VOLPEDO 10 “Documento conclusivo”

La sinistra in tutte le sue accezioni corre concretamente il rischio di essere esclusa dal Parlamento nazionale nelle elezioni 2018, confermando a distanza di 10 anni il tragico risultato del 2008, con il fallimento della Sinistra Arcobaleno. Un’esclusione dalla rappresentanza parlamentare confermata dalle elezioni europee del 2009 e alla quale è sfuggita per il rotto della cuffia nelle europee del 2014. Tra i motivi vi sono la formazione del PD e l’introduzione di meccanismi quali le soglie di accesso e i premi di maggioranza, che hanno alterato una equa rappresentanza proporzionale delle forze politiche; ma tali fatti sono al più concause. Una rappresentanza consistente delle varie anime della sinistra, compresa la variante rosso-verde, è assicurata in Parlamento in tutta Europa, anche se esistono – soglie di accesso più elevate (Germania 5%), – soglie implicite derivanti dalla dimensione dei collegi (Spagna) – o addirittura sistemi elettorali maggioritari (Francia). Sono sorti o si sono stabilizzati nuovi soggetti politici a sinistra in Grecia, Francia, Germania e Spagna ovvero sono in forte ripresa partiti tradizionali come il Labour in Gran Bretagna. In Italia l’unica nuova consistente aggregazione politica elettorale è stata rappresentata dal M5S, che, anche per sua scelta, non può far parte di una aggregazione di governo alternativa. Soltanto grazie alla crisi e alle sconfitte del PD, in particolare al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 si sono creati i presupposti per una nuova dinamica a sinistra; allo stato come possibilità e speranza, senza un’unica e consolidata direzione e di incerto sbocco. La sinistra ha, a differenza della legislatura 2008-2013, una consistenza parlamentare con 60 deputati e 25 senatori, ma è frutto dell’incostituzionale premio di maggioranza di cui hanno beneficiato come componenti della coalizione “Italia Bene Comune”. Quale sia l’effettiva percentuale di consenso si potrà conoscere solo quando, e finalmente, si voterà con un sistema proporzionale, dopo l’ubriacatura della “governabilità ad ogni costo“, artificialmente ottenuta con premi di maggioranza eccessivi, tanto da meritare ben 2 annullamenti della Corte Costituzionale con le storiche sentenze n. 1/2014 e 35/2017. Per queste sentenze i socialisti del Gruppo di Volpedo ringraziano gli avvocati democratici e di alta sensibilità costituzionale, che hanno proposto i ricorsi. La sinistra deve però ritrovare un radicamento politico-sociale venuto meno negli anni proprio perché non ha mai indicato una chiara proposta di cambiamento della società e di alternativa ai rapporti di forza politici, economici e sociali che si sono consolidati con il liberismo. Negli anni sono stati penalizzati i lavoratori e le classi popolari, ma anche la classe media, le professioni indipendenti, l’artigianato e la piccola imprenditoria, anche quella innovativa, a favore dei gruppi di potere finanziario, delle multinazionali oligopoliste, delle corporazioni burocratiche e dell’intreccio tra evasione fiscale, criminalità organizzata, corruzione e malamministrazione. Prima di discutere di candidature e di leadership si debbono affrontare i nodi di fondo, a cominciare da una legge elettorale e da un PROGETTO POLITICO E SOCIALE di lungo respiro, sia per ricostituire una presenza nel futuro parlamento nazionale, quanto per le elezioni regionali, ben 20 da ora al 2020 e per le europee del 2019. Un progetto di tale portata non si costruisce su un pletorico programma per quanto condiviso, ma su un progetto di rinnovamento politico-sociale, per un progresso economico che riduca le diseguaglianze sociali e territoriali, per salvaguardare l’ambiente ed il territorio, con interventi pubblici programmati e non dettati da una sola logica di profitto speculativo. Un tale Progetto NON può però essere assunto da una SINISTRA GENERICA, di pura protesta o testimonianza, ma – secondo il Gruppo di Volpedo – da una formazione politica unitaria e di chiara ispirazione SOCIALISTA. SOCIALISTA Volpedo, Piazza Quarto Stato 17 settembre 2017 Volpedo, Piazza Quarto Stato have a peek at this site SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Il Di Pietro pentito

“C’è sempre uno più puro che ti epura”, diceva Nenni, rivolto probabilmente verso quei moralisti faciloni e manichei che dividono il mondo in buoni e cattivi. I buoni, ovviamente, sono loro. Il resto, tutti all’inferno. Con possibilità, al massimo, di scegliersi il girone dantesco in cui acquartierarsi. Poi però la coperta si rivela spesso corta. I proclami di purezza assumono il tono di starnazzamenti gridati alla luna. E il “tutto” che doveva cambiare, rimane, se va bene, uguale a prima. Se va male, peggiora, e di molto. Voglio pensare che dietro le parole pronunciate da Di Pietro durante la trasmissione L’aria che Tira, su La7 ci sia la lettura meditata di Nenni. Già: perché quello che fu prima il volto più noto della vicenda di Mani Pulite, e poi il capo indiscusso e incontrastato di un partito che ne doveva rappresentare la longa manus politica, ha testualmente affermato: “Bisogna prendere atto di una verità sacrosanta, di cui sono parte interessata […] Se si cerca il consenso con la paura si possono ottenere voti a tre giorni, a un’elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone, io che ho fatto una politica sulla paura e ne ho pagato le conseguenze […] Io porto con me una conseguenza: ho fatto l’inchiesta Mani pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la prima Repubblica. Il male, e ce n’era tanto con la corruzione: ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali. I Di Pietro, i Bossi, i Berlusconi, sono partiti che durano quanto una persona: e io personalmente, prima di mettere gli occhi al cielo, vorrei rendermi conto che non basta una persona”. Da questa assunzione di responsabilità bisogna tenere ben distinti i due aspetti che hanno caratterizzato la vicenda personale di Di Pietro: quello giudiziario e quello politico. Su quello giudiziario, l’ex pubblico ministero non dice nulla di particolare, se non rilevare sia il dato della corruzione esistente all’epoca di Mani Pulite, sia la fine dei grandi partiti tradizionali con le loro idee e ideologie. E questa è storia. E’ sulla vicenda politica che invece c’è una piena assunzione di responsabilità. Con una chiara auto-stigmatizzazione del modo in cui si è cercato il consenso elettorale: con la paura, appunto. Il cui potenziale di infiammabilità è stato usato per fare terra bruciata nell’agone politico. Ma, così come la laicità di un paese non si misura con la mancanza o meno di volontà di una religione di permearne le istituzioni, ma attraverso l’impermeabilità e la capacità di queste ultime di resistere ad ogni tentativo di penetrazione della morale religiosa nelle leggi, l’opera di Di Pietro non ha avuto buon gioco solo per sue incapacità: anche per la “mollezza” dei corpi intermedi rimasti in piedi in quel momento in Italia. Cosa faceva la stampa in quel periodo, viene da chiedersi. Basta andare a rivedere le prime pagine di tutti i principali quotidiani dell’epoca per rendersene conto. Giocavano al tiro al piccione, mentre intorno ci si inebriava di furore iconoclasta con il quale si vaporizzavano tanti corpi sociali, perdendone irrimediabilmente la fiducia. check that Quando Di Pietro, in modo teatrale, si tolse la toga e si tuffò in politica, trovò Berlusconi pronto ad offrirgli un ministero, in caso di vittoria alle elezioni politiche. Avergli messo a disposizione le sue televisioni, evidentemente, era poco. Qualche anno dopo, però, l’ex Pm una casa sicura la trovò nel collegio blindato del Mugello, gentilmente messogli a disposizione da Massimo D’Alema. E per non essergli da meno, il suo storico rivale per la leadership, Veltroni, fresco segretario del neonato Pd, designò Di Pietro come unico alleato di coalizione nelle elezioni del 2008 (con tutti i benefici che ne derivavano grazie alla legge elettorale), lasciando per strada i socialisti di Boselli. Senza dimenticare, ovviamente, gli anni in cui Di Pietro ebbe un ministero tutto suo. Come si vede, il “fenomeno Di Pietro”, con il suo modo di fare politica attraverso l’uso della paura (che porta all’odio), ha trovato consensi e aperture dappertutto, ma particolarmente a sinistra. Arrivando al suo capolinea per “naturale” consunzione, e non per vera sconfitta politica. Sposando Di Pietro la sinistra ha smarrito il garantismo come parte fondante della sua natura: arrivando a far proprie parole e slogan di destra, tra cui spiccano “legge e ordine”. Se l’ex Pm può essere annoverato tra gli “imprenditori della paura”, è certo che ha avuto tanti buoni acquirenti, con il “Pacchetti Sicurezza” come prodotto per tutte le stagioni: mentre nella prima Repubblica si aveva il coraggio di varare la legge sulla dissociazione dal terrorismo in anni ancora vicini a quel fenomeno tremendo. Oggi sarebbe possibile, con le sbornie securitarie nazionali vecchie e nuove? Qualcuno ricorda, per caso, il fuoco di sbarramento contro il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia, al quale fu impedito di divenire segretario d’aula a Montecitorio? La deriva a destra di Di Pietro era scritta anche nel nome del suo partito: Italia dei Valori. Quali valori? Valori solo suoi? Di certo valori buoni a sparare contro l’indulto, o per bocciare la commissione di indagine sui misfatti della polizia a Genova, durante il G8. La sinistra deve riappropriarsi del garantismo come valore e bussola politica. Questo è uno dei modi migliori per battere l’antipolitica dominante, che pare tenda più a leggere la “Psicologia delle Folle” di Le Bon che alla risoluzione dei problemi reali del paese, partendo da una veritiera rappresentazione dei fatti. Solo così Di Pietro, che ha giocato su una rappresentazione falsa e manichea del nostro paese, sarà un (degenere) fenomeno passeggero, e non un seme messo a coltura nella sinistra italiana. Raffaele Tedesco Raffaele Tedesco Fonte: Mondoperaio Fonte: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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Gramsci in cella e in clinica. I paradossi di una prigionia

Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». È la frase che avrebbe pronunciato il pubblico ministero nel processo contro Antonio Gramsci. In tanti ci è capitato almeno una volta di citarla. La notizia la dà Togliatti nell’articolo scritto nel 1937 per commemorare la recente morte del compagno. Quella frase non è stata mai detta da nessun giudice. Chi volesse controllare non ha che da leggere gli atti del processo, pubblicati da Domenico Zucaro nel 1961. Il falso storico del 1937 è il punto di partenza di altre falsificazioni su Gramsci e il fascismo. Molte sono note, anche se non sono mai state adeguatamente valorizzate. Ne ricordo alcune tra le più eclatanti. Ancora Togliatti, nel 1944 appena arrivato in Italia, scriverà che la cognata Tania i Quaderni era riuscita «a trafugarli dalla cella la sera stessa della sua morte, grazie al trambusto creatosi». Gramsci non è morto in una «cella», ma in una delle cliniche più costose di Roma, la Quisisana. Era accusato di avere attentato alla sicurezza dello Stato. In presenza di un tale capo di imputazione anche i regimi liberal-democratici adottano misure di rigido controllo di ciò che il detenuto scrive. Mussolini, se avesse voluto sequestrare i Quaderni , non aveva che da applicare leggi e regolamenti. Nessuna astuzia di compagni e cognata sarebbe stata efficace. I Quaderni uscirono dalla clinica col consenso o nel disinteresse totale del fascismo. Perché? Escluderei il ricorso all’inefficienza dell’apparato repressivo. La documentazione disponibile mette sotto gli occhi un paradosso che attende una spiegazione. Gramsci al momento dell’arresto era coperto da immunità parlamentare. Il suo arresto fu illegale, la sentenza o infondata o eccessiva. Una volta condannato (ecco il paradosso) si ha la sensazione che si sia formata una specie di rete protettiva governata direttamente da Mussolini. I fatti che orientano verso questa supposizione sono tanti. Gramsci dispone di una cella tutta sua che, stando alla descrizione che il detenuto fa alla madre il 31 settembre 1931, è «una cella molto grande, forse più grande di ognuna delle stanze di casa». La lettera non trascura alcuni particolari: «Ho un letto di ferro, con una rete metallica, un materasso e un cuscino di crine e un materasso e un cuscino di lana e ho anche un comodino». A partire da febbraio 1929 può usare carta, penna e libri diversi da quelli della biblioteca del carcere. Privilegio non concesso agli altri detenuti politici. A volte il direttore gli proibisce la lettura di determinati libri. Gramsci scrive direttamente a «S.(ua) E.(ccellenza) il Capo del Governo» e l’autorizzazione alla lettura arriva. Nella lettera dell’ottobre 1931 indirizzata a Mussolini, ad esempio, scrive: «Ricordando come ella mi abbia fatto concedere l’anno scorso una serie di libri dello stesso genere, La prego di volersi compiacere di farmi concedere in lettura queste pubblicazioni». Tra esse ci sono: La révolution défigurée di Trotsky, Le opere complete di Marx e Engels, le Lettres à Kugelmann di Marx con prefazione di Lenin. Non pare proprio che Mussolini abbia voluto impedire al cervello di Gramsci di funzionare. A partire dal dicembre 1933 fino alla morte (aprile 1937) Gramsci non è più in carcere ma nella clinica Cusumano, a Formia, prima, nella costosa clinica romana Quisisana dopo. Dodici dei trentatré quaderni a noi pervenuti non hanno timbro carcerario e sono stati interamente redatti nelle cliniche. Correttezza filologica vorrebbe che venissero chiamati Quaderni del carcere e delle cliniche. La conoscenza del periodo delle cliniche è molto lacunosa. Il cordone protettivo si rafforza. Ruoli importanti vi svolgono l’economista Piero Sraffa e lo zio Mariano D’Amelio, senatore e primo presidente della Corte di Cassazione. È un periodo che presenta molti buchi neri e che potrebbe riservare sorprese. Prendiamo gli ultimi venti mesi prima della morte, dal 24 agosto 1935 al 27 aprile 1937. Li trascorre nella clinica Quisisana frequentata dalla buona borghesia romana. Al mantenimento delle spese contribuisce la Banca commerciale italiana tramite il banchiere Raffaele Mattioli. Il ministero dell’Interno dispone la vigilanza solo esterna. La Questura più volte scrive al ministero per lamentarsi che, dati i numerosi ingressi della clinica e il poco personale disponibile, non è nelle condizioni di garantire un vero controllo. Cito un passaggio della Nota riservata della Questura datata 14 novembre 1935: «La vigilanza esterna non offre neppure la possibilità di alcun controllo sulle persone che si recano a visitare il Gramsci, in quanto trattasi di una clinica vasta, di lusso, in cui sono ricoverati numerosi malati di agiate condizioni e che quindi vengono visitati da persone che vi si recano quasi sempre in automobile». Non risulta che il ministero abbia risposto o preso provvedimenti. Segno che così era stato deciso nelle alte sfere del governo. Il fascismo è crollato da più di settant’anni. Dalla morte di Gramsci sono passati settantanove anni. Il muro di Berlino è stato abbattuto ventisette anni fa. I tempi sono più che maturi per esplorare senza pregiudizi ideologici un capitolo fondamentale della storia d’Italia. Se non ora quando? Franco Lo Piparo Franco Lo Piparo continue reading SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I fiori secchi del togliattismo

«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto». La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto Chi ha detto queste parole non è un politico neo-georgico, ma un maturo leader, veterano dei partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo subito che non si può, sulla frase in sé, che concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’ sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da quale storia viene Bersani: quella di prima e quella più recente; da una storia che ha liquidato l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito democratico che, a essa, è geneticamente allergico. L’uscita – un po’ strascicata in vero – che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto di farla finita con la formazione di Matteo Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i comunisti, che ne ha hanno scritto una buona parte, sono responsabili e non assolvibili. Sulle ragioni e la dinamica che hanno portato al Pd si è scritto molto: esso è stato l’approdo finale della linea togliattiana che, qualunque sia stato il nome che via via venivano assumendo, i comunisti hanno pervicacemente perseguito dalla fine del loro vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre la stessa innata convinzione della propria diversità accompagnata dal senso naturale che a loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo soggetto dell’incontro con una pezzo di democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica metafora di Bersani non si può non osservare che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore sono stati loro per primi a reciderlo. I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è il frutto storico delle lotte del lavoro per un mondo migliore, più libero,  più giusto, più democratico. È il frutto di una scelta consapevole di milioni di uomini per liberarsi dallo sfruttamento, dal disconoscimento della loro dignità, per avere, in quanto uomini, il diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi, esprimersi, non essere socialmente ricattati, improntare la vita sociale sulla pace e sui principi della solidarietà. La sinistra, politicamente, ha rappresentato l’umanesimo forte che ha attraversato due secoli travagliati e difficili alla conquista di quei doveri che oggi talora sono minacciati quando non addirittura misconosciuti. Altro che fiore di campo!. È stata, concretamente, un campo largo della storia dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali, democratici aperti e avanzati al di là delle rispettive culture, forme organizzative, fedi religiose, ora in accordo, talora in disaccordo, ma sempre schierati sul versante fermo della democrazia e della sua nozione sociale. Un grande movimento che ha permesso alle società libere di costruire futuro dopo futuro anche a prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a fronte di tutto ciò, la definizione stessa di orizzonte quale linea che si allontana quanto più credi di avvicinartici. Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa la vicenda italiana se, non potendo più esistere il partito comunista italiano, la sua forza si fosse incamminata verso i lidi del socialismo. Erano in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato il presente, presentiva il giusto e la verità. Si riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il suicidio del partito socialista – non dei socialisti, intendiamoci – che l’unica forza storica della sinistra rimasta in piedi non ammainasse la bandiera, ma ne alzasse una nuova per riprendere il cammino delle conquiste democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel 1994 lo aveva costituito l’insieme dei progressisti. Le elezioni furono perse, ma il risultato, ben consistente, dava egualmente forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale. Solo che il disegno non c’era ed è proprio il caso di dire che il bambino fu buttato via con l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle ortiche e di quanto era successo con le elezioni del 1994 mai si è avuta un’analisi e un’interpretazione da chi aveva il dovere di darle. La sinistra, contravvenendo alle sue tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I comunisti su cui gravava la responsabilità della situazione aprirono un sanguinoso fronte interno; fecero tra loro quei conti che fino ad allora non avevano potuto fare e continuarono da postcomunisti a muoversi secondo il canone di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Così, il nuovo che avevano sempre perseguito, ha finito per scomporli, triturarli, annientare pure il senso della loro cultura storica; subalterni – quelli rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli usciti. Non c’è che dire: il fallimento non avrebbe potuto essere più completo. In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi intorno a quel fiore di campo, ma esso, per essere colto o meglio fatto crescere come di deve, dovrebbe essere in un campo socialista che non c’è e chissà ancora per quanto tempo non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere che quel fiore sembra essere stato raccolto dal Papa se si pensa alle chiare prese di posizione assunte da Francesco sullo sfruttamento prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Recentemente il Papato si è mosso, e con quale autorevolezza, sul problema della corruzione. Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è un partito e …

PIETRO NENNI E LA NASCITA DELLA REPUBBLICA

Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La repubblica ha vinto, seppure di misura, di una misura tanto stretta che si accusò il ministro dell’interno, il socialista Giuseppe Romita, di avere favorito qualche forzatura elettorale. Niente di vero né di verosimile: ma l’esiguità del margine di maggioranza – solo poco più del 4 % – dimostra che le preoccupazioni di Nenni erano fondate: il tempo logorava la battaglia repubblicana, erodeva i margini del consenso della sinistra, che era stato grandissimo dopo la Liberazione. A mano a mano che il filo della “continuità” si irrobustiva, diventava una corda intorno al collo della rivoluzione democratica; a mano a mano che si indeboliva la collaborazione tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica e cresceva la campagna contro il comunismo, le simpatie repubblicane del ceto medio si illanguidivano. La posizione di indifferenza istituzionale assunta dalla Dc consentì all’apparato cattolico, e specie alle parrocchie, di “consigliare” i fedeli a votare trono e altare, monarchia e Dc: la formula perfetta che garantiva contro ogni “avventura” di destra e di sinistra. Aveva ragione Nenni di premere perché si arrivasse al più presto al voto. Il titolo dell’editoriale dell’Avanti! scritto da Silone, “Grazie Nenni”, fu felicissimo; e anche obiettivamente esatto. La maggioranza per la Repubblica è stata striminzita: il 51,01 % dei voti. Ma è fatta ! L’Assemblea Costituente elegge capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. Si volta pagina. . dal libro di Giuseppe Tamburrano “Pietro Nenni”, Laterza 1986 . “Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. Il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. […] A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. […] Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La …

ANPI e PD dallo scontro al confronto

Ieri lunedì si è tenuto uno dei pochi confronti tra sostenitori del SI’ e del NO al referendum costituzionale di ottobre. Luogo di incontro, promosso dall’ANPI e dalla sezione PD Pietro Calamandrei ,la Sala Trasparenza in Via della Libertà a Cesano Boscone. Il mio interlocutore è stato un deputato del PD, Matteo Mauri. Ho esordito parlando della necessità che si moltiplichino i confronti tra il Sì e il No, come al tempo del referendum sul divorzio per avere un voto consapevole. Ai banchetti per la raccolta delle firme mi è capitato di incontrare elettori convinti che il Senato fosse stato abolito e non ridotto ad un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci. Non capisco perché gli organizzatori mi abbiano qualificato come ex senatore DS: nostalgia del passato o soddisfazione che non sia più in Senato? Comunque preferisco essere un ex senatore che un ex di sinistra se fossi rimasto nei DS per confluire nel PD. In effetti una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare in una Commissione Affari Costituzionali dove ero il capogruppo dei DS e era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro. In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica con forma di governo parlamentare. Malgrado un art. 92 Cost. Potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del consiglio dei ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No! La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1 Cost. togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione: quella vera e che avrebbe avuto ampio consenso era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 730: un risprmio maggiore dei costi della politica. L’altra soluzione sensata era d ovvero passare ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva i premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare sono in contrasto con l’art. 67 Cost., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano ,come nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività. L’art. 57 Cost. Revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori con metodo proporzionale, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato. Con un popolo informato la vittoria dei NO è scontata, ma questo deve essere evitato ad ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48 della Costituzione. Fonte: dal blog di Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale)   go wholesale Il Video dell’evento: Il Video dell’evento: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Io mi fido di Lui

Io mi fido di Lui, se fosse in vita Sandro Pertini farebbe parte dell’A.N.P.I. e non si offenderebbe certamente se il popolo italiano votasse NO al referendum Costituzionale ed alla Legge elettorale Italikum, contrariamente a quanto possa pensare il suo collega Giorgio. Sono certo che voterebbe NO! La differenza stà nelle storie personali. Io mi fido di Lui, se fosse in vita Sandro Pertini farebbe parte dell’A.N.P.I. e non si offenderebbe certamente se il popolo italiano votasse NO al referendum Costituzionale ed alla Legge elettorale Italikum, contrariamente a quanto possa pensare il suo collega Giorgio. Sono certo che voterebbe NO! La differenza stà nelle storie personali. E’ iscritto a parlare il Senatore Pertini. Ne ha facoltà. PERTINI. E’ iscritto a parlare il Senatore Pertini. Ne ha facoltà. PERTINI. Signor Presidente, Onorevoli colleghi, credo che a questo punto nessuno si nasconda che la legge elettorale che stiamo esaminando è di eccezionale gravità; è una legge che avrà conseguenze nefaste subito dopo le elezioni, se, per dannata ipotesi dovesse essere applicata.Non si sfugge, a questo dilemma, Onorevole Presidente, perché qui ciascuno di noi per il presente e per il domani deve assumere le proprie responsabilità. Ci sono due precedenti.Il secondo precedente lo abbiamo nel 1923. Quando venne presentata la legge, che porta il nome non onorato di legge Acerbo, (oggi Italikum). I socialdemocratici non possono aver dimenticato la posizione che essi presero nel 1919, quando con Turati giustamente affermavano che chi è contro la proporzionale si pone contro il suffraggio universale, il quale si può manifestare e attuare nella sua pienezza solo con la proporzionale. La proporzionale toglie la lotta circoscritta agli interessi personali, agli interessi delle clientele, per elevarla in una sfera molto più alta, che è la sfera degli interessi collettivi, gli Interessi del Paese, della Nazione. Se non vi fosse altra prova che la proporzionale è sinonimo di democrazia, basterebbe questa: che tutti i Governi, i quali hanno il proposito di trasformarsi in regime, la prima cosa che fanno è quella di colpire la proporzionale. Questo è avvenuto nel 23. E sarà utile ricordare che il socialista Turati nel discorso del 3 marzo, rivolgendosi a coloro che dicevano che i socialisti avrebbero perso dei seggi, rispose sdegnoso: Ma queste sono miserie!…mi schiaffeggerei da me stesso davanti allo specchio se questo influisse sulla mia opinione. Ora non vi dico di mettervi allo specchio, perché altrimenti dovreste schiaffeggiarvi lungamente, o socialdemocratici, perché a voi premono soltanto,i seggi, non la vostra coscienza di socialisti, non le vostre opinioni. E’ precisamente questa la ragione che vi spinge ad assecondare il Governo democristiano (oggi Renzi) in questo atto antidemocratico. Molti, allora come oggi, dicevano: In fin dei conti si tratta di una legge elettorale; perché drammatizzare? Ed abbiamo avuto una quantità di uomini della vecchia classe dirigente che finirono per assecondare il fascismo ed i primi soprusi; uomini che per quieto vivere, per non perdere una carica ben remunerata, mirarono ad adeguarsi alla situazione creata dal governo fasciata; uomini che pure non avevano più nulla da chiedere alla vita ed avrebbero dovuto sentire solo il dovere di concludere la loro fatica politica nobilmente e non con infamia; uomini della vecchia classe dirigente che assecondarono il fascismo pur di rimanere aggrappati alle loro estreme ambizioni come il vecchio sordido Shylok al suo maledetto denaro. E la triste vergognosa storia si ripete oggi. Vi sono nuovamente degli uomini che fanno tacere la loro coscienza per quieto vivere cercando mille pretesti per giustificare la loro debolezza di assecondare il Governo nella sua azione antidemocratica.Dagli atti Parlamentari , Modifiche al testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati, Sandro Pertini 10 marzo 1953. Sarebbe opportuno non sottovalutare i corsi e ricorsi storici, ed il ripetersi di cicli che a volte avvengono su precisi disegni. Penso che si stia tirando troppo la corda perché tanti diritti vengono calpestati. Ho voluto porvi all’attenzione l’intervento del Presidentissimo Sandro Pertini, su un tema, oggi, di grande attualità,quale la legge elettorale, perché ne ho colto il ripetersi di situazioni similari e comportamenti identici delle classi dirigenti. E’ difficile schiaffeggiarsi allo specchio. Molti lo dovrebbero fare, al solo pensiero di tradire valori e storia politica! Umberto Ranieri Umberto Ranieri useful source SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La Sgovernance globale e il “Mercato delle nebbie”

“A volte si dice che gli operatori sui mercati siano pazzi. Non è così. Sono esseri assolutamente razionali. Ma una persona razionale che non riesce a vedere chiaro, che si sente come avvolta nella nebbia, assume decisioni istintive, brusche, a scatti” – queste parole sono state pronunciate dal Direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, in un’istruttiva intervista rilasciata l’8 maggio scorso a Giuseppe De Tomaso per la Gazzetta del Mezzogiorno. Gli operatori finanziari non sono personalmente pazzi, ma la nebbia da cui sono avvolti viene prodotta da un’insania speculativa che toglie al “mercato regolatore” ogni visibilità. Oggi il problema economico-politico più sostanziale, sollevato anche nell’intervista di Salvatore Rossi, consiste nell’incertezza sul futuro. Incertezza sul futuro: si tratta di un effetto macroclimatico paradossale del mercato che, invece di mantenere la promessa autoregolatrice insita nella parola d’ordine neo-liberista di tant’anni, sta finendo per scardinare ogni cosa, sé incluso. In realtà, l’anarco-capitalismo si fonda sulla “consumazione” finanziaria del futuro. La struttura intrinsecamente speculativa del “mercato regolatore” consiste infatti, letteralmente, nell’usare e vendere futuro. A tale meccanismo del lucro possono essere ricondotti sia il crescente debito ecologico nei confronti delle generazioni a venire, sia l’immensa massa dei derivati finanziari che incombe, sia lo scaricamento (parziale) delle contraddizioni interne al sistema sul grande buco dei debiti pubblici e privati. informative post A questi temi Gianis Varoufakis ha dedicato pagine di eccellente chiarezza nel suo libro (dedicato alla figlia) Time For Change. L’anarco-capitalismo consuma futuro specialmente nel duplice senso che: a) Il “mercato regolatore” lucra usando e vendendo futuro in misura ben maggiore alle reali, o anche solo possibili, disponibilità; così facendo crea tra l’altro le celebri “bolle” finanziarie, oltre che la crisi climatica nonché la bancarotta tendenzialmente generale del debito pubblico e privato. b) In tal modo il “mercato regolatore” paralizza progressivamente ogni governabilità politica, accelerando la Sgovernance globale. La prossima crisi finanziaria si profila ormai all’orizzonte. Quando sarà scoppiata, si dirà che essa impatta sulla debolezza degli stati (già lo si dice). E quindi a quel punto sarà tutta colpa degli stati, se le cose andranno di male in peggio. Ma, a parte il darwinismo da vespasiano populista di certe frasi fatte, la causa della crisi resta pur sempre un’altra. La causa della (delle!) crisi è – ripetiamolo – anche la causa dell’indebolimento degli stati, della liquefazione delle società, della sperequazione generale e così via. La causa è il “mercato regolatore” che dovrebbe essere, invece, regolato. In assenza di ciò, esso trasforma il pianeta, e lo trasformerà sempre più, in un “aereo senza pilota”. Questo è, dunque il punto: nessuno regola il “regolatore”. Nessuno ci riesce o nessuno vuole farlo. Anzi, già solo parlarne è difficile, perché mille sofismi sviano, banalizzano e occludono il discorso. E chissà perché il discorso è così tanto occluso dai sofismi. Eppure il “mercato regolatore” si sta trasformando in un vero e proprio “mercato delle nebbie”, per gli stessi operatori del mercato. Ovviamente, ci sono enormi interessi enormemente interessati a occludere un certo discorso e a conservarlo occluso. Parafrasando Upton Sinclair, è difficile far capire una cosa a quelli il cui enorme arricchimento dipende dal non capirla. Perciò, non sbaglia di molto chi sostenga che la contraddizione fondamentale della nostra epoca vede drammaticamente contrapposti l’anarco-capitalismo e… l’arte del dialogo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Di là i morti, si va verso la vita (Iconoclastic Fury)

L’iconografia socialista è molto ricca di immagini e di simboli, garofano e falce e martello con libro e sole sono simboli antichissimi. Qualcuno associa il garofano solamente all’ultimo Psi quello dell’epoca craxiana. Fu solo reintrodotto in occasione del congresso di Torino nel 1978, poi successivamente spogliato dalla falce e martello con il libro e il sole dell’avvenire nel 1985. Recentemente ci fu una polemica con il direttore dell’Avanti-on line, quando in occasione di una assemblea nazionale di socialisti scatenò una vera e propria FURIA iconoclasta alla vista di una bandiera rossa con falce e martello, il quale non disdegnò anche di offrire spazio sul giornale on-line a squallidi speculatori. Vorrei solo ricordare a TUTTI: direttore dell’Avanti! Mauro Del Bue, agli “speculatori” e a tutti le compagne e i compagni dentro e fuori il Psi, ed anche a coloro che non sono mai stati nel Psi, che con quel simbolo i SOCIALISTI contribuirono a dare all’Italia: LIBERTA’, REPUBBLICA, DEMOCRAZIA, COSTITUZIONE,  DIRITTI POLITICI ALLE DONNE, LOTTA ALL’ANALFABETISMO, RIFORMA FONDIARIA, REGIONI, NAZIONALIZZAZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA. Furono le UNICHE e VERE RIFORME di struttura e civili come quelle: sul LAVORO (STATUTO DEI LAVORATORI), sulla SCUOLA, sulla SANITA’. Le Conquiste CIVILI: LEGGE MERLIN, DIVORZIO e ABORTO, INTERNAZIONALISMO: AIUTI VERSO LE OPPOSIZIONI CONTRO I REGIMI FASCISTI Europei e dell’America Latina, RICERCA SCIENTIFICA, ECOLOGISMO. E sempre con lo stesso simbolo i socialisti furono fermi oppositori contro i carrarmati sovietici nel 1956 prima in Ungheria e dopo nel 1968 in Cecoslovacchia. Sono solo alcune “cose” che è “capitato” di fare ai socialisti dal loro primo ingresso organico nel governo (fine 1963) in avanti! Va ricordato, inoltre, che TUTTE queste CONQUISTE non furono regalate da NESSUNO! Ma raggiunte attraverso un’opera paziente e tenace. In molte occasioni è stato versato persino del sangue. Basti ricordare il contributo alla RESISTENZA dei SOCIALISTI e le battaglie sindacali in Sicilia dove la mafia assassinò decine di Compagni Socialisti, così come nel resto del meridione, dove gli agrari non si sottrassero a commettere delitti ed eccidi. TUTTO questo in nome del SOCIALISMO, con la bandiera rossa, la falce, il martello, il libro ed il sole nascente. Domanda. Di cosa ci si deve vergognare? Tuttavia, va ricordato che nel psi dalla seconda metà degli anni ’80 ci fu una degenerazione, ma sappiamo anche che non ci sono stati solo i “nani e le ballerine” in quel Psi degli anni  ’80. Sul ps nenciniano possiamo stendere solo un velo pietoso! In tanti, ancora oggi, NON destano rispetto verso la nostra storia; e non perdono occasione per dileggiare chi invece, in ogni momento, cerca non solo di ricordarla quella storia, ma di onorarla sempre! Per questo, con tanti compagni e tante compagne ci incamminiamo verso la vita, che non potrà mai essere “la vita” ciò che oggi è quella cosa che chiamano impropriamente psi, il vero ed UNICO PSI è stato quello descritto in precedenza. Oggi abbiamo solo dei controriformisti, DEFORMISTI collaborazionisti che fungono da mosche cocchiere del sistema finanz-capitalista, in Italia ben rappresentato dal Pd, sistema che sta affossando l’Italia e l’Europa! W il Socialismo! Vincenzo Lorè SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it