CONVEGNO SULLA SANITA’

PROMUOVERE LA SALUTE  DOPO IL CORONAVIRUS Prima Parte E’ il nostro modo di “vedere” il sistema sanitario, ma soprattutto la tutela della salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia . Salute e sistema sanitario non sono la stessa cosa . Da anni sappiamo (ironia della sorte dirlo oggi,ma gli indicatori oggettivi dicono questo) che l’Italia,almeno sino a marzo 2020, è stato uno dei Paesi più sani al mondo,il secondo nel 2019 dopo la Spagna. Lo diceva  il BLOOMBERG INDEX (sulla base di indicatori precisi,dalla mortalità infantile a quella adulta, alla aspettativa di vita pari a 83,2 anni, all’abuso o meno di sostanze,alle malattie croniche,all’accesso ai sevizi ecc.).Forse oggi la classifica non è più questa perché il Covid in Italia ha lasciato il segno più che altrove (e qui servirà un serio audit clinico per capirne le ragioni). Qualcuno amava dire  “Dimmi dove abiti e ti dirò quanto vivi”: A Torino,scendendo dalle colline dove vive la borghesia torinese fino alle Vallette,periferia Nord ,si perdono 4 anni di aspettativa di vita,ma questo vale per ogni città se si mettono a confronto zone dove reddito,istruzione,alloggi,professioni sono più elevate. SIAMO NEL MONDO DEI  DETERMINANTI DELLA SALUTE CHE DOVRANNO ESSERE LA VERA STELLA POLARE DI UNA COMUNITA’ PER PROMUOVERE LA SALUTE DEI SUOI CITTADINI.  E quindi attenzione allo stile di vita dei suoi cittadini, dall’alimentazione al movimento,ai comportamenti messi in atto (influiscono sulla salute per il 38%),legati spesso alla cultura più che all’istruzione formale, al benessere socio economico,alla genetica, alle condizioni ambientali . Ovviamente anche per il suo sistema sanitario.  Questo ultimo (per l’Oms )incide tra il 15 -20% sullo stato di salute . Ma è un sistema che “ha avuto poche attenzioni” negli ultimi undici anni ed ha vissuto “di rendita”:si è depauperato un capitale professionale e strutturale di primo piano. E’ un sistema  in cui convivono aree eccellenti ed aree che non applicano molti livelli essenziali di assistenza.  Il sistema è stato  alle prese con un grande tema di sanità pubblica:   questa è stata la terza grave epidemia  in 20 anni…. È probabile, senza interventi correttivi nel rapporto uomo ambiente,che altre ne seguiranno e saranno pandemiche,come il Covid 19, in un mondo globalizzato. Debellata una se ne presenta un’altra. L’umanità non viveva un’esistenza felice priva di insidie virali, di decessi, di sofferenze, prima che scoppiasse la nuova malattia:basta scorrere la storia per capirlo. La nostra salute la difenderemo,nei prossimi anni, con ogni azione utile per diminuire la crescente “antropizzazione”,le urbanizzazioni non governate,  la deforestazione,l’inquinamento dell’aria  , che non è stato, presumibilmente ,fattore secondario, in pianura padana ,della velocità di trasmissione del virus. Prima di essere un problema sanitario la pandemia del Covid 19 è un problema di sviluppo economico  sostenibile. Ce ne saranno altre ancora,purtroppo,perché alcune modifiche nel modello di sviluppo inizieranno, ma i tempi di un cambiamento strutturale non saranno  brevi. E la si affronterà,in fase “riparatoria”, con una solida cabina di regia mondiale,europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri,in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina che coordini la ricerca ed i contributi degli scienziati. Nel frattempo l’Italia torni ad investire,dopo anni di poca attenzione, sui Dipartimenti di Prevenzione e sulla Medicina di Comunità. Su chi controlla acqua,aria,alimenti,animali,le postazioni di lavoro e la sua sicurezza (oggi,in media,   solo il 4% del Fondo Sanitario va a questo) . Su chi si prende in carico la persona che non è sommatoria di organi. Ma una persona. Seconda Parte Urge oggi in Italia  una correzione profonda sul nostro sistema sanitario ,che era un buon sistema sanitario nelle sue fondamenta valoriali e tecniche  :non a caso l’Italia era fino al 2019 il quarto paese al mondo per spettanza di vita della popolazione e registrava  uno dei tassi di mortalità adulta ed infantile più bassi al mondo . Sulla base del Bloomberg Index relativo alla salute “gli italiani sono il secondo popolo più sano al mondo, preceduti solo dalla Spagna”.Ma questo era il 2019. Quattro secoli fa. Dove si deve intervenire? 1) In primo luogo sul capitale professionale. Noi non abbiamo meno medici della media europea (vicini al 4 x mille),pur con l’esodo biblico di questi ultimi 10 anni (pensionamenti e fughe nel privato),ma abbiamo molte specialità scoperte ,soprattutto quelle meno remunerative….. (pronto soccorsisti, anestesisti,radiologi,chirurghi adesso) .Tra il 2009 ed il 2017 la sanità pubblica ha perso 8 mila medici e più di 13 mila infermieri. Su un complesso di 600 mila operatori del SSN abbiamo 101 mila medici e 245 mila infermieri. Abbiamo ,oltre ad essi, poco più di 40 mila  mila medici di base (a fine 2021) contro i 46 mila del 2012 ai quali si aggiungono i medici di continuità assistenziale oggi, poco più di 10 mila. Dalle scuole di specializzazione uscivano,fino al 2017, ogni anno 6500 medici  (contro gli 8500 necessari). Nel triennnio 2015/2017 su un fabbisogno di specialisti previsto in 24 mila specialisti,ne sono sono state finanziate poco più i 18 mila. Si è ingrossato l’esercito dei camici grigi (giovani medici fuori dalle Scuole di Specialità….Fino al 2020 insomma c’è stato un gap preoccupante tra fabbisogno di specialisti e posti finanziati nelle Scuole. Dal 2020 le borse di studio finanziate sono cresciute molto: 14.378 mila nel 2021/2022. Quando riduci così nettamente i numeri della formazione il recupero richiede tempi medio lunghi, almeno 5 anni, partendo fin d’ora dal riassorbimento dei quasi 20 mila giovani medici che fanno guardia medica, sostituzioni o altri ruoli un po’ residuali nel sistema sanitario. Senza dimenticare che 1500 medici giovani ogni anno prendono la via dell’estero… Ed il dato più significativo è l’età media avanzata del personale medico (attorno ai 50 anni),il che rende urgente una accelerazione dell’inserimento di giovani medici nel sistema. Dobbiamo investire sui medici , valorizzarli nelle funzioni cliniche,permettere la ricerca,togliere compiti burocratici, difenderli dal contenzioso pericoloso scatenatosi negli ultimi 20 anni, garantire una qualità di vita normale perché non si possono continuare a fare turni massacranti….dar loro il governo clinico degli ospedali, introdurre i neo laureati in corsia …

PROMUOVERE LA SALUTE

Documento sulla SANITA’ | E’ il nostro modo di “vedere” il sistema sanitario, ma soprattutto la tutela della salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia. Salute e sistema sanitario non sono la stessa cosa. Da anni sappiamo (ironia della sorte dirlo oggi,ma gli indicatori oggettivi dicono questo) che l’Italia,almeno sino a marzo 2020, è uno dei Paesi più sani al mondo. Per lo stile di vita dei suoi cittadini, dall’alimentazione al movimento, per i comportamenti messi in atto (faranno sempre più la differenza) per il benessere economico e anche per il suo sistema sanitario. Questo ultimo (Oms) incide non oltre il 20% sullo stato di salute. Ma è un sistema che “ha avuto poche attenzioni” negli ultimi undici anni ed ha vissuto “di rendita”,con il rischio di depauperare un capitale professionale e strutturale di primo piano. Un sistema in cui convivono aree eccellenti ed aree che non applicano molti livelli essenziali di assistenza. Oggi il sistema è alle prese con un grande tema di sanità pubblica: questa è stata la terza grave epidemia in 17 anni…. È probabile, senza interventi correttivi nel rapporto uomo ambiente,che altre ne seguiranno e saranno pandemiche, come il Covid 19, in un mondo globalizzato. Debellata una se ne presenta un’altra. L’umanità non viveva un’esistenza felice priva di insidie virali, di decessi, di sofferenze, prima che scoppiasse la nuova malattia: basta scorrere la storia per capirlo. La nostra salute la difenderemo, nei prossimi anni, con ogni azione utile per diminuire la crescente “antropizzazione”, le urbanizzazioni non governate, la deforestazione, l’inquinamento dell’aria, che non è stato, presumibilmente, fattore secondario, in pianura padana, della velocità di trasmissione del virus. Prima di essere un problema sanitario la pandemia del Covid 19 è un problema di sviluppo economico sostenibile. Ce ne saranno altre ancora, purtroppo, perché alcune modifiche nel modello di sviluppo inizieranno, ma i tempi di un cambiamento strutturale non saranno brevi. E lo si affronterà, in fase “riparatoria”, con una solida cabina di regia mondiale, europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri, in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina che coordini la ricerca ed i contributi degli scienziati. Nel frattempo l’Italia, un Paese che in un mese ha raddoppiato, lodevolmente, i posti letto di terapia intensiva ridotti in 15 anni, torni ad investire, dopo anni di poca attenzione, sui Dipartimenti di Prevenzione e sulla medicina di comunità. Su chi controlla acqua, aria, alimenti, animali, le postazioni di lavoro e la sua sicurezza (oggi, in media, solo il 4% del Fondo Sanitario va a questo). Su chi si prende in carico la persona che non è sommatoria di organi. Ma una persona. Urge una correzione profonda sul nostro sistema sanitario, che rimane un buon sistema sanitario, al di là delle inutili polemiche di questi giorni: non a caso l’Italia è il quarto paese al mondo per spettanza di vita della popolazione e registra uno dei tassi di mortalità adulta ed infantile più bassi al mondo). Sulla base del Bloomberg Index relativo alla salute “gli italiani sono il secondo popolo più sano al mondo,preceduti solo dalla Spagna” Dove si deve intervenire? 1) In primo luogo sul capitale professionale. Noi non abbiamo meno medici della media europea,pur con l’esodo biblico di questi ultimi 10 anni (pensionamenti e fughe nel privato),ma abbiamo molte specialità scoperte,soprattutto quelle meno remunerative…..(pronto soccorsisti, anestesisti, radiologi, chirurghi adesso). Tra il 2009 ed il 2017 la sanità pubblica ha perso 8 mila medici e più di 13 mila infermieri. Su un complesso di 600 mila operatori del SSN abbiamo 101 mila medici e 245 mila infermieri. Abbiamo invece,oltre ad essi, 54 mila medici di base. Dalle scuole di specializzazione escono ogni anno 6500 medici (contro gli 8500 necessari). Ed il dato più significativo è l’età media avanzata del personale medico (attorno ai 50 anni), il che rende urgente una accelerazione dell’inserimento di giovani medici nel sistema. Dobbiamo investire sui medici, dar loro il governo clinico degli ospedali, introdurre i neo laureati in corsia da dove iniziano la specializzazione sul campo,alternata alle lezioni della scuola Universitaria :era così fino ai primi anni 90 ed era buona prassi perché favoriva quotidianamente la trasmissione del sapere pratico dal medico esperto al giovane. Ed allo stesso modo un percorso analogo va fatto per i giovani medici che vogliono fare i medici di base: questa è una grande opportunità per tornare ad avere medici che prendono realmente in carico il loro assistito, accompagnati da medici di base più esperti, nella prima fase, a volte con la supervisione dello specialista (la specialistica attuale è troppo frammentata e mai ricondotta ad una visione globale della persona che non è sommatioria di organi…).  A Bergamo, in piena emergenza ,giovani neolaureati sono andati in prima linea. Hanno fatto e fanno una esperienza dolorosissima, ma fondamentale per il loro futuro: scommetto che diverranno ottimi medici. 2) Si deve intervenire sugli Ospedali che abbiamo: nel 2017 erano 1000 in tutta Italia con 216 mila posti letto, il 51,8% pubblici il 48,2% privati accreditati, pari a 3,6 posti letto ogni 1000 abitanti. Nel 1998 gli ospedali erano 1381, il 61% pubblici, il 39% privati accreditati, con 5,8 posti letto ogni 1000 abitanti. E’ evidente la sensibile diminuzione ed il cambio di rapporto tra pubblico privato a favore di quest’ultimo. Una tendenza che va rivista con attenzione selettiva, soprattutto dove la ospedalità privata è inefficiente e le convenzioni onerose. La scelta strategica è qualificare sempre più i nostri ospedali per la cura degli acuti, rafforzare le aree critiche, ripristinare almeno una quota parte degli 8 mila medici e dei 13 mila infermieri persi in 10 anni. Non vanno riaperti i piccoli ospedali dismessi. Spesso sono “pericolosi” per la sicurezza del paziente perché non dotati dei servizi necessari in casi di emergenza. Le risorse invece vanno investite nella messa a norma del patrimonio edilizio ospedaliero, una parte del quale obsoleto, spesso vetusto, nell’adeguamento tecnologico, nel rafforzamento della vigilanza igienico sanitaria (mai dimenticare i 49 mila morti per infezioni ospedaliere annue!!) nella dotazione di personale, nelle …

STIAMO ANCORA VIVENDO IN UNO STATO DI EMERGENZA!

    di  Gianmarco Rodighiero – Circolo Bruno Buozzi Socialismo XXI Vicenza |   Di certo il nostro futuro alla luce di questo dramma dovrà essere un futuro che mette in discussione in primo luogo il nostro modello di sviluppo, e poi le scelte scellerate sul diritto alla salute di questi ultimi decenni. Pertanto la politica dovrebbe avviare tempestivamente una inversione di rotta abbandonando la scelte passate di riduzione dei posti letto negli Ospedali pubblici, e quello di cedere alla sanità privata  importanti segmenti di servizi sanitari. Stiamo pagando il mancato avvio e potenziamento della medicina territoriale, non siamo stati in grado di ripensare alla cura dell’età anziana, si sono evidenziate invece  in maniera drammatica le carenze strutturali dell’assistenza alle persone anziane nel nostro Paese, in particolar modo per quanto riguarda le cure a lungo termine, e nemmeno di  riattivare i consultori e  una seria prevenzione sanitaria e ambientale che l’emergenza Covid ha evidenziato in modo drastico. Tra le città più inquinate d’Europa, quattro sono italiane e a poca distanza tra di loro. Si trovano tutte in Pianura Padana: il centro abitato più inquinato d’Italia (e il secondo del continente) è Cremona, seguita da Pavia, Brescia e Vicenza. La riforma fiscale dovrebbe servire anche a finanziare quei beni pubblici fondamentali (scuola, sanità, trasporti, casa) che sono la vera riforma di struttura che serve al paese per tornare ad essere civile. Condivido la riflessione di Alberto Leoni del 17 dicembre quando sostiene che nulla è paragonabile a un anno fa (almeno per ora!) e che bisogna cambiare strategia perché così si sta minando la coesione avvenuta anche attraverso  una molteplicità di decreti-legge, che di volta in volta, hanno introdotto misure destinate al contrasto dello stesso e che hanno inciso sempre di più sulla sfera individuale di tutti noi. Lentamente questa lunga emergenza ci sta rendendo consapevolmente disposti  a sacrificare e a limitare le nostre condizioni normali di vita, mi riferisco ai nostri rapporti sociali, al lavoro, alle amicizie e ai nostri affetti familiari finanche alle nostre convinzioni religiose e politiche, con il timore che vi sia il pericolo di ammalarci. La domanda che mi pongo è:  quanto siamo disposti a cedere e a ridimensionare la nostra vita in tutti i suoi aspetti pur di salvaguardare le nostra salute e la nostra vita? Molti di noi si stanno sempre più chiedendo che cosa ne sarà del nostro futuro. Il filosofo Foucault nei corsi tenuti a Parigi negli anni  1977e 1979 aveva sviluppato una riflessione oggi tristemente attuale su quali possono essere le trasformazioni delle forme di potere politico governando semplicemente sui fenomeni naturali come la salute. Forse non è il nostro caso, ma certamente non fa male riflettere su quali drammi politici e sociali  potrebbe causare il perdurare per molto tempo di questa emergenza pandemica. Mi chiedo in che modo sia possibile affrontare e superare questo “stato d’eccezione”, tenendo bene a mente ciò che il Presidente della Corte costituzionale ha ribadito in modo semplice e chiaro (la nostra Carta fondamentale non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza) anche se non è insensibile al variare delle contingenze anzi prende atto della possibilità dell’emergere di situazioni di crisi o di straordinaria urgenza, dando la possibilità al Governo di adottare provvedimenti “provvisori” con forza di legge. In altri momenti gravi la nostra Repubblica ha attraversato situazioni di emergenza e di crisi, che però sono state sempre affrontate senza mai sospendere l’ordine costituzionale. Ci si rende conto di quanto la Carta costituzionale sia perfetta così e di come essa metta a disposizione, sempre, strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche esigenze. Non è possibile immaginare un diritto eccezionale, figuriamoci un diritto eccezionale perpetuo, perché se fosse così diventerebbe strumento di controllo politico. Sta a noi vigilare con la massima attenzione che questa pandemia con le suo innumerevoli varianti rimanga sempre e solo un problema sanitario con lo scopo precipuo di bloccare e reprimere la diffusione del virus.  E, scusami Alberto se prendo ancora in prestito una tua riflessione (sarebbe molto opportuno che nessuno (a differenza di quanto successo nel 2021) dicesse “questa è l’unica arma che abbiamo”, le cose non stanno così. Non esiste un ‘unica arma. Ma ci deve essere una strategia sanitaria, sociale, economica per imparare a convivere con il virus). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DA 22 MESI VIVIAMO CON IL COVID IN ITALIA

    di  Alberto Leoni – Coordinatore regionale Socialismo XXI Veneto |   E’ l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi scriveva  duemila anni fa Seneca a Licinio. E’ il nostro modo di “vedere”  la salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia che sta cambiando il mondo e mettendo in discussione il nostro modello di sviluppo. L’umanità non viveva un’esistenza felice, priva di insidie virali, di decessi, di sofferenze, prima che scoppiasse la nuova malattia. E senza nulla togliere alla gravità del momento sarebbe già un inizio di “rielaborazione” seria e di possibile risalita, inquadrare questa pandemia maledetta ed aggressiva nel contesto generale delle tante patologie di cui soffrono e muoiono i mortali. E che paiono dimenticate. La prima cosa da stampare nella mente: questa è stata la terza pandemia in meno di 17 anni. È probabile, senza interventi correttivi, nel rapporto uomo ambiente, che altre ne seguiranno a ritmi temporali più veloci. La nostra salute la difenderemo con ogni azione utile per diminuire la “invasione umana”, la deforestazione, lo spazio rubato agli animali, l’inquinamento dell’aria, l’urbanizzazione massiccia e mal regolata. Prima di essere un problema sanitario, la pandemia è un problema di sviluppo economico sostenibile. Succederà ancora, purtroppo, perché certamente alcune modifiche nel modello di sviluppo inizieranno, ma i tempi di un cambiamento strutturale non saranno certo brevi e nuove ondate epidemiche si profileranno nella nostra vita. E le si dovranno affrontare con una solida cabina di regia mondiale, europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri, in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina di regia che va rivista nella composizione in Italia. La gestione Covid 19 in Italia. Punti di forza e punti di debolezza In Italia il Covid sappiamo bene che cosa ha provocato. Alla data odierna 132 mila morti, in gran parte ultraottantenni, già con gravi compromissioni; 4.600.000 persone contagiate in tutto il periodo mentre ad oggi, 16 novembre 2021, sono 120 mila i positivi: per numerose di esse gli effetti a lungo termine del Covid, poco conosciuti, si fanno ancora sentire. Abbiamo passato 22 mesi di paura alternata ad ottimismo, scoprendo le nostre debolezze sanitarie, ma anche i nostri punti di forza. I punti di debolezza: la fragilità, oltre ogni immaginazione, della medicina territoriale che non ha preso in carico tempestivamente molti malati, i pochi posti di terapia intensiva (5.200 a febbraio 2020, oggi, grazie ad un investimento straordinario, pubblico e privato, oltre quota 8500), la scarsità del numero di medici ed infermieri, figlia di una errata programmazione dei fabbisogni e della colpevole perdita di 8 mila medici e 13 mila infermieri nel periodo tra il 2008 ed il 1017; l’insufficienza della rete di trasporto pubblico, soprattutto treni locali e bus scolastici, la vetustà di molti edifici scolastici che, in particolare negli Istituti Superiori, ha determinato sovraffollamento pericoloso. I punti di forza: la capacità di riorganizzare i nostri ospedali nell’emergenza con un grande lavoro di squadra, la lucida razionalità nella organizzazione della campagna vaccinale che ha portato ad una tasso di popolazione vaccinata destinato a toccare ormai il 90% , dato difficilmente prevedibile a febbraio di questo anno; la professionalità non comune dello staff sanitario del Servizio Sanitario Nazionale (della quale forse non siamo consapevoli) e lo spirito solidale con cui molti professionisti in pensione sono rientrati rapidamente in servizio con lo spirito dei “riservisti” militari. Alcuni aspetti inquietanti purtroppo si sono “cronicizzati”. Uno è la campagna comunicativa contradditoria (pensiamo solo al caso Astrazeneca, ricordate?), con un eccesso di spazio mediatico a professionisti che non hanno aiutato i cittadini a capire, probabilmente vittime loro stessi sia del proprio narcisimo sia di un sistema mediatico che ha dato un pessimo servizio al Paese. Come non ricordare un vero e proprio terrorismo mediatico che da mesi ci affligge, ora si attenua, ora esplode, senza dare correttamente dati e spiegazioni (magari sintetiche, non servono le 9 pagine giornaliere o ore di talk show!). E le omissioni sconcertanti! Una per tutte. Nei giorni scorsi la Fondazione Hume, del prof. Luca Ricolfi, ha pubblicato una ricerca del dr. Mario Menichella sul rapporto rischio beneficio nella popolazione, mettendo in evidenza come il beneficio sia notevolmente superiore al rischio nelle fasce d’età superiori ai 50 anni, ma come, invece, sia inferiore signifcativamente nelle fasce d’età dei bambini e dei minori. La notizia la trovate sul sito web della Fondazione, su nessun quotidiano della “grande” stampa italiana. Nei media, nessuno dei più seguiti ha perso un minuto per informare i cittadini. L’altro è il clima sociale che si è generato nel Paese, la lacerazione profonda tra vaccinati e non, la ricerca del “capro espiatorio” che è sempre il segnale di una comunità non sana, che non sa elaborare i problemi in modo maturo. Chi non ha utilizzato l’opportunità del vaccino non si è voluto bene. Tanto più se poi indulge a visioni di improbabili e assurdi complotti o a negazioni della gravità della pandemia. Ma compie un grave errore anche chi considera i non vaccinati potenziali fonti di contagio, “i nuovi untori”, non ne ascolta le paure, i dubbi. Ho sempre pensato che l’ascolto attivo e sincero sia da preferirsi al giudizio morale, la persuasione intelligente e qualificata (magari fatta dal medico di fiducia …) all’obbligo. Abbiamo dimenticato tutto di quanto successo in questi 22 mesi: i sistemi di protezione che non c’erano ed hanno causato la morte di tanti sanitari, quella sciagurata partita di San Siro tra Atalanta e Valencia, quel protocollo irresponsabile per la cura a domicilio basato su tachipirina e vigile attesa.  Ma abbiamo dimenticato anche che in Italia abbiano chiuso il 30% degli ospedali nel periodo 1998 /2018 con relativi posti letto, senza creare strutture intermedie alternative; abbiamo perso tanto personale sanitario non sostituito per risparmiare; abbiamo tenuto troppo basso il numero dei posti delle terapie intensive. La memoria, la memoria! Non deve mai venirci meno, specie quando si valutano tragedie come questa. Ed oggi di fronte alla terza (o quarta) ondata …

CAMBIANO I NUMERI DEL COVID-19

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   I dati sulla diffusione del virus cui stiamo assistendo danno una nuova visione sulla seconda ondata attesa per quell’autunno che oggi è iniziato. Due riflessioni si pongono: ∎ Se, come pare, la rigidità del lockdown italiano sta mostrando di essere stato più efficace di quello adottato dagli altri paesi, non possiamo che congratularci con il governo e con la responsabilità mostrata dai cittadini italiani. Di fronte alla situazione di Israele, Francia, Regno Unito i nostri dati sembrano far sperare nella efficace interdizione, tramite attacco ai focolai, dell’agressività di una seconda ondata. Va da sé, ed è elemento molto importante, che le ricadute negative sull’economia dovrebbero essere evitate non prggiorando ulteriormente la situazione economica del nostro paese. Ciò eviterebbe anche preoccupanti risvolti sociali. ∎ Ma se i danni del Covid dovessero mutare tra i paesi europei, se cioè l’Italia ha ricevuto (?) 209 miliardi sulla base dei danni da Covid stimati qualche mese fa, poiché queste cifre non sono ancora definitive, un mutamento della situazione potrebbe portare a rivedere i criteri di ripartizione che conosciamo e che riporto? Voci Totale Prestiti Sussudi Recovery & reliance plan 191.4 127.6 63.8 React europe 15.2 0 15.2 Altre voci 2.0 0 2.0 Totale 208.6 127.6 81.0 Totale Europa 750.0 360.0 390.0   Oppure sarà necessario pensare ad una Second Next Generation EU, cioè a ulteriori eurobonds da ripartire in base alle nuove stime di danni Covid.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CORONAVIRUS: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN TRE REGIONI DEL NORD

A cura del Comitato Salute provincia del Verbano-Cusio-Ossola | In questi giorni, ritenendo superata la fase acuta, si parla di “fase 2” per far “ripartire” il Paese. Riteniamo perciò che sia giunto il momento di confrontare la gestione della pandemia nelle tre Regioni del nord governate dalla Lega: Veneto, Lombardia e Piemonte per capire i motivi che hanno prodotto risultati così diversi fra loro. Partiamo dall’architettura del sistema sanitario regionale: VENETO – Presenza di Aziende locali socio sanitarie, con alcune funzioni sanitarie integrate con il sociale. Sanità territoriale articolata, distretti “forti” e Conferenze dei Sindaci con ruolo chiave di programmazione e controllo. Rete ospedaliera pubblica. Privati presenti ma non strategici e con attività marginali. LOMBARDIA – Aziende sanitarie svuotate di poteri e Conferenze dei Sindaci non più coinvolte. Sanità territoriale inesistente, politica sociosanitaria frammentata e separata dal sanitario. Sistema sanitario “ospedalocentrico”. Forte presenza dei “privati”, che assorbe quasi il 50% delle risorse disponibili. La riforma del 1997 mette in assurda competizione “pubblico” e “privato”, pur sapendo che a differenza del “pubblico” il “privato” non ha vincoli. PIEMONTE – Presenza di ASL a copertura provinciale.  I distretti sono i luoghi di integrazione socio sanitaria. Sanità territoriale in itinere, in accordo con i Medici di famiglia, ma in questa legislatura non si registra alcun progresso. Politica sociale distinta da quella sanitaria, ma sulla via dell’integrazione. Privati presenti ma non strategici. GESTIONE DELLA CRISI VENETO – La grave crisi di VO’ Euganeo, dichiarata “zona rossa” insieme a Codogno è stata superata grazie ad una rete territoriale efficiente che è servita anche a mantenere più a lungo la tracciabilità dei contatti da parte dei contagiati, ma anche di effettuare, dallo scorso marzo, un numero di tamponi più elevato rispetto a Lombardia e Piemonte, che invece lo hanno incrementato solo ad aprile. Il Veneto però è riuscito ad evitare che il contagio si propagasse verso i grandi centri urbani, contenendo così il numero dei contagiati e dei morti. La struttura ospedaliera non è sta messa sotto pressione e la crisi ha potuto essere governata senza patemi. Con legittimo diritto oggi si chiede di passare alla fase 2. LOMBARDIA – La crisi iniziata a Codogno è stata sì superata ma, l’assenza di una rete sanitaria  territoriale non ha consentito la tracciabilità dei contatti avuti dai contagiati e quindi tutto è ricaduto sul sistema ospedaliero che però, per sua natura cura le acuzie ma non fa prevenzione. In mancanza di queste informazioni si è rimasti senza bussola ed è risultato impossibile contenere il contagio che si è inevitabilmente diffuso nei grandi agglomerati urbani. Solo l’ASST di Lodi ha limitato i danni grazie al presidio del territorio affidato a “Medecine sans frontière”. La crisi scoppiata a Bergamo che stranamente non è stata dichiarata “zona rossa” ha probabilmente contribuito a contagiare la vicina Valle Seriana e il territorio bresciano. Il sistema ospedaliero è entrato in crisi rivelando i limiti della sanità privata per affrontare le emergenze verso le quali invece il “pubblico” è sempre obbligato ad intervenire. Ciò ha portato alla decisione aprire nell’ex Fiera di Milano un nuovo ospedale dedicato al “corona virus” e a Bergamo un ospedale da campo preparato dagli Alpini. Un errore madornale è stato poi commesso con la decisione di inviare nelle RSA  i pazienti “post Covid” dimessi dagli ospedali. I risultati del contagio sono stati drammatici. Una gestione “isterica” che in alcuni momenti è arrivata ad addossare al potere centrale delle responsabilità che la Costituzione affida  in esclusiva alle Regioni. Aldilà del valore delle persone coinvolte, appare in tutta evidenza l’assoluta inadeguatezza di “questo” sistema sanitario che ha tolto molto al “pubblico” e ha lasciato il territorio senza una adeguata copertura sanitaria. PIEMONTE – Nella gestione della crisi pandemica, vi sono alcune cose che meritano di essere valutate in base ai risultati che hanno prodotto.  Questa Amministrazione si è fatta trovare impreparata all’urto della pandemia, nonostante ci si attendesse da almeno 15 giorni il suo arrivo. Questo lasso di tempo non è stato adeguatamente utilizzato. Il Presidente della Regione si è più volte giustificato addossando al potere centrale responsabilità solo sue, ma anche addebitando alla amministrazione precedente le difficoltà incontrate, come se questo disastro si poteva prevedere.   Che dire però della ridicola e dispendiosa vicenda delle mascherine acquistate a milioni e buttate perché inutilizzabili, della scomparsa delle mail dei medici di famiglia e ancora peggio della scomparsa di una serie di tamponi che dovevano essere ancora analizzati, che hanno messo in cattiva luce una gestione già di per sé non certo brillante. Che dire poi delle mascherine rese obbligatorie (che ancora non ci sono) fra l’altro acquistate anche con i soldi dei cittadini e che un Partito politico, senza pudore e vergogna, se ne attribuisce il merito per alimentare la sua scandalosa campagna elettorale permanente. E che dire delle delibere e delle ordinanze del Piemonte uguali a quelle lombarde emesse solo qualche giorno prima? Questo spiega anche il disastro a cui sono andate incontro le Case di riposo di cui nessuno si è occupato sino all’esplodere dei contagi e dei decessi. Tutto questo mentre l’Assessore regionale alla sanità che in piena crisi pandemica procede ad una sostituzione di posizioni apicali nella sanità piemontese. Ma dai! Non si è mai visto che mentre infuria una battaglia si sostituiscano i comandanti delle truppe che stanno combattendo. E’ il metodo migliore per perdere una battaglia. Geniale! Qui facciamo nostra la frase che lo stesso Assessore ha pronunciato in un momento di disperazione: “siamo stati sfortunati”, e non è difficile capire perché lo diciamo anche noi. Anziché inseguire il disastroso modello lombardo, era molto meglio ispirarsi al virtuoso Veneto perché, come a scuola, il compito è meglio copiarlo dal primo della classe anziché dall’ultimo.  CONCLUSIONE VENETO: il sistema sanitario della Regione si è rivelato il più adatto ad affrontare sia la normalità che l’emergenza. LOMBARDIA: si conferma la pericolosità del suo sistema a gestione mista pubblico – privato. E’ il “pubblico” che è stato gravato dal peso della crisi, ma con una organizzazione inadeguata per …

MEMORIA COLLETTIVA E POTENZIAMENTO DEL SISTEMA DI PROTEZIONE SOCIALE

  di Alberto Leoni –  Coordinatore Socialismo XXI Veneto |   Ci sono eventi spartiacque, tra una fase storica ed un’altra. Questo lo è! Nulla sarà come prima, in ogni campo. Non c’è nulla di idilliaco in questo, ma tutti i cambiamenti imposti, intanto quelli piccoli che vediamo, sono figli della straordinaria capacità umana di riadattarsi alle situazioni. Molti cominciano a capire il valore del dedicare più tempo a se stessi, alla vita personale e familiare (cosa non sempre facile…) riscoprendo le difficoltà di fare i coniugi, i padri e le madri quasi a tempo pieno; per altri stare in casa è una pena indicibile, come gli arresti domiciliari, magari alle prese con rapporti difficili destinati al divorzio a fine pandemia. E stare in casa è diverso per chi si sente garantito economicamente rispetto a chi vive l’angoscia di non riaprire la propria attività o di perdere il lavoro. Pesa, un po’ su tutti, la mancanza dello stare insieme agli altri. Un amico da guardare negli occhi è qualcosa di più di un amico su Fb o di un follower. Una partita di calcio allo stadio, un film al cinema, un dibattito in una sala piena ti danno una adrenalina ed un senso di contatto che mai, nel salotto di casa, da soli, potranno darti. Finisce il mito dello spettacolo a chilometro zero. Forse rinascerà, dopo questo choc, la memoria collettiva oggi affievolita nel qui ed ora: un dramma come questo ti cambia. Sentiamo che abbiamo vissuto un momento straordinario e noi c’eravamo, con le nostre paure: la memoria ritrovata ci aiuta, però, a discernere le paure vere da quelle “false”, indotte da mercanti senza scrupoli. Ci aiuta ad avere una idea nuova del mondo e dei confini: capiamo che la chiusura è inutile, che il mondo è un unico grande Paese dove tutto si tiene. Apprezzeremo, dopo quello che abbiamo visto negli ospedali, il nostro sistema sanitario ed il personale (uno dei più preparati al mondo), a partire dai medici neo laureati che torneranno a fare la specializzazione lavorando in corsia (Bergamo insegna); capiremo che il sistema di protezione sociale che gli efficienti cinesi nemmeno si sognano, richiederà qualche correzione e soprattutto una generosa ed inevitabile dose di mutualità (tradotto: contribuire tutti con qualche euro in più se vogliamo mantenerlo). La Scuola e l’Università alterneranno insegnamento in aula ed insegnamento a distanza con effetti straordinari nella qualità dell’apprendimento. Giorno dopo giorno, ci renderemo conto che dovremo modificare il nostro sistema economico (questa la grande e preoccupante sfida): una grande occasione, ma anche un trauma. E dobbiamo aver chiaro, tutti, ma proprio tutti, che la sofferenza creata da questa riconversione dovrà essere sopportata da tutti e non dai “colpiti”, perché ci si salva assieme e mai da soli. E non si risolve questo dramma con una donazione una tantum. Il cambiamento più probabile? Una maggiore consapevolezza che siamo fragili e la presunta onnipotenza una follia che ci ha accompagnato per troppi anni.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SANITA’ DOPO IL CORONAVIRUS

  di Alberto Leoni –  Coordinatore Socialismo XXI Veneto |   E’ l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi scriveva duemila anni fa Seneca a Licinio. E’ il nostro modo di “vedere” il sistema sanitario, ma soprattutto la tutela della salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia che sta cambiando il mondo e mettendo in discussione  il suo modello di sviluppo. La prima cosa da stampare nella mente: questa è stata la terza pandemia in meno di 17 anni. È probabile, senza interventi correttivi nel rapporto uomo ambiente, che altre ne seguiranno a ritmi temporali più veloci. Debellata una se ne presenta un’altra. La nostra salute la difenderemo con ogni azione utile per diminuire la invasione umana, la deforestazione, lo spazio rubato agli animali, l’inquinamento dell’aria, che non è stato presumibilmente fattore secondario in pianura padana della velocità di trasmissione del Covid19. Prima di essere un problema sanitario la pandemia è un problema di sviluppo economico  sostenibile. Succederà ancora, purtroppo. E lo si affronterà con una solida cabina di regia mondiale, europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri, in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina che coordini la ricerca ed i contributi degli scienziati evitando la frammentazione ed il protagonismo dei singoli. Una epidemia seria, in Italia, non va proprio delegata alla gestione delle Regioni che dovranno cooperare e attuare le direttive nazionali dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità. Poi urge una correzione profonda sul nostro sistema sanitario, che rimane un buon sistema sanitario, al di là delle inutili polemiche di questi giorni: non a caso l’Italia è il quarto paese al mondo per spettanza di vita della popolazione e registra uno dei tassi di mortalità adulta ed infantile più bassi al mondo). Dove si deve intervenire? a) In primo luogo sul capitale professionale. Noi non abbiamo meno medici della media europea, pur con l’esodo biblico di questi ultimi 10 anni (pensionamenti e fughe nel privato), ma abbiamo molte specialità scoperte, soprattutto quelle meno remunerative (pronto soccorsisti, anestesisti, radiologi, chirurghi adesso). Tra il 2009 ed il 2017 la sanità pubblica ha perso 8 mila medici e più di 13 mila infermieri. Dobbiamo investire sui medici, dar loro il governo clinico degli ospedali, introdurre i neo laureati in corsia da dove iniziano la specializzazione sul campo, alternata alle lezioni della scuola Universitaria: era così fino ai primi anni ’90 ed era buona prassi perché favoriva quotidianamente la trasmissione del sapere pratico dal medico esperto al giovane. Ed allo stesso modo un percorso analogo va fatto per i giovani medici che vogliono fare i medici di base: questa è una grande opportunità per tornare ad avere medici che prendono realmente in carico il loro assistito, accompagnati da medici di base più esperti, nella prima fase, a volte con la supervisione dello specialista (la specialistica attuale è troppo frammentata e mai ricondotta ad una visione globale della persona che non è sommatioria di organi).  A Bergamo, in piena emergenza, giovani neolaureati sono andati in prima linea. Hanno fatto e fanno una esperienza dolorosissima, ma fondamentale per il loro futuro: scommetto che diverranno ottimi medici. b) Si deve intervenire sugli Ospedali che abbiamo: nel 2017 erano 1000 in tutta Italia con 216 mila posti letto, il 51,8% pubblici il 48,2% privati accreditati, pari a 3,6 posti letto ogni 1000 abitanti. Nel 1998 gli ospedali erano 1381, il 61% pubblici, il 39% privati accreditati, con 5,8 posti letto ogni 1000 abitanti. E’ evidente la sensibile diminuzione ed il cambio di rapporto tra pubblico privato a favore di quest’ultimo. Una tedenza che va rivista con attenzione selettiva, soprattutto dove la ospedalità privata è inefficiente e le convenzioni onerose. La scelta strategica è qualificare  sempre più i nostri ospedali per la cura degli acuti, rafforzare le aree critiche, ripristinare almeno una quota parte degli 8 mila medici e dei 13 mila infermieri persi in 10 anni. Non vanno riaperti i piccoli ospedali dismessi. Spesso sono “pericolosi” per la sicurezza del paziente perché non dotati dei servizi necessari in casi di emergenza. Le risorse invece vanno investite nella messa a norma del patrimonio edilizio ospedaliero, spesso vetusto, nel rafforzamento della vigilanza igienico sanitaria (mai dimenticare i 49 mila morti per infezioni ospedaliere annue!)  nella dotazione di personale, nelle strutture territoriali  che dovevano essere la vera alternativa alla chiusura dei piccoli ospedali e mai sono veramente decollate. c) I territori, le città hanno bisogno quindi di ospedali molto qualificati per acuti. La vicenda del Covid19 ha evidenziato la necessità di disporre, in modo flessibile, di almeno il doppio di posti di terapia intensiva e subintensiva. I 5 mila esistenti, diminuiti negli ultimi 10 anni, non sono sufficienti durante eventi eccezionali. Durante questa tragedia ne sono stati attivati ulteriori 4 mila, grazie allo straordinario apporto di aziende e volontari. Fino a febbraio 2020 l’Italia disponeva di 8,558 posti letto di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti, contro i 29,2 della Germania. Questi posti, creati in un un mese, andranno mantenuti, con la necessaria flessibilità (in alcuni periodi ne serviranno, si spera, meno) perché il nostro futuro è ancora condizionato da possibili gravi eventi avversi. Non dobbiamo essere impreparati. d) La vera priorità, emersa in Lombardia soprattutto, è la necessita di una rete territoriale socio sanitaria efficiente e tempestiva, in grado di curare a casa le situazioni di malattia non acute. Soprattutto in situazioni pandemiche. Le buone pratiche non sono mancate in questi anni, ma sono esempi isolati. Da domani  il perno del sistema deve esserlo la medicina di comunità, basata sul medico di base, sull’infermiere di comunità, sulla stessa assistente sociale, con la supervisione degli specialisti  in caso di situazioni più complesse. E’ la logica dell’integrazione Ospedale Territorio, per evitare di riempire gli ospedali. Medicina di base forte e strutture intermedie, un’assistenza domiciliare integrata che va a casa della persona (in grado di prendere in carico almeno l’8% dei dimessi fragili ospedalieri), sono la risposta più adeguata alla …

REDDITO DI SALUTE: E NON E’ ELEMOSINA DI STATO

di Aldo Ferrara – Socialismo XXI Lazio | Anche il pensionato ha diritto al suo reddito d’inclusione che, data l’età avanzata e le possibili precarie condizioni di salute, non può che avere una sola definizione: Reddito di Salute. In tema di diritto alla Salute, lo scenario dal quale l’Agenda Politica non esce, è il teorema della Bindi che, da Ministro della Sanità, volle chiudere i piccoli centri ospedalieri di Provincia, atti comunque a fornire una minima offerta di salute e con l’Aziendalizzazione ha trasformato il Servizio in Sistema Sanitario Economico-finanziario-Amministrativo e Politico. Lo step successivo, il Modello Formigoni, consegna la Sanità in mano alle Assicurazioni e Banche, rendendolo semi-privatizzato. Al contrario la posizione, più autentica in difesa dei meno abbienti è chiara: intendiamo sviluppare un concerto di proposte nelle quali siano contemperate le esigenze della domanda sanitaria e il deficit statale poiché, se mai si dovesse pervenire a un riassetto dei sistemi di gestione, questo potrà ridursi. Ridimensionare la spesa per la salute è in controtendenza con altri Paesi, ove essa è in crescita (negli Usa di ben 5 volte quella italiana). Ciò significa che una posizione politica possibile è quella di una ristrutturazione globale dell’assistenza che comporti risparmi e non tagli. A fronte delle proposte tipo “elemosina di stato” (Reddito di cittadinanza, reddito di inclusione et affini) https://www.glistatigenerali.com/occupazione_partiti-politici/dalla-rivoluzione-verde-allelemosina-di-stato-il-tradimento-m5s/ noi proponiamo una misura a costo zero che consiste in un riequilibrio delle risorse economiche del lavoratore, peraltro già esistenti. Solo che ne modifichiamo, a suo vantaggio, la destinazione. Se dunque assumiamo che assistenza e previdenza presentino profili d’intreccio e poiché il dibattito odierno verte anche sul TFR (o TFS  a seconda del Contratto di Lavoro), la cui cifra complessiva si aggira sui 22.5 miliardi/anno, la nostra proposta può se non altro contribuire al dibattito sul tema. Le ipotesi di lavoro sono lo slittamento del TFR in busta paga (scenario A) ovvero la capitalizzazione ai fini contributivi (scenario B), ciò che comporterebbe utilizzo di un fondo pensione integrativo. Indipendentemente dalle forme di previdenza complementare cui è destinato il TFR a far tempo dal gennaio 2007 (fondi negoziali, fondi aperti o piani individuali previdenziali) la nuova proposta riguarda l’istituzionalizzazione di un Fondo Sanitario complementare. Un ex Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, un tempo allievo del socialista Franco Reviglio ed egli stesso nel PSI, sembra favorevole a una proposta del genere. Secondo l’ex Ministro, (dichiarazione alla trasmissione televisiva “Piazzapulita” de La7, 3 maggio 2012 e note nel suo volume “Uscita di Sicurezza”, Rizzoli, 2012) sarebbe uno dei progetti per il rilancio istantaneo dell’economia. E questa volta “dal basso”! A ciò si aggiunga che si tratterebbe di istituzionalizzare quanto previsto dal Codice per il lavoratore in costanza di rapporto. L’art. 2120 del codice civile, comma 8, disciplina l’anticipazione del TFR: i lavoratori dipendenti con almeno 8 anni di servizio possono chiedere al datore di lavoro un’anticipazione del trattamento di fine rapporto fino al 70% nei seguenti casi: spese sanitarie per terapie e interventi straordinari; acquisto della prima casa, anche per i figli; astensione facoltativa per maternità; congedi per la formazione. Un’idea per far ripartire micro e macro-economia perché quando i lavoratori hanno più soldi, certamente ne mettono in banca una parte, ma spendono il rimanente riattivando il volano dei consumi. L’idea non è nuova, ne fu propugnatore Mussolini, quando aveva ancora idee socialiste, nell’Italia in crisi del primo decennio del XX secolo. Una sorta di ammortizzatore sociale allora, che adesso potrebbe avere benefici effetti sulle attività commerciali. La nostra idea è più orientata verso i numerosi aspetti sociali: dedicare parte del TFR non solo ai consumi ma soprattutto alle agevolazioni sanitarie, (e non in busta paga, soluzione demagogica e plausibile solo per aumentare la tassazione) significherebbe andare incontro alle necessità immediate degli anziani, e dei pensionati, affetti da svariate patologie. Non ultima motivazione è quella politica, perché il destino del TFR è di essere accantonato dalle Aziende, che poi usufruiscono di congrui interessi attivi. Ma questo è un concetto padronale che poco si sposa con gli interessi dei lavoratori, ancorchè anziani. Tuttavia riteniamo che esista un terzo scenario (scenario C) cui si perviene per una serie di passaggi logici:l’età media è in continua ascesa: l’ISTAT ci fornisce il novero di 15.219.074 ultrasessantenni al 2017, 86% dei quali in fase di pensionamento o prepensionamento. Malgrado i continui progressi, ben il 74% degli ultrasessantenni presenta uno stato di malattia e quindi la necessità di ricorso alla spesa ospedaliera o farmaceutica. Se gran parte dei pensionati capitalizzasse il TFR per ottenere un plus agevolativo e aggiuntivo ai fini sanitari o farmaceutici, si potrebbe modificare il plafond di spesa per redistribuzione individuale diretta, e quindi con un miglioramento del deficit dello Stato. In pratica, la proposta è quella di una capitalizzazione di almeno il 50% del TFR complessivo (11 miliardi) ai fini contributivi assistenziali con un Fondo Assicurativo Statale ad hoc. Lo Stato si comporterebbe da buon padre di famiglia, assicurando al proprio cittadino una certa cifra, ma destinandola direttamente alla contribuzione assistenziale, almeno nella sua quota capitalizzata. I vantaggi assicurati sarebbero i seguenti: • resterebbe nelle casse dello Stato il 50% del TFR capitalizzato ai fini assistenziali; • il pensionato godrebbe effettivamente di un 50% in meno di TFR, ma si vedrebbe corrisposta una quota parte in trattamento assistenziale, le cui forme possono essere suddivise in fondi assicurativi o esenzioni dai ticket sanitari; • tale agevolazione sanitaria si riverserebbe sui pensionati nel loro complesso, assicurando un maggior benefit per i pensionati al minimo pensionistico; • capitalizzando il TFR nel suo 50% (11 miliardi), si otterrebbero mediamente circa 100 milioni di interessi attivi a beneficio dell’attuale capitolo di spesa della sanità, riversandosi tra la spesa farmaceutica e quella ospedaliera. In pratica, attraverso una destinazione già prefissata, non si farebbe altro che investire in assistenza senza mortificare i diritti e le necessità del cittadino. Questo verrebbe addirittura sollevato da ogni problematica relativa all’investimento del TFR, evitando così il trasferimento di questi fondi a enti privati (banche, assicurazioni) ai quali si rivolgerebbe per investire il suo TFR. Un altro elemento positivo sarebbe …

FINANZA ETICA E SALUTE: OSSIMORO AL QUADRATO

di Aldo Ferrara – Socialismo XXI Lazio | Milano. Il Forum per la Finanza Sostenibile è nato nel 2001. È un’associazione no profit multi-stakeholder: Ne fanno parte operatori finanziari e altre organizzazioni interessate all’impatto ambientale e sociale degli investimenti. Gli investimenti nelle infrastrutture sociali svolgono un ruolo fondamentale nella salute e nella crescita delle comunità locali: con l’apporto del capitale privato e delle risorse pubbliche, le infrastrutture sociali possono essere considerevolmente migliorate. Così si esprime il portale di finanza sostenibile.it che  il 20 marzo 2019 ha dedicato il suo appuntamento seriale, Breakfast, a “Finanza Sostenibile e infrastrutture sociali” in cui le Società di investimenti, e particolarmente Franklin Templeton, hanno approfondito progetti in infrastrutture sociali – quali strutture sanitarie e abitative, scuole e studentati – quali asset interessanti per investitori istituzionali che intendano conseguire sia un ritorno finanziario, sia un impatto sociale positivo. Questo duplice obiettivo aiuterebbe a raggiungere rendimenti stabili anche in virtù del beneficio che l’investimento apporta alla comunità. Tradotto in termini semplici, andiamo a vedere dove sono le strutture territoriali pubbliche dismesse e le ristrutturiamo per farle funzionare e attivare i profitti. Insomma la sanità privata più che un  bene comune diventa sempre di più un investimento. Il 10 maggio a Cernobbio si terrà l’Assemblea AIOP (Associazione italiana ospedalità privata) con all’ordine del giorno “accelerare e facilitare l’introduzione di soluzioni innovative nelle case di cura e favorire la contaminazione tra startup e aziende ospedaliere private”. StartAiop, in collaborazione con ComoNExT e Digital Magics si rivolgono a tutte le startup idonee a sviluppare soluzioni innovative applicabili al settore della sanità, coagulando un network di open innovation, tra le 550 strutture sanitarie e sociosanitarie. Saranno selezionate 10 startup per incontri diretti con rappresentanti delle strutture ospedaliere associate presenti. ComoNExT, nominerà una start-up Follower dell’Innovation Hub comasco, per usufruire di alcuni dei servizi di accelerazione: assessment, networking con le aziende, supporto alla realizzazione del progetto. In poche parole la sanità, l’offerta di salute sembra divenire un bene da profitto, certo nell’interesse del malato, che tuttavia potrebbe entrare nei mercati quale strumento da cui trarre profitto appunto. Un tempo si diceva plusvalore, ora è termine demonizzato ( gergo vetero-comunista). Salute come bene comune sembra un miraggio che si allontana sempre di più. Per curarsi dunque la strada sembra in salita e lastricata da dollari. Una sanità per ricchi perché inevitabilmente gli investimenti privati andranno ricoperti. Le Assicurazioni faranno il resto, ma quel che è certo che la finanza etica, la nuova impostazione che sembra dominare i mercati, dovrà trovare soluzioni davvero innovative per dimostrare la sua essenzialità. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it