SFIDA FRA UOMINI E ROBOT

di Paolo Mastrolilli – inviato de La Stampa a New York Entro il 2050 un terzo dei lavoratori americani sostituito da androidi Le previsioni della Brookings Institution: «Reagiamo alla catastrofe» Un terzo dei lavoratori americani tra i 25 e 54 anni d’età sarà rimpiazzato dai robot entro il 2050. Ciò provocherà fortissime tensioni sociali, favorendo ancora di più l’ondata populista. Fin qui le previsioni allarmanti, che in parte già conoscevamo. Nello stesso tempo, però, esistono aziende che stanno già sfruttando al meglio questa tendenza storica, usando le macchine per i compiti più facili e ripetitivi e assumendo esseri umani per quelli più complessi. La chiave è prepararli per i nuovi lavori e assistere quelli che comunque non riusciranno a superare indenni la fase della transizione. I pregi. Il tema sempre più impellente della robotica e dell’intelligenza artificiale è stato discusso lunedì alla Brookings Institution, durante un conferenza organizzata per presentare il nuovo libro del vice presidente Darrell West, intitolato appunto «The Future of Work». Cominciamo dalle notizie brutte, o preoccupanti. West sostiene che «il 12% degli uomini in età da lavoro è già privo di occupazione» e un terzo del totale sarà rimpiazzato dai robot entro il 2050. Per le minoranze svantaggiate, come gli afroamericani, il numero salirà al 50%: «Questa, cari amici, sarà una catastrofe». Ma opporsi all’automazione sarebbe come ostinarsi a viaggiare sulle carrozze tirate dai cavalli dopo l’invenzione delle auto. Anrew Puzder, ceo di Hardee, spiega così il motivo: «Gli strumenti digitali sono sempre gentili, non vanno mai in vacanza, non arrivano mai tardi, non scivolano e non si fanno male, non provocano discriminazioni sessuali, razziali o di età, vendono sempre più delle attese». Impedite alle aziende di usarli, e perderete tutto, perché falliranno. I cambiamenti, secondo West, saranno molto più rapidi di quanto pensiamo: «Nei prossimi 5 anni la gente verrà genuinamente scioccata dal vedere quanto correrà veloce la rivoluzione tecnologica». Entrerà in tutti i settori, dalle auto a Wall Street, dalle manifatture alla sanità, inclusi gli interventi chirurgici. Bank of America stima che entro il 2020 il 47% dei lavori americani potrebbe essere già automatizzato. Il disagio. «Nuovi posti – secondo West – verranno sicuramente creati. Il problema è che molte persone non avranno le capacità tecniche richieste per questi lavori. Perciò, ci sarà un periodo di transizione con una considerevole turbolenza. La tecnologia creerà ansia economica e la gente ansiosa è una grande ricetta per i leader populisti. Ne emergeranno a destra e a sinistra, andiamo verso un periodo di trumpismo pompato con gli steroidi. Penso che sarà una fase caotica». Non tutto è perduto, però. Secondo West siamo davanti a un crocevia: «Un sentiero porta verso Utopia, con una società più inclusiva, più tempo libero e cultura; l’altro va verso Distopia, con alta disoccupazione, disuguaglianza e servizi sociali non garantiti». Presumendo che la prima strada sia quella preferita da tutti, il problema diventa capire come imboccarla. Nell’immediato, la prima cosa da fare è gestire il disagio. Dovremo lavorare meno e guadagnare meno, per poter lavorare tutti. In cambio saremo ripagati con più tempo libero da dedicare alla famiglia e ai piaceri, possibilmente non troppo costosi. La riqualificazione professionale diventerà un’abitudine costante, mentre le alternative al classico impiego fisso, come volontariato e assistenza, si trasformeranno in attività normalmente riconosciute. Dunque, bisognerà scrivere un nuovo contratto sociale, che separi servizi e benefici dalle tradizionali forme di lavoro. Qualcuno non ce la farà comunque a superare indenne la transizione e, siccome converrà a tutti evitare che finisca in mezzo alla strada, sarà necessario trovare il modo di aiutarlo. Lo studio. Per il futuro, invece, è indispensabile «cambiare i programmi delle scuole, in modo da preparare gli studenti ai lavori del 21° secolo». Il coding, ad esempio, dovrà diventare una capacità scontata come leggere e scrivere, mentre per la Gallup il 59% dei ceo pensa che l’abilità nel gestire e analizzare i dati sarà essenziale in ogni settore. Alcune aziende si stanno già adeguando. Secondo il «Wall Street Journal», ad esempio, nella fabbrica di Spartanburg la Bmw ha introdotto l’automazione, raddoppiato la produzione e aumentato i dipendenti da 4.200 a 10.000. Come? Assegnando alle macchine i compiti più facili e ripetitivi e agli esseri umani quelli più creativi e di controllo della qualità. Quando Tesla ha fallito i suoi obiettivi di produzione a causa di errori dei robot, il fondatore Elon Musk ha detto che «l’automazione eccessiva è stata un errore. Gli esseri umani sono sottovalutati». Ecco, dalla ricerca di un equilibrio dipenderà il nostro futuro. Fonte: La Stampa SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA STRANA COPPIA

[avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] di Aldo Potenza Parafrasando il titolo di un’opera di Lenin si potrebbe dire che l’estremismo è la malattia infantile che ha contaminato la strana coppia. Ho letto il lungo documento elaborato dagli “esperti” pentastellati e leghisti. Se ho ben capito, aprono un contenzioso con la BCE; con l’Unione Europea, con gli USA per sospendere le misure adottate contro la Russia; vogliono modificare vari articoli della Costituzione e molto altro ancora. Insomma mi sembra che riecheggi un vecchio slogan: molti nemici, molto onore. Anche l’affermazione “me ne frego” usata da Salvini in risposta alle preoccupazioni europee ricorda un precedente storico finito malissimo. Forse anche per queste espressioni pronunciate con la mascella volitiva di Salvini, Casa Pound applaude all’intesa. Purtroppo è cosa risaputa che di questi tempi prevale spesso il sonno della memoria. La strana coppia invece di scegliere un obiettivo fondamentale per assicurare la crescita dell’economia e quindi dell’occupazione, apre tanti fronti con il rischio che venga travolta; fin qui peggio per loro, ma il guaio però è che procurano danni all’Italia. In attesa che venga diramato il testo definitivo senza i tratti in giallo e rosso che indicano ancora delle indecisioni, aggiungo una curiosità: l’assoluta mancanza di riferimento alle condizioni a dir poco precarie del sud Italia e di conseguenza nessuna specifica azione. Recentemente lo SVIMEZ nel report 2018 definisce il sud un deserto economico e indica un calo del PIL del 7,8% nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018. Eppure il M5S ha raccolto moltissimi voti nel mezzogiorno e l’improvvisato capo che sta trattando con la lega è nato da quelle parti, perchè nessuna attenzione? Credono davvero che il reddito di cittadinanza risolva i problemi? Mah…. Osservo che c’è un capitolo dedicato agli animali, ottimo, ma appare davvero inconcepibile che il sud non meriti alcun riferimento. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA REPUBBLICA (ITALIANA) E I NUMERI ORDINALI

di Franco Astengo “Se parte questo governo parte la Terza Repubblica”: “vox clamantis in Movimento 5 stelle”, levatasi in questi giorni convulsi di trattativa dove tutto sparisce, da Gaza ai morti sul lavoro in Italia, sublimandosi nel sacro rito della lotta per il potere. E’ il  caso di fare i pedanti e di mettere i puntini sulle “i”: non nasce nessuna “Terza Repubblica”, anche perché non è mai nata la “Seconda”. La Francia ha numerato le sue “Repubbliche” sorte a seguito dal mutamento (radicale) della forma di Stato o della forma di governo: dalla Monarchia Assoluta alla Repubblica, dalla Monarchia Costituzionale alla Repubblica parlamentare, dal Secondo Impero alla Repubblica parlamentare, dalla Repubblica parlamentare alla Repubblica (semi) presidenziale, tanto per riassumere all’ingrosso. In Italia la Repubblica nasce dal Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e si dota di una Costituzione che entra in vigore il 1 Gennaio 1948 e che sulla Forma di Stato e su quella di Governo è rimasta invariata da allora. Tutti i tentativi di modifica della Costituzione,  dal semi – presidenzialismo presente nel testo conclusivo della Bicamerale del 1997, al rafforzamento del potere dell’Esecutivo nei confronti del Parlamento, operazione tentata sia dal centro destra sia dal centro sinistra, alla modificazione del bicameralismo paritario, sono falliti e per due volte (2006 e 2016) grazie ad una maggioranza rilevante nel voto popolare. Di fronte ad affermazioni come quelle riguardanti un’ipotetica “Terza Repubblica) il livello di vigilanza democratica attorno al testo – cardine della nostra vita politica deve essere assolutamente alzato mobilitando tutte le forze disponibili. Di seguito  il testo completo degli articoli della Costituzione al riguardo del Parlamento, del Presidente della Repubblica e del Governo. Titolo I – Il Parlamento Art. 55. Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Art. 56. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero.Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno della elezione hanno compiuto i venticinque anni di età.La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Art. 57. Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi fra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Art. 58. I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno. Art. 59. È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Art. 60. La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni.La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra. Art. 61. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti. Art. 62. Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra. Art. 63. Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di presidenza.Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati. Art. 64. Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche: tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta .Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono. Art. 65. La legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere. Art. 66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Art. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Art. 68. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto …

UNITA’ NELLA CHIAREZZA

[avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] di Aldo Potenza Dopo il disastroso risultato elettorale del 4 marzo, che ha punito indistintamente tutte le formazioni della sinistra italiana, si assiste a un continuo fiorire di appelli all’unità. E’ come se la ragione della sconfitta risiedesse nelle divisioni e queste non fossero conseguenza di diverse opinioni politiche. Sarebbe invece auspicabile che tutti si ponessero un interrogativo: perché altrove c’è chi conquista consensi? Finora, tranne alcuni tentativi condotti da piccoli gruppi politici, con toni e atteggiamenti critici diversi, nessun altro ha seriamente avviato una seria analisi delle ragioni di una così clamorosa perdita di consensi. Eppure basterebbe osservare cosa è accaduto in questi anni: la concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi e la crescita della povertà; la disoccupazione elevata, soprattutto giovanile, e la condizione di precarietà di chi lavora e non può guardare con serenità al proprio futuro; il continuo indebolimento del welfare; le pensioni sempre meno sicure per le nuove generazioni e sempre più erose nella capacità di acquisto per gli anziani; insomma l’elenco è lungo ed è abbastanza noto. Quali sono le ragioni che hanno favorito tutto ciò e che  hanno impedito azioni di contrasto a quanto accaduto? Se non si risponde a questa domanda e non si individuano le ragioni culturali e politiche della sconfitta, qualsiasi appello appare solo il tentativo di comporre un nuovo cartello elettorale. Quindi unità per fare cosa? Qual è l’orientamento che unisce e rende solida l’unione? Solo da queste risposte può nascere una forza unita e capace di governare. Quando abbiamo scelto Livorno come sede del nostro primo incontro, l’abbiamo fatto consapevoli che le divisioni che si consumarono quasi cento anni fa furono disastrose per la democrazia, per la sinistra e per il socialismo italiano. La scelta, simbolicamente richiamando alla memoria gli errori del passato, aveva il senso di un appello all’unità, certo dei socialisti, ma anche di chi scelse strade diverse, ma nessuno ha mai immaginato che si potesse iniziare un nuovo cammino senza individuare l’orientamento culturale di riferimento e le azioni da compiere. La proposta di una convention programmatica a Rimini nasce da questa impostazione. Leggiamo oggi che il PSI tramite il suo segretario propone una concentrazione repubblicana a verdi, area civica, partito radicale, sinistra italiana, Mdp art.1, più Europa, Leu e PD. Manca il PDCI e PaP. Dimenticanza o esclusione voluta? La domanda è legittima visto che l’appello è diretto indifferentemente sia a chi è dichiaratamente neoliberista, sia a chi è su posizioni opposte. Si sostiene che per superare le difficoltà ciascuno dovrebbe cedere parte della propria sovranità, ma davvero il problema è la sovranità? Le ragioni a nostro avviso sono altre e dipendono dalla lettura che ciascuno da alla svolta neoliberale che ha influenzato gran parte la sinistra europea ed italiana. Siamo pronti a lavorare per l’unità, non per cartelli elettorali destinati solo a difendere un ceto politico sconfitto, e nemmeno per una unità che sia destinata alla definitiva scomparsa dei socialisti e del loro partito. Noi siamo pronti ad aderire ad un appello all’unità che però deve partire dalla riscoperta dell’AUTONOMIA politica dei socialisti, che non vuol dire chiudersi in recinti nostalgici, ma al contrario la riscoperta della capacità di leggere le trasformazioni dell’economia e della società del presente secolo per ridare speranza a quanti oggi si rifugiano nell’astensionismo o nel voto di protesta.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIANNI E PINOTTO

[avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] di Aldo Potenza Ricordate? Erano due comici che ebbero un grande successo. Ovunque s’intromettessero o qualunque cosa facessero combinavano pasticci. Dopo qualche tempo non sapendo rinnovare la comicità degli sketch finirono dimenticati. Oggi li ritroviamo nei due “grandi“, si fa per dire, interpreti della politica italiana. Purtroppo non sono granchè come comici e nemmeno come politici, ma in quanto a disastri sono bravissimi. Anche loro sono ripetitivi e hanno avuto e forse nelle repliche avranno ancora successo. Il pubblico pare che non si sia sufficientemente stancato dello “spettacolo”, mentre il regista (meglio sarebbe dire l’arbitro che invita i giocatori ad essere corretti) è giustamente alquanto adirato. I nostri Gianni e Pinotto dopo aver cinquettato tra loro, dopo aver litigato in pubblico, dopo aver sostenuto che desiderano governare insieme l’Italia, con molta probabilità ci porteranno al voto nelle medesime condizioni per cui oggi entrambi non sono in grado di decidere nulla. Lo sketch continua di tanto in tanto con qualche variante. Il primo: a me va bene il PD, ma senza Renzi, anzi no va bene Renzi, ma anche La lega, ma senza Berlusconi, ma anche senza me come premier (quest’ultima proposta è in effetti la più allettante). Il secondo più risoluto nel dichiarare no al PD, dopo aver sostenuto o tutti noi o nessuno, dopo aver ripetuto più volte, come nella famosa canzone di Jannacci, vengo anch’io e aver ottenuto la risposta no tu no, ma perché, perché Berlusconi c’è, ora cerca di convincere Silvio che quell’altro non è niente per lui, ma una scappatella la farebbe volentieri. Intanto i vacanzieri, mentre i guai per l’Italia incombono, non sanno che fare e sfogliano la margherita vado o non vado in vacanza, voterò o non voterò a luglio? Giorno dopo giorno si va sempre più affermando l’idea che forse il grido di battaglia di Grillo sia la migliore risposta da indirizzare ai nostri disastrosi Gianni e Pinotto.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

E NOI BALLIAMO, BALLIAMO ANCORA!

[avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] di Aldo Potenza La lega e il M5S pare che possano accordarsi per votare nel mese di Luglio. Si prevedono colonne di vacanzieri in Autostrada per recarsi alle urne. Gli alberghi vuoti per quel giorno, i bambini fermi nelle auto infuocate dal caldo estivo in attesa dei padri e delle madri che aspettano il loro turno per votare. I telegiornali del mondo intero mobilitati per riprendere questo formicolio di gente che corre per esprimere il voto. Molti si chiederanno perché non si è scelto il mese di agosto, anzi ferragosto. Chissà perché! L’astensionismo? Parola sconosciuta. Si sa che gli italiani hanno una venerazione per la politica e per questi nuovi interpreti della politica italiana. Il giorno dopo i vacanzieri, tornati al mare o in montagna saranno inchiodati davanti al televisore per sapere come è andata e si delizieranno sentendo che hanno vinto ancora una volta i sedicenti vincitori delle elezioni precedenti. Riprenderanno le consultazioni del Quirinale e se tutto va secondo copione, ricominceranno le consuete discussioni su chi ha vinto e su chi deve assumere la principale responsabilità di governo. L’allegra combriccola non si preoccuperà più di tanto se l’Iva andrà al 24%, la responsabilità penseranno in fondo è di chi ci ha votato senza darci il consenso necessario per governare. In Europa prenderanno atto che l’Italia in fondo era una espressione geografica come del resto disse Von Metternich anche lui austriaco e particolarmente amico dell’Italia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LIDL, SVOLTA CONTRATTUALE DA’ UNA SCOSSA ALLA GRANDE DISTRIBUZIONE

di Walter Galbusera La Lidl, leader in Italia nella grande distribuzione e non aderente a nessuna organizzazione imprenditoriale, ha firmato per la prima volta un contratto collettivo integrativo che risconosce al sindacato il ruolo di autorità salariale – La novità può avere effetti di grande rilievo soprattutto sulle imprese della Federdistribuzione, da Esselunga a Ikea, da Carrefour a Auchan e a Zara La multinazionale tedesca Lidl, leader in Italia nella grande distribuzione per la tipologia del discount (600 filiali in ciascuna delle quali lavorano tra 20 e 25 addetti per un totale complessivo di circa 14.000 dipendenti),  non associata ad alcuna organizzazione imprenditoriale, ha firmato il 5 marzo scorso per la prima volta un contratto collettivo integrativo riconoscendo al sindacato il ruolo di autorità salariale. L’intesa è stata sottoscritta per il momento solo dai sindacati di categoria Uil e Cisl che insieme rappresentano la grande maggioranza degli iscritti. Non è peraltro escluso che nei prossimi giorni si aggiunga la firma della Cgil. Un’alternativa procedurale politicamente forte, su cui non c è un’intesa unitaria, potrebbe essere quella di indire un referendum, affidando in ultima istanza la decisione ai lavoratori che la eserciterebbero in piena libertà e responsabilità. L’accordo è considerato un successo per i firmatari, tanto più se si tiene conto del fatto che il testo richiama esplicitamente il contratto collettivo nazionale già sottoscritto dalle tre organizzazioni con la Confcommercio, integrato oggi dal nuovo accordo integrativo, particolarmente interessante in materia di welfare. Per inciso non vi è stata contrattazione integrativa di salario diretto  (come ad esempio il premio di produzione) in quanto nel modello contrattuale tedesco questa materia è affidata al contratto nazional-aziendale. Sotto il profilo formale la Lidl, non essendone associata, non era vincolata all’accordo Confcommercio ma lo applicava come decisione unilaterale mantenendo la propria autonomia contrattuale. La società tedesca non ha adottato organicamente il modello Fiat-Chrysler, (un vero e proprio contratto nazionale ex novo applicato ad una singola impresa), ma ha concordato l’applicazione del CCNL Confcommercio con il sindacato che, da parte sua ha raggiunto anche l’obiettivo di dare un contratto integrativo a lavoratori che ne erano sprovvisti. Altre aziende del settore, non aderenti ad alcuna associazione datoriale, potrebbero seguire un percorso analogo a quello della Lidl. Le potenziali conseguenze più interessanti riguardano però le aziende aderenti a Federdistribuzione. L’associazione della grande distribuzione, uscita alcuni anni fa dalla Confcommercio, non riconosce il CCNL Terziario da quest’ultima sottoscritto il 31 marzo 2015 e continua ad applicare il vecchio CCNL 2011. La posizione di Federdistribuzione era fondata sulla volontà di ottenere condizioni contrattuali più aderenti alle caratteristiche del comparto; dopo quattro anni, senza alcuna intesa con il sindacato, questo obiettivo non è stato raggiunto ma le imprese hanno comunque dovuto erogare aumenti salariali (pur inferiori a quelli del nuovo contratto Confcommercio), per evitare l’accusa di non rispettare l’art. 36 della Costituzione”. Seguendo la strategia degli accordi nazional-aziendali i sindacati potrebbero avviare nei confronti delle singole imprese aderenti a Federdistribuzione (ne fanno parte tra le altre Esselunga, Finiper, Carrefour e Auchan, Ikea, Zara) una mobilitazione per ottenere lo sblocco dell’impasse contrattuale. Lo stesso modello potrebbe essere adottato nei confronti della grande cooperazione. E’ una vecchia tattica del sindacato che, di fronte ad una trattativa con le associazioni imprenditoriali che non dà risultati, apre una vertenza con le singole imprese. In passato, particolarmente nei settori industriali, ha ottenuto discreti successi. Se si aprisse questa prospettiva (su cui il sindacato sta riflettendo), saremmo di fronte,  in termini di strategie contrattuali, ad un elemento di grande novità che  avvicinerebbe  le relazioni  industriali nel terziario al  modello contrattuale tedesco, nel quale coesistono contratti collettivi nazionali firmati dal sindacato con le associazioni imprenditoriali e contratti collettivi nazional-aziendali sottoscritti con le singole imprese. L’aspetto più interessante per il sindacato sarebbe quello di garantire a tutti i lavoratori del comparto una base minima garantita, che nelle fattispecie oggi viene individuata nel contratto Confcommercio, applicato prevalentemente nelle medie e piccole imprese (ma che interessa 2 milioni di lavoratori), lasciando alla contrattazione integrativa nelle aziende di maggiori dimensioni la possibilità di distribuire, anche attraverso prestazioni di welfare, parte delle risorse generate dalla produttività e dalla redditività aziendale. Non mancano peraltro difficoltà oggettive, costituite dalle criticità che nel momento attuale attraversano  molte aziende della grande distribuzione. Ma l’assetto a “geometria variabile“della contrattazione, lungi dall’essere un disegno astratto di architettura sociale,  risponde alla necessità di garantire il massimo risultato possibile  a una platea di lavoratori occupati in aziende che hanno tra loro caratteristiche  e margini di profitto differenti. Il risultato di questo approccio pragmatico, trasferendo al fattore lavoro un monte salari complessivo più elevato, costituisce  un modello più efficace di redistribuzione del reddito. Fonte: firstonline.info SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

MONETA FISCALE: ASPETTI FINANZIARI E CONTABILI

di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini Dalla sua prima resa pubblica sul Sole 24 Ore di ben 6 anni addietro a oggi, l’idea della Moneta Fiscale di strada ne ha fatta e tanta anche. Al di là delle facili critiche, i commenti caustici e persino le affermazioni ingiuriose che alcuni hanno rivolto all’idea senza nemmeno averne letto i contenuti o compreso i sottostanti fondamenti, occorre riconoscere invece che i dubbi, i quesiti nonché gli incoraggiamenti manifestatici tanto da qualificati esperti quanto da comuni cittadini semplicemente incuriositi all’idea ci hanno aiutato a farla crescere e a suscitare l’interesse. Come risultato, di Moneta Fiscale oggi si parla, che ciò piaccia o no, e il Financial Times ne definisce l’attuazione come “tecnicamente possibile”. Il concetto si è affermato all’attenzione della politica, delle istituzioni e del grande pubblico, anche ad onta di grandi organi nostrani (di cosiddetta informazione aperta e democratica) che, esprimendosi sulla materia in modo, a dir poco, disinformato, non hanno inteso dar voce a chi ai loro lettori la materia l’avrebbe almeno saputa esporre correttamente… Lo scorso anno, raccogliendo i numerosi spunti ricevuti e mettendo a frutto i ragionamenti maturati lavorando al perfezionamento dell’idea, abbiamo svolto, tra le altre, due approfondite riflessioni, ospitateci da Economia e Politica e dalla rivista MicroMega, dedicate al proposito di fare il punto sull’argomento e dare risposte precise ai precisi interrogativi postici da lettori e commentatori in via privata o pubblica. Alla luce di recenti osservazioni sul concetto di Moneta Fiscale, desideriamo tornare a rivolgerci ai lettori interessati per offrir loro ulteriori chiarimenti, in particolare nell’ambito della trattazione finanziaria e contabile dello strumento. Tuttavia, prima di entrare in argomento, riteniamo utile fare un breve richiamo dei tratti essenziali della Moneta Fiscale, partendo dalla sua definizione generale. Che cos’è la Moneta Fiscale e a cosa serve La definizione generale che abbiamo dato della Moneta Fiscale si riferisce a qualunque titolo privato o pubblico che lo Stato accetta dai possessori per l’adempimento dei propri obblighi fiscali nella forma di sconti sugli importi dovuti o di pagamento dei medesimi. Tali titoli non costituiscono moneta legale né impegnano lo Stato a garantire la conversione in moneta legale. Tuttavia, essi sono negoziabili, trasferibili a terzi, e scambiabili sul mercato.[1] La Moneta Fiscale, dunque, sebbene non sia moneta legale, reca comunque un preciso impegno dello Stato che ne rende certo il valore; inoltre, in quanto negoziabile, trasferibile e scambiabile, la Moneta Fiscale dà accesso a liquidità immediatamente spendibile (euro) o diventa essa stessa strumento di pagamento. La declinazione della Moneta Fiscale, proposta dal suo originatore e poi da noi sviluppata in gruppo, s’incentra sui cosiddetti Certificati di Credito Fiscale (CCF), cioè titoli che conferiscono al possessore il diritto a ottenere sconti fiscali di pari valore nominale a due anni di distanza dalla data di emissione, e che tuttavia sono immediatamente negoziabili, trasferibili e scambiabili, costituendo dunque vero e proprio potere d’acquisto. Atteso il differimento di due anni, previsto per dar tempo al gettito fiscale lordo di accrescersi, in funzione del recupero del PIL, compensando l’effetto degli sconti fiscali al momento dell’utilizzo, il CCF tratta a sconto rispetto alla moneta legale (l’euro). Detto sconto, peraltro, è contenuto e comparabile a quello praticato su uno zero-coupon bond statale a due anni. La natura di non debito del CCF (si veda più oltre) e l’intervento di market maker che agevolerebbero la creazione e il funzionamento di un mercato dei CCF contengono al minimo possibile il valore dello sconto. In più, l’arbitraggio cui darebbe luogo l’eventuale “svendita” di CCF, a fronte del loro valore certo a due anni, riallinea lo sconto al suo valore di equilibrio. Infine, ove necessario, il riconoscimento da parte dello Stato di un tasso d’interesse sullo strumento medesimo ne assicurerebbe la negoziabilità alla pari con l’euro. Pur non entrando nei meccanismi di emissione e allocazione dello strumento all’economia, per la descrizione dei quali rinviamo ai contributi sopra richiamati e alle fonti in essi citate, ci preme qui sottolineare che la Moneta Fiscale è stata pensata tanto come strumento per creare e immettere potere d’acquisto in un’economia gravata da carenza di domanda aggregata e che non dispone né dello spazio fiscale né del controllo della leva monetaria per operare un uso attivo delle politiche macroeconomiche, quanto per abbattere il cuneo fiscale delle imprese e aumentarne la competitività esterna, facendo sì che l’effetto moltiplicativo della manovra non si disperda attraverso il canale estero e sia dunque il massimo possibile. Si osservi che l’impatto della Moneta Fiscale sulla domanda aggregata non deriva dagli sconti fiscali cui essa dà diritto, bensì dall’accesso immediato al potere di spesa che la sua negoziabilità, trasferibilità e scambiabilità consentono. L’assegnazione di CCF a soggetti a più alta propensione al consumo incentiva la spesa, e la maggior spesa accelera gli investimenti. Le migliorate prospettive aziendali e la maggiore competitività industriale fanno inoltre da traino per la ripresa del credito bancario. Stime per l’economia italiana basate su ipotesi conservative (moltiplicatore del reddito pari a 1 e recupero di metà della contrazione del rapporto investimenti / PIL registrato rispetto al 2007) mostrano che la ripresa economica genererebbe un gettito sufficiente a finanziare gli sconti fiscali, mentre il più elevato output e la più sostenuta crescita dei prezzi ridurrebbero il peso del debito pubblico.[2] Avendo indicato quel che la Moneta Fiscale è, precisiamo ciò che essa non è, ed entriamo così nel vivo delle precisazioni che ci preme dare. La Moneta Fiscale non è moneta legale Il progetto Moneta Fiscale non prevede nessun meccanismo di accettazione obbligatoria e non mette in discussione la centralità dell’euro. Mediante l’emissione e l’assegnazione di CCF, si rende possibile sostenere i redditi dei lavoratori (pubblici e privati), ridurre il carico fiscale effettivo delle aziende (attribuendo Moneta Fiscale ai datori di lavoro in funzione dei costi da essi sostenuti), e mettere a disposizione delle amministrazioni pubbliche potere d’acquisto per effettuare azioni supplementari di spesa sociale, investimenti di pubblica utilità, etc. Lo strumento può essere in qualunque momento scambiato, (e quindi accettato in cambio di beni, …

A PROPOSITO DELL’APPELLO AI SOCIALISTI DI NENCINI

[avatar user=”Aldo Potenza” size=”thumbnail” align=”left” /] di Aldo Potenza Ho riflettuto a lungo sulla opportunità di intervenire su questo appello, poi ho deciso che i compagni socialisti meritano rispetto indipendentemente dalle esternazioni di chi momentaneamente li guida. Orbene, un segretario che ha condiviso e fatto condividere tutte le scelte più rilevanti compiute dal PD; che ha rinunciato non solo all’autonomia di pensiero ed azione del proprio partito, ma ha compiuto scelte in contrasto con la cultura socialista sposando le idee neoliberali che erano la stella polare del PD; che ha trascinato il psi nel disastro del pd; che presenta dimissioni farlocche ad una riunione composta da segretari regionali e dai membri della segreteria nazionale, ovvero ad una riunione che non ha alcun potere in proposito; che ad oltre un mese e 20 giorni dalla cocente sconfitta elettorale, che ha ridotto il psi ad un fantasma, non ha ancora convocato il consiglio nazionale del partito; adesso si esercita a fare “l’autocritica al pd”. Tal segretario dichiara che i soggetti politici minori, tra i quali c’è il psi, rischiano di essere privati anche del diritto di cittadinanza e allora sostiene pomposamente che “i socialisti ritengono sia giunto il momento di far pesare il loro patrimonio politico-culturale troppo a lungo negletto dalle altre componenti dell’aera del centro sinistra”. Una affermazione che suona come una condanna non per le altre aree del centrosinistra, ma per chi ha guidato il psi. Infatti chi se non il psi avrebbe dovuto far pesare il proprio patrimonio politico-culturale? Perchè questo è stato a lungo negletto? Chi aveva il dovere di difenderlo con le azioni svolte fuori e dentro il Parlamento? Nencini si autoassolve, gli errori sono degli altri. Oddio in un certo senso ha ragione. Infatti avendo rinunciato all’autonomia politica, avendo accettato di svogere acriticamente il ruolo di sostenitore “esterno” del pd, accusa quet’ultimo del disastro, ma così conferma ciò che da sempre abbiamo sostenuto, Nencini ha trasformato il psi in una corrente del pd e ha politicamente distrutto il partito. Non mi addentro nelle proposte che avanza. Ne cito solo una: “la legislatura abbia un taglio costituente”. Noto che non fa più riferimento alla costituente, ma si evince l’intenzione di affidare a questo Parlamento, eletto con una legge dai tanti profili incostituzionali, il compito di riprendere il confronto sulla riforma istituzionale. Infine mi sembra “stupefacente” la conclusione del suo appello: “L’impronta riformista cui non sono stati estranei i governi della passata legislatura (udite udite) con il torto di non averla implementata a sufficienza, prima ancora che nella gestione operativa, nella motivazione politica culturale va resa ancora più incisiva….” Insomma pare di capire che l’impianto politico culturale di quelle “riforme” venga ancora apprezzato da Nencini, così quindi il job act, la buona scuola, il tentativo di riforma costituzionale etc….sono considerati politicamente e culturalmente buona cosa. Ogni ulteriore commento mi sembra superfluo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA FORMA-PARTITO NON E’ UN PARTICIPIO PASSATO

[avatar user=”Pierfranco Pellizzetti” size=”thumbnail” align=”left” link=”https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/ppellizzetti/” target=”_blank” /] di Pierfranco Pellizzetti Appena pubblicato dalla Fondazione Feltrinelli un’eBook, scritto da Paolo Gerbaudo, che racconta la trasformazione dei partiti politici nell’era di Facebook e Amazon: “Nuove organizzazioni politiche come il M5S, Podemos, France Insoumise e Momentum integrano nel loro modus operandi le tecnologie digitali e le nuove forme di interazione e cooperazione che sono divenute il simbolo della generazione millennial”. Ma se ci sono le innovazioni positive, restano ancora molte le contraddizioni e limiti di questo nuovo modello organizzativo. Ecco perché c’è ancora bisogno del partito tradizionale. «L’ultima rivoluzione politica, la rivoluzione contro il clero politico e l’usurpazione potenzialmente iscritta nella delega, resta ancora tutta da fare»[1]. Pierre Bourdieu «Un partito non è, come vorrebbe la dottrina classica (o Edmund Burke), un gruppo di uomini ansiosi di promuovere il bene pubblico […]. Un partito è un gruppo i cui membri si propongono di agire di concerto nella lotta di concorrenza per il potere politico»[2]. Joseph A. Schumpeter   Il cerimoniale Hi-Tech «Io con un click, semplicissimo, decido se fare la guerra, se uscire dalla Nato, se essere padroni in casa nostra, se avere una sovranità monetaria»[3], sbraitava Beppe Grillo il 25 gennaio 2012. Ora, cosa dovremmo pensare della clickdemocracy pentastellare, tanto idealizzata dal suo Guru, alla luce della vicenda grottesca, emersa in questo aprile 2018? Il programma elettorale del Movimento, varato nel 2017 con grandi strombazzamenti sulla sua compilazione collettiva on line, grazie al contributo progettuale di militanti a migliaia, e che ora risulta largamente rimaneggiato (o meglio, edulcorato) da manine invisibili; via, via che ci si stava avvicinando alla possibile conquista della Presidenza del Consiglio per il proprio capobranco in piena svolta democristiana. Insomma – scrive Matteo Pucciarelli – «ci sono due programmi elettorali nei Cinque Stelle; uno discusso e votato dagli iscritti, il secondo deciso dai vertici del Movimento. Il primo non conta nulla, sul secondo garantisce direttamente Luigi Di Maio»[4].   Questo per dire che – a differenza di Paolo Gerbaudo, autore dell’e-book Feltrinelli “Il partito piattaforma. La trasformazione dell’organizzazione politica in età digitale” – bisognerebbe andarci cauti nel certificare un presunto nuovo che avanza. Specie nell’attuale fase storica in cui – come diremo – la mistificazione della realtà risulta ancora più del solito l’arma preferita dal Potere per imporsi e autoperpetuarsi. Anche perché la digitalizzazione dell’organizzazione di partito – a ben vedere – sembra più un cerimoniale (come dicono in Toscana) “acchiappacitrulli” che non un radicale cambiamento; sulla strada agognata di mete belle quanto misteriche: la democrazia diretta, la disintermediazione, la libera espressione della volontà generale, la riduzione delle leadership al rango di semplici portavoce. Raccontiamocela fino in fondo: il mantra “uno vale uno”. Ennesimo abbaglio di un’epoca circuita dalla retorica Hi-Tech, a fronte del tangibile arretramento dell’effettiva capacità innovativa (il tempo della finanza è impaziente e la privatizzazione orienta più alla speculazione che all’investimento, entrambe condizioni estremamente sfavorevoli alla ricerca di base). «Un numero in aumento di economisti si chiedono se la rivoluzione tecnologica non sia stata gonfiata in maniera forviante. […] Non siamo tornati a un rapido progresso economico. Anzi: una ripresa c’è stata, una sola, dieci anni fa. Da allora viviamo nell’epoca di iPhone, iPad e iQuelchetipare, ma crescita e redditi sono tornati alla fiacchezza degli anni 70-80. Le nuove tecnologie sono più divertenti che indispensabili». Gadget con cui drogare un mercato saturo e diffondere smartpatia tra giovanetti, nella migliore(?) tradizione USA di virare il mass-market a induzione artificiosa di orientamenti all’acquisto (dai jeans alla musica pop, al junk food/drink). Sicché per convenire con Gerbaudo sull’avvento del nuovo modello di “partito piattaforma” («tale perché integra nel suo funzionamento una serie di piattaforme online a partire dai social come Facebook e Twitter, per la comunicazione esterna, e vari servizi di messaggeria istantanea come WhatsApp e Telegram per la comunicazione interna») avremmo bisogno ci dimostrasse fattualmente che l’adozione dei tools ICT determini un effettivo salto di qualità (come minimo fuori dal comune) nella relazione tra le varie componenti di partito e nella struttura partecipativa, trasformandosi in un vero e proprio “scheletro organizzativo”. Una mirabolante discontinuità positiva, trainata da Internet e dall’Information and Communication Technology. Ad oggi diciamo semplicemente che chi se lo poteva permettere ha fatto largo uso del servizio Big Data, messo a disposizione da quelli che il massmediologo bielorusso Evgeny Morozov chiama “i Signori del silicio”, per macroscopici condizionamenti del corpo elettorale: “l’ascesa dei dati e la morte della politica”[5] democratica, di cui abbiamo avuto un disgustoso assaggio nel saccheggio delle informazioni per violare gli indirizzi privati di 50 milioni di utenti Facebook da parte di un’agenzia di marketing politico (Cambridge Analytica) pagata da sostenitori dello stesso Donald Trump. Per il resto l’adozione delle cosiddette “tecnologie indossabili wireless” consentono semplicemente modalità poco costose e piuttosto efficaci di “rendezvousing” («riunirsi per partecipare a una successiva attività di gruppo»[6]); poco più di una convocazione per attività militanti di base. Appunto, preliminari. Lo stesso che vale anche per il più celebrato esempio di crowdsourcing, di wikigovernment: il varo della nuova Costituzione d’Islanda, che si pretenderebbe elaborata su Facebook; quando la prima bozza – dopo una fase di ascolto – fu predisposta da un’Assemblea Costituente di 25 membri eletti. Per poi essere affossata dal Parlamento con un voto contrario nel marzo 2013. Sicché, dopo questa overdose d’utopia, trae conclusioni puntuali il blogger Fabio Chiusi: «i frutti più importanti dell’e-democracy si possono raccogliere non nella fase della decisione ma prima e dopo che queste decisioni siano prese. I dati aperti favoriscono il monitoraggio e la valutazione. Il crowdsourcing aiuta l’implementazione»[7]. Perfino la promessa di “de-gerarchizzare la decisione” va ridimensionata, se questa si riduce, nelle parole del portavoce di Occupy Wall Street David Graeber, a una semplice questione di bon ton relazionale: «l’essenza del processo di creazione del consenso sta nel fatto che, quando si tratta di prendere una decisione, tutti dovrebbero avere lo stesso peso e nessuno dovrebbe sentirsi vincolato»[8]. La successione dei modelli di partito Sgombrato il campo dalle cadute modaiole nell’up-to-date, rimane sempre aperta la questione delle …