. Vale a dire che – scarsità o meno delle occasioni di lavoro -, quando un lavoro al fine lo si trova, l’ultimo,ma proprio l’ultimo …

IL GIOCO SPORCO E L’ITALIA DEI PATRIOTI

di Carlo Felici Mai come oggi dal dopoguerra e dopo esattamente cento anni dalle grandi battaglie del Piave che sancirono la nostra indipendenza definitiva con una guerra che ci costò ben 650.000 morti e un milione tra dispersi, feriti e mutilati, dopo esattamente 70 anni dal varo della Costituzione che ci ha restituito libertà, uguaglianza ed indipendenza, grazie al voto di tutti e finalmente anche di tutte le cittadine, il nostro Paese rischia di perdere tutto, persino la sua identità e la sua anima, sostituendola con un numero, quello di un fantasma che si aggira in maniera nefasta per l’Europa e che ha il disgustoso nome di una bevanda gasata: lo spread. Qualcuno evoca periodi nefasti nella nostra storia come il 1922, che fu il prologo disastroso di una tragica dittatura, eppure oggi non si vedono manganelli in giro, né rivoltelle o bottiglie di olio di ricino, basta solo questo nome a purgare un popolo: spread, un nome ed un programma che intende essere ben più feroce ed efficace di un manganello e che assomiglia allo spruzzo di un clistere. Il Presidente della Repubblica respinge ostinatamente la proposta di un ministro con una esperienza ultradecennale ed un curriculum degno di un premio Nobel, si badi non perché fosse intenzionato ad uscire dall’eurozona, bensì soltanto per avere espresso alcune critiche agli assetti attuali su cui si fonda l’unione monetaria. Ma questo forse era solo il pretesto per non consentire la formazione di un governo che avrebbe creato un precedente molto pericoloso per come invece si vuole tuttora mantenere l’Unione Europea, senza un governo politico e alla mercé dei mercati speculativi che da sempre si accaniscono sui più deboli e premiano i più forti, poiché sono essi stessi la massima espressione in economia della volontà di potenza e del darwinismo sociale. Non stiamo a discutere sulla qualità della proposta politica che era alla base del governo che stava per nascere, né su quella delle forze maggioritarie che dovevano sostenerlo. Ci basta dire che la democrazia si rispetta anche quando non piace. E che una brutta democrazia si corregge con una buona democrazia, non con un tutore che la sospende pretendendo, da solo, di interpretare il bene di una intera comunità. E poi quale bene? Il governo che si doveva insediare è stato respinto quando lo spread era a 220, ora che si insedia un governo tecnico, voluto solo dal presidente della Repubblica, a cui va umanamente tutto il nostro rispetto anche quando riteniamo possa avere fatto istituzionalmente scelte sbagliate, che ovviamente paghiamo tutti, lo spread è già a 320. In un colpo solo questa mossa lo ha fatto salire di 100 punti. Davvero un bel risultato! Andremo a votare con ogni probabilità tra tre mesi, cioè a settembre, e possiamo anche aspettarci che nel frattempo lo spread arrivi a 650. E allora, cosa faremo? Voteremo con la spada di Damocle di questo fantasma speculativo sul collo? Come un tempo l’Italia votò con un vero pesante bastone sulla testa da parte della incipiente dittatura? Il gioco sporco esige giocatori impavidi, che sanno mettersi in gioco senza paura, avendo nella mente e nel cuore il ricordo delle centinaia di migliaia di Patrioti che non esitarono a combattere per il loro Paese, nel Risorgimento e nella Lotta di Liberazione. Essi non rischiavano il portafoglio, ma la loro stessa vita che non esitarono a sacrificare affinché noi fossimo finalmente non più “un volgo disperso che nome non ha”, ma un popolo libero, se la parola popolo ha ancora un significato, dato che essa presuppone una coscienza popolare, una coscienza patriottica. Siamo in queste condizioni perché in Europa è tramontato il sogno di Mazzini, di Garibaldi, di Spinelli, di Eugenio Colorni, di Jean Monnet, di Joseph Bech, di Konrad Adenauer, di Paul-Henry Spaak e si è fatto largo l’incubo di una gabbia monetaria speculativa in cui salvare una banca conta più che salvare un popolo. A fronte di tutto ciò, il Socialismo Europeo appare come un pugile intronato, quello italiano, con tutta la cosiddetta sinistra italiana, come invece un pugile scazzottato fuori dal ring, essendo del tutto incapace di conquistarsi almeno il rispetto del combattente sconfitto. Perché da tempo ha abbassato le braccia solo per prendere cazzotti, fino a quello che l’ha messa in KO definitivo, fuori dall’agone politico nelle ultime elezioni. Scrive giustamente Ennio Bispuri: “Leu è al 2%. Potere al popolo (ma che cosa è il popolo?) è allo 0,1% (parenti e amici dei fondatori). Quando ci sono tre/quattro sinistre non c’è nessuna sinistra. Perché non viene letto Ferdinand Lassalle? Perché non siamo stati capaci di fare una Bad Godesberg invece di praticare la droga delle scissioni? Tutto quello che sta succedendo è colpa della sinistra, incapace di intendere e di volere, che, nella sua assoluta insipienza, non è riuscita nemmeno ad attuare il suicidio assistito.” In Italia manca clamorosamente un partito Ecosocialista che sappia coniugare indissolubilmente questione sociale e questione ambientale in nome di una democrazia pulita, dentro e fuori. In mancanza di ciò vi è il vuoto di una proposta culturale, prima ancora che politica. Salvini vince perché riempie con molta furbizia e demagogia questo terrificante vuoto, anche se resta alleato di colui che ha contribuito a devastare l’Italia e che abbiamo lasciato con uno spread salito a 500. Uno che non è stato nemmeno capace di opporsi o dimettersi quando ci venne addirittura imposta una guerra contro colui con cui avevamo appena firmato accordi commerciali: Gheddafi. E da essa è derivato il disastro di dover essere governati da presidenti del Consiglio imposti dal fantasma dei mercati. Mai eletti dai cittadini. Anche stavolta stava andando in questa maniera, persino prima che ci venisse imposto un intero governo non eletto dai cittadini, come un ultimo insulto per tutti noi, per la nostra democrazia e per tutti quegli italiani che per l’Italia hanno dato la loro vita. Come se non bastasse, la stampa estera continua ad insultarci, come se affondasse il coltello nel burro, in maniera becera e grossolana, senza che la nostra stampa …

LO SFRUTTAMENTO NEL CUORE DELL’OPPOSIZIONE

di Franco Astengo Il tema del lavoro non è contemplato nell’orizzonte del costituendo nuovo governo e di conseguenza viene totalmente ignorata la questione dello sfruttamento che ne rappresenta, da sempre, il risvolto più evidente e significativo. La realtà concreta dello sfruttamento si è estesa, nel corso di questi anni definiti abbastanza impropriamente di “globalizzazione” ben oltre i confini di quella che marxianamente era stata definita “contraddizione principale”. Si sono acuiti i termini del conflitto di genere, di quello generazionale, del rapporto centro /periferia in particolare sul tema ambientale, e l’utilizzo capitalistico dell’innovazione tecnologica ha intrecciato diversamente, da come l’avevamo storicamente concepita, la relazione tra struttura e sovrastruttura. A Sinistra, sul piano internazionale, è stata accettata l’idea dell’irreversibilità della vittoria del capitalismo e accettata, subita, introiettata la logica della gestione del ciclo attuata in forma particolarmente violenta dagli apparenti vincitori del “post – Muro”: gestione del ciclo dimostratasi violenta e sopraffattrice su tutto l’insieme della società causando ingiustizie e disuguaglianze ben oltre il solo elemento del reddito e delle condizioni materiali di vita. Sono state abbandonate anche le più pallide e timide obiezioni di derivazione “socialdemocratica”: soltanto negli ultimi tempi questo tipo di opzioni che definiremmo di revisione del keynesismo hanno ritrovato spazio, prima in alcuni autori come Atkinson, Stiglitz, Piketty, Krugman e poi all’interno del Partito Democratico USA e del Labour Party: non certo modelli di ritorno al bolscevismo (da riflettere nuovamente l’idea marxiana della rivoluzione nei “punti alti”? Oppure del Gramsci che, all’annuncio della rivoluzione russa, scrive “La Rivoluzione contro il capitale)”. Torniamo a noi e al costituendo governo italiano. Se s’intende cercare di costruire un ‘opposizione ciò che si sta preparando si tratta di riflettere sul fatto che, prima di tutto, serve un’opposizione posta sul piano internazionalista organizzativamente dimensionata su di un impianto sovranazionale almeno a dimensione europea. In questo contesto la questione del lavoro e di conseguenza la questione dello sfruttamento deve essere considerata centrale, ritenuta come l’architrave di tutta l’elaborazione che deve essere posta in campo. Come si è scritto nel titolo di questo intervento“Lo sfruttamento nel cuore dell’opposizione”. Di seguito alcuni punti di riflessione sul tema che si è cercato (naturalmente in una dimensione del tutto schematica e insufficiente) di approfondire: 1)      E’ evidente che il tema non è quello dei salari ma quello dello sfruttamento. La forza – lavoro è, infatti, adoperata secondo l’antica logica dell’“esercito di riserva”, oggi agita soprattutto attraverso la leva della precarietà che si accompagna oggettivamente ai bassi salari; 2)      In questo senso si comprende benissimo, per quel che riguarda l’Italia essenzialmente nel quadro europeo, il presentarsi di un vero e proprio deficit d’innovazione. Deficit d’innovazione assolutamente voluto per tenere al minimo il profilo produttivo accentrato in settori marginali sia rispetto alla necessità di produzione interna sia al riguardo delle esportazioni; 3)      Questo quadro è riconducibile alla quasi completa sparizione, in Italia, della produzione nei settori industriali strategici derivante dal fallimento dei processi di privatizzazione seguiti alla liquidazione dell’IRI. Processi di privatizzazione che hanno generato due fattori fondamentali della crisi: l’emergere di un vero e proprio “ritardo tecnologico” e una gigantesca “questione morale”. “Questione morale” che ha rappresentato, assieme al mutamento degli equilibri internazionali, uno dei fattori determinanti della perdita di senso dell’intero sistema politico, fino al punto di determinare la situazione attuale; 4)      La mancata innovazione tecnologica è stata dovuta essenzialmente da un’assoluta carenza d’investimenti attuati da una gestione pubblica. Contemporaneamente alla crisi dell’industria registriamo un’obsolescenza delle infrastrutture (strade, ferrovie, porti) e l’esplosione della vicenda bancaria che sta tenendo  banco sul terreno dello scacchiere politico, ma al riguardo della quale quasi nessuno fa notare come stia all’origine del complesso delle difficoltà economiche del Paese. La questione bancaria non può essere certo risolta propagandisticamente con la promessa del rimborso ai risparmiatori colpiti (e truffati si potrebbe aggiungere); 5)      Si è rivelata sbagliata anche la logica dei “distretti” e della “fabbrichetta del Nord – Est” (fenomeno, come stiamo notando, strettamente collegato con la situazione delle banche).Si è risposto, nel corso degli anni, in maniera completamente sbagliata alle esigenze di decentramento sul territorio delle possibilità d’investimento che pure erano state giustamente avanzate fin dagli anni’80 del secolo scorso. Si raccolgono così, non certo da oggi, i frutti amari della “deregulation” attuata in materia di rapporti di lavoro, di relazione con l’ambiente da parte dell’impresa, di sparizione degli elementi d’intervento e gestione pubblica anche attraverso il ruolo delle istituzioni. In questo modo l’Italia si è marginalizzata rispetto al contesto europeo, la fragilità del suo tessuto economico è stato facile preda delle delocalizzazioni e delle acquisizioni esterne: senza alcuna idea autarchica o sovranista è evidente che l’assenza di una struttura industriale “forte” nei settori strategici si sia rivelata esiziale 6)      Non si è mai realizzata un’ipotesi di capacità programmatoria delle Regioni (ridotte ormai a Ente di nomina e di spesa) e si sono stroncate, proprio sul piano economico, le possibilità degli Enti Locali, abbattendone i bilanci a colpe di scure (anche su questo punto il programma del costituendo governo non enuncia nulla di concreto), di intervenire sul territorio in tema di infrastrutture. Si è dimostrato sbagliato anche il modello delle “aree industriali di crisi complessa” da affrontare attraverso Invitalia,proprio perché modello interno all’opzione “deregulation” e attuato, quando è capitato, al di fuori da una logica programmatoria da esercitarsi sia sul piano generale, sia in sede locale; 7)      Risultato: estrema debolezza della struttura industriale ormai sede di assalto da parte di compagnie di ventura oltre alla mai abbastanza ricordata intensificazione dello sfruttamento e quindi della crescita nella precarietà e nell’incertezza anche delle stesse espressioni di capacità tecnico – scientifica (senza aprire questo capitolo che pure dovrebbe essere ricordato e analizzato con grande determinazione). La storia più recente della siderurgia in Italia ma anche della chimica e dell’elettronica può essere considerata del tutto paradigmatica; 8)      Completamente dismessa la possibilità d’investimenti pubblici in un quadro di programmazione economica (impedita tra l’altro, è bene ricordare, dai Trattati Europei, con la tagliola degli “aiuti di stato”) e di gestione pubblica diretta di alcuni comparti assolutamente strategici (ferrovie,aerei,utilities energetiche, …

BOT DI PICCOLO TAGLIO PER ASSOLVERE AI CREDITI FISCALI. RICETTA POPULISTA

di Stefano Betti Nel corpo del contratto stipulato fra la Lega e il Movimento 5 Stelle è prevista la possibilità, da parte dello Stato, di emettere Buoni del Tesoro in piccolo taglio per assolvere ai crediti fiscali. La frase è laconica e null’altro aggiunge. Fa capolino la moneta fiscale, tra l’altro sostenuta, come rimedio e con argomentazioni senz’altro più corpose, anche da economisti d’area di centro sinistra e difesa con forza dal Movimento 5 Stelle. In sostanza, l’Amministrazione finanziaria si riappropria della capacità di emettere della “quasi moneta”, rigorosamente finalizzata ai crediti vantati dai cittadini nei confronti del fisco e che non hanno dato vita a legittime compensazioni. S’immetterebbe in tal modo liquidità, senza intaccare le regole auree che impongono la sovranità monetaria della BCE. Col “BOTTINO” in mano, il cittadino ha peraltro due possibilità. Quello di monetizzarlo subito, provando a farlo scontare, con conseguente perdita di valore.  Oppure attendere la scadenza per esibirlo quale credito fiscale all’Amministrazione finanziaria. Sperando che l’inflazione non ne riduca il potere d’acquisto che altrimenti avrebbe avuto al momento dell’emissione, se fosse stata carta moneta. Il contratto però nulla dice a riguardo. Stiamo ragionando per deduzione. La filosofia però è nel solco del sovranismo. Se non posso emettere moneta e non posso uscire dall’Euro, creo moneta fiscale. Il punto è che cosa vogliamo fare dell’Unione europea e delle regole che disciplinano i rapporti fra Stati e l’Unione stessa.  È pur vero che la BCE, che ha potestà regolamentare impositiva in ogni singolo Stato, non è stata eletta da nessuno. Un vulnus nell’ attuale processo costitutivo dell’Unione c’è. Che uno Stato non controlli la moneta e nel contempo sia libero di progettare politiche economiche, sembra una contraddizione in termini. In una visione federalista e europeista, la soluzione del problema non è nel riappropriarci della sovranità, come ci urlano i sovranisti, ma di completare il processo federalista in senso europeo. Ma questo è un processo lungo e laborioso, che passa attraverso le dure repliche della pancia degli elettori e, appare indiscutibilmente evidente, del neo liberismo delle nazioni a debito contenuto, Germania in primis. La ricetta è una robusta iniezione di Socialismo e la scelta federalista e europeista. Senza se e senza ma. Ma al momento, soffocati dai vincoli di bilancio e dal peso del debito pubblico, che fare? Ecco l’ipotesi di introdurre la “quasi moneta”. Restano alcune perplessità in merito a tale istituto. Il cittadino sarebbe costretto a subire il “BOTTINO” oppure può scegliere la buona vecchia cara moneta?  Nella seconda ipotesi, non avrebbe senso mettersi in tasca un “Pagherò” per attendere l’esigibilità fiscale o precipitarmi a scambiarlo, previa penalizzazione sotto forma di sconto.  Sembrerebbe più logico pensare che chi si becca il “BOTTINO” se lo tiene. E poi, di quanti “BOTTINI” il Mercato sarà inondato alla fine?  Lo Stato emette un titolo che corrisponde a un debito futuro. Pensiamo a una scadenza, ad esempio, fra due anni. Al momento non esce liquidità dalle casse dello Stato, rinviando il problema a quando sarà. Utile per la contabilità pubblica, ma solo transitoriamente. Siamo inoltre certi che il Mercato sarà disposto a scambiarlo con beni e servizi, dietro compenso sotto forma di sconto?  Come per i buoni pasto (anche se in questo caso le ragioni dipendono più dal ritardo con cui gli esercenti sono liquidati da parte delle società che stipulano la convenzione con Consip) gli operatori economici potrebbero rifiutarsi di accettarlo. E poi, magari sotto una congiuntura sfavorevole o a seguito di politiche economiche perseguite con risultati scadenti (cosa da non escludere per il prossimo Governo), potrebbe venire in mente di consentire il pagamento di stipendi e pensioni, di beni e servizi con lo stesso metodo. Se passa il principio per i crediti fiscali, perché non estenderlo, se la ragion di Stato neo liberista lo esige? E se a fare incetta di “BOTTINI” fosse un soggetto straniero? Infine, non escluderei una recrudescenza di procedimenti di contenzioso, nell’eventualità lo strumento non funzioni e il cittadino resti col cerino in mano, rifugiandosi in class action rovinose. E il contenzioso apre una serie di problematiche su cui riflettere. Pensiamo, ad esempio, a un credito oggetto di contestazione fiscale.  Il “BOTTINO” sarebbe poi reintegrato della differenza o decurtato, in base all’esito del giudizio? E se venisse addirittura cancellato e nel frattempo, magari, è passato, scontato, da consumatore a consumatore? Insomma, le perplessità, che laicamente assillano i cittadini che leggono la laconica frase programmatica del Contratto di governo restano. E non vorremmo che gli apprendisti stregoni prossimi a governare il paese, innamorati di un’idea rigorosamente sovranista, finiscano per esserne prigionieri e non ascoltare alla fine più nessuno. Costi (a noi ovviamente) quel che costi.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA POLITICA FISCALE POPULISTA DI DESTRA

di Stefano Betti Due aliquote 15 e 20%, da che importo iniziano ad applicarsi non è dato sapere per ora. Un’area esentasse, attualmente fino a € 8.000,00. Per le famiglie una deduzione fissa di € 3.000 in base al reddito. Insomma, il tutto con “la finalità di non arrecare alcun svantaggio alle classi a basso reddito”, inciso che freudianamente va letto con “la finalità di arrecare vantaggio alle classi a alto reddito”. Che volete di più? Questo si desume dallo schema di contratto fra la Lega e i Cinque Stelle pubblicato dagli organi di stampa. Già! La Flat Tax, caposaldo del programma del Centro destra, tale da far impallidire il progetto degli anni ‘90 di Forza Italia di costruire un sistema con due aliquote, la massima al 33%, perché il frutto del lavoro di ogni uomo non può essere sacrificato oltre un terzo a favore del prelievo fiscale, così come insegnavano i neo liberisti e monetaristi freadmaniani. Reagan economics in sostanza alla amatriciana. No! Con la Flax Tax si va oltre. Una sola aliquota, peraltro non identificata con precisione nel programma del Centro destra. Il compromesso fra i due populismi, l’uno con una aliquota unica, l’altro con il progetto generico di ridurre le aliquote fiscali e aumentare l’area esentasse fino a 10.000 euro partorisce la doppia aliquota. Delle detrazioni non v’è traccia. Ma i ben informati dicono che non ci saranno più. L’intento (o l’alibi) è che così si rilanceranno i consumi di tutti i contribuenti e gli investimenti di chi è in grado e voglia di investire. Perciò, più lavoro, più profitti, più ricchezza e un aumento del gettito delle imposte, tipo Iva per intenderci, circuito virtuoso dove lo sgravio fiscale porterà innegabile benessere. E poi, così ci raccontano, a quel punto, che senso avrà evadere se il prelievo è così contenuto? Vedrete, diminuirà l’evasione fiscale perché chi evade, non vale per tutti sia chiaro, lo fa perché il fisco è esoso. Saremo più severi con loro. E per quanto riguarda l’art. 53, comma 2 della Costituzione, l’ispirazione programmatica del criterio di progressività del sistema fiscale non è certo leso. La deduzione per famiglie ne è una garanzia. E poi le aliquote sono due. Mica una. Insomma, dopo la stagione del neo liberismo che aveva contagiato il Centro sinistra in ossequio alle algebre contabili imposte dalla UE, inizia quella dei neo monetaristi sovranisti. Che gran capolavoro aver votato i populisti, soprattutto chi non ne poteva più delle politiche austere del Centro sinistra, tutte tagli e protagonismo del leader del PD. Ma oggi, all’ordine del giorno, non c’è il governo Renzi, né quello attualmente retto da Gentiloni. C’è un progetto di scasso vigoroso del principio su cui il pensiero dei Costituenti, soprattutto socialisti, hanno basato e lottato, dietro la progressività delle imposte, che rende possibile l’attuazione dell’art. 3, comma 2 della Costituzione. La norma programmatica d’ispirazione socialista più marcata. Rimuovere gli ostacoli alla crescita e al miglioramento delle condizioni di vita di ognuno, attraverso l’applicazione del principio di uguaglianza, non semplicemente limitato alla legge, come insegna il liberalismo, ma tale da essere sostanziale, tale da rimuovere gli ostacoli d’ogni genere, compresi quelli di ordine sociale. E per poter applicarlo, la progressività delle imposte è il metodo più efficace. Redistribuirle la ricchezza dalle classi agiate verso quelle meno agiate attraverso lo Stato sociale. Che non deve essere pretesto per sprechi e malaffare, come purtroppo è sovente accaduto dando vigore e linfa alla deriva populista. Delle conseguenze a livello di entrate fiscali, è facile immaginare l’impatto immediato di una riforma del genere. Non escludendo un rientro parziale in termini di entrate, che la maggior liquidità consentirebbe, la compensazione del mancato gettito nell’immediato sarebbe devastante e costringerebbe il nuovo Governo giallo verde a dover tagliare le spese in maniera forsennata, per non rimangiarsi la riforma delle aliquote. L’inflazione farebbe poi da corollario al tutto, divorando in un batter d’occhio la maggiore liquidità delle classi a reddito medio basso che in breve tempo si ritroverebbero senza alcun beneficio e per di più, presumibilmente, senza dover compensare le imposte con le detrazioni. Chi al chiede più a quel punto la fattura al medico? Se poi si associa la corresponsione del reddito di cittadinanza, in parte, in verità, attutito nel suo impatto dal reddito di inclusione già in vigore e dalla abolizione della legge Fornero, compensata in una quota irrisoria dai preannunciati tagli delle pensioni d’oro, anche un bambino capirebbe che non basterà diminuire le spese della politica e il numero dei deputati, così come promesso. Né ricorrere all’escamotage dei BOT di piccolo taglio per pagare i crediti fiscali. Insomma, di fronte a tanto, occorre denunciare la follia di tutto questo e che mai governo dalla Liberazione a oggi era stato così ferocemente dalla parte dei ricchi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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