IL GRANDE SILENZIO DELLA SINISTRA ITALIANA

di Alberto Benzoni Dal dopoguerra ad oggi, la sinistra italiana è stata disastrosamente sconfitta per ben tre volte. La prima, e apparentemente, più clamorosa, fu quella del Fronte nel 1948. Ma sia il Pci che il Psi seppero immediatamente attuare o comunque anticipare il loro piano B. Togliatti disse subito ai suoi collaboratori “è andata bene così“. Ed era andata bene così perchè il successo del Fronte avrebbe provocato una crisi grave e incontrollabile sul piano interno e internazionale. Mentre la sua definitiva sconfitta apriva la strada ad una lunghissima guerra di posizione dove il Pci, forte dei suoi legami internazionali e del suo radicamento sociale (e intellettuale) avrebbe potuto esercitare al meglio il suo ruolo di tribuno del popolo e di intellettuale organico. Nel Psi, la corrente autonomista si riunì immediatamente all’indomani del voto, chiedendo ed ottenendo un congresso che avrebbe poi largamente vinto. E i temi sollevati a Genova sarebbero stati sì messi sotto il tappeto nello scontro tra i blocchi contrapposti e nel clima della guerra fredda; ma per risorgere e affermarsi a partire dalla metà degli anni cinquanta. La seconda fu quella di Mani pulite. Ma colpì soli i socialisti, scelti da tutti come capri espiatori delle malefatte (?) della prima repubblica. I comunisti (come i cosiddetti “cattolici democratici”) seppero tradurre la reale sconfitta in vittoria. E lo fecero vendendo al propria anima a grandi poteri privati, alla magistratura e all’Europa. Trasformandosi da partito guida dell’avanzata del movimento operaio in garanti del sistema: distribuzione del potere, rispetto rigoroso dell’ortodossia economico-finanziaria e luogo deputato della difesa della moralità pubblica e, sempre più spesso, anche privata. Una rendita di posizione che si sarebbe via via consumata nel corso del tempo sino al “redde rationem” di questi ultimissimi anni; ma che avrebbe funzionato, eccome, nel frattempo. La terza è stata quella del marzo 2018. E rischia, a differenza dalle altre, di essere definitiva, almeno per la sinistra che abbiamo conosciuto e frequentato nel corso di lunghi decenni. Non a caso essa è stata seguita da un grande silenzio, interrotto da grida inarticolate o da proclami autoreferenziali. Un grande silenzio che reca in sè la amara consapevolezza che i ruoli che le varie forze della sinistra, in particolare ex comunista, si erano assegnati, non possano più essre svolti e che non se vedano altri a dsposizione. Se oggi il Pd dice “opposizione, opposizione”non lo fa perchè ha una qualche idea precisa su come svolgere questo ruolo (opposizione a chi ? o a che cosa ?) ma perchè vuolo essere lasciato in pace, nell’illusione di potere metabolizzare il proprio disastro. Un disastro che non concide soltanto con la perdita di voti; ma con la perdita della funzione di garante del sistema, questa, temo, definitiva. Per la prima volta nella storia italiana il gruppo dirgente ex Pci o ex Dc, non dà più le carte e non siede più al tavolo di chi conta in una suite a ciò predisposta; uno shock esistenziale da cui sarà difficile riprendersi. Leu (Liberi e Uguali), in una specie di training autogeno, dichiara di voler continuare. Ma lo dichiara con parole senza convinzione e senza peso. Perchè sa che con il suo 3% gli sono definitivamente preclusi sia l’obbiettivo di diventare il punto di riferimento per la ricostruzione del “vero Pci“sia, e maggior ragione, quello di essere la massa critica per la ricostruzione di una sinistra di opposizione. Rimane quello di essere “corrente esterna“di un Pd allo sbando; ma, allora, perchè aver fatto la scissione? Un silenzio complessivo che è quello di un campo di rovine. Naturalmente, i campi di rovine sono anche degli spazi aperti; e nello specifico sia alla sinistra radicale che a quella riformista o, meglio, riformatrice. Ma queste non sono ancora comparse sulla scena; nè hanno piantato sul terreno bandiere visibili e attraenti. Il loro problema è esattamente inverso a quello dell’area ex Pci. Esistono, e come, sia lo spazio che il ruolo; mancano, o sono almeno del tutto insufficienti le forze a disposizione anche per l’incapacità di fare definitivamente i conti con il proprio passato. Potere al popolo (al quale, lo dico per dovere di verità nei confronti di chi mi legge vanno tutte le mie simpatie) contiene in sè tutte le potenzialità della sinistra incarnata da Mèlenchon (e anche da Podemos): una sinistra in cui la rivendicazione della sovranità nazionale non è un obbiettivo in sè, ma il coronamento di un progetto di recupero dei valori del socialismo e della democrazia su scala nazionale ed anche europea, se non la condizione necessaria per poterlo svolgere. Ma rischia di essere frenato dal settarismo, dal “poverismo“e dalla vocazione irresistibilmente minoritaria che segna anche psicologicamente la storia della sinistra di opposizione. In quanto ai socialisti il loro lungo silenzio -un silenzio che ha fatto sì che la stessa parola “socialismo“non evochi nulla nella mente dei loro potenziali ascoltatori- è legato a fil doppio alla loro paranoica autoreferenzialità. E allora chi voglia parlare, come si farà sicuramente nell’incontro rifondativo di Livorno, (il 24 marzo 2018 ndr.) dovrà, per prima cosa, lasciarsi alle spalle questo passato. Essendo, conseguentemente, consapevole che, per uscire dal mortale silenzio che ci ha progressivamente soffocato in questi venti e più anni non basta pronunciare la parola magica; ma sarà necessario tradurla in iniziative, eventi, battaglie, riflessioni collettive, personalità che ne siano credibili testimoni. Nulla ci assicura che il definire correttamente un percorso garantisca il suo successo; limitiamoci a dire che è la condizione necessaria per intraprenderlo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MONETA FISCALE E’ VIVA E VEGETA, MA NON IN ITALIA

di  Stefano Sylos Labini Mentre in Italia i grandi giornali come il Corriere della Sera, la Repubblica e il Sole24Ore hanno pubblicato articoli contro la Moneta Fiscale che è stata stroncata anche dalla Banca d’Italia, la stampa finanziaria inglese sta prendendo molto sul serio questa proposta ritenendola tecnicamente fattibile. Il Gruppo della Moneta Fiscale composto da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa e dal sottoscritto, ha mandato una breve lettera di commento all’articolo di Martin Wolf uscito sul Financial Times il 13 marzo, vediamo se sarà pubblicata. Italy is storing up trouble for the eurozone, Financial Times-11 mar 2018 Fiscal money is technically different. But the idea of using one instrument to simulate another is similar: the Italian government would formally issue a credit note and transfer it to each citizen, say €1,000 per person. People could use it to pay their taxes or trade the notes at a discount. Eurozone Inflation to Undershoot ECB Target, Financial Tribune-12 mar 2018 The fiscal overshoot could fuel debate about a parallel currency as a soft alternative to a euro exit. There is a lot of excitement among some Italian economists about “fiscal money”, as it is also known. The idea is to use the tricks of modern finance to create something that performs functions resembling those of money, but that remains outside the control of the central bank. Italian election results expose eurozone inadequacy, Financial Times-13 mar 2018 Some Italian economists now argue that the country could obtain a degree of macroeconomic policy freedom by issuing what is known as “fiscal money” — a parallel currency that could be used to pay Italian taxes. This is technically possible. It would surely create hysteria in northern Europe, since it would eliminate the monetary policy monopoly of the ECB. But the very fact that such a radical idea is being discussed demonstrates the scale of the disenchantment in so large and important a country. Bisogna capire se questo interesse della stampa finanziaria inglese sia legato anche alla convinzione che la moneta fiscale può essere l’unica possibilità concreta per scardinare l’egemonia tedesca sull’Europa monetaria. Un’egemonia che da una parte sta determinando l’impoverimento e la destabilizzazione dei paesi del blocco mediterraneo e dall’altra parte permette alla Germania di ottenere vantaggi enormi sul piano commerciale. Credo che la moneta fiscale per affermarsi debba avere un sostegno internazionale anche alla luce del fatto che nessuno permetterà mai l’uscita dell’Italia dall’euro e quindi la disintegrazione della moneta unica. E’ uno scenario troppo rischioso per il sistema finanziario mondiale. Noi proponiamo la moneta fiscale per creare potere d’acquisto evitando di chiedere soldi sui mercati e diciamo ai tedeschi: vi ricordate di Hjalmar Schacht e delle cambiali MEFO come mezzo di pagamento parallelo al marco? Sapete che in questo modo in pochi anni fu possibile ricostruire le infrastrutture, rilanciare la produzione industriale, abbattere la disoccupazione e purtroppo creare le condizioni affinché Adolf Hitler scatenasse la seconda guerra mondiale ? Ecco noi vogliamo fare la prima parte del programma e non la seconda perché siamo persone pacifiche, quindi non ostacolateci con i vostri ricatti e le vostre intimidazioni – la BCE chiude i rubinetti alla banche commerciali e smette di comprare titoli pubblici per tenere bassi gli interessi – e soprattutto riflettete sul miracolo economico della Germania nazista. Perché all’inizio degli anni ’30 Hjalmar Schacht lanciò le cambiali MEFO come strumento di pagamento alternativo/parallelo al marco ? Perché il Governo tedesco non poteva disporre delle leve di politica monetaria a causa del blocco imposto dai creditori che controllavano la banca centrale e perché avrebbe ricevuto prestiti sui mercati finanziari con un altissimo tasso di interesse. Per questo il Governo creò una società (MEFO, società per la ricerca in campo metallurgico) che emetteva cambiali garantite dallo Stato per pagare i fornitori statali. E’ la stessa situazione in cui si trova oggi l’Italia che avrebbe la possibilità di emettere titoli garantiti dalle tasse per rilanciare la domanda interna evitando di chiedere prestiti sui mercati finanziari. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PRAGMATICI CON VISIONE

di Renato Gatti Il tramonto dell’ideologia socialista Oggi l’ideologia socialista, in tutta Europa, salvo gli sprazzi di Corbyn, e nel mondo, salvo gli sprazzi di Sanders, appare in netto stato di obsolescenza. Quando parlo di socialismo non mi riferisco ad un particolare partito, ma al suo messaggio culturale indipendentemente da come esso sia stato interpretato e vissuto nei vari paesi e dai vari partiti. Anche gli intellettuali, che negli anni trascorsi hanno interpretato quel ruolo gramsciano di creatori di cultura, si sono rifugiati in un conformismo sdraiato sull’esistente (non tutti per fortuna) sicché la loro funzione di antitesi è venuta sfumando. Mi piace citare Carlo Carboni quando scrive che “Le élites hanno via via perso cultura e scopo politico. Gradualmente hanno smarrito il senso del passato e del futuro. Abitano un presente senza profondità.” Se penso ad una piazza (agorà, foro) del ’68 vedo gruppi di giovani creativi, in azione, contestanti, solidali, comunitari; insomma una specie di intellettuale collettivo che ha modificato radicalmente la cultura esistente. Se penso ad una piazza oggi, vedo lo stesso numero di giovani di allora, ma tutti apatici, individualistici, autoreferenziali (i selfies dilagano), tutti intenti a comunicare con lo smartphone, onanisticamente avulsi dalla comunità. Il fatto curioso è però che sugli smartphone sono sintonizzati sui “social”. L’individualizzazione che ricerca un approdo sul “social”; messaggio colto dai 5 stelle. Non credo che ci sia speranza di rivedere risorgere un socialismo ideologicamente romantico, basato su soli dell’avvenire, bandiere rosse che sventolano al vento o fumose riunioni di partito. Credo che il tramonto del socialismo romantico possa trovare uno sbocco in un modo socialista di affrontare pragmaticamente i problemi con metodo scientifico ed umanistico; consapevole che l’approccio socialista ai problemi è l’unico capace di rimediare ai danni che il capitalismo sta generando, particolarmente nella sua fase di capitalismo finanziario. In fondo, oggi, dobbiamo anche tener conto che rispetto al socialismo romantico, si presenta un altro antagonista, assente nei secoli scorsi, quel general intellect, che è il padre ed il creatore della rivoluzione tecnologica, e  che lentamente sta realizzando che la sua creazione viene appropriata dal capitale in dimensioni e quote mai viste, se è vero che gli incrementi di produzione sono andati per la stragrande maggioranza all’1% della popolazione ed il resto il solo restante 99%. Se posso fare un esempio, forse un po’ forzato, direi che non dobbiamo più comportarci con la mentalità del “de jure condendo” ovvero della società ideale che vogliamo costruire, ma con la mentalità del “de jure condito” ovvero, piedi per terra, agire sull’esistente così com’è, per cambiarlo. Pragmatismo scientifico allora, ma con una visione su un futuro che sta già operando con un nuovo modo di produzione. E sappiamo che quando il modo di produzione cambia vanno in crisi i rapporti di produzione tra le forze produttive e tali mutamenti (una volta si diceva lotta di classe) vanno individuati e studiati a fondo; vanno elaborate strategie che siano in grado di governare il cambiamento prima che il cambiamento governi noi. Se poi il cambiamento ha aspetti di una estrema radicalità si impone un dovere morale di agire sin da subito, prima di essere travolti, con la consapevolezza che la scienza umanistica socialista è l’unica che può proporsi nell’ennesima alternativa tra “socialismo e barbarie”. Fonte: ideologiasocialista.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LIVORNO 2018 ORE 10.00 “IL TEMPO STRINGE”

di Roberto Finessi Quando gli studenti di scienze politiche del futuro studieranno il periodo storico che parte dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla caduta del muro di Berlino e analizzeranno questo periodo storico sia in Italia, che in quella parte di Europa ad occidente della cortina di ferro, si accorgeranno del processo di minimizzazione ed oblio, come pure di vera denigrazione, del ruolo della socialdemocrazia; perchè questo è avvenuto e sarebbe ora di averne consapevolezza. Gli studenti di Scienze Politiche, scopriranno che in mezzo secolo di democrazia parlamentare, con lunghi periodi caratterizzati da governi a guida socialista, si è realizzato un vero e proprio balzo in avanti di quelle categorie popolari che Marx definiva classi subalterne; un progresso che non aveva mai toccato ed in così breve tempo tali livelli di benessere, e di libertà per le popolazioni centro occidentali. Concetti come salute universale, diritto universale all’istruzione, libertà di espressione, diritti civili, concertazione sindacale, stato sociale, etc., sono entrati nella vita di tanti cittadini europei e quindi anche in Italia , dove leggi come lo Statuto dei lavoratori, lo stato di diritto, il diritto di famiglia ed i grandi temi sulle libertà individuali ed etiche: divorzio e aborto, si sono realizzate grazie al contributo fondamentale dei socialisti italiani, a partire dalla progettazione dalla carta costituzionale e almeno fino a tangentopoli. Si è fatto di tutto per cancellare la presenza socialista e lo si è fatto sia da parte di ambienti comunisti, come pure in ambienti democristiani; questi ultimi poi, specialmente la componente di sinistra, non ha mai digerito la nostra continua propensione alla realizzazione di una mentalità collettiva fortemente laica; in Italia poi siamo arrivati al paradosso che alla caduta del muro di Berlino, invece di prendere atto che la socialdemocrazia era nel giusto, gli ex comunisti e cattocomunisti, hanno iniziato un processo di trasformazione in senso liberale arrivato oramai a queste macerie odierne, cioè alla demolizione della tradizione riformista del nostro paese. Questo è lo stato dell’arte ed è da questa analisi che dobbiamo ripartire per lanciare una nuova stagione di riformismo, adattando il socialismo a questo nuovo scenario economico globalità che vede il predominio del capitalismo di tipo finanziario, relegando ampi settori manifatturieri a processi produttivi altamente automatizzati nei paesi occidentali e caratterizzati da produzioni a costi di manodopere molto bassi e appannaggio di paesi extra comunitari, asiatici sopratutto. Il liberismo sta erodendo giorno dopo giorno le conquiste realizzate nei decenni passati e avrà sempre più bisogno di introdurre elementi di autoritarismo nelle nostre democrazie; oltre a questo pericolo, dobbiamo registrare un’opposizione al liberismo di tipo sovranista e populista che propone delle ricette peggiori della malattia; DOBBIAMO FARE PRESTO, IL TEMPO STRINGE. A mio avviso non si può rilanciare un nuovo riformismo radicalmente antiliberista, se non si progetta una visione di società alternativa e, per poterlo fare, dobbiamo chiudere definitivamente con gli errori, le discriminazioni e le ambiguità del passato. Buon lavoro a tutti e Avanti verso Livorno! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CHE FARE?

di Dario Allamano Care compagne e cari compagni, la cronaca della seconda Repubblica finisce qui, e finisce qui ed oggi per tutti. Un dato di fatto è incontestabile, coloro che a sinistra 25 anni fa approfittarono della distruzione del socialismo democratico e riformatore italiano pensando di poter costruire un Partito sul NULLA sono arrivati al capolinea. Il potere per il potere, senza uno straccio di Storia e Cultura condivisi ha portato il PD alla disfatta. LeU che si presentava come una possibile soluzione ha superato a stento il 3%. Queste elezioni confermano una cosa: il vecchio gruppo dirigente del PCI, sopravvissuta al crollo del mito sovietico, ha perso ogni capacita di capire la realtà per trasformarla. Il PSI che poteva essere una possibile alternativa si è annichilito. Il logo del PSI ormai non è più un SIMBOLO ma un semplice marchio commerciale. Mi spiace che tanti compagni e compagne che hanno creduto nella sopravvivenza di un Partito sempre più debole oggi si trovino di fronte ad una realtà tremenda, la scomparsa del PSI. Il centro destra è ormai un polo dominato dalle demagogie populiste di Lega ed ex fascisti. Berlusconi e la sua Forza Italia si sono evaporati e con lui l’idea che si poteva essere socialisti in quel partito. FI ha di fronte a se un futuro tremendo, la fine del suo leader storico, e i forzitalioti hanno di fronte a se un bivio o con-fondersi con la Lega o provare a fare con i renzisti un partito moderato di centro. Che fare? Da oggi inizia un lungo e duro lavoro per ricostruire in Italia un’Idea di Socialismo possibile per il XXI secolo, ma nella consapevolezza che si parla di socialismo democratico, riformatore ed AUTONOMO. Da Livorno si riparte, iniziando a disegnare un Progetto politico che abbia al suo centro una possibile REDISTRIBUZIONE della poca ricchezza che ancora qui si produce, partendo dalla chiave di volta per una redistribuzione democratica: il FISCO. Senza promettere sconti a nessuno, perché i servizi costano e noi socialisti non siamo per Storia e Cultura fautori della privatizzazione del Welfare e dell’Assistenza. Lasciamo il politicismo ad altri. A me personalmente cosa avverrà nel PD interessa poco o nulla, che LeU non sarebbe stata l’alternativa lo scrivo da mesi. Una sola strada ho in mente oggi: Sempre Avanti verso Livorno! Il primo passo di una lunga marcia per riportare l’Italia a credere nel Socialismo democratico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ECCO PERCHE’ NON CREDO AL PROCESSO UNITARIO DEL 5 MARZO DI CIVATI, SPERANZA E FRATOIANNI

Care compagne e cari compagni, non credo all’ennesimo congressino dell’ennesimo partitino della generica sinistra Italiana che viene annunciato come partente il cinque Marzo. Non ci credo semplicemente perché ho già vissuto questi momenti. Per restare solo al passato recentissimo, senza tirare fuori le varie Fds, Sinistra Arcobaleno et similia, basti solo vedere come sono nati Sinistra Italiana ed Articolo Uno. Entrambi dovevano essere il partito di tutta la sinistra, il partito del lavoro, il partito dove tutti i militanti contavano. Ed invece sono esplose le guerre di fazione, le correnti e correntine, i pacchetti di tessere, gli organismi dirigenti composti in base a logiche spartitorie. Io davvero credo che così non né usciamo. Non né usciamo e lo dico con dispiacere, se non invertiamo la rotta di partiti che nascono dai gruppi parlamentari, al chiuso di una sala Romana. Serve un processo unitario largo, del Socialismo del ventunesimo secolo, non genericamente di sinistra, capace di partire con dei processi di partecipazione ed elaborazione di programmi minimi a livello regionale, provinciale, comunale e di quartiere, serve una casa del Socialismo a provincia, non l’ennesimo minestrone già pronto calato da Roma. Serve che i protagonisti di queste sconfitte, gli stessi da venti anni, facciano un deciso e profondo passo di lato.  O così o purtroppo non torneranno a partecipare coloro che a queste elezioni non voteranno, coloro che un lavoro non ce l’hanno, coloro che vivono ai margini del centro urbano, politico ed economico del nostro Paese. Poi chiaro c’è a chi sta bene così, ma sono anche convinto che per tanti e tante altre non sia questa la strada a cui si vuole arrivare. Io credo, lavoro, mi impegno affinché Livorno il 24 Marzo sia la prima tappa di questo percorso. Antonino Martino SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

INVETTIVA CONTRO I RADICALI DI EMMA BONINO

di Enzo Marzo Non ditemi che vi siete meravigliati. La notizia che, prima tra gli alleati di Renzi, Emma Bonino, assieme all’ultraclericale Lorenzin, si è assunta la responsabilità di aprire a un governo con il pregiudicato incandidabile Berlusconi, era scontata. Noi ci avremmo scommesso qualche soldo. I radicali sono animali politici strani ma consuetudinari: spesso si impegnano in qualche battaglia civile sacrosanta, ma se si infilano in parlamento o nelle battaglie partitiche raggiungono vette di trasformismo e di avventurismo che non hanno uguali. Forse non hanno colpe soggettive, il loro DNA è quello. Nel Novecento, alle epocali svolte reazionarie non sono venuti a mancare mai all’appello. Dopo la marcia su Roma i radicali presero armi e bagagli e, sorprendendo tutti, si vendettero a Mussolini per una manciata di ministeri, all’avvento di Berlusconi si precipitarono ad Arcore col cappello in mano per “aiutare” la nascente Forza Italia a realizzare la “rivoluzione liberale”. Rigonfi di cinismo e di presunzione si svendettero per un mucchietto di quattrini e qualche posto secondario. Ebbero persino la sfacciataggine di entrare in parlamento all’interno del gruppo di Forza Italia e così ebbero l’onore di sedere accanto al fior fiore del  malcostume politico italiano. Ma i pannelliani avevano ed hanno stomaci forti. L’unica che ci guadagnò qualcosa fu proprio Emma Bonino, scelta da Berlusconi come commissario europeo dal 1995 al 1999. Avevano l’intento di  insegnare a Berlusconi il liberalismo e ovviamente non ci riuscirono, però regalarono, per il mainstream, una patina “ideologica” a chi nel frattempo pensava rigorosamente solo a salvare le sue aziende in crisi, e sé stesso e i suoi accoliti dalle disavventure giudiziarie. Nacque allora il risibile mito del Berlusconi “liberale”. Nacquero allora le leggi  ad personam e Raiset, e i radicali con grande in/dignità digerirono tutto. Loro, i presunti massimi difensori della legalità e della libertà di informazione. Non potevano insegnare il liberalismo a Berlusconi, non solo perché l’alunno aveva la testa dura, era disinteressato alla materia e pensava a cose più solide, ma anche perché ormai da tempo i radicali stessi avevano smarrito i principi di base. Non era stato Pannella, durante l’ipocrita predicazione antipartitocratica, a inventare per primo il “partito personale”? Non era stato lui a creare la lista co su, bello scritto, il nome del Capo? Non fu lui a precorrere tutti nell’ organizzazione del partito totalitario sotto un padrone, carismatico o finanziario che fosse? Ostentando il disegno di “cambiare” Berlusconi ,furono proprio i pannelliani a subire una metamorfosi. Senza vergognarsi neppure un po’, passarono dal liberismo della scuola italiana al neoliberismo selvaggio all’americana. Passarono da Ernesto Rossi al servizio del più disinvolto “padrone del vapore”. Il loro tradimento non ha attenuanti, perché dopo Tangentopoli, con i comunisti e i socialisti a pezzi, i pannelliani avrebbero potuto costituire davvero il nucleo fondante di una sinistra liberale, democratica e laica. Non lo hanno fatto, anzi si sono intruppati col peggio del peggio dell’Italia d’allora. Tradirono per mettersi con Dell’Utri e Previti. Che conoscevano benissimo. Per qualche poltrona di nessun valore hanno mancato un’occasione storica che non si ripresenterà presto. Dopo la scomparsa di Pannella, i radicali si sono divisi, e a quanto sembra proprio quelli che hanno seguito Bonino sono i veri prosecutori del trasformismo radicale. Già un segno inquietante quanto risibilmente sfacciato è venuto in occasione delle elezioni comunali di Milano, quando il boniniano Cappato, prima, fa fuoco e fiamme contro il candidato del Pd, Sala, additato come “incandidabile”, e solo dopo pochi giorni – fatto aumentare il prezzo, tra il primo e il secondo turno lo trasforma in santo, la fa diventare per miracolo non solo candidabile ma il migliore sulla piazza. I radicali invitano a votare Sala e incassano un assessorato. Operazione sfacciata da mercato rionale. Infine arriviamo ai tempi nostri. I boniniani , nel momento della presentazione della liste si accorgono (solo allora) che la riforma elettorale di Renzi è pessima e li danneggia. Hanno ragione, ma ciò li spinge ad allearsi proprio con Renzi, aiutati da vecchi democristiani. Operazione del solito trasformismo di bassa lega? Certo, ma non solo:  Emma Bonino non si accontenta e lancia la possibile alleanza con Berlusconi. Le è indifferente che oggi la mummia di Arcore sia alleato in coalizione, con un programma comune, con i sovranisti e i fascioleghisti. Ma che ci si vuol fare: i vecchi amori non si dimenticano mai. E non conoscono  pregiudiziali. I radicali, quando ritornarono in parlamento nel 1976,  volevano sedersi in “Montagna”, in alto a sinistra, ora siederanno compiaciuti in quello che Duverger definì “l’éternel marais”, nella palude, tra Giggino ‘a purpetta e Boschi, la costituzionalista. Bonino, ventriloqua di Renzi,  si propone come “pontiera” per le “larghe (quanto?) intese”, quelle che hanno distrutto la sinistra e  hanno riabilitato un frodatore dello stato. Quelle che regaleranno a un pregiudicato per chissà quanto tempo, di nuovo, il nostro paese al colmo della corruzione, della delinquenza politica e dell’assoluta incompetenza. C’è da rimanere sgomenti di fronte a tanto cinismo. Quando gli storici del futuro dovranno scrivere la storia di questo periodo chissà a quale posto porranno Emma Bonino nella classifica dei politici che hanno la responsabilità della distruzione materiale e morale dell’Italia. Fonte: Fondazione Critica Liberale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PERCHE’ E’ IMPORTANTE VENIRE IL 24 MARZO A LIVORNO

di Aldo Potenza In un bel libro pubblicato nel 2000 Larry Siedentop scriveva: “Stiamo apparecchiando un’Europa ad uso e consumo dei banchieri, dei consulenti e dei manager? L’occidente ha respinto la sfida comunista solo per cadere nelle mani di una élite non eletta, arrogante e sfruttatrice?” Il liberalismo, ideologia dominante della nostra epoca, è stato pericolosamente distorto dall’impatto dell’economicismo: buttato giù dal suo piedistallo, il cittadino è stato sostituito dal consumatore, gli esseri umani diventano soggetti passivi anzichè attivi. Se l’idea dell’Europa finisce per essere associata sopratutto all’arroganza di élite che non rispondono del loro operato, l’idea dell’Europa finirebbe per dividere anzichè unire. Vi sembra che abbia avuto torto nell’esprimere queste preoccupazioni? Purtroppo la terza via, quella che si può definire neoliberismo progressista, la strada indicata da Tony Blair e Clinton, ha favorito l’affermarsi della èlite finanziaria ed economica ed ha disarmato il socialismo democratico di fronte al neoliberismo che è il terreno su cui prosperano quelle élite. PER CONTRASTARE QUESTO DOMINIO OCCORRE RILANCIARE IL MESSAGGIO CULTURALE DEL SOCIALISMO DEMOCRATICO AGGIORNANDOLO ALLE CONDIZIONI DEL MONDO CONTEMPORANEO E AI CAMBIAMENTI CHE SI PROFILANO NELL’ECONOMIA. ECCO PERCHE’ E’ UTILE PARTECIPARE ALLA CONVENTION DI LIVORNO. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AMERICA, PAESE DELLE OPPORTUNITA’ O DEI RICCONI?

di Pierfranco Pellizzetti «La rivoluzione avverrà in America o non avverrà…Bum!»[1]. Mary McCarthy (vs. Jean François Revel) «If you want to read a real history book, read Howard Zinn’s “A People’s History of the United States”. That book will knock you on your ass»[2]. Matt Damon   Howard Zinn, Storia del popolo americano, il Saggiatore, Milano 2017 Fabrizio Tonello, “L’oligarchia americana”, MicroMega 5/2017 Comprare qualcosa Le cronache riferiscono che qualche giorno dopo la tragedia dell’11 settembre e il crollo delle Torri Gemelle newyorchesi, mamma Barbara Bush chiamò al telefono il presidente degli Stati Uniti – suo figlio George jr. – chiedendogli come si potesse contribuire alla reazione patriottica post-attentato e quello le rispose di “compiere il gesto americano per eccellenza: andare in un negozio e comprare qualcosa”. Storiella che contiene, al tempo stesso, tanto un po’ di vero come di falso. Una verità di superficie, smentita dell’effettiva natura profonda di quello stato continentale nato dall’insurrezione delle Tredici Colonie nel fatidico 16 dicembre 1773 e che chiamiamo “rivoluzione americana”. Scoppiata per una questione di tasse. In effetti – come ha dettagliatamente illustrato Victoria De Grazia, storica della Columbia University – già agli inizi del Novecento la democrazia degli affari americana aveva teorizzato con il presidente Woodrow Wilson la creazione di un grande emporio mondiale guidato dagli States, che sostituisse con lo scambio delle merci la bellicosità imperiale degli europei: «gli Stati Uniti si consacravano come il primo regime al mondo basato sui consumi di massa»[3]. Un’invenzione, a conferma che il popolo e i suoi orientamenti sono una costruzione sociale; non un dato immutabile, per così dire, “spontaneo”. Difatti, nel caso americano, siamo in presenza di una sapiente operazione manipolatoria a misura delle esigenze insite nella nascente produzione di massa. Ce lo raccontava anni fa Jeremy Rifkin: «convertire gli americani dalla psicologia della sobrietà a quella della spesa si rivelò un compito assai difficile. L’etica protestante del lavoro, che dominava lo spirito della frontiera americana, aveva radici molto profonde. La parsimonia e il risparmio erano le chiavi di volta dello stile di vita americano, elementi fondamentali della tradizione yankee che aveva avuto una funzione di guida per intere generazioni e costituiva un punto di riferimento per milioni di emigranti che speravano in un futuro migliore. Per la maggioranza degli americani, la virtù del sacrificio di se stessi continuava ad avere il sopravvento sul richiamo dell’immediata gratificazione»[4]. Sicché la comunità degli affari si diede il compito di cambiare radicalmente la psicologia che aveva costruito la nazione, con l’obiettivo di trasformarne la popolazione da investitori nel futuro in consumatori nel presente. E lo strumentario per realizzare l’operazione fu molteplice quanto ingegnoso: dall’invenzione del marketing alle vendite rateali. Ma ci volle quasi un secolo per raggiungere definitivamente l’obbiettivo atteso: la tossicodipendenza consumistica collettiva di vivere al di sopra dei propri mezzi, grazie a quella bolla drogata di denaro in prestito che esploderà periodicamente; come si è visto per l’ennesima volta nell’ultima grande recessione, datata 2008-2011. Nel frattempo le distanze sociali si allungavano, nel corso di quella che Thomas Piketty definisce «la rivoluzione conservatrice anglosassone degli anni settanta-ottanta»[5]. Il peccato originale stelle-e-strisce Nel recente intervento apparso su MicroMega, in cui si sostiene che «il fenomeno Trump è incomprensibile al di fuori di un’analisi di lungo periodo dell’esplosione della disuguaglianza negli Stati Uniti», l’americanista Fabrizio Tonello, professore dell’Università di Padova, individua la matrice di tale patologia nel fatto «che gli Stati Uniti di oggi rappresentano l’idealtipo dell’oligarchia». Tuttavia il suo “lungo periodo” rispetto a questa cronica frattura strutturale, ormai incolmabile, tra in e out si circoscrive al Novecento. Tanto da utilizzare come pezza d’appoggio la riflessione sull’attualità del post-filosofo postmodernista Richard Rorty; il quale, nel suo pamphlet su “l’eredità dei movimenti progressisti americani del Novecento”, denuncia la formazione di una sorta di “Partito interno dei super-ricchi” il cui scopo principale è quello di «mantenere il più povero 75% degli americani e il più povero 95% della popolazione mondiale occupato in conflitti etnici e religiosi e in dibattiti sulle abitudini sessuali»[6]; per evitare che si renda conto della propria effettiva condizione. Operazione – prosegue Rorty – facilitata dal fatto che «un qualche giorno degli anni Settanta l’idealismo della classe media americana è andato in stallo. Sotto i presidenti Carter e Clinton, il Partito Democratico è sopravvissuto allontanandosi dai sindacati e da ogni accenno alla redistribuzione, e spostandosi in un vuoto sterile chiamato ‘centro’»[7]. Ma è questa la datazione corretta? In effetti potrebbe fornire ulteriori (e decisive) conferme a tale analisi demistificante, insieme a una più convincente cronologia, tenere conto della ricostruzione – certo non meno dissacrante quanto significativamente retrodatata – proposta dallo storico radicale militante Howard Zinn (1922 – 2010); nel suo classico saggio “Storia del popolo americano”: in estrema sintesi, l’ineguaglianza come vizio di nascita della nazione stellata in quanto plutocrazia coloniale (condizione riscontrabile ben prima del distacco dalla madre patria britannica). Testo già pubblicato da il Saggiatore nel 2005 e che ora lo stesso editore ci ripropone aggiornato e arricchito di 250 pagine. Insomma, certamente la situazione è andata incancrenendo nell’esaurimento della stagione newdealistica a partire dalla presidenza Reagan (per cui Tonello annota che «le famiglie senzatetto, che nel 1981 erano praticamente inesistenti, nel 1989 erano già 20mila, e se già nel 2005 rappresentavano un terzo dei poveri senza fissa dimora, nel 2014 costituiscono più del 36 per cento della popolazione dei senza casa»[8]). Ma – come si diceva – la causa viene da molto, molto, più lontano. Nel momento fondativo: l’originario cuore di tenebra insito nella «contraddizione di un paese ricchissimo che ospita milioni di poverissimi»[9]. Una moltitudine depistata e irretita ma – comunque – ansiogena per privilegiati che ne percepiscono i rischi insiti nella sua precarietà potenzialmente ribellistica e sovversiva. Che – appunto – data da secoli. Se è vero che gli studi sui contribuenti di Boston mostrano come nei primi anni Settanta del Settecento – quindi già prima della grande insurrezione – il 5% degli abitanti che costituiva la fascia dei maggiori contribuenti detenesse il 49% dei beni soggetti a imposizione fiscale. …

GIORGIO GALLI: NON E’ VERO CHE ALTERNATIVA DA TRATTI SOCIALISTI NON C’E’

di Carlo Patrignani Il mondo è oggi governato dalle multinazionali: arricchirsi impoverendo. Preso atto che una minoranza s’arricchisce sempre più e la maggioranza impoverisce sempre più, non solo economicamente, non è vero che l’alternativa dai tratti socialisti non c’è: sta nelle mani di tutti noi e soprattutto dei giovani che mandano significativi segni di rifiuto dello status quo imposto dal capitalismo finanziario. Direi di più: nell’era della rivoluzione informatica, la minoranza che legge libri, che si informa per conoscere e saper selezionare le informazioni, sarà l’avanguardia dei clerici vagantes. Composto, elegante, chiaro il vegliardo signore novantenne, Giorgio Galli, decano dei politologi italiani, scandisce le parole di fronte a una platea attenta e sedotta dalla sua acuta capacità di analizzare il presente legato al passato da dove ha preso avvio. Così passo dopo passo, l’incontro con Galli alla libreria Odradek di Milano sul breve ma ben scritto saggio La stagnazione d’Italia – Dalla ricostruzione alla corruzione in dieci nodi della Storia italiana dal 1946 al 2017, per Oaks editrice, organizzato dal Gruppo Storia dell’Associazione Amore & Psiche, assume i connotati di una lectio magistralis sulla storia della Repubblica. Noi come i clerici vagantes – aggiunge – non dobbiamo stancarci, dobbiamo insistere in questa continua, affascinante ricerca di provare e riprovare, perchè può succedere che dalla palude affiorino i germi del cambiamento possibile, come ci insegnano due signori avanti con gli anni: Jeremy Corbyn e Bernie Sanders attorno ai quali ruotano tantissimi giovani classe ’99 in su. L’attualità incalza, morde prepotentemente: le elezioni politiche del 4 marzo sono ormai prossime, eccole con il loro carico di disaffezione e di sfiducia. E’ vero, di entusiasmo se ne vede poco, soprattutto tra i giovani, però scommetto sulla intelligenza del corpo elettorale. Quando si è trovato di fronte a proposte chiare ha sempre risposto con saggezza: al referendum del ’46 su Repubblica o Monarchia, alla legge truffa del ’53, al referendum sul divorzio del ’74 o al referendum del 2016 sulla riforma istituzionale. Meno quando le proposte sono mancate di chiarezza per la crisi prima strisciante poi dirompente del sistema dei partiti e con essa della democrazia rappresentativa. Difficile dire come finirà il 4 marzo: l’ipotesi più probabile è che si torni a votare di nuovo. Progetti politici? Il più chiaro è un esecutivo ispirato da Renzi e Berlusconi, con un Premier a metà. Il M5S? I suoi voti li prenderà, ho dubbi su un loro governo. Un governo del Presidente? E’ possibile ma limitato nel tempo per rifare una nuova legge elettorale e tornare appunto a votare. Purtroppo un Corbyn o un Sanders per ora non c’è.  Il dito di Galli, già docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università degli Studi di Milano, è posto sulla piaga: la crisi del sistema dei partiti, soprattutto di sinistra, e della democrazia rappresentativa parallela alla ristrutturazione del capitalismo da industriale a finanziario, dal meno Stato più mercato al trionfo del laissez faire il mercato, dal mantra thatcheriano la società non esiste, esiste l’individuo alla terza via blairiana del socialismo è morto acqusito dal Pd. La situazione di oggi, meno diritti e meno partecipazione, ha il suo inizio nei primi anni ’70 quando il capitalismo industriale, quello delle grandi famiglie, mutava pelle ristrutturandosi in capitalismo finanziario: pochi a sinistra capirono quel stava accadendo, ossia che i profitti non andavano più in investimenti produttivi ma prendevano altre strade: la rendita finanziaria più remunerativa. Quel momento fu segnato dal golpe invisibile dietro lo scontro tra il protagonista del primo centro-sinistra, Riccardo Lombardi e il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. Lì, forse, finì l’unica stagione riformatrice del Paese: una fase che andrebbe analizzata meglio perchè lì, forse, s’interruppe bruscamente il processo di radicale rinnovamento culturale e politico del Paese innescato dal primo centro-sinistra riformatore. Da quel momento ha inizio lo smembramento a tappe di grandi conquiste come l’Welfare State e dopo il crollo del Muro di Berlino dell’89, la deriva neoliberista. Se la sinistra pur avendo raggiunto risultati elettorali apprezzabili – elezioni regionali del ’75 e politiche del ’76 – non si è posta come forza di alternativa alla moderata e conservatrice Dc è perchè ha sofferto di un complesso d’inferiorità: ha sopravvalutato la cultura cattolica e le forze politiche che, come la Dc, la esprimevano. Di questo complesso ne soffriva quando c’erano un grande partito come il Pci e un dignitoso partito come il Psi, figuriamoci oggi che sono in profondissima crisi d’identità! Anche lì, in quel momento cruciale, ci fu uno scontro culturale e politico tra chi come Riccardo Lombardi progettava l’alternativa socialista per un nuovo modello di società che chiamava diversamente ricca e chi come Enrico Berlinguer progettava il compromesso storico per un modello di società basato sull’austerità. Questioni simili non si risolvono in un incontro, per quanto di alto profilo culturale, politico e storico: richiedono altro per far affiorare dalla palude qualche prezioso germe per la ricerca di un cambiamento possibile for the many, not the few. Bisogna farlo: ne vale del nostro status di clerici vagantes, afferma sorridendo Galli. E conclude entusiasta con un arrivederci a presto perchè siamo obbligati a insistere nella ricerca di legare quel che succede oggi con il suo precedente nel passato per cui la storia umana e politica di Lombardi che rifiutò la resa incondizionata di Mussolini ci può senz’altro aiutare. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it