Formica: Italia verso il buio, solo una Costituente ci può salvare

Tutti stanno affossando la nostra democrazia, anche coloro dai quali ci si aspetterebbe una discesa in campo. Da Grasso a Prodi. Secondo RINO FORMICA solo l’astensione ci può salvare Tutti stanno concorrendo alla crisi della nostra democrazia parlamentare, anche coloro dai quali ci si aspetterebbe una discesa in campo. Da Grasso a Prodi. E’ l’opinione di Rino Formica, ministro socialista delle Finanze e del Lavoro nella prima repubblica. Formica abbozza lo scenario più cupo. “Mi interessa poco sapere se Grasso ha incontrato Bersani o Cuperlo — dice al sussidiario —. Ciò che conta è che aumentano i segni tangibili del disfacimento istituzionale”. Istituzionale dunque e non solo politico. Come mai? Grasso ha aperto la questione del vulnus istituzionale venuto dal voto di fiducia sulla legge elettorale voluto dal Pd. E ha fatto bene, perché un partito ha impedito la libertà democratica dei parlamentari su una legge politica di grande rilevanza. E ha ritenuto che la denuncia fosse doverosa. Ma? Ma non ha compiuto l’atto politico conseguente, capace di dare il giusto tenore di drammatizzazione che avrebbe scosso il paese. Si è dimesso dal gruppo parlamentare del Pd, ma non da presidente del Senato. Qui sta la debolezza del suo gesto. Non essendosi dimesso, i suoi gesti successivi vanno inevitabilmente ad incidere sull’autorevolezza dell’istituzione che presiede. Ricevendo da presidente del Senato i rappresentanti di una nuova forza politica, trasforma l’istituzione in una bottega di partito. Il risultato è quello di concorrere anche lui alla demolizione della democrazia parlamentare. Non parliamo ovviamente di chi lo sta facendo da tempo. Il paese andrà al Movimento 5 Stelle? Non credo. Con la nuova legge elettorale, il paese va diritto verso la celebrazione di un voto inutile. La domanda è: come può reggersi una democrazia parlamentare sapendo che il voto degli elettori non serve a nulla, dato che il parlamento non riuscirà ad esprimere un esecutivo serio e stabile? Ad un paese del genere non resta altro che essere commissariato. Arriverà la troika? Prima ho detto che M5s non è una soluzione alternativa. Ci attende un tempo di novità. Per quale motivo? Perché nel frattempo l’astensione potrebbe raggiungere livelli tali da superare nettamente il consenso complessivo dei partiti. Dopo le prossime elezioni si aprirebbe una breve fase, drammatica, destinata a condurre ad uno scioglimento anticipato. Quell’astensione potrebbe costituire il deposito delle forze di un rinnovamento democratico. Quindi l’astensionismo sarebbe la strada per salvare il paese. Ma chi guiderebbe il rinnovamento? Si può facilmente immaginare che le pressioni europee, insieme a quelle della Germania, che dopo la Brexit e dopo il consolidamento di Macron va cercando una nuova stabilità continentale, si troveranno a dover favorire in Italia una fase provvisoria di stabilità democratica sotto la responsabilità del presidente della Repubblica. E poi? Contemporaneamente nascerà l’esigenza che le elezioni successive siano costituenti. Si dovrà eleggere un’assemblea costituente, preceduta da un referendum di convalida o di condanna della democrazia parlamentare come si è andata esprimendo negli ultimi 10 anni. Ma sarebbe una costituente ancora sotto la nostra sovranità? La sovranità non può essere imposta in una situazione di debolezza radicale delle strutture che ci ha consegnato lo stato moderno, perché sono precisamente queste strutture che hanno determinato la sovranità come oggi la conosciamo. Il disfacimento delle istituzioni è in atto e sta continuando sotto i nostri occhi. Prenda la commissione di inchiesta sulle banche. Non darà un euro ai risparmiatori truffati, in compenso assesterà un ulteriore colpo a tutte le istituzioni di garanzia e di controllo, dalla Consob a Bankitalia fino all’Antitrust e — in parte — alla Bce. In questo scenario di decomposizione istituzionale e politica che ruolo giocherà la presidenza della Repubblica? Il presidente Mattarella è la parte migliore della nostra classe dirigente ed è una persona in grado di fornire assolute garanzie di fedeltà democratica. Il problema è un altro. Quando arriverà la parte più buia della crisi, non avendo una forza politica di largo sostegno in ciò che sarà rimasto delle istituzioni, gli verrà meno il piedistallo su cui si appoggia l’autorità del presidente della repubblica. In quel momento sarà tentato di fare come Celestino V. Federico Ferraù Fonte: ilsussidiario.net   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Risolviamo la crisi dell’Italia: adesso!

Per una  moneta fiscale gratuita Come uscire dall’austerità  senza spaccare l’euro Manifesto / Appello a cura di: Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini I primi firmatari sono: Maria Luisa Bianco, Massimo Costa, Stefano Lucarelli, Guido Ortona, Tonino Perna.   Per uscire dalla crisi e dalla trappola del debito, proponiamo di rilanciare la domanda grazie all’emissione gratuita da parte dello Stato italiano di Certificati di Credito Fiscale (CCF) convertibili in euro e all’utilizzo di titoli di Stato con valenza fiscale. In questo modo lo Stato creerebbe nuova moneta potenziale e capacità  di spesa addizionale senza però generare debito. Questa proposta risulta così compatibile con le regole e i (rigidi) vincoli posti dal sistema dell’euro e delle istituzioni europee. La crisi dell’eurosistema Molti autorevoli economisti avevano avvertito che difficilmente una moneta unica che unisce paesi molto diversi per livelli di competitività, produttività  e inflazione avrebbe potuto essere un motore di sviluppo, soprattutto in mancanza di una forte politica cooperativa e solidale a livello europeo. Le loro previsioni si sono purtroppo avverate. Il sistema della moneta unica divide più che unire i paesi europei e, soprattutto dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, è diventato un freno per la crescita dell’Eurozona e di ogni singolo paese. La moneta unica impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti). Inoltre, in assenza di una politica fiscale comunitaria redistributiva, risulta inadatta alle esigenze di crescita di ciascun singolo paese. Ne seguono squilibri commerciali e finanziari, in particolare all’interno dell’Eurozona. A causa della rigidità  intrinseca della moneta unica, i paesi creditori, in primis la Germania, sostengono l’adozione di politiche depressive per i paesi debitori come l’Italia, la Francia, la Spagna e altri paesi del Sud Europa. Per garantirsi il recupero dei crediti, i primi hanno imposto austerità, riduzioni drastiche del costo del lavoro, tagli del welfare e aumenti delle tasse. I debiti pubblici denominati in una moneta che i singoli stati non controllano – e che di fatto appare quindi loro come una moneta straniera – forzano i governi ad adottare politiche procicliche. Le economie meno competitive entrano quindi nella spirale della crisi e finiscono per trascinarvi quelle dei paesi cosiddetti “virtuosi”. L’euro, invece di spingere verso la convergenza tra i 18 membri dell’Eurozona, ne aumenta le divaricazioni e i conflitti. L’Eurozona, e in particolare i paesi mediterranei, si trovano in una situazione economica pesantissima: stagnano o calano i consumi e diminuiscono gli investimenti privati e pubblici. La BCE cerca di dare ossigeno monetario al sistema ma le banche dei diversi paesi trattengono la liquidità  e non offrono sufficiente credito all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese. Crescono massicciamente la disoccupazione e la precarietà  del lavoro. Aumentano le divaricazioni territoriali e sociali. Sembra che l’Europa abbia dimenticato i suoi obiettivi originari di piena occupazione, sviluppo sostenibile e benessere per tutti i cittadini: la priorità  dichiarata dagli organi della UE è piuttosto mirata esclusivamente ad aumentare la competitività  con politiche di austerità  e di “riforme strutturali”. Tuttavia risolvere i problemi di competitività  dei paesi deboli attuando riforme strutturali richiede molto tempo e nuove risorse; e l’austerità  si mostra ormai chiaramente controproducente. Non a caso i debiti pubblici dei paesi più deboli continuano ad aumentare. Il tentativo di applicare il Fiscal Compact non farebbe che aggravare pesantemente la situazione. La crisi mette a rischio la sopravvivenza stessa di qualsiasi disegno di integrazione. L’economia europea è malata e rischia di infettare l’economia mondiale. Le proposte di mutualizzazione dei debiti (gli eurobond) e creazione di un fondo federale consistente, tale da riequilibrare le crescenti asimmetrie territoriali e sociali, appaiono politicamente impraticabili a causa della ferma opposizione dei paesi del nord Europa. In questo quadro di incertezza e di grave sofferenza sono possibili diversi scenari tra di loro non necessariamente incompatibili: la continuazione di una fase prolungata di stagnazione, o peggio di recessione e depressione; la (improbabile) ristrutturazione dei debiti dei paesi dell’Europa mediterranea; la rottura caotica dell’eurozona con l’uscita forzata di uno o più paesi dall’euro e il crollo rovinoso del sistema europeo. In tale contesto, è del tutto improbabile che l’iniziativa del governo italiano di negoziare maggiore flessibilità  con Bruxelles e con Berlino sia sufficiente a rilanciare l’economia del nostro paese, perché non affronta la sostanza dei problemi strutturali che affliggono l’eurozona. Oltretutto ne accrescerebbe ulteriormente l’indebitamento. Altri propongono invece l’uscita dalla moneta unica per non subire ulteriormente un sistema monetario fortemente penalizzante; ma passare dall’euro alla lira è assai più problematico che uscire da un sistema di cambi semi-fissi, come era per esempio il Sistema Monetario Europeo. L’uscita unilaterale dall’euro, cioè dalla seconda valuta mondiale di riserva, rischia di produrre traumi economici e geopolitici dalle conseguenze imprevedibili; e, comunque, molti cittadini italiani sono contrari perché temono di vedere svalutati risparmi, stipendi e pensioni. Come uscire allora da questa gravissima crisi che l’Europa si è paradossalmente autoinflitta? E’ ormai evidente che occorre rivedere radicalmente i trattati costitutivi dell’euro, ma questo richiede volontà  politica e tempo. Per affrontare la crisi diventa allora indispensabile che, pur nel contesto dell’euro, ogni stato nazionale assuma urgentemente iniziative autonome e sovrane per rilanciare l’economia e l’occupazione. I governi dei paesi europei, dal momento che sono stati eletti democraticamente (a differenza degli organi esecutivi della UE) per offrire un futuro migliore ai loro cittadini, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di difendere gli interessi dei loro elettori e di attuare riforme coraggiose per la prosperità  della comunità  nazionale. I cittadini si aspettano giustamente che gli organi politici da loro eletti tornino ad operare per lo sviluppo dell’economia nazionale, senza attendere permessi o concessioni da parte di altri paesi e senza subire eccessivi e ingiustificati condizionamenti. La proposta dei Certificati di Credito Fiscale La drammatica crisi economica, occupazionale e sociale ci pone di fronte a una situazione di grave emergenza. Non è possibile procrastinare le soluzioni. Occorrono misure urgenti ed efficaci. A tal fine, la nostra proposta offre un’alternativa concreta e immediatamente fattibile rispetto alle altre soluzioni …

Sulle critiche alla Moneta Fiscale: una risposta a Roberto Perotti

di Stefano Sylos Labini Lunedì 16 ottobre su Repubblica, Roberto Perotti ha pubblicato un articolo intitolato “Il grande bluff della Moneta Fiscale” (1) pieno di inesattezze sulla proposta della moneta fiscale che, con Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Giovanni Zibordi, abbiamo lanciato alla fine del 2014. L’articolo si conclude con delle affermazioni molto pesanti sugli ideatori della proposta e sui politici che la stanno prendendo in considerazione:  “I tantissimi politici che hanno abbracciato la proposta di moneta fiscale hanno una idea molto vaga di ciò che stanno approvando: gli viene detto che la moneta fiscale è un modo per “mettere in circolo potere d’acquisto che rimetterà in moto l’economia”, e questo per loro è sufficiente”. “Ma i cattivi maestri e i consiglieri del principe che sbandierano l’ennesima ricetta per trasformare il piombo in oro, promettendo scorciatoie attraenti ma inesistenti a problemi di difficile soluzione, si stanno assumendo una grave responsabilità”. Perotti dunque usa toni minacciosi: “Cattivi maestri che si stanno assumendo una grave responsabilità” dipingendoci come gli ideologi del terrorismo finanziario, poiché è ben consapevole che  la Moneta Fiscale è una proposta che mette in discussione il dogma dell’austerità che da circa venti anni sta strangolando l’economia italiana e di cui giornali come Repubblica, Corriere della Sera e Sole24Ore sono tra i più feroci sostenitori. Sul piano economico, è opportuno fare una serie di precisazioni per smentire diverse  inesattezze contenute nell’articolo di Roberto Perotti il quale considera i Certificati di Credito Fiscale (CCF) come un taglio delle tasse finanziato da debito pubblico. 1. La manovra non punta a immettere 200 miliardi di euro nell’economia ma circa 30 miliardi per tre anni arrivando ad un totale di 100 che rappresenta all’incirca l’output gap tra il valore del Pil attuale e quello del 2007; 2.I titoli fiscali permettono di creare potere d’acquisto evitando di chiedere soldi sui mercati finanziari. Dunque la Moneta Fiscale non è una componente né del deficit pubblico annuo, né del debito pubblico complessivo. Si tratta di un non-payable tax credit che i trattati e i regolamenti Eurostat non considerano debito finanziario (2); 3. Con la moneta fiscale si guadagnano due anni di crescita prima che ci sia un impatto sul bilancio pubblico perché la riduzione delle entrate si verificherà quando i CCF giungono a scadenza; ma, in una situazione di elevata disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata, il moltiplicatore del reddito permette di autofinanziare la manovra poiché la crescita dell’economia e quindi del gettito fiscale è tale da compensare le minori entrate che deriveranno dall’uso degli sconti fiscali (cfr. simulazioni Mediobanca, 3). Più precisamente, poiché gli sconti fiscali hanno un differimento di due anni prima che possano essere usati, il moltiplicatore potrà esercitare la sua azione nell’arco di un biennio permettendo di avere una crescita del Pil e del gettito fiscale sufficientemente ampia e prolungata. Per cui gli effetti del moltiplicatore vanno spalmati su due anni anziché su un anno solo riducendo i rischi della formazione di un disavanzo al momento in cui i CCF vengono incassati come pagamento delle tasse. Inoltre, esiste una relazione funzionale fra l’incremento della spesa pubblica e quello degli investimenti privati in quanto l’espansione delle commesse pubbliche e dei consumi privati esercita una spinta su produzione, occupazione e investimenti delle imprese generando degli effetti moltiplicativi tra i diversi settori economici. Nelle simulazioni del progetto Moneta Fiscale registriamo un graduale recupero del rapporto investimenti privati / PIL che in sei anni risale dal 14,3% al 15,9% (4). Comunque, se la manovra non riuscisse a mettere in moto una ripresa consistente dell’economia, abbiamo immaginato di far scattare delle clausole di salvaguardia (tagli di spesa e maggiori entrate) tali da neutralizzare le minori entrate prodotte dall’utilizzo degli sconti fiscali rendendo così la manovra a saldo zero (5); 4. L’aggancio alle tasse è il modo per garantire il controvalore monetario dei titoli (un titolo fiscale da 100 euro emesso domani, alla scadenza avrà quel valore) la cui funzione fondamentale è quella di aumentare immediatamente la capacità di spesa dell’economia e quindi la domanda pubblica e privata. Pertanto, non è corretto dire che questa manovra punta sull’abbassamento delle tasse per rilanciare la crescita perché la moneta fiscale ha l’obiettivo di sostenere il reddito delle fasce sociali in difficoltà che hanno le maggiori potenzialità di aumentare i consumi e di finanziare gli investimenti pubblici.  Dunque, la riduzione delle tasse è un fenomeno successivo all’emissione dei titoli fiscali che possono funzionare immediatamente come mezzo di pagamento per finanziare consumi e investimenti. Per evitare che l’effetto espansivo sulla domanda crei un peggioramento dei saldi commerciali abbiamo considerato la possibilità di assegnare i CCF alle aziende in funzione dei costi del lavoro privilegiando i settori più esposti alla concorrenza internazionale e le imprese che accresceranno investimenti ed occupazione specialmente nei territori più svantaggiati come il Mezzogiorno; 5. La tradizionale riduzione delle tasse spesso interessa le fasce sociali medio-alte perché quelle in condizioni di povertà non pagano le tasse o ne pagano molto poche, di conseguenza una manovra di questo tipo non garantisce una crescita adeguata della domanda effettiva dal momento che può determinare l’aumento del risparmio, investimenti finanziari e immobiliari. Per questi motivi il taglio delle tasse generalmente non produce una crescita dell’economia tale da autofinanziare la manovra; 6. Infine, l’affermazione di Perotti sul fatto che “negli ultimi venti anni il Pil è rimasto pressoché stagnante” lascia senza parole se consideriamo che la politica di austerità in atto da venti anni a questa parte ci ha portato a conseguire un avanzo primario medio del 2% all’anno, che, nell’intero periodo, è pari al 40 % del Pil. Ciò significa che al valore del Pil attuale, in venti anni sono stati drenati dall’economia reale circa 700 miliardi di euro soffocando qualsiasi possibilità di crescita. L’esempio più emblematico del fallimento delle politiche di austerità lo ha fornito il governo Monti sotto il quale il rapporto debito/Pil è aumentato dal 120 al 130%. Per concludere,  Roberto Perotti fa finta di dimenticare che oggi il Pil è ancora di circa 6 …

Un partito senza simbolo

Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione che ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. Nella storia dell’uomo le filosofie, i centri studi, i movimenti ecc, sono esistiti da quando la preistoria è diventata STORIA. Alla stessa maniera sono nati i popoli. Ogni popolo, volente o nolente, ha qualcuno che lo comanda/governa, come abbiamo saputo e viviamo anche in epoca contemporanea. “L’ètat c’est moi”, mi pare disse Luigi XIV°, prima entità di Stato organizzato. Ciò costrinse anche altri a costituirsi in Stato, mentre prima esistevano agglomerati. Filippo II° invece affermava: “sotto il mio regno non tramonta mai il sole”. Ci hanno convinti ed io intimamente ha creduto, che la demo-crazia è il migliore dei sistemi per governare. Come sappiamo essa comporta delle contrapposizioni tra le fazioni che intendono assumere il potere. Esse si definiscono PARTITI, cioè parte dell’ambiente sociale, definito NAZIONE (nello sport internazionale, ad esempio, devono essere CITTADINI gli atleti selezionati) e in seguito STATO! Da noi, dopo varie vicissitudini, lo Stato democratico nato col referendum del 2 giugno 1946 è rappresentato da “forze politiche” che concorrono alla formazione del GOVERNO. Onore ai Partigiani, però è tempo di ammettere che lo Stato fu liberato da centinaia di migliaia di bombe scaricate sul popolo dai nostri nemici, in seguito diventati ALLEATI. Il mio grande compagno Egidio Meneghetti, capo della Resistenza Veneta, ebbe moglie e figlia uccise da un terrribile bombardamento “alleato”. Ho fatto tutta questa contumelia per concludere che finalmente l’art. 49 della Costituzione riconosce la formazione di “partiti”. Ogni partito, che concorre DEMOCRATICAMENTE a “determinare la politica nazionale”, ha normalmente un proprio SIMBOLO. Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione alla quale mi iscrivo regolarmente, corrispondendo anche qualcosa in più del richiesto, oltre al tempo reso “gratuitamente”. Questa organizzazione come sappiamo ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. E possibile che sia giusto. In diritto esistono le FATTISPECIE, cioè dei principi giuridici diversi gli uni dagli altri. se fossero uguali risulterebbero ovviamente una sola fattispecie. Siccome dopo roboanti e combattuti congressi, si corre sotto l’ala dell’ “onesto” alleato, sostenendo in toto i suoi uomini con qualche aggregato dei “nostri” che ricorda tanto gli “indipendenti di sinistra dell’ex PCI, capisco perché non si ritiene di presentarsi con un simbolo: ci va bene il “simbolo” e certamente anche i “programmi” degli altri. Che senso ha quindi CLONARE un gigante che già bada sufficientemente a se stesso, anche se sta assumendo il carattere di un litigatoio (muoversi divisi per colpire uniti?). In pratica ci viene consentito di “giocare” con la politica fintantoché non subentrano le cose serie (elezioni), dove intervengono probabilmente i padroni del vapore che ci dicono: “bambino fatti in la e lasciaci lavorare”, regalando qualche caramella a quelli che gli sono più simpatici o che non hanno rotto più di tanto gli zebedei. In compenso io mi ritrovo una miriade di “particole” dentro e fuori “facebook” che, se mi dovesse essere richiesto un obolo per aderirvi dovrei inventarmi un lavoro ben retribuito per farvi fronte. Finora però – anche perché ho dei giovani meravigliosi che ci credono ancora – continuo ad avere una simbolica tessera che mi dice che quel “partito” esiste. Però, devo sapere che non si presenta (almeno per conoscere se ha senso esistere!) alle ELEZIONI! Secondo voi, PUO’ AVERE SENSO TUTTO CIO’ se solo consideriamo quanti sacrifici, quanto bene alla Patria, quanti grandi UOMINI hanno condiviso questa idea, quanta STORIA (se non c’amazzan i crucchi!) avremo da raccontare. Pero mi pare che chi ci sta portando al congresso ora non sia interessato. Meglio per lui un posticino caldo – anche se da servitore – vicino ai comandanti del momento. Continuiamo ad adeguarci? Giampaolo Mercanzin SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“Le prerogative parlamentari umiliate”

“… il raffronto tra la legge Acerbo e le condizioni in cui fu votata nel 1923 e la vostra legge e le condizioni in cui sta per essere votata è sulle labbra di tutti. Potremmo dirvi: ‘Buon appetito, signori, e arrivederci’. Non lo diciamo. Con il nostro atteggiamento nell’imminente voto di fiducia, intendiamo richiamarvi alla nozione esatta della situazione ed a una valutazione non esagerata dell’idea che vi fate dei vostri mezzi. Nelle condizioni create dagli arbitrii governativi e della maggioranza, di fronte all’incostituzionalità della procedura ed alle clamorose violazioni del regolamento e della prassi parlamentare, il modo più eloquente che ha la sinistra per separare le proprie responsabilità da quelle del Governo e della maggioranza, è di non partecipare alla votazione al fine di meglio sottolinearne la illegalità. Perciò l’opposizione ha deciso di non partecipare alle votazioni. Essa confida nel Senato della Repubblica perché le prerogative parlamentari umiliate in questo ramo del Parlamento siano ristabilite nella loro integrità; essa si riserva di informare il Presidente della Repubblica della situazione che si è creata alla Camera; essa fa appello al popolo perché dia di nuovo alla Repubblica e alla democrazia il suo vero volto, il volto della Resistenza”. Pietro Nenni – Camera dei Deputati, 18 gennaio 1953 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Tre fiducie, poi altre tre

di Andrea Fabozzi Legge elettorale. Cambia la maggioranza, a chiedere la fiducia sul Rosatellum sono il Pd con Forza Italia, Lega e Ap. Gentiloni “non era entusiasta” ma si adegua grazie alla copertura del Quirinale. Mattarella preoccupato soprattutto di andare al voto con le attuali leggi non omogenee. Renzi vuole andarci presto e per questo la forzatura, sulla quale protrebbe essere chiamata presto la Corte costituzionale, si ripeterà al senato Non si sente niente. Quando la presidente della camera Boldrini dà la parola alla ministra Finocchiaro per consentirle di porre la questione di fiducia sulla legge elettorale, dai banchi M5S si urla «venduta» e si lanciano fascicoli e rose rosse («per simboleggiare la morte della democrazia»), dai banchi di Sinistra italiana e Mdp si grida «vergogna». La ministra fa la sua comunicazione resistendo a un tentativo di placcaggio di La Russa, poi quasi scappa via. Si vede che non è contenta, nei giorni scorsi aveva lasciato intendere che la fiducia non era necessaria, appartiene alla corrente del ministro Orlando che è l’unico ad aver sollevato dubbi nel governo. Gentiloni, che per mesi ha ripetuto di voler solo «seguire» e «spronare» il lavoro del parlamento sulla legge elettorale, «non era affatto entusiasta» della richiesta di mettere la fiducia arrivata dal Pd, per conto anche di Forza Italia, Lega e Ap. Il racconto è del capogruppo democratico Rosato e l’auto-retroscena fa parte dell’accordo con il capo del governo: il Pd mette in scena con il massimo della teatralità una richiesta prevedibile, perché già sperimentata con l’Italicum. Da Mattarella, oggi come allora, arriva il via libera, con una nota in cui si liquida la questione fiducia come «attinente al rapporto parlamento governo» ma si insiste sul valore positivo della riforma elettorale. Il comunicato del Colle è identico a quello con cui due anni fa Mattarella non si oppose alla fiducia sull’Italicum, deludendo le opposizioni (anche, all’epoca, Forza Italia e Lega). In più adesso c’è la preoccupazione del presidente della Repubblica per un risultato elettorale affidato alle due leggi «non omogenee» consegnate dalla Consulta (risultato che toccherà a lui gestire) e la considerazione che ancora più pesante, perché senza reali precedenti, sarebbe stato un decreto elettorale. Sotto l’ombrello del Quirinale si posiziona anche la presidente Boldrini – «la fiducia è una prerogativa del governo» – che due anni fa aveva riconosciuto «una logica» a chi faceva notare come per il regolamento della camera non si possono chiedere fiducie quando è prescritto il voto segreto, che è sempre possibile sulle leggi elettorali. Non mancano altri argomenti, visto che l’articolo 72 della Costituzione impone «la procedura normale di esame e approvazione» per le leggi elettorali. In questo caso gli unici due precedenti contrari precedenti all’Italicum non fanno testo, perché uno risale al fascismo (legge Acerbo) e l’altro alla legge «truffa» quando l’ostruzionismo bloccava l’aula e il presidente del senato si dimise. È infatti il precedente dell’Italicum a consentire la nuova fiducia. Allora Napolitano non era più al Quirinale, ma caldeggiò la fiducia malgrado anche quella legge contenesse l’indicazione del «capo della forza politica» che, adesso il presidente emerito ha chiesto di correggere. Fuori tempo massimo e invano. Perché non ci sarà nessuna discussione sugli emendamenti, soprattutto quelli a voto segreto (un centinaio) che avrebbero potuto fermare il Rosatellum. Oggi le prime due fiducie, domani quella sull’articolo tre – una delega che in pratica il governo dà a se stesso per ridisegnare i collegi – e i voti sugli ultimi due articoli (senza rischi, contengono norme favorevoli a Mdp sulla raccolta delle firme). Poi, forse venerdì, il voto finale. Inevitabilmente segreto, ma che preoccupa meno il Pd rispetto agli emendamenti. Il margine di vantaggio è ampio, circa duecento voti. Proprio l’inevitabilità alla camera dell’ultimo voto segreto, dove i franchi tiratori potrebbero conquistare il bottino pieno, abbattendo la legge, aveva alimentato gli scetticismi sulla fiducia. La giornata di ieri ha chiarito che la vera ragione di questa mossa è quella di fare presto, per ripetere lo stesso aut aut ai senatori. Dai primi di novembre – orientativamente dalla settimana che comincia il 6, ma anche in questo caso è il governo che dà le carte – il senato sarà in sessione di bilancio; l’obiettivo del Pd è di far approvare definitivamente la legge, ancora con la fiducia, entro quella data. Servirà un’altra corsa, una settimana di lavoro in commissione e una in aula. I numeri con cui ieri a palazzo Madama è passata la legge europea (solo 118 sì) testimoniano la difficoltà. Se alla camera i berlusconiani non hanno dovuto votare la fiducia, al senato l’assenza al momento della chiama potrebbe non dare sufficienti garanzie. Ma è un altro il rischio che governo e maggioranza accettano di correre, approvando ancora una legge elettorale con la fiducia. È vero che la precedente, l’Italicum, non è stata sanzionata dalla Corte costituzionale per questa ragione (lo è stata com’è noto per altre) ma solo perché nessun tribunale aveva sollevato il problema davanti ai giudici delle leggi. Che anzi, rifiutando di auto assegnarsi il quesito, nulla avevano detto sulla pertinenza di questo genere di dubbi di costituzionalità. Accade adesso che già venerdì (a Messina) e poi per tutto il mese di ottobre, quattro tribunali (gli altri sono Lecce, Venezia e Perugia) potrebbero accogliere queste nuove osservazioni sollecitate dall’avvocato Besostri. Il problema della fiducia sulle leggi elettorali, allora, può arrivare comunque alla Consulta. A ridosso delle prossime elezioni Fonte: Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIORGIO GALLI: DA NOI NON SI VEDE UN CORBYN NE’ UN SANDERS

di Carlo Patrignani Da noi non si vede all’orizzonte un Corbyn o un Sanders. Si vedono invece scissioni su scissioni. Giorgio Galli, uno dei più affermati politologi italiani, nonchè vegliardo e lucido storico, a lungo docente di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi di Milano, stila il suo impietoso check-up alla sinistra, dopo il tentativo andato a vuoto di ricomposizione tra le diverse rissose anime dell’ex-Pci, Mdp e Campo Progressista. L’acido corrosivo è la damnatio memoriae, cancellare una lunga e nobile storia che, tra luci e ombre, ha attraversato, caratterizzato e influenzato tutto il ‘900, in Italia e in Europa, dove oggi pesano le cocenti brucianti sconfitte della Sdp del Psf. Eppure, nonostante questo quadro poco esaltante, nota lo storico, un signore quasi settantenne, il laburista Jeremy Corbyn ha avuto il coraggio e l’intuizione di  rifarsi e rinverdire i valori, ancora validi, del socialismo delle origini e di sbaragliare il campo, chiudendo la strada alla disastrosa terza via di Tony Blair. E un altro signore settantasettenne, il socialista democratico Bernie Sanders, si è anch’egli rifatto ai valori, ancora oggi validi, del socialismo d’antan: entrambi sono stati premiati soprattutto da tanti giovani e giovanissimi. E da noi, ci sono capitani coraggiosi come Corbyn e Sanders? Sorride: Non se ne vendono in giro di leader dello stesso livello: sarà perchè la stragrande maggioranza viene dall’ex-Pci… Eppure la sinistra italiana dispone, ha alla sua portata, osserva con una punta di amarezza, un grande patrimonio ideale ancora da studiare compiutamente, ricercato in tutto il mondo: mi riferisco a Antonio Gramsci e alla sua egemonia culturale. Così come dispone, ha alla sua portata, prosegue, l’analisi profonda della natura del capitalismo, quello degli anni ’50-’60 , e la metodologia per il suo ammodernamento con le riforme di struttura, di Riccardo Lombardi, il teorico di una società più ricca perchè diversamente ricca, che all’inizio degli anni ’80 vide per tempo la crisi della socialdemocrazia che pur meritevole di aver iideato e costruito l’Welfare State era troppo poco incisiva e molto accondiscendente. Il nodo di fondo tra tutto qui: come si fronteggia il capitalismo attuale che pur avendo cambiato pelle ha sempre di mira il profitto e lo sfruttamento. Gramsci e Lombardi tornano utili, andrebbero studiati, tanto sono indispensabili: il primo per l’approccio culturale, si pensi alla sua originalissima egemonia culturale, e il secondo per aver indicato una strada per fronteggiare il capitalismo: non a caso contro la sua idea di nazionalizzazione dell’energia elettrica si scatenò l’allora Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli,  e le grosse lobby imprenditoriali, chiarisce Galli. E Corbyn non ha, forse, ripreso e rinverdito la strada delle nazionalizzazioni di imprese vitali, universali, come energie, trasporti, acqua, sanità, istruzione e università gratuita, accompagnata dagli investimenti pubblici? Una metodologia che stava già allora nella visione di Lombardi e delle sue riforme di struttura che il vecchio Pci, inizialmente interessato, lasciò cadere. Mi piacerebbe sentire quali proposte su questo punto fondamentale, come si fronteggia il nuovo capitalismo, ci sono a sinistra, per conquistare quei valori universali di uguaglianza, emancipazione, benessere, libertà, che stanno nel socialismo d’antan, conclude il vegliardo e lucido Galli tutt’altro che rassegnato – scrive libri, tiene conferenze e va di convegno in convegno – allo status quo. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Apprendere dalla lezione tedesca

di Paolo Bagnoli Era naturale che l’esito delle elezioni tedesche fosse atteso con particolare trepidazione. Le interpretazioni che di esso sono state date oramai si sprecano, ma in fondo, a ben vedere, se terremoto è stato, esso era in qualche modo nell’aria compresa la frana più grande e preoccupante: vale a dire, quella dei socialdemocratici che rischia, se non vengono prese iniziative strategiche di peso, di divenire strutturale. Certo che l’entrata in Parlamento della destra nazionalista e xenofoba è un dato più che preoccupante, ma se di populismo si tratta, come tutti dicono, la politica democratica è nelle condizioni di piegarla. Crediamo che possa trattarsi di un episodio grave e inquietante considerata la storia della Germania; ma solo di un episodio la cui soluzione non si può rimandare in toto e in esclusiva all’Europa perché, per prima, alla prova è messa la Germania stessa. Essa, da grande democrazia quale è, non può più avere timori nel fare i conti con se stessa; quei conti che con la riunificazione andavano reimpostati e riaggrediti. La Spd è, di par suo, messa a una prova vera e dura. Il cambio del leader alla soglia delle elezioni ha dimostrato che gli uomini politici pesano se hanno delle idee e netti profili identitari. Non ci sembra, sinceramente, che Martin Schulz avesse nemmeno uno di questi requisiti. Aveva di sicuro un sogno: diventare cancelliere invertendo i ruoli fino ad oggi ricoperti dal suo partito e dalla Cdu e, quindi, continuare nella grande coalizione, ma con la Spd sopra e la Cdu sotto. In politica tutto è possibile, ma il sogno era solo l’anticamera dell’incubo. L’annunciato passaggio all’opposizione è una scelta obbligata. Come tale, in sé e per sé, non ha niente di strategico. Qualcuno ha scritto che ora occorre una Bad Godesberg all’incontrario; se certo non è riproponibile una Spd prima di Bad Godesberg è vero che, con quella svolta, la socialdemocrazia tedesca segnò un orizzonte strategico che, senza nulla perdere della propria grandezza, la portò ad essere un forte soggetto di governo. Ma mentre a Bad Godesberg la Spd lasciava un profilo, ne usciva però subito con un altro dopo aver fatto i conti il ruolo che deve avere una forza socialista la quale, naturalmente, può cambiare con il trascorrere delle stagioni della storia senza alterare la propria funzione. Il tratto caratterizzante quel nuovo profilo era che il cambio non implicava subalternità culturale ne di soggettività sociale; di conseguenza, si poteva dialogare e collaborare con le forze democratiche antagoniste rimanendo se stessi, marcando in maniera politicamente forte il proprio ruolo socialista. Tutto questo è andato perso e l’Spd ha dovuto amaramente riconoscere di non essere più il “partito del popolo”. Essa ha pagato la subalternità alla Merkel, all’ala moderata del Paese, ha scontato pure la blairizzazione causata dal cancellierato di Gerhard Schroder tra il 1998 e il 2005 che aveva addirittura ribattezzato il partito “neue mitte” – nuovo centro – e poi abbiamo scoperto che, per lui, il centro vero stava a Mosca! Il blairismo ha fatto al socialismo europeo danni storici, ma come dimostra Jeremy Corbyn basta fare i socialisti per far rinascere il socialismo. Se ce ne fosse uno in ogni Paese il socialismo non sarebbe ridotto così come lo è adesso anche se in Italia il Corbyn di turno dovrebbe essere capace di realizzare addirittura una resurrezione. Intendiamoci non è che a livello amministrativo di governo i socialdemocratici tedeschi siano rimasti inoperosi; anzi, su alcune questioni di grande rilevanza – salario minimo, abbassamento dell’età pensionistica, fondi per la scuola, agevolazioni per le famiglie – hanno ottenuto risultati che vanno a loro merito, ma ciò non è valso a impedirne la caduta. La ragione è molto semplice: il buon governo non basta a connotare l’identità socialista perché il socialismo è trasformazione profonda della società; mutazione continua verso nuovi livelli di società democratica unendo la mobilitazione sociale all’azione politica. Il socialismo è un progetto di società e di rapporti sociali, economici e politici. Tale progetto l’Spd non ce l’ha; se non se lo dà, quello che abbiamo visto è solo l’inizio della frana. La lezione dovrebbe servire anche ai socialisti degli altri Paesi; eccetto i portoghesi che lo hanno capito da soli sfidando l’Europa con le sue troike e ragionieristici teoremi riguardanti solo e quasi esclusivamente la liberalizzazione dei mercati. Auguriamoci che, per la democrazia tutta e non solo per i socialisti, la lezione tedesca serva. Infine, sullo scenario, non è mancata l’uscita di Walter Veltroni che, nel commentare l’ennesimo segno di una crisi generalizzata del socialismo, ha avuto l’ardire di dichiarare: «Per fortuna l’Italia dieci anni fa ha fatto la scelta coraggiosa del Partito democratico». Ci domandiamo: ma che c’entrano Veltroni e il Pd con il socialismo che, come comprovato dalla storia, appartiene alla sinistra? Se crisi del Pd ci sarà essa riguarderà un altro ambito storico, politico e culturale. Fonte: Nonmollare quindicinale post azionista SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Migranti: Focardi, i conti col fascismo tutti da fare

El Pais ci ha fatto il titolo: Fascismo renovado assume nova força na Itália e la rivista britannica New Statesman ha rincarato la dose: The Mussolin fans selling flip flops with the slogan ‘Death tho traitors’. Il riferimento è alle manifestazioni rievocative del Regime fascista, dalla vietata marcia su Roma del 28 ottobre al raduno di Predappio, dall’esibizione del saluto romano all’osceno A noi ! – unite al diffuso atteggiamento inumano contro i migranti. E’ quest’incrocio che mi preoccupa e molto, questo legame concomitante tra la crescente ostilità, la xenofobia, nei confronti dei migranti e il richiamo nostalgico al fascismo, alle sue radici, come se il Regime del Ventennio, tutto sommato, fosse stato una dittatura all’acqua di rose: per me, è la conferma che il nostro Paese la resa dei conti con quel periodo di repressione, oppressione e di violenza, non l’ha ancora affrontata. Così lo storico Filippo Focardi, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova e autore del best seller Il cattivo tedesco e il bravo italiano – La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, analizza, come ha fatto prima con la rivista inglese e poi con il quotidiano spagnolo, quanto in Italia sta accadendo da giorni e settimane. Vero è che anche in Europa – precisa – circola questo deprecabile sentimento di ostilità contro i migranti, che alimenta movimenti populisti e xenofobi di estrema destra, particolarmente forti in Europa orientale, come ad esempio in Ungheria. L’Italia, per certi aspetti, assomiglia ai paesi dell’Europa orientale: lì non si sono fatti i conti con i regimi autoritari e antisemiti che avevano, durante la guerra collaborato con la Germania nazista: da noi è mancato un esame di coscienza profondo sul fascismo. Anzi, si è assistito, come ha osservato lo storico Emilio Gentile, a un processo di ‘defascistizzazione retroattiva’ del fascismo. Cioè si è privato il regime dei suoi caratteri liberticidi e repressivi, rendendolo, per così dire, ‘commestibile’. Da noi, infatti, non c’è stata una Norimberga, ma un’amnistia generale nel segno della pacificazione nazionale. E oggi, seguendo questa strada, vengono appelli, stonati, a non metter assieme l’ostracismo e la paura del migrante visto e vissuto come untore, con i rigurgiti espliciti ai flip e flops del fascismo. Sì, lo ribadisco, pesa e molto da noi non aver fatto i conti con il fascismo, cosa effettivamente è stato, non aver piena consapevolezza delle pagine sporche di quel periodo che non fu un incidente di percorso nè una dittatura all’acqua di rose come si è detto: all’estero si sono accorti della dimensione assunta dal fenomeno ed è scattato l’allarme, come accaduto agli inizi del Duemila con Berlusconi, avverte lo storico che, nel suo best seller, ha minuziosamente ricostruito la campagna d’Africa, con stermini e bombardamenti ai gas tossici, in Etiopia, Somalia e Libia, voluta dal Duce e portata avanti, tra gli altri, da Rodolfo Graziani e da Pietro Badoglio, inseriti nella lista dei criminali di guerra. ​Siamo, insomma, fermi ancora allo slogan del bravo italiano contrapposto al cattivo tedesco con cui si cercò di assolvere il Paese dai crimini contro l’umanità commessi e di salvare il popolo italiano come se non avesse avuto nulla a che fare col fascismo: appunto tutta la colpa fu del cattivo tedesco? Bisogna riconoscere che la Germania i conti con il suo passato nazista, seppur faticosamente, li ha fatti e continua a farli. La Festa dell’unità tedesca che si tiene dall’unificazione degli anni ’90, ormai da 5-6 anni è all’insegna dello slogan ‘uniti nella molteplicità’ intendendo ‘uniti nella diversità multietnica’. Quel giorno, il 3 ottobre, molte moschee tedesche sono aperte al pubblico e non viene fatta nessuna parata militare, a significare che il paese non vuole essere una potenza militare ma civile. E, nonostante alle recenti elezioni politiche il partito populista di destra, Alternative für Deutschland, abbia preso molti consensi, la Germania ha anticorpi solidi e la sua tenuta democratica non corre rischi. Quelli che stanno indietro dunque siamo noi? Non è che gli anticorpi ci manchino però i conti con il passato fascista, con il Regime del Ventennio, non sono stati fatti compiutamente e questo pesa tuttora, conclude Focardi che a fine ottobre presenterà il suo best seller a Roma. Carlo Patrignani Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La legge 194 è inapplicata, l’Italia torna in piazza

Presidi e cortei nella “Giornata mondiale per il diritto all’aborto sicuro e legale”. Una norma “di fatto svuotata dalla troppa obiezione di coscienza”, spiega il segretario generale Cgil Susanna Camusso. Da Nord a Sud, leggi tutti gli appuntamenti. La legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza è del 22 maggio 1978. Sono ormai passati quarant’anni, ma quel diritto è sempre più messo in discussione. Ecco allora che le donne tornano in piazza oggi (giovedì 28 settembre), in tutta Italia, in occasione della Giornata mondiale per il diritto all’aborto sicuro e legale (www.september28.org), per “rivendicare ancora una volta – scrive la Cgil – il diritto alla libertà di scelta e all’autodeterminazione delle donne, il diritto a vedere applicata una legge dello Stato, di fatto svuotata dalla troppa obiezione di coscienza”. L’obiezione di coscienza per il personale sanitario è prevista dalla legge 194. Ma quest’ultima, spiega la Confederazione, ha raggiunto “dimensioni preoccupanti, come certifica anche l’ultima relazione del ministero della Salute, che quantifica l’obiezione di coscienza tra i ginecologi al 70,7 per cento, con punte del 90 in alcune regioni” (come Trentino Alto Adige, Molise e Basilicata). “La gravità del fenomeno – conclude la Cgil – è stata dimostrata dall’accoglimento, e dalla successiva condanna del nostro Paese, di due ricorsi, uno dei quali presentato dalla Cgil al Consiglio d’Europa per violazione del diritto alla salute delle donne”. “Le donne hanno diritto, in tempi brevi e certi, a vedersi finalmente garantito negli ospedali quanto previsto dalla legge 194”. Così la responsabile delle Politiche di genere della Cgil nazionale, Loredana Taddei: “L’Italia, a causa della sempre più estesa obiezione di coscienza, è in fondo alla graduatoria europea per la tutela della salute di coloro che vogliono abortire. Donne costrette a spostarsi da una struttura all’altra, anche in regioni diverse o addirittura a recarsi all’estero per trovare un ente ospedaliero che assicuri loro la prestazione richiesta. È dovere del governo rimuovere gli ostacoli alla piena e corretta applicazione della legge 194”. A Milano Cgil Milano e Cgil Lombardia promuovono un flash mob davanti al Consultorio familiare di piazzale Accursio 7 (alle ore 10). “In Lombardia il rapporto tra abitanti e consultori è ben lontano sia da quanto previsto dalla legge sia dalla media nazionale: il dato medio è stimabile in una struttura ogni 27 mila abitanti, soprattutto è fortemente condizionato dal minor numero di strutture pubbliche” denunciano le due strutture sindacali, annunciando la loro presenza anche alla manifestazione del pomeriggio (alle ore 18 davanti a Palazzo Lombardia) organizzata da un pool di associazioni. I sindacati sottolineano anche “l’aumento del numero dei consultori privati accreditati – un quarto del totale nel 2010, un terzo del 2017 – che non erogano le prestazioni relative all’interruzione volontaria di gravidanza, con un’intollerabile obiezione di struttura“. Infine, se a ciò si aggiunge “che il ricorso all’aborto farmacologico con la RU486 è minimo perché si chiede il ricovero ospedaliero per tre giorni, diversamente dal resto d’Italia”, è evidente come per le donne “interrompere volontariamente una gravidanza divenga un vero percorso a ostacoli, del tutto intollerabile”. Fonte: rassegna.it — Copie Avanti! a cura della redazione di Socialismo Italiano 1892 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it