L’ALTRO 18 APRILE (1993): UNA SCONFITTA PER LA DEMOCRAZIA

18 aprile ’93, La grande illusione di Franco Astengo Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta storica: nella prima occasione, quella del 1948 della quale oggi tutti ricordano l’anniversario, si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana. In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) che interessava la legge elettorale del Senato. Di seguito, considerata l’importanza dell’affermazione ottenuta dal quesito, si aprì una stagione di profonda riforma proprio in campo elettorale. Si provocò in allora causando un vero e proprio riallineamento dell’intero sistema politico considerato che l’esito referendario s’inserì, a quel tempo, in una fase di grandi trasformazioni: la caduta del muro di Berlino, Tangentopoli, la stipulazione del trattato di Maastricht. In Italia si stava verificando una fase di forte scollamento tra la società civile e il sistema dei partiti. Una fase di scollamento che si era mostrata evidente nell’occasione del referendum sulla riduzione a una sola delle preferenze esprimibili nell’elezione per la Camera dei Deputati, svoltosi nel Giugno del 1991 e osteggiato da parte della DC, dal PSI e dalla Lega Nord che, in quel momento, stava accelerando fortemente il suo processo di crescita. Il referendum del 1993 passò a grande maggioranza e si aprì così la strada a quella stagione che è stata definita come delle “transizione italiana”. “Tangentopoli” e “caduta del Muro di Berlino” rappresentarono i fattori decisivi perché ogni modello di forma – partito vigente fosse travolto, assieme ai resti del meccanismo dello “spoil system”. Nel 1993 (il 18 Aprile) gli elettori furono chiamati a indicare, attraverso un referendum volto a eliminare la clausola del 65% nel sistema elettorale per il Senato, la loro preferenza per un sistema maggioritario o proporzionale. La vittoria degli abrogazionisti impresse una svolta in senso maggioritario al dibattito e fu letta come una “chiara” indicazione proveniente dalla base del Paese a favore dell’abbandono del sistema proporzionale. Non era propriamente così e gli esiti risultarono fortemente contradditori rispetto anche agli stessi obiettivi dichiarati dai proponenti. L’esito complessivo di quella vicenda, con l’evidente crisi della democrazia liberale classica che abbiamo sotto gli occhi, credo possa, a distanza di tanti anni, rendere giustizia al merito di chi, pur in netta minoranza, seppe in allora battersi contro quella che appariva come una vera e propria illusoria furia iconoclasta attraverso la quale in quel momento, con la quale si scambiò il maggioritario come la panacea di tutti i mali che affliggevano il nostro sistema politico. In quel modo si cercò di abbattere alcuni dei pilastri della nostra democrazia sul terreno della rappresentatività politica e della centralità del Parlamento mortificando la Costituzione Repubblicana. Si era così aperta la strada a una delle fasi più mortificanti della nostra vita democratica, come quella che stiamo vivendo ormai da molti anni. Così come va sempre tenuto in conto l’operato di coloro che, isolati e ignorati, in tempi successivi seppero combattere la battaglia contro formule elettorali chiaramente incostituzionali chiedendo e perorando il giudizio dell’Alta Corte che in ben due (storiche) occasioni ha bocciato l’operato del Parlamento e del Governo. Si trattò di vere e proprie vittorie della democrazia da non dimenticare quando si analizzano le vicende di questi anni tormentati, mentre quella del 18 aprile 1993 segnò una vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese. Procediamo però per ordine compiendo, come si scriveva una volta nei romanzi d’appendice, un passo indietro. Alle elezioni del 1976 si era verificato un altissimo livello di polarizzazione, mentre a partire dalle elezioni del 1979 si avviò un’inversione di tendenza che evidenziava una progressiva polverizzazione del sistema politico. A un calo progressivo dei partiti storici corrispose l’entrata in Parlamento di formazioni politiche alternative: Radicali, PdUP, Democrazia Proletaria, Verdi, Leghe il cui accesso era garantito da un sistema elettorale il cui principio di specularità rendeva sempre più difficile la formazione di maggioranze, capaci di convergere su di un programma e, quindi, garantire anche la governabilità. Le istanze favorevoli al maggioritario s’innestarono così su questo filone. Una curiosità da ricordare è come, in sede di Assemblea Costituente, affrontando il tema del referendum si discusse anche delle materie che dovevano restarne escluse. In quell’occasione furono elencate le leggi tributarie, quelle di bilancio, di amnistia, indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. In quel lontano 16 ottobre 1947, tuttavia fu presentata da alcuni deputati comunisti, prima firmataria Maria Maddalena Rossi, una proposta finalizzata a includere fra queste leggi, anche quelle elettorali. Contro il parere di Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, l’iniziativa fu approvata dalla maggioranza dei costituenti. Nonostante questo, nel testo costituzionale a tutti noto, le leggi elettorali non figurano tra quelle escluse da referendum. Quasi nessuno richiama il fatto che solo Costantino Mortati nelle sue Istituzioni di Diritto Pubblico ricorda come “La Costituente aveva votato un emendamento che escludeva dal referendum anche le leggi elettorali, ma tale aggiunta, per errore omissivo, non venne inserita nel testo approvato con la votazione finale, sicché non è entrata in vigore”. Così per un errore di quarantotto anni prima, il 18 aprile 1993, per volontà popolare il principio maggioritario entrò formalmente nel gioco istituzionale. Abbiamo visto come il referendum accelerò l’iter della riforma e fu così varata la legge, denominata “Mattarellum” dal cognome del suo relatore Mattarella del PPI oggi Presidente della Repubblica: un appellativo, quello di “Mattarellum” inventato dal politologo Sartori, che cercava di indicare anche alcune “mattarelle” contenute nella legge, previsioni un po’ balzane come quello del cosiddetto “scorporo” tendente a favorire le liste minori nella parte proporzionale . Si introduceva difatti sia per la Camera, sia per il Senato un sistema misto: maggioritario secco per il 75% dei seggi da assegnare e proporzionale per il 25%, con la legge 4 agosto 1993, n.276 e legge 4 agosto 1993, n.277. La “ratio” delle legge era quella di superare la frammentazione del sistema dei partiti verso la composizione di un sistema politico …

DEL BUE SI ALLINEA A NENCINI. LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

di Aldo Potenza Del Bue, su l’Avanti online, sostiene la colpa è di chi ha votato NO alla deforma costituzionale aprendo la strada all’inferno e affossando quel paradiso di “riforme” che il Renzi incompreso aveva costruito. Non conta che Renzi abbia fatto incazzare gli insegnanti; non ha nessuna rilevanza il job act che non sia piaciuto a chi è diventato precario e senza difesa nel mondo del lavoro; non ha alcun rilievo l’arroganza con cui Renzi ha affrontato le modifiche costituzionali e l’approvazione di leggi elettorali incostituzionali (è il caso della prima legge bocciata e modificata dalla Consulta e la seconda pasticciata e con gravi rilievi di incostituzionalità); non importa che proprio Del Bue a Viterbo considerasse la modifica costituzionale insieme alla legge elettorale a rischio di una gestione oligarchica del governo; non importa che Renzi considerasse i sindacati meno di nulla, mentre amasse moltissimo la Confindustria; insomma potrei continuare, ma non servirebbe a nulla, per Mauro la colpa è del popolo bue non di Renzi che ha perso 21 punti percentuali. Ora per seguire il segretario dalle dimissioni date , ma non accettate da un organo non che non ha questa facoltà, si inventa che anche il socialismo democratico è finito, ma non lo sfiora il dubbio che a danneggiare il socialismo sia stata la scelta di seguire la strada indicata dal neoliberismo della terza via tanto amata da Renzi e da alcuni socialisti europei e nostrani. Così, senza alcuna vera riflessione sulla natura del disastro, secondo un ragionamento che si può associare alla famosa espressione “destino cinico e baro” il psi si avvia a promuovere la grande novità: una bella ammucchiata di sindaci, liste civiche “democratiche“, terzo settore. Insomma il funerale del socialismo e del psi è servito nella speranza non più di salvare, come ha sostenuto un tempo, una storia e un partito, ma, come in realtà è sempre stato da molti anni a questa parte, un seggio non importa come e per quale obiettivo. In fondo per Mauro e soci, la colpa di tutto questo disastro è del popolo del NO che ha ucciso il paradiso dell’era renziana. Grillo dove sei? Avrei bisogno del tuo grido di battaglia, io non ho la tua signorilità e non sono capace di gridarlo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UNA GIORNATA SOCIALISTA A LIVORNO

di Luca Pellegri Avanti! online Sabato 24 Marzo, a Livorno, si è tenuta un assemblea di Socialisti, autoconvocata e aperta per un confronto ad ampio raggio sulle prospettive culturali, ideali e politiche del movimento Socialista nella realtà odierna ed alla luce della recente disfatta elettorale del campo della Sinistra alla elezioni Politiche. Oltre 200 Compagne e Compagni provenienti da tutta Italia, tra iscritti al PSI, esponenti di associazioni e Fondazioni di ispirazione Socialista, si sono ritrovati attraverso il passaparola sui Social-Network, per discutere insieme sul presente e sul possibile futuro del pensiero e dell’azione nella nostra Società del movimento Socialista. Un dibattito molto partecipato, oltre 40 interventi, introdotti da Massimo Bianchi (ex vice Sindaco di Livorno) e da Dario Allamano del “Gruppo di Volpedo”. Nonostante l’elevato numero di interventi, sono sembrate emergere delle direttrici comuni, non scontate e soprattutto non ripiegate nella pericolosa china della nostalgia e del reducismo. A fronte di una sincera capacità autocritica è emersa una necessità di ripensamento culturale, organizzativo e politico di tutte le forze che occupano il sempre più ristretto spicchio a Sinistra degli Emicicli Parlamentari. Forte si avverte la necessità di aprire la forma Partito ad istanze di cui sono portatori territori, il mondo del Terzo settore, della cooperazione, delle nuove forme di lavoro precarizzato e, spesso, sottopagato. Grande importanza si è data ad una nuova conoscenza delle realtà periferiche, del vissuto quotidiano, al fine di comprendere e dare risposte concrete verso una Società sempre più atomizzata, dispersa e non ancora in grado di costituire una massa critica di rappresentanza di legittime istanze. In parte quindi una specie di ritorno alle origini, non percepito in chiave nostalgica, bensì come efficace strumento per avvicinare alla vita pubblica chi ne è escluso, dando loro parola, voto, strumenti per incidere nella vita politica del Paese. Nei confronti del PSI, a differenza di chi ne paventava i rischi, le posizioni critiche sono parse legittime, costruttive e, fondamentalmente, identiche a quelle rivolte a tutte le forze dal PD a LEU e cioè di avere smarrito il legame di stretta interdipendenza tra Partiti classici e Cittadini. “Aprire porte e finestre”, “mescolarsi”, “abbattere gli steccati” all’interno del mondo della Sinistra: queste sono le parole d’ordine risuonate, e, chiaramente, essendo state espresse da un’assemblea Socialista, interrogano e spronano soprattutto il nostro PSI a prendere una iniziativa che vada in direzione di una nuova prospettiva, politica certamente, ma anche culturale e formativa di una nuova generazione di Socialisti. Ha chiuso i lavori Aldo Potenza. Turi Lombardo ha invece sottoposto all’approvazione dell’assemblea la votazione di due Documenti, uno più di indirizzo generale, l’altro più operativo che, contenendo dei discutibili e fraintendibili riferimenti ad un nuovo soggetto politico di ispirazione socialista, è stato “congelato” per le numerose e comprensibili obiezioni mosse dalla platea. I presenti che hanno partecipato al voto sul primo documento lo hanno approvato, con una astensione SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

POST LIVORNUM DATUM

di Carlo Felici Dopo l’Assemblea di Livorno la primavera è sicuramente più vicina e non solo per la stagione incipiente o per l’ora legale che stavolta non suscita più alcun panico tra i socialisti, ma soprattutto perché le tante primavere dei partecipanti l’hanno arricchita di speranza e di molte utili aspettative. Si cercava di avere un momento in cui guardarsi negli occhi, forse anche solo per sfogarsi o sentirsi meno soli, nella desertificazione della sinistra italiana, e si è avuto qualcosa di più. La sensazione netta di una vitalità che attende solo di essere messa alla prova, non solo con una lista o un partito da fare subito senza se e senza ma, in particolare, con i valori e le proposte che ciascuno dei partecipanti ha mostrato di voler mettere in atto con un dono che oggi è molto raro e sempre più difficile da trovare nelle assemblee politiche, che servono solo a celebrare o a sostituire qualche personaggio alla guida di qualche lista o partito, e questo è il dono prezioso della cultura politica. Ecco, a Livorno è andata in scena la CULTURA POLITICA, nel deserto della plastificazione dei soggetti politici senza alcuno spessore culturale e che, per questo, ricorrono all’urlo, alla denigrazione oppure al professionismo del vassallaggio, è apparso finalmente un convitato di pietra pesante più di una tonnellata. Solo la cultura politica, infatti, potrà restituire a questo paese un futuro degno del suo passato, della sua storia e delle sue migliori tradizioni, perché come si specifica nel documento finale: “Nella sinistra italiana i socialisti hanno rappresentato la forza del progetto e della governabilità. In una politica così povera di progettualità ed incapace di governabilità, c’è un vuoto che noi socialisti possiamo e dobbiamo riempire.” Ecco, questo bellissimo e sacrosanto intento è il migliore viatico che ci si possa aspettare per un futuro impegno e per una concreta rinascita politica, però esso va messo alla prova, e non c’è molto tempo per farlo. Non possiamo aspettare ancora le calende greche o che altri si muovano verso di noi, carissime compagne e compagni, siamo noi che ci dobbiamo muovere, certamente accelerando quel processo costruttivo prefigurato nella seconda parte del documento uscito da Livorno. Si parla giustamente di vari passaggi tra cui “Il primo organizzativo. In ogni realtà regionale è indispensabile che si creino, entro il mese di maggio, momenti di confronto e discussione, che servano ad arricchire le proposte oggi avanzate, per avviare la costituzione in ogni provincia di almeno un circolo socialista, e per definire dei coordinamenti territoriali provvisori, al fine di consentire a tutti di partecipare alla campagna politica per l’elaborazione delle proposte programmatiche e politiche future.” Però, parliamoci chiaro: non abbiamo tutto questo tempo, dato che le cose evolvono in fretta e non sappiamo nemmeno se a ottobre avremo nuove elezioni o forse anche una nuova legge elettorale. Noi dobbiamo essere preparati entro l’estate, e per settembre al massimo, ad avere una precisa e definita soggettività politica, per varie ragioni: 1) Dobbiamo colmare un vuoto prima che sia troppo tardi, e cioè prima che a farlo sia la necessità di creare altre liste non ben definite, ma ancora una volta legate a questo o a quel personaggio che se ne fa garante. 2) Per anticipare l’inerzia di altri che stanno a guardare con l’unico scopo di cercare l’occasione più propizia ed opportunista in cui collocarsi. 3) Per dare una figura e un corpo ad un soggetto politico che abbia finalmente la possibilità di presentarsi all’attenzione dei media e della comunità dei cittadini con una cultura e una veste politica ben definita. Non aspettiamo novembre, non l’anno prossimo, non è questione di risorse finanziarie o di personaggi che possano dar lustro al progetto con la loro presenza. Basta la presenza di chi ancora crede e pratica il socialismo, con i suoi valori di sempre. Bastiamo noi! Noi abbiamo le risorse politiche, culturali ed ideologiche e su queste dobbiamo basarci, non sulla dietrologia o sull’imitazione dei leader del passato, fossero anche i migliori della nostra storia. Noi abbiamo l’orgoglio e la capacità di essere sinistra senza proclamarci di sinistra perché il Socialismo è la sinistra da sempre e solo quando lo ha dimenticato, la sinistra è sparita. Quindi dobbiamo solo ricordarcelo e ricordarlo anche a tutti gli altri. Arriviamo pure a Rimini ad incontrare altri personaggi interessati a questo progetto, ma non arriviamoci in ordine sparso, non arriviamoci in assetto movimentistico e assembleare. Arriviamoci già con una forma partito Socialista definita. Ci vuole arrivare il PSI in questo modo, aderendo alle istanze che stiamo costruendo? Ben venga! Non ci vuole arrivare, perché insegue ancora disperatamente una impossibile riesumazione per ulteriore grazia ricevuta solo dal suo segretario..senatore-lucciola? E allora che resti per strada. Ma noi la strada dobbiamo percorrerla bruciando le tappe, perché questa è l’era della velocità, della novità e della sorpresa, non è l’era dei tempi biblici del Novecento o dell’Ottocento. E quando parlo di novità, ovviamente non parlo di improvvisazione, ma di inventiva, di innovazione e di competitività. Per bruciare tutti sul tempo bisogna avere già prima di Rimini un simbolo, un nome (ovviamente socialista e forse ancor meglio ecosocialista) e un portavoce ufficiale che io già lancio nella figura del più combattivo e democratico tra i Socialisti di oggi: Felice Besostri in qualità di presidente e magari, come segretario, il più paziente e capace di tolleranza e mediazione tra di noi: Aldo Potenza. Scordatevi, almeno per ora, che spunti all’improvviso un carismatico come Craxi, perché anche Bettino, nelle condizioni un cui siamo, avrebbe preteso un partito, un vero organo politico, e non parliamo poi dei vari Nenni o Pertini, per i quali il partito era sacro. Senza partito Socialista scordatevi il Socialismo, carissime compagne e compagni, in un bellissimo discorso JOHN LLOYD ha spiegato bene, smascherando le contraddizioni del “socialismo nominale” europeo, cosa vuol dire essere socialisti ed esordendo con queste parole: “IL PARTITO dei socialisti europei ha un motto: “Socialisti e fieri d’esserlo!”. Può anche essere che ne siano fieri, ma definirsi socialisti …

LA FONDAZIONE NENNI PER LIVORNO 2018

Care/i compagne/i, Nel farvi gli auguri vorrei fornire uno spunto di riflessione al vostro convegno che riguarda il periodo immediatamente successivo alla scissione di Livorno, che è l’oggetto del vostro seminario. Una fase storica, quella del 1922-1923, molto delicata per il nostro Paese ma anche per il Partito socialista che subisce un’altra scissione e che rischia, con il congresso del 1923, di scomparire. In questa fase emerge rapidamente la figura e lo spessore del giovane faentino Pietro Nenni che nel 1920 aveva lasciato il Partito Repubblicano per abbracciare il socialismo. Nell’ottobre del 1922 l’ala riformista di Turati, Treves e Matteotti veniva espulsa dal partito e costituiva il Partito Socialista Unitario (PSU). Il 26 ottobre del 1922 una delegazione socialista composta da Serrati, direttore dell’Avanti!, Maffi, Romita e Garuccio, si recò a Mosca; in quell’occasione si concordò un progetto di fusione tra il PSI e il PCd’I. Il nuovo partito avrebbe dovuto chiamarsi Partito comunista unificato d’Italia. Negli organi dirigenti la maggioranza sarebbe comunista e l’Avanti! diretto da Gramsci. Per Nenni questa scelta rappresentava la liquidazione del partito e costituì con Arturo Vella un Comitato di difesa per “l’autonomia socialista”, per tutelare un Partito che alle elezioni del 1919 aveva preso oltre il 32% (divenendo la prima forza del Paese), che aveva 200.000 iscritti e il proprio giornale vendeva 400.000 copie. Nacque così un violento contrasto con Serrati che da Mosca ordinò di sbarazzarsi di Nenni. Il 3 gennaio del 1923 Nenni motivò la propria posizione in un lungo articolo sull’Avanti!: “Il Partito deve essere interrogato subito, sul solo punto che interessa: la fusione immediata […] a mezzo di referendum”. Lasciarlo nel marasma delle ultime settimane, “vuol dire assassinarlo”. Conclude lapidario: “Una bandiera non si getta in un canto come cosa inutile. Si può anche ammainare, ma con onore, con dignità”. Interviene, pesantemente, anche l’Internazionale Comunista: “Noi insistiamo”, si legge in un suo dispaccio del 18 gennaio, “sull’allontanamento di Nenni, e che la sua opera nociva venga smascherata come disorganizzatrice del movimento proletario”. Ma né la Direzione, né l’Avanti! obbedirono: in realtà il partito era contro la fusione. Pietro Nenni ebbe un ruolo chiave durante il congresso socialista di Milano del 15–17 aprile 1923 e le sue tesi autonomiste trionfarono su quelle fusioniste di Serrati. Di fatto salvò il Partito socialista da quella che sembrava un’inevitabile evaporazione. Per tale ruolo assunto Nenni entrò nella Direzione del partito e venne nominato Direttore dell’Avanti!. Pochi spunti che spero possano essere utili al vostro dibattito. Nell’augurarvi buon lavoro, vi porto gli affettuosi saluti del Presidente della Fondazione Nenni Giorgio Benvenuto. Antonio Tedesco  – Segretario Generale Fondazione Nenni SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LETTERA APERTA DEL MOVIMENTO ROOSEVELT AI SOCIALISTI UNITI A LIVORNO IL 24 MARZO 2018

Anzitutto vogliamo ringraziare gli organizzatori di questa importante iniziativa: il Gruppo Volpedo di Torino. Un ringraziamento speciale va poi ad Aldo Potenza, leader di Socialisti in Movimento, per averci proposto l’adesione e la partecipazione. Il Sen. Felice Besostri, socialista da sempre e socio del metapartitico Movimento Roosevelt, ci rappresenterà in questa importante riunione, insieme ad altri eventuali rooseveltiani aderenti ai vari gruppi socialisti invitati. L’Ufficio di presidenza e il Direttorio del Movimento Roosevelt intendono sottolineare la propria sintonia e disponibilità collaborativa con qualsivoglia progetto politico che intenda raggruppare il meglio della tradizione socialista italiana. Vogliamo perciò evidenziare la nostra vicinanza all’odierno evento di Livorno, che intende rievocare il XVII congresso del Partito Socialista Italiano, svoltosi nel gennaio 1921, e che segnò una epocale frattura nella famiglia dei socialisti peninsulari. A distanza di quasi un secolo da quel congresso e dopo le ulteriori diaspore di gruppi socialisti avvenute nel corso del Novecento -specie dopo la fine della Prima Repubblica- è certamente venuto il momento di ripartire simbolicamente da quei lontani giorni conflittuali che videro la nascita del Partito Comunista d’Italia, originata dalla decisione di alcuni massimalisti intransigenti che avevano chiesto (e non ottenuto) l’espulsione dal PSI dei cosiddetti “riformisti”. In questi inizi del XXI secolo, le istanze massimaliste, intransigenti, fanatiche e totalitarie dell’ideologia comunista sono state quasi ovunque sconfitte e sconfessate come incompatibili con la convivenza democratica tra popoli e cittadini. Tuttavia, assistiamo a una libera circolazione planetaria di merci e capitali cui non si accompagna una adeguata globalizzazione di democrazia, giustizia sociale e diritti universali, tanto civili e politici che economici. Ecco perché serve ripartire dal Congresso socialista livornese del 1921: per un salto simbolico nel passato che, rettificando la traiettoria conflittuale e dispersiva di quegli anni- preludio all’affermazione del Fascismo- possa invece dischiudere una nuova, entusiasmante rotta verso il futuro. Ecco perché c’è bisogno più che mai oggi, all’alba del Terzo Millennio, in Italia, in Europa e nel Mondo, di una rinnovata proposta politica socialista. D’altra parte, come dimostrano tanto la scissione di Livorno che i successivi conflitti tra massimalisti, rivoluzionari, riformisti e moderati, da circa un secolo si confrontano declinazioni differenti dell’ideologia socialista. Il metapartitico Movimento Roosevelt ha scelto di ispirare la propria azione politica, civile e culturale ad una declinazione specifica e precisa del socialismo: quella liberale e democratica. Si sente spesso affermare che le ideologie sono morte. Sono senz’altro (e per fortuna) “moribonde” (anche se non del tutto defunte) l’ideologia fascio-nazista e quella comunista. Ma è più che mai viva, vitale ed egemone a livello globale, da alcuni decenni, una ideologia neo-aristocratica, post-democratica e neoliberista che ha arrestato qualsivoglia prospettiva autenticamente progressista in Occidente e in ogni angolo del globo terracqueo. Noi rooseveltiani riteniamo che ad un tale modello di pensiero ed azione vada opposta una ideologia radicalmente e sostanzialmente democratica e social-liberale o liberal-socialista. In effetti, tra i punti di riferimento del Movimento Roosevelt non ci sono soltanto il New Deal di Franklin Delano Roosevelt, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di cui fu madrina Eleanor Roosevelt e la grande lezione macroeconomica di John Maynard Keynes, ma anche il formidabile contributo di Carlo Rosselli, che ha ispirato altri giganti progressisti del calibro di John Rawls e Amartya Sen. La fondamentale opera di Carlo Rosselli, Socialismo liberale (prima edizione a Parigi, nel 1930) e il progetto politico che essa sottintendeva furono per gran parte del Novecento avversati tanto dal socialismo marxista e marxiano che da quella pletora di sedicenti liberal-liberisti cui doveva essere sfuggita la conclusione di John Stuart Mill secondo cui la finalizzazione democratica del liberalismo non poteva che contaminarsi di istanze socialiste. Per queste e molte altre ragioni e affinità ideologiche con la tradizione socialista, noi rooseveltiani auspichiamo che, nel futuro, iniziative come quella odierna si moltiplichino e ci dichiariamo pronti a collaborare su ogni progetto utile alla rivitalizzazione della democrazia italiana. E a beneficio di chi ancora non ci conosca molto bene, rammentiamo che il Movimento Roosevelt è un movimento politico meta-partitico ispirato da Gioele Magaldi ed istituito da 500 soci fondatori a Perugia il 21 Marzo del 2015. Per cosa si battono i rooseveltiani? E’ evidente che il welfare system e la mobilità sociale di cui i Paesi occidentali -e l’Italia tra questi- hanno goduto dal dopoguerra ad oggi sono in grave pericolo. Dobbiamo quindi rigenerare le istituzioni repubblicane puntando ad una rinnovata partecipazione popolare a processi di democrazia sostanziale  e non solo formalistica. In un mondo in cui la disuguaglianza sociale continua ad aumentare in modo drammatico, occorre denunciare e combattere la “teologia dogmatica neoliberista” e promuovere valori  e prassi di governo autenticamente social-liberali: gli unici strumenti in grado di garantire prosperità diffusa, autentica uguaglianza delle opportunità e giustizia, mobilità e pace sociale Noi crediamo in un mondo libero che sia però attento alle questioni sociali. Noi crediamo nella libera economia di mercato, ma anche nella preminenza della politica sull’economia e nel diritto-dovere delle istituzioni pubbliche di garantire equilibrio sociale. Crediamo che non si possa garantire libertà agli individui, se non in una società giusta in cui vengano garantiti a tutti/e pari diritti ed opportunità. Crediamo anche che non si possa creare una società di pari opportunità e diritti, se non per consentire alle persone di essere libere; libere dalla paura e dal bisogno; libere di seguire i propri talenti, le proprie passioni ed anche il proprio profitto. Crediamo che le vecchia tassonomia politologica tra sinistra, centro e destra sia ormai del tutto anacronistica. Non solo: essa appare oggi un ostacolo per comunicare contenuti progressisti a coloro che, pur non provenendo da una tradizione “di sinistra” o “socialista” in termini novecenteschi, possono condividere con noi valori, intenzioni e iniziative. In un mondo traboccante di ideologia neoliberista, bisogna promuovere un ambizioso progetto social-liberale volto a restituire sovranità monetaria al popolo italiano ed europeo, restituendo alla politica un ruolo sovraordinato rispetto a poteri economici e finanziari. Infine, cerchiamo di analizzare il risultato di queste ultime elezioni politiche in Italia. Il risultato è chiaro e davanti agli occhi di tutti: la Seconda Repubblica …

SOCIALISTI IN MOVIMENTO A LIVORNO

di Angelo Sollazzo Vi è una nuova categoria dei comportamenti politici post-elettorali: le dimissioni per finta. Il terremoto elettorale del 4 Marzo ha lasciato sul terreno morti e feriti gravi.Tra questi la sinistra italiana e quello che restava del partito di Nencini. A pochi giorni dal voto assistiamo alla partita delle beffe, sul chi ha perso di più, su chi deve assumersi le responsabilità, su chi è titolato a ricostruire la casa distrutta. Con tali presupposti la sinistra non verrà mai ricostruita e, se chi ne porta la responsabilità più grande non fa un passo indietro, allora è proprio la fine. Socialisti in Movimento non hanno mai aderito a Liberi ed Uguali e chi lo ha fatto stato solo a titolo personale. Ben due riunioni nazionali avevano confermato la tesi che pur riconoscendo apprezzabile il tentativo di ricostruire a sinistra un soggetto politico fuori dal PD, la scelta di non inserire una quarta gamba di chiara matrice socialista e il conseguente atteggiamento di chiusura verso i socialisti , ci aveva portato a estraniarci da tale progetto, pur consentendo ai propri militanti di candidarsi in tale contenitore. Siamo stati facili profeti, LeU supera a malapena il 3%, nella composizione delle liste ci si preoccupa solo a salvaguardare il proprio ceto politico. Dopo la catastrofe elettorale Grasso neanche pensa a prendere in considerazione un proprio passo indietro. Idem per Bersani, noto portatore di jella, Boldrini etc. Stessa sorte per Fratoianni che fa finta di dimettersi, e per Civati che è stato il più penalizzato di tutti. Insomma LeU e morto, ma bisogna avvisare la famiglia. Con gli stessi personaggi responsabili della pesante sconfitta non si ricostruisce nulla. Socialisti in Movimento non hanno nulla a che spartire con tali persone. Di Renzi abbiamo parlato e scritto abbondantemente e credo sia interesse del PD impedirgli di continuare a parlare con tracotanza ed arroganza, pena la sparizione totale del partito. Veniamo a Nencini ed al listone “Insieme”. Erano stati annunciati sfracelli. Il 3% era dietro l’angolo, Prodi che pontificava e raccoglieva messi di consensi. Alla fine si otteneva il peggiore risultato della storia socialista italiana. Nencini si dimetteva per finta, lasciando tutti nello sconforto, dieci anni di catastrofi non gli sono bastati. Siamo al ridicolo. Per tutti questi motivi l’ultima riunione di Socialisti in Movimento ha rimarcato la propria adesione a Livorno 2018, ha sottolineato la grave situazione interna del PSI, ed ha assunto la determinazione a tentare, con i “compagni di Livorno”, di rimettere in campo un soggetto politico di chiara ispirazione socialista, autonomo ed identitario, con nuovi dirigenti, giovani e preparati, il cui obbiettivo deve essere l’affermazione degli ideali e valori socialisti e non la ricerca spasmodica di un seggio o di un incarico. Questo e solo questo deve essere il ruolo che i tutti i compagni, che nel passato hanno avuto posizioni di primo livello, devono perseguire. Diversamente saremo morti anche noi e le famiglie sono stati già avvisate. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN CONTRIBUTO PER L’INCONTRO DI LIVORNO

di Roberto Biscardini 1. Sul terreno pratico la situazione politica, per quel che ci riguarda di più, può essere così sintetizzata: la sinistra che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni è morta. Una nuova sinistra può nascere solo intorno ad una piattaforma socialista. In questo senso l’incontro di Livorno può rappresentare un primo passo in questa direzione. Un contributo del mondo socialista per il socialismo e la sinistra. Quindi non il superamento della diaspora nella prospettiva della ricostruzione di un nuovo partito socialista e basta, ma molto di più: l’inizio di un percorso nel quale i socialisti partecipano al processo di ricostruzione di una sinistra che non c’è più. Una sinistra che è stata abbandonata dal suo popolo e che ha perso per strada le sue ragioni fondative. L’obiettivo di ricostruire una sinistra revisionista internazionalista e riformista del terzo millennio, così come fecero i nostri nonni nel 1892, non è solo un problema dei socialisti, ma di tanti, animati dal bisogno di giustizia e uguaglianza e dal senso del pericolo per come la situazione si è andata via via involvendo a livello nazionale e internazionale. 2. Se il voto del 4 marzo ha segnato la sconfitta di tutte le forze della sinistra italiana, quella sconfitta non è figlia di un solo giorno. Essa ha ragioni lontane ed è maturata per i gravissimi errori compiuti negli ultimi decenni. Dietro la sconfitta di tutta la sinistra c’è in primo luogo la sconfitta della sinistra Seconda repubblica. La sinistra di Mani pulite che ha pensato di poter sopravvivere e crescere senza fare i conti con la questione socialista, nonostante la morte del comunismo avrebbe dovuto indicare quella come l’unica strada possibile. E’ quindi la sconfitta della sinistra non socialista e antisocialista, che mette la pietra tombale sull’idea che la sinistra possa ancora essere rappresentata da un centrosinistra come pura alleanza delle forze postdemocristiane e postcomuniste. Muore l’Ulivo e la pretesa sempre coltivata di esercitare una sorta di permanente supremazia culturale, quindi anche elettorale, sulle forze della destra, o sovraniste o “populiste”. Ma la cosa ancora più chiara è che quella sinistra non avrà più alcuna possibilità di giocare un ruolo significativo nel panorama politico italiano e internazionale. Potrà occupare ancora qualche spazio ma sarà residuale. E’ la sconfitta che molti di noi avevano previsto ed anche temuto, ma che è andata ben oltre le peggiori previsioni. E’ in primo luogo la sconfitta rovinosa del Pd, che perde in quattro anni più di 5 milioni di voti, insieme all’insuccesso di LeU, che non è riuscito a trattenere la slavina pidiessina. E’ la sconfitta di una sinistra che avendo perso l’orizzonte ideale e politico del socialismo, dal 1994 in poi ha consegnato la propria anima al capitale privato, ha perso il senso della parola “pubblico”, ha teorizzato “meno Stato e più mercato”, ha fatto propria le logica delle privatizzazioni senza liberalizzazioni e concorrenza, senza gare, si è consegnata ai privati e alla finanza internazionale, si è consegnata all’Europa e ai vincoli di bilancio, ha accettato il pareggio di bilancio in Costituzione, la cessione di sovranità senza negoziare, si è consegnata alla magistratura, ha abbandonato la sua gente per essere garante del sistema e dei poteri più o meno forti. Ha praticato l’austerità, ha imposto sacrifici senza dare spiegazioni e senza dare nulla in cambio. Ha praticato politiche per sostenere i consumi senza puntare ad aumentare gli investimenti e quindi l’occupazione. Ha fatto politiche di destra e alla fine si è immedesimata con i valori della destra. Si è resa responsabile di riforme che hanno dirotto gli spazi di democrazia diretta, indiretta, parlamentare e rappresentativa, a livello centrale e locale, sui quali si era retto il nostro paese dopo il 1945. Ha accettato la distruzione dei partiti di massa per scimmiottare modelli altrui. Ha cavalcato il nuovismo, ha ceduto alla logica della personalizzazione della politica e del leaderismo. E’ la sinistra della Seconda repubblica, che paga il prezzo di politiche sbagliate sul piano interno, insieme all’incapacità di rappresentare gli interessi del proprio popolo di riferimento, di chi aveva più bisogno, con redditi più bassi o senza redditi, per cedere ai disvalori della globalizzazione neoliberale. Così ha perso il suo popolo, e il suo popolo si è staccato da lei. Perde il suo popolo antisovranista e popolare, per consegnarlo al sovranismo e al popolulismo. E’ diventata via via sempre più elitaria, e non solo borghese, espressione dei pochi e non di molti, assumendo le caratteristiche peggiori dell’elitarismo aristocratico e verticistico dei centri storici delle grande città. 3. Se è vero che sul campo sono rimaste solo macerie, dalle quali sembra difficile intravedere a breve delle vie di uscita, è anche vero che il momento potrebbe essere però propizio per fare i conti con gli errori del passato e per fare ciò che i decenni alle nostre spalle hanno impedito. Ricostruire cultura socialista, fare emergere ovunque si può il socialismo sommerso che è nel sociale, costruire una nuova prospettiva intorno ad una piattaforma socialista, contando sulla capacità di elaborazione e di lavoro di tanti, ognuno per la propria parte. Da questo punto di vista non interessano nuovi partitini, né quelli socialisti, né quelli altrui, non bisogna essere autoreferenziali, ma semmai trovare i luoghi e gli strumenti larghi, sia a livello centrale che locale, per aprire di fatto la riflessione socialista sulle macerie del Pd. Contando su tutte le energie disponibili e mettendosi a disposizione per elaborare insieme. Infine accompagnare le parole ai fatti. Ben sapendo che l’unica via possibile per la sinistra di rinascere in Italia è muoversi in un quadro di nuove relazioni internazionali. Costruire un nuovo pensiero europeo e un’idea di società socialista, intorno a tre questioni prevalenti: la democrazia (con l’annessa questione di come accettare di perdere sovranità nazionale in cambio di conquistare nuova sovranità internazionale), l’immigrazione (quali politiche per l’integrazione), ed infine il tema del lavoro e di tutte le politiche che devono affrontare di petto le questioni del sottosalario (lo sfruttamento, la schiavitù, i rapporti di lavoro senza tutele). Una piattaforma socialista, che …

“LA PROFEZIA DI BARBANERA”. TURATI A LIVORNO

di Fabio Vander Il mio è un intervento politico. Improntato all’unità della sinistra. Siamo nel 2018. Nella ‘fatal Livorno’. Siamo a 128 anni dalla scissione socialista da anarchici e operaisti del 1892, siamo a 97 anni dalla scissione comunista di Livorno, siamo a 96 anni dalla scissione/espulsione dei riformisti di Turati e Matteotti dal PSI massimalista; a 71 anni dalla scissione socialdemocratica di Saragat; a 54 anni dalla scissione del PSIUP del 1964. Non parlo della espulsione del gruppo del Manifesto, che comunque poi dette origine ad un partito alternativo al PCI. Non parlo neanche delle scissioni degli ultimi decenni. Come si sa la storia si ripete: prima in tragedia, poi in farsa. Ripeto: siamo del 2018. Facciamo un punto. Cerchiamo nella unità della sinistra una prospettiva non solo per il socialismo, che per me significa critica del capitalismo, ma per la democrazia italiana. Voi questa iniziativa di oggi la avete intitolata “Turati aveva ragione”. Sono le parole di Terracini del marzo 1982, in una intervista al TG2, in cui insieme al riconoscimento dell’avverarsi della “profezia” di Turati c’era però anche altro; vi si diceva infatti che nel 1921 tutti, socialisti compresi, erano presi dal “grande fuoco” della rivoluzione sovietica, vedremo nella mia ricostruzione l’enfasi con cui Turati salutava la rivoluzione d’Ottobre, solo “in tempi successivi venne maturando di nuovo la via evoluzionista”. Nessuno allora poteva prevedere come sarebbero andate le cose. Neanche Turati. Fra rivoluzione sovietica e nascita del fascismo la scelta era quasi obbligata. Del resto così come si ricordano le parole di Terracini a tanti anni dai fatti, bisogna ricordare anche le parole di Riccardo Lombardi in un altro drammatico dopoguerra. Nel 1949 infatti Lombardi scriveva: “all’epoca della scissione di Livorno, e notate che anche allora ero personalmente dello stesso parere, non i socialisti avevano ragione, ma i comunisti, non D’Aragona aveva ragione, ma Gramsci”. Anche queste parole bisogna ricordare. Perché se “la storia è sempre storia contemporanea” pure non bisogna mai imporre al passato le volizioni del presente. Lo scambio fra passato e presente deve essere sempre equilibrato e controllato. Perché, come diceva Benedetto Croce, “la storia non è mai giustiziera, è giustificatrice”, bisogna cercare di capire i fatti e le persone, collocandole nel loro tempo. Del resto Terracini concludeva l’intervista del 1982 sostenendo che era ormai tempo di superare il “grande scisma” fra comunisti e socialisti. Ecco io partirei da qui. Turati interviene al XVII Congresso socialista di Livorno, quello celebre della ‘scissione’ comunista, mercoledì 19 gennaio 1921. La mattina erano intervenuti Bordiga e Serrati, due giorni prima Terracini, per conto della “frazione comunista”. Il tema del giorno era ovviamente la questione comunista. Turati condannava la scissione che considerava uno strascico della “psicologia di guerra”; a questa logica opponeva una riflessione sui rapporti fra socialismo e comunismo. I riformisti rivendicavano “diritto di cittadinanza nel socialismo, che è il comunismo, che per noi socialismo comunista e il comunismo socialista, perché in queste denominazioni artificiose, ibride, evidentemente l’aggettivo scredita il sostantivo, e il sostantivo rinnega l’aggettivo”. Dunque Turati voleva salvare l’unità del partito ma senza “artificiose” distinzioni fra comunisti e socialisti. Di contro al comunismo rozzo degli utopisti e ai “socialismi antirivoluzionari” di fine ‘800 Turati difendeva “il comunismo critico di Engels e Marx, il comunismo classico”. C’era una divisone dei campiti fra socialismo e comunismo. Il socialismo appartiene ad una fase iniziale della rivoluzione, quella del “collettivismo”, che si applica “ad una società in periodo classico capitalistico”, a questo periodo sarebbe seguita la “futura società socialista” propriamente detta, in cui regnerà “il concetto più vasto: ‘a ciascuno secondo i suoi bisogni’”. Dunque il rapporto fra socialismo e comunismo è fra due fasi dello stesso processo. Turati rivendicava con forza la sua appartenenza a questo processo storico di fuoriuscita dal capitalismo: “Compagni, questo comunismo, in un senso o nell’altro, questo comunismo che è il socialismo può anche espellermi dalle file di un partito, ma non mi espellerà mai da sé stesso”. La vera forza, anzi grandezza, dell’intervento di Turati a Livorno è questa, questa capacità di rivendicare una “unità del Partito” non come fatto formale o difesa di una classe dirigente, ma sapendo vedere lontano, prefigurando un processo politico che era un processo storico: dalla rivoluzione socialista alla società comunista. L’intervento continuava secondo una logica stringente: “questo comunismo, questo socialismo e questo comunismo, non solo noi lo abbiamo imparato negli anni della giovinezza sui testi sacri -direi quasi- della nostra dottrina, ma lo abbiamo in Italia, per solo merito di anzianità, ripeto, insegnato alla massa, al Partito nostro”. Il partito di Turati si era dunque formato non solo sui “testi sacri” di Marx ma con una lunga pedagogia politica, sempre cercando di tenere insieme la “fatica del concetto” con “la conquista del potere da parte del proletariato costituito in Partito indipendente di classe”. Con mossa a sorpresa Turati rivendicava contiguità proprio con l’intervento di Terracini; condivideva cioè “questa conquista del potere che il compagno Terracini -mi pare ieri /rectius due giorni prima/- enunciava come segno di distinzione tra la loro schiera e la nostra, fra il programma antico e quello nuovo” (p. 323). Anzi Turati sosteneva che i comunisti erano arrivati tardi, perché in verità i socialisti italiani già nel 1892 si erano separati da operaisti e anarchici perché volevano essere un “partito politico”, per muovere proprio “alla conquista del potere politico”. Insomma il fine fra socialisti e comunisti era comune. Dov’era allora la differenza? In aspetti marginali, tattici. In questioni concernenti la “pura e semplice valutazione della maturità della situazione e la valutazione di alcuni mezzi episodici”. Il “mezzo” dei comunisti era la “dittatura del proletariato”. Turati la rifiutava senz’altro come “dittatura di minoranza”, che sarebbe “imprescindibilmente dispotismo tirannico”; come detto la considerava uno strascico della “psicologia di guerra”, di “vecchie mentalità blanquiste”. E invece la rivoluzione non è “il fatto volontario di un giorno o di un mese o di qualche mese”, ma processo “che procede per lente conquiste, che dura dei decenni”. Una concezione della rivoluzione in Occidente quella di Turati. Anche questa …

NECESSITA’ DI UNA SINISTRA NUOVA

di Valdo Spini Trai risultati realmente epocali delle elezioni del 4 marzo 2018 c’è quello che riguarda la sinistra o, come si dice ora, il centro-sinistra. Giustamente Giovanni Sabbatucci aveva richiamato che la somma socialisti-comunisti e liste affini era rimasta stabile per tutto il corso della “prima” repubblica. Dalle elezioni del 1946 almeno fino a quelle del 1987 i due partiti hanno sempre totalizzato più del 40% dell’elettorato, naturalmente con una composizione diversa di questa sommatoria: nel 1946 divisa a metà con una lieve superiorità dei socialisti, poi via con una netta redistribuzione a favore dei comunisti fino all’avvento di Craxi, che operò un parziale recupero a favore del Psi. Durante la seconda repubblica con tutti i nuovi partiti che sono via via sorti nell’area di centro-sinistra si arrivò al 33% circa con il Pd di Veltroni e al 38$ della sua coalizione. Ora, in queste elezioni siamo arrivati ad un Pd che va sotto il 20%, (partendo dal 40,8% dell’europee del 2014) ad una nuova formazione la Leu, che nonostante la presenza dei presidenti uscenti delle due camere supera di poco la soglia di sbarramento del 3% e una lista ancora più a sinistra, Potere al Popolo che supera di poco l’1%. Totale: 25%. Un risultato drammatico, anche se certamente in Europa non isolato e le cui radici stanno evidentemente nell’evoluzione economica e sociale susseguente alla crisi del 2007-2008. Direi drammatico, anche perché per molti versi, dagli interessati inatteso. Se le radici strutturali di questo risultato stanno nelle crescenti disuguaglianze e nel senso di esclusione che questo risultato ha generato, quelle politiche affondano nel modo in cui si è affrontata la vittoria del NO al referendum del dicembre 2016. Matteo Renzi aveva due scelte serie di fonte a sé. O ritirarsi realmente lasciando che il Pd cercasse di risalire la china con dirigenti e approcci diversi, (salvo ritornare ove richiamato) oppure aprire al no cooptando idee, ragioni ed esponenti del NO nell’attività di governo e nella ristrutturazione del partito. Ha scelto un terzo approccio, quello della rivincita, che si è dimostrato fallimentare. In questo senso mi sentirei di dire che Il Partito Democratico si è rivelato come un partito frettolosamente costituito e frettolosamente diviso. Oggi è al tempo stesso l’ago della bilancia della soluzione di governo postelettorale, ma anche il campo di tensione della stessa, percorso com’è dalle scosse elettriche delle possibili soluzioni. Il Pd sembra quasi invitare le due forze uscite vittoriose dalle urne, Movimento 5Stelle e Lega a formare un’alleanza, rispetto alla quale assumere una chiara posizione di opposizione.  Ma se questo non avviene? A prendere sul serio le pronunce del Pd avverso ad alleanze sia col Movimento 5 stelle che con il centro-destra, c’è da credere che o col governo Gentiloni o con un brevissimo governo di scopo sostenuto da tutti si vada a breve termine a nuove votazioni, magari precedute da una piccola ma incisiva riforma elettorale. Nuove elezioni a breve in che condizioni troverebbero l’area di sinistra e di centro-sinistra e il Pd in particolare? E in questo caso bastano per rilanciare il Pd la prospettiva di assemblee interne di partito, aperte magari alla partecipazione di qualche esterno? Piuttosto si dovrebbe invece cercare attraverso dialoghi nella società civile e con le diaspore politiche che si sono formate, di arrivare ad una vera costituente, che si proponga innanzitutto di definire che cosa sia una sinistra di governo e di unirsi intorno a questa comune presa di coscienza. L’iniziativa di dibattito presa dalla Fondazione Circolo Rosselli vuole proprio invitare la società civile che si riconosce nei valori del centro-sinistra e della sinistra a fare sentire la propria voce.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it