“LA GAUCHE” – 33 CONGRÈS MONDIAL IUSY 2018

Il Congresso Mondiale IUSY è il nostro più importante evento globale in cui ci siamo riuniti negli ultimi anni, dove abbiamo eletto la nostra leadership e fissato l’agenda per il futuro. Gli ultimi due anni sono stati gli anni in cui è accaduto l’inimmaginabile. Democrazie consolidate sono state assediate da populisti e neofascisti, chiedendo quote di potere. Tutte le regioni del mondo sono cadute nella retorica nazionalista antidemocratica della destra. L’estrema destra si sta diffondendo nelle periferia delle principali capitali occidentali, così come in molti altri posti del mondo. La loro narrativa si insinua nella mente delle persone, gli emigranti sono lo spauracchio delle nostre società, e le loro parole non fanno che avvelenare ogni ragionamento generando solo rabbia. Raramente i nostri partiti sono stati in grado di contrastare, spesso difendendo lo status quo in nome del buon senso, ma appaiono conservatori e sordi alle richieste di aiuto agli occhi di coloro che chiedono un cambiamento radicale. Le nostre parole sono state distorte, modificate e usate contro di noi. È tempo per noi di prendere posizione perché dobbiamo ricordare che il cambiamento non viene mai dall’alto. Succede solo quando le persone si rendono conto che questo non è il mondo in cui vogliamo vivere. Nonostante le lotte, i rischi, le battaglie è giunto il tempo che occcorre un cambiamento tangibile, dobbiamo rimanere oggi con una voce ancora più forte tesa acambiare questo mondo. Abbiamo bisogno di te, tutti voi. Abbiamo bisogno della tua energia, delle tue idee brillanti e del tuo idealismo per rendere la nostra lotta più di semplici parole limitate a una sala conferenze. Non vediamo l’ora di incontrarvi tutti al “Left”, il 33 ° Congresso Mondiale IUSY 2018, per dedicarci al divertimento sia alla politica. La nostra organizzazione ospitante, il Consiglio della gioventù del Partito democratico dei socialisti del Montenegro, è lieta di accogliervi tutti a casa vostra. Si prega di trovare le informazioni tecniche allegate per il Congresso Mondiale IUSY. Si noti che invitiamo tutte le organizzazioni membre a registrarsi entro il 30 novembre 2017, ma non oltre il 31 dicembre 2017. C’è un compito difficile da realizzare – il più difficile per la nostra generazione – ma siamo, dopo tutto, la sinistra! Per questo motivo, non vediamo l’ora di vedervi in ​​Montenegro per un Congresso mondiale fruttuoso e stimolante. In solidarietà, Howard Lee Presidente di IUSY Alessandro Pirisi Segretario Generale di IUSY Nikola Pesic Presidente del forum DPS Youth Fonte: The International Union of Socialist Youth (IUSY) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA “FELICE GIOVINEZZA”DEL SOCIALISMO

di Domenico Argondizzo Prendo le mosse da un concetto chiaramente espresso nell’editoriale “Il socialismo, l’Italia e l’Europa”, su «mondoperaio» n. 6/2012. Si parla della necessaria presenza sullo scenario politico-elettorale di opzioni ben radicate nella cultura politica europea. Lo esige la profondità della crisi, che postula risposte innovative sia sul piano sociale (crisi fiscale e riforma del Welfare), sia sul piano economico (limiti al capitalismo finanziario), sia infine sul piano politico (ruolo degli Stati-nazione e democratizzazione dell’Unione europea). Come contributo, anche in occasione del centoventicinquesimo anniversario della fondazione del Partito socialista, mi permetto di richiamare un po’ di anima e respiro socialista, poggiandomi su alcuni documenti che si collocano in un passaggio cruciale della storia del movimento socialista, a cavallo tra la sua massima affermazione nella società italiana ed in Parlamento, ed il suo assassinio. Se infatti è necessaria la presenza anche e soprattutto del movimento socialista, essa è necessaria non semplicemente – e riduttivamente – perché manchi una organizzazione che si richiami direttamente ad esso (cosa infatti che non è, vista la longeva vita del Partito socialista italiano), ma bensì per il contributo di pensiero, di analisi, di idee, di progetti concreti che il socialismo seppe esprimere in epoche lontane e per questioni (forse) remote; contributo che potrebbe essere decisivo anche e soprattutto oggi. Ciò che mi preme è stabilire un nesso – direi inscindibile – tra la necessaria presenza dei valori del socialismo, del suo metodo di analisi (esso stesso tra i suoi caratteri distintivi, e precondizione per la definizione dei suoi valori di riferimento), del suo metodo di prospettazione di risposte alle esigenze sociali (prospettazione orientata dai suoi valori), e le ragioni di merito del suo assassinio. Altrimenti tale necessaria presenza sarebbe fatua e comunque non atta a durare. Se non si ricostituisce un legame consapevole con il passato, se non si ripercorrono gli iter logici, i ragionamenti, che motivarono scelte concrete, e più concrete reazioni, non può mettersi a frutto tutta la potenzialità dirompente degli ideali socialisti. Ci si dovrebbe contentare della presenza di un simulacro mendace ed incapace di parlare incisivamente all’elettorato. Inizio dall’intervento che Filippo Turati tenne il 7 ottobre 1919, al congresso socialista nazionale di Bologna[1]. La prima questione che veniva affrontata era l’antagonismo tra riforme e rivoluzione. Secondo Turati era mal posta tale antitesi perché le rivoluzioni più sostanziali (e quindi “socialiste”) sono il frutto di tante piccole riforme affiancate le une alle altre (e tendenti tutte agli obiettivi del socialismo). Ragione per cui gli “atteggiamenti” “anarchici” che pretendevano di sostituirsi al socialismo, ne invece erano la “diametrale negazione”. Questi erano gli stessi temi dibattuti a Milano nel 1891, alla Sala Sivori di Genova nel 1892, a Reggio Emilia nel 1893 (“Quale eterna giovinezza è la nostra! Felice giovinezza, per la quale, dopo oltre un quarto di secolo, ci si ritrova qui a ribalbettare gli stessi identici discorsi che facemmo. Nel partito socialista, come a tavola, evidentemente non si invecchia”). Sin da quei momenti fondativi del PSI venne infatti confutato il preteso antagonismo fra rivoluzionarismo e riformismo fondato su una differenziazione tra piccole e grandi riforme. Si può dire, anzi che il socialismo italiano nacque proprio quando si affrancò idealmente e praticamente da quegli atteggiamenti “anarcheggianti”. E discuteva quindi la centrale questione del metodo riformista (perciò stesso socialista). Esso guidò “quel partito operaio – che del resto, per quei tempi e per le condizioni dell’Italia d’allora, era pure una grande e gloriosa affermazione politica di classe […], a poco a poco, verso la conquista del potere, verso una molto più alta comprensione di concetti politici nazionali e internazionali, insomma verso il socialismo”. Quello che si battezzava nel 1919 come massimalismo rigettava in un canto, come armi superate, tutti i principi, i metodi, gli organismi, che nei precedenti trenta anni erano stati affermati, conquistati e perfezionati dal socialismo italiano. L’apologia e l’esaltazione della violenza, come il migliore, se non l’unico, mezzo per la più pronta attuazione dell’ideale socialista, non “è che il rinculo di 30 anni; non è che la ripetizione ad litteram della discussione che facemmo al congresso di Genova, 28 anni or sono”. Tutta l’esperienza accumulata, dal 1882, di azione socialista avrebbe dovuto essere superata per l’apparire prodigioso di una nuova rivelazione (“Alla elevazione della classe proletaria che, via via […] come più acquista di compattezza, di capacità, di valore, e più impara a farsi valere, a improntare di sé l’evoluzione storica, a instaurare nello Stato e nella nazione e nei rapporti internazionali la grande, la vera democrazia, quella del Lavoro, con le armi della intelligenza, della civiltà, della libertà più sconfinata, si sostituisce un gretto ideale di violenza armata e brutale”). La cosiddetta dittatura del proletariato avrebbe escluso d’un sol colpo dalla vita sociale tutte le altre capacità, tutti gli altri contributi, tutte le altre classi, e la stessa grande maggioranza dei lavoratori; rivelandosi così per essere la dittatura di alcuni uomini sul proletariato, ossia la dittatura contro lo stesso proletariato. Questo metodo apparteneva alla preistoria politica del movimento popolare, ed il socialismo scientifico non fu che “la reazione dottrinale e pratica contro questi vecchiumi”. Prima di esso dominava ancora il concetto che il socialismo potesse improvvisarsi in virtù della bontà della causa che esso rappresenta, per un atto di volontà, e quindi, o per decreto imperiale, o per concessione generosa delle classi dominanti, oppure per un atto di violenza delle masse; che una rivoluzione soprattutto economica, che interessa i più profondi tessuti dell’organizzazione sociale, potesse instaurarsi, trionfare, mantenersi prima della completa elaborazione di tutti gli elementi tecnici, morali, economici, politici, che rendono questa nuova formazione possibile (“La compagine sociale è un prodotto storico complicatissimo, di elementi economici, tecnici, morali, politici”). Preciso che specifiche proposte – allora formulate anche da Turati – come la collettivizzazione dei mezzi di produzione, si dovrebbe trattarle con l’acquisita maggiore comprensione dei fenomeni economici, portato degli ulteriori 80 anni che ci separano dagli anni venti del 1900 (“Le formule dei programmi sono sempre effetto di transazioni […]. Poi la storia le seppellisce”). All’idea – un …

PERTINI E LA COSTITUZIONE, IL LIBRO DI CUCCODORO SULLA FIGURA DEL PRESIDENTE E SUA MOGLIE CARLA

Enrico Cuccodoro, docente di Diritto Costituzionale presso l’università del Salento, ha recentemente pubblicato il libro “Gli impertinenti”, dedicato alla figura del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e sua moglie Carla. Nel settantesimo anniversario della Costituzione italiana, ormai imminente, il prof. Cuccodoro racconta la figura di Sandro Pertini attraverso una fitta serie di ricordi e testimonianze dirette che ne fanno emergere il peso specifico e soprattutto fanno riflettere su ciò che la politica dovrebbe tornare a essere, in termini di impegno, di giustizia sociale, di levatura morale. Il libro verrà presentato in Basilicata nelle prossime settimane, in più occasioni. Tra le altre date, Rionero in Vulture il 7 dicembre e Brienza il 12 dicembre prossimi. Professor Cuccodoro, quali aspetti dell’esperienza politica di Sandro Pertini ne fanno un riferimento ancora attuale per l’Italia di oggi? A distanza di anni la figura di Sandro Pertini è ancora nel cuore di moltissimi. Proprio oggi conversando con un giovane del Senegal, che lavora in Italia, lui mi ha sorprendentemente detto queste parole stupende: “Sandro Pertini non è lontano è solo dall’altro lato del nostro cammino…!”. Un itinerario umano che ci richiama valori di libertà e giustizia sociale universali, di pace, soprattutto di moralità nella politica e che faccia argine alla corruzione e al malaffare dilaganti. Sentimenti che a settanta anni di vita costituzionale debbono spronare le più giovani leve della democrazia del paese a rinnovare lo spirito di fedeltà e unità verso la nostra Repubblica. Era preoccupazione costante di Pertini che mai i giovani dovessero conoscere le difficoltà e i patimenti che gli uomini della sua generazione avevano subito e sopportato per dare all’Italia una nuova direzione di progresso civile sociale ed economico. Egli era un combattente risoluto che riusciva ad entusiasmare e avvicinare i ragazzi di ogni età, rendendosi pienamente formidabile educatore civico in momenti difficilissimi della storia del Paese. Perché “gli impertinenti”? L’impertinenza era la sua caratura caratteriale…non amava i grandi discorsi tribunizi, bensì amava che gli si rivolgessero sempre tutte le domande più “impertinenti” alle quali dava risposte convincenti appassionate e credibili, fuori dalla retorica e dal facile convincimento, catturando fiducia e simpatia da parte soprattutto dei cittadini più piccoli. Nell’attuale scenario politico, sociale ed economico, quale contributo potrebbe offrire una via “socialista”? La via “socialista” di Pertini con Carla è stata la strada dell’umanità più profonda e vitale, volta a riassestare le ragioni della corrispondenza del Paese reale al Paese legale, per superare fratture tensioni e incomprensioni, talvolta anche percorrendo un cammino senza speranza immediata di successo, ma nella fede assoluta di non barattare mai le proprie idee per vittorie del contingente momento. Mai! sempre, tuttavia, con l’intento di allargare gli spazi possibili della libertà in ragione armonica della giustizia sociale: binomio inscindibile in equilibrio simbiotico nel pensiero di Pertini per il campo d’azione politico-istituzionale e per quello altrettanto fondamentale della “cura promovendae salutis”, in ciò assistito qui dalla fermezza caratteriale altrettanto intransigente della compagna di vita a lui carissima, Carla. Cosa fece di un partigiano il Presidente più amato e super partes della nostra storia repubblicana? Pertini innova, così, il ruolo del Presidente della Repubblica, forte dall’aver ricoperto per lunghi anni la carica di guida saldissima e assai apprezzata della Assemblea di Montecitorio. Egli non il Capo dello Stato solo “nel” Palazzo del Quirinale. Ma diventa, in realtà, il primo impiegato dello Stato, spesso a fianco dei cittadini, che mette dunque il suo “corpo” al servizio del Paese sempre, in una missione popolare virtuosa per le circostanze liete e per quelle drammatiche che tanto caratterizzano gli anni del settennato presidenziale a lui affidato dal 1978 al 1985; di fatto ponendosi sovente quale difensore civico per tutta la Collettività nazionale fra Società civile e Stato. Una Presidenza popolare e amata che resta modello di comportamento inimitabile per rispetto super partes e per sensibilitá di rendere davvero il Quirinale, la casa di tutti gli italiani. Qual era la percezione della questione meridionale nel presidente Pertini? Quando Pertini, a braccio, parla a Turi, nel ricevere la cittadinanza onoraria, egli ripete come la priorità sia soprattutto la dignità umana e il lavoro nel Mezzogiorno d’Italia… “Italiani che chiedono di vivere tranquillamente in questo tormentato Paese”. Fonte: basilicata24.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL TESTO DEL DISCORSO DI TURATI AL CONGRESSO DI LIVORNO

Testo Integrale “Compagni amici, e compagni avversari; non voglio, non debbo dire nemici. A Bologna, un anno fa, in un discorso molto contrastato, che forse ebbe tuttavia qualche conferma dai fatti, io vi pregavo di accogliere le mie parole come un testamento. Io non debbo, senza volere avere la sciocca presunzione, e ridicola, di aggiungere lugubre solennità alle mie parole, poche parole, non debbo e non posso farvi altra dichiarazione oggi. Più che mai, anzi, debbo ringraziare il Partito ed il Congresso che mi ha lasciato in vita, che mi lascia tuttora in vita. È stato un pò il mio  destino d’essere sempre un imputato, davanti a questo o quel tribunale, e quando è un tribunale rivoluzionario, che non vi schianta completamente, che non vi lascia qualche respiro, è un tribunale molto mite, a cui bisogna essere grati. Per ciò io invoco ancora la vostra cortesia, tanto più che le mie parole, siano dette per la frazione cui appartengo, o per fatto personale, o per dichiarazione anticipata di voto, potranno essere assolutamente brevi, più brevi di quelle di tutti gli altri che mi han no preceduto, se, sʼintende, avrete la cortesia di non interrompermi troppo, e non avrete interesse ad interrompermi, specialmente i compagni che desiderano condannarmi. Costoro hanno tutto lʼinteresse, perché la loro condanna abbia unʼapparenza di fondamento, di sentire la mia esposizione, che non abuserà né del loro tempo né urterà volontariamente i loro sentimenti. Lontana da me ogni intenzione, anche se una parola fosse mal detta o male intesa, ogni intenzione urtante od offensiva, e voi, che siete i più bolscevichi di tutti, dovrete ammettere questa confessione alla russa, fatta ad alta voce. Non ho bisogno di molto tempo, né per fatto personale, né per dichiarazione di voto. Non per fatto personale, perché sebbene in un certo senso tutto questo Congresso sia un poʼ anche il mio processo – anzi, io dovevo averne uno speciale, fui rimandato dalla Camera di Consiglio a questa Corte di Assise per uno speciale processo che forse lʼangustia del tempo soltanto non farà celebrare con tutti i riti – tuttavia io constato che lo stesso Congresso, gli stessi oratori che mi accusano, mi hanno anche un pò difeso. E poi, consentite questo orgoglio testamentario innocuo: credo che nel profondo dei vostri cuori sentiate che, dopo tutto, la mia difesa personale, più che nelle parole è in me stesso. Ma io non avvilirò, non   umilierò, non immiserirò il Congresso con una discussione di piccole minuzie, quali sono appunto i fatti personali. Che io abbia usato in unʼoccasione o in unʼaltra una frase più o meno opportuna, che un mio atto, come quello di chiunque altro, possa essere stato qualificato a torto o a ragione – io dico a torto – io rivendico i miei infortuni sul lavoro come una parte della mia sincerità, del mio dovere verso il Partito; ma ad ogni modo, che abbia incappato in un infortunio sul lavoro, tutto ciò non può scompormi molto, tutto ciò prova che ho lavorato! Gli infortuni sul lavoro non avvengono ai critici inerti, a coloro che non si prestano al rude lavoro, essi dʼaltronde hanno una ben misera importanza per chi non si crei degli idoli, dei feticci personali. Se il nostro Partito è un Partito di classe, se la nostra azione è veramente unʼazione di storia, gli errori, fossero pure tali, dei singoli uomini, comunque si chiamino, non possono che scalfirne appena lʼepidermide. Amici e compagni, abbattiamo tutti gli idoli, tutte le idolatrie, anche questa idolatria a rovescio che consiste nel sopravalutare gli atti e le parole dei singoli uomini, si chiamino Turati, Serrati, anche Marx o Lenin, come se la forza, la coscienza, lʼazione fossero in determinati uomini che potessero tutto compromettere, e non fossero nella vostra grande coscienza, nella forza grande di tutto il Partito socialista. Dunque alla pattumiera tutte le misere quisquilie personali. Leviamoci più alto, al di sopra di queste miserie, e soprattutto degli uomini e delle persone. E neppure varrebbe la pena di un lungo discorso per una dichiarazione anticipata di voto, dopo che nelle parole di tanti altri, di Baldesi, fra gli altri, dello stesso Lazzari – che veramente mi ha trattato un pò maluccio, tanto non siamo schizzinosi, ma nel cui discorso abbiamo sentito pulsare quel senso di profonda umanità che si direbbe smarrito, inaridito, nei teoremi, nei filosofemi astratti, ideologici dei filosofi nuovi – nelle parole di Vacirca, cʼera quanto basta va per la difesa dottrinale nostra, cʼera quanto bastava per persuadere quelli che potevano essere persuasi, per farli dubitare, per farli studiare; quanto a quelli che hanno un velo settario nella mente che impedisce loro di dubitare, per questi ormai sono vani i discorsi e lascio che lʼevoluzione degli spiriti avvenga da sé. E mi pare che lʼevoluzione spontanea degli spiriti avvenga e non vi offendete se dico bene di voi. Sì, io constato, sì, io trovo negli stessi discorsi dei compagni avversari, di quelli che più furono prigionieri di sé stessi, delle loro tesi di ieri, sì, io trovo questa evoluzione rapidamente in cammino. E allora, quale e quanta differenza, compagni – e lo dico a elogio, perché gli immobili, gli statici, coloro che non sanno mutare non sono che dei capita mortui, delle cose morte, non un partito vivo e che avanza – quale e quanta differenza tra lʼavventata revisione e proclamazione di Bologna, e i cauti e ponderati discorsi degli stessi estremisti e massimalisti di questo Congresso. Non voglio fare personalità, dico unʼimpressione generale. Vi parla un compagno avversario: forse non ve ne avvedete, ma voi correte verso di noi con la velocità di un treno lampo! Quando la mentalità della guerra – non è colpa di nessuno – sarà evaporata, quando quella che, con frase felice, Serrati – faccio nomi di persone quando debbo lodarle, unicamente – chiamava la psicología di guerra, il socialismo dei combattenti, sarà svanito, allora quando lʼesperienza, la riflessione avranno fatto scuola e lezione nei cervelli di tutti, io credo fermamente che lʼunità, che oggi …

“LA SFIDA DELLA FELICITA’PER UNA EUROPA FEDERALE” del giornalista Ugo Iezzi

(DAM) Chieti – Si parla spesso dell’Unione Europea,  con la diatriba fra coloro che sono favorevoli e contrari alla completa integrazione dello Stato Italiano in essa. Fra gli euro – scettici c’è chi è completamente contrario e che vorrebbe il ritorno della piena indipendenza dello Stato Nazione, soprattutto nella politica monetaria e fra chi invece vorrebbe semplicemente ridiscutere i termini di adesione al progetto. A tal proposito, il giornalista di Chieti Ugo Iezzi ha mandato in stampa un libro dal titolo interessante “La Sfida della Felicità per una Europa Federale” (Edizioni Tabula Fati). Per capire meglio questo libro e la posizione dell’autore, abbiamo posto delle domande a  Ugo Iezzi, giornalista “scingiatore”, ovvero gastro-ribelle, presidente Centro Studi ARGA-FNSI “Spezioli” di Chieti, Direttore de La Voce dei Marrucini, Segretario di MFE (Movimento Federalista Europeo) “Altiero Spinelli” di Chieti . Di che cosa tratta il suo libro?  “Il mio libro è un omaggio alla città di Chieti e all’Abruzzo, terra verde-ardente, che oltre ai Parchi naturali, nazionali e regionali, oggi ha anche una piccola rete di Parchi della Felicità (Guadiagrele e Picciano) che fa riferimento alla Giornata Mondiale della Felicità promossa dall’ONU. In più, il mio saggio è una rilettura del Settecento, un periodo storico importante in cui crolla il mondo dei privilegi e nasce il mondi dei diritti. Il cosiddetto Secolo dei Lumi e della Ragione. Ed ancora è un riconoscimento doveroso ad un filosofo napoletano, inventore del diritto della felicità: Gaetano Filangieri. Inoltre, un invito a riflettere sugli Stati Uniti d’Europa, patria dei diritti universali dell’uomo e sulla vicenda umana e politica di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene. Infine, un suggerimento a mio figlio e a tutti i giovani che vorranno battersi per una nuova Europa in cui sviluppare la passione della conoscenza, del vivere civile e della solidarietà, della libertà e della giustizia sociale”. E’ un libro di Scienza Politica?  “E’ un libro “scingiatore”, come annuncio nel sottotitolo, nel senso che vuole essere un racconto di ribelli, sognatori, libertari. Un saggio impreziosito dalla prefazione di Donato Di Matteo e dalla postfazione di Roberto D’Argento. Una pubblicazione edita da “Tabula fati” del grande editore Marco Solfanelli”. La sua è più una Europa Federazione dei Popoli come Mazzini o una Europa del Socialismo Anarchico di Proudhon? “Una pubblicazione che indica, nel solco del pensiero spinelliano, una strada con “Più Europa”,, senza tralasciare il contributo delle idee socialiste e repubblicane soprattutto di quelle espresse dal Partito d’Azione, Una Europa federale, sovrana, democratica e solidale. E perché no, felice !” Cosa intende per diritto alla felicità?  “E’ interesse di noi popolo europeo, batterci per una nuova Europa, finalmente per gli Stati Uniti d’Europa, per avere una nuova carta costituzionale in cui trovi collocazione oltre ai diritti fondamentali alla dignità, libertà, uguaglianza, cittadinanza, solidarietà e giustizia anche il diritto alla felicità. Un diritto nato nell’Europa delle rivoluzioni settecentesche. Un’idea di amore fraterno e di felicità umana. E dobbiamo fare presto perché oggi in Occidente stiamo vivendo una fase di confusione politica che non aiuta nessuno. E’ venuto, invece, il momento di ripensare la società all’interno della quale ci interessa vivere possibilmente felici, in armonia con la natura e con una bella rete di relazioni umane”. Fonte: discoveryabruzzomagazine SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

E’ morto Alessandro Leogrande, giovane scrittore tarantino

Care e Cari, ieri una notizia tristissima ha colpito tutti coloro si battono per un Sud migliore: E’ morto Alessandro Leogrande, giovane scrittore tarantino, tra le menti più lucide e intelligenti che la cultura meridionale e italiana annoverasse. Tra le sue ultime battaglie c’e stata proprio quella contro il neoborbonismo e le sue menzogne. Vogliamo ricordarlo proponendovi un suo articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno proprio sulla necessità di riscoprire il Risorgimento Meridionale: I patrioti, terra di mezzo di Alessandro Leogrande C’è una domanda che rischia di rimanere inevasa nel dibattito suscitato dall’istituzione della Giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Potrebbe suonare così: in una simile ricostruzione dei torti fatti e subiti, che ne facciamo dei patrioti meridionali? Che ne facciamo cioè di quei meridionali che, quasi sempre su posizioni repubblicane o democratico-radicali, lottarono e sovente sacrificarono la propria vita per l’unità del Paese, ritenendo che solo una penisola unita avrebbe garantito assetti istituzionali e sociali più giusti? Il fatto stesso che tali domande siano tenute ai margini da chi è favorevole all’istituzione della Giornata tradisce una visione distorta delle cose, come se da una parte ci fossero stati dei colonizzatori invasori (i piemontesi) e dall’altra un regno assediato (quello borbonico). Così però si perde il senso dello scontro tra democratici e moderati, interno allo stesso Risorgimento meridionale, che si prolunga per diversi decenni, tanto che quei patrioti appaiono come illusi, traditori o, peggio ancora, agenti prezzolati dei Savoia, dell’Inghilterra, della massoneria. Non a caso l’Associazione Mazziniana Italiana , pronunciandosi contro l’istituzione della Giornata della memoria, ha ricordato la figura del giacobino Emanuele De Deo, che fu fatto arrestare su delazione di un prete per il solo fatto di aver provato a diffondere dei fogli antimonarchici. Una volta incarcerato, De Deo si rifiutò di fare i nomi di altri giacobini suoi compagni e per questo venne impiccato. Aveva solo 22 anni. Si potrebbe estendere lo stesso ragionamento a Nicolò Mignogna, che fece la Spedizione dei Mille dopo aver partecipato ai moti del 1848, o al repubblicano Giovanni Bovio che — dopo l’unità — fu deputato della Sinistra e criticò la «piccola monarchia borghese» che governava con leggi eccezionali, senza per questo preconizzare il ritorno all’antico regime. Ai protagonisti del film di Mario Martone, Noi credevamo, e ancora prima ai rivoluzionari del 1799, sulla cui sorte rifletterono a lungo Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce. Come giudicano i neoborbonici questa terra di mezzo abitata dai patrioti meridionali? Proprio questa estate ricorrono i 160 anni dalla morte di Carlo Pisacane. Nel 1857 tentò di accendere la rivoluzione nel Cilento, con l’idea di farla propagare nell’Italia tutta. Fu considerato un esaltato, a pari modo, da Cavour e dal re di Napoli. Eppure è nel solco della sua esperienza e della sua riflessione che anni dopo si riannodarono le riflessioni e l’esperienza di una parte della Resistenza italiana, quella legata a Giustizia e Libertà e ai Rosselli. Era un traditore pure lui? Fonte: corrieredelmezzogiorno SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISTA TURATI NON C’ENTRA NULLA CON IL PD E CON RENZI

di Carlo Patrignani Improvvisamente, nel gran stato confusionale che avvolge il Pd e la variegata costellazione della sinistra radicale, a corto di fiato e d’idee, piomba l’invito dello psicanalista Massimo Recalcati dalle colonne di Repubblica: cara sinistra per guarire rileggiti [Filippo] Turati, uno dei primi leader del socialismo italiano e tra i fondatori nel 1892 del Partito Socialista Italiano. Orfana del comunismo, tutta la sinistra, dal Pd alla variegata costellazione della sinistra radicale, deve elaborare il lutto: non si tratta di cancellare la memoria di ciò che la sinistra è stata, del suo poema collettivo – scrive lo psicanalista e direttore della scuola di formazione del Pd – ma di incorporare quella memoria senza volgere lo sguardo all’indietro. In questa elaborazione del lutto c’entra proprio Filippo Turati? Secondo Recalcati sì per aver individuato il virus della malattia che opprime la sinistra, la scissione: noi siamo spesso contro noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, serviamo le forze della reazione, affermazione che riporta alla scissione del 1921 da cui nacque il Pci, estrapolata da un pensiero assai più ricco e articolato. Quest’affermazione del socialista Turati, conclude Recalcati, si adatta perfettamente al gran stato confusionale di oggi della sinistra ex-comunista: fintanto che la sinistra non compirà questa operazione simbolica sarà destinata a ripetere continuamente la sua antica malattia diagnosticata lucidamente da Turati: essere contro se stessi, lavorare per i nemici, alimentare le forze della reazione. Quale sia l’operazione simbolica da compiere, viene dallo psicanalista chiarita poco prima della conclusione con i nomi prestigiosi ma non tanto compatibili tra loro di Gramsci, Togliatti, Berlinguer, con il ’68, una rivoluzione fallita e con la lotta al  terrorismo che ostacolò ogni trattativa per salvare Aldo Moro. E dulcis in fundo: quando Matteo Renzi dichiara che il punto di riferimento ideale della sinistra oggi non è più Gramsci, Togliatti o Berlinguer, ma Obama non ci invita a cancellare il passato ma a incorporarlo per guardare avanti. Ci sono tante, troppe cose che non tornano, non stanno al loro posto, come quando le parole dal sen scappano. Intanto l’accostamento di Turati che se è azzardato con la sinistra ex-comunista, eccezion fatta per Antonio Gramsci, e’ del tutto improponibile con Renzi, tanta è la distanza tra i valori – libertà, emancipazione, giustizia sociale – cari al fondatore del socialismo come rivoluzione sociale e quelli – carriera, individualismo, assistenzialismo caritatevole – del moderno rottamatore di Rignano. Poi non è corretto non distinguere il pensiero eretico, antistalinista, anticonfessionale di Gramsci da quello ortodosso, filo-stalinista e confessionale di Togliatti e Berlinguer, come fare un tutt’uno indistinto e omogeneo della lunga storia del Pci. Infine, se Renzi ha come referente per il presente e per il futuro Barak Obama è affar suo: ma nel popolo democratico americano Obama fa già parte del passato, il  presente e il futuro gira attorno a Our Revolution del socialista Bernie Sanders che come Jeremy Corbyn ha messo la parola the end al dogma neoliberista la società non esiste, esistono individui. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RIAPPROPRIAMOCI DELLA PAROLA «LIBERTA’»

LA PAROLA LIBERTA’ DECLAMATA DA DONNE E UOMINI DEL MOVIMENTO OPERAIO   FILIPPO TURATI: «Non è patria dove non c’è Libertà, dove non è Libertà è paese di conquista, è territorio coloniale, è gente dominata.» ANNA KULISCIOFF: «Vi prego a mani giunte di opporvi a qualunque passo che si volesse fare per ottenere la mia Libertà con una grazia personale o con un indulto speciale. Impedite a chicchessia, per amor di chicchessia, fosse anche mia figlia, che mi sia fatta un’offesa morale. Se dovessi conquistare la Libertà a questo prezzo, sarei tanto avvilita, tanto diminuita, tanto degradata, che nulla mi sarebbe la Libertà, l’affetto pei miei cari, l’affetto degli amici buoni.» CAMILLO PRAMPOLINI: «“Così è degli arbitrii: essi nascono per colpa di chi li commette, ma anche per colpa di chi li subisce e li lascia passare senza resistenza. E però chi non resiste all’arbitrio non ha coscienza di cittadino, fa il male proprio e l’altrui: è indegno della Libertà e prepara la tirannide”.» BRUNO BUOZZI: «La giustizia sociale si coniughi ai principi di Libertà e democrazia.» CLAUDIO TREVES: «Direttore della testata giornalistica “La Libertà “. E’ difficile, per un uomo, prendere la parola per esprimere i sentimenti che la violenza e comprimono le Libertà ed i diritti.» ANTONIO GRAMSCI: «Bisogna fare “Libertà” di ciò che è “necessario” (Q. XXII).» CARLO E NELLO ROSSELLI: «Giustizia e Libertà due parole una sola idea.» GIACOMO MATTEOTTI: «Matteotti è stato per tutti gli antifascisti italiani, il simbolo della Libertà, della passione civile, della lotta contro la violenza, contro la demagogia.» GIUSEPPE DI VAGNO: «E’ stato un costruttore di popolo con il suo sacrificio ha tracciato, nel territorio pugliese, la strada da seguire per la formazione di una società civile basata sui principi di Libertà e democrazia». GIOVANNI AMENDOLA: L’area della Libertà nel mondo è di fatto estremamente limitata. GIUSEPPE EMANUELE MODIGLIANI: «Il nostro socialismo ha per fondamento la Libertà!» ARGENTINA ALTOBELLI: «A Mussolini che gli chiedeva una riappacificazione dopo il delitto Matteotti: «la vera riappacificazione è il ripristino della libertà.» ANGELO TASCA: Libertà e la Giustizia Sociale: unici e veri strumenti per l’emancipazione. ANGELICA BALABANOFF: «Ho Speso tutta me stessa per un ideale di emancipazione sociale che non contrastasse con la difesa della libertà.» GAETANO SALVEMINI: «Gaetano Salvemini al suo caro discepolo Ernesto Rossi, che gli dichiarava di non poter entrare nel Partito Socialista perché riteneva infondata la teoria del plusvalore sulla quale Carlo Marx aveva costruito il suo sistema, Salvemini replicava: “E che te ne importa del sistema? Guarda se le Camere del Lavoro, le Cooperative, i deputati socialisti hanno fatto e possono fare ancora qualcosa per migliorare le condizioni di vita della povera gente nel rispetto della Libertà. Giudicalo su questo il Socialismo non sulle ideologie. Il “Capitale” l’hanno letto in Italia qualche decina di persone e ben pochi l’hanno capito, anche se migliaia di socialisti giurano sul verbo scientifico di Marx.» EMILIO LUSSU: «Nella parola Libertà si riassume per me tutto il finalismo socialista.» PIETRO NENNI: «Noi crediamo nella Libertà, non quella dell’individuo chiuso nel proprio. “La Libertà è indivisibile”.» GIUSEPPE DI VITTORIO: «Noi dobbiamo lottare per la Libertà e per riscattare i lavoratori del duro lavoro che ci ha ridotti come bestie e fatto schiavi…noi siamo uomini…con un cuore e un’anima…non scordate che io so cose significa lavorare in queste condizioni dall’età di 7 anni: e ora che vi rappresento lotterò perché le cose cambino. Non più servi dei padroni: una dignità per l’uomo. Progresso e civiltà.» GIUSEPPE SARAGAT: «La Libertà è la premessa indispensabile di qualsiasi lotta politica e civile. La Libertà è l’atmosfera nella quale le altre idee vivono e in relazione alla loro vitalità isteriliscono o si sviluppano. È l’atmosfera nella quale si vincono le battaglie dello spirito moderno». IGNAZIO SILONE: «Se non credessi nella Libertà dell’uomo, o almeno nella possibilità della Libertà dell’uomo, la vita mi farebbe paura.» LELIO BASSO: «Contro ogni totalitarismo, Socialismo e Libertà.» PLACIDO RIZZOTTO: «Le terre strappate alla mafia, fonte di lavoro e di Libertà.» PIERO CALAMANDREI: «La Libertà è come l’aria.» RANIERO PANZIERI: «La Libertà? La libertà di ricerca, la libertà politica, la libertà del cittadino.» GIACOMO BRODOLINI: «Il socialismo è Inseparabile dalla democrazia e dalla Libertà.» GINO GIUGNI: «Senza Libertà di sciopero non c’è Libertà.» RICCARDO LOMBARDI: «La Libertà e la giustizia sociale sono indivisibili.» FRANCESCO DE MARTINO: «Siamo dalla parte di chi tutela le Libertà e garantisce pari opportunità.» VITTORIO FOA: «I miei valori si sono sempre ispirati ai principi di democrazia e di Libertà.» LORIS FORTUNA: «Libertà di ricerca, Libertà di scelta.» ENRICO BERLINGUER: «L’Unione Sovietica ha un regime politico che non garantisce il pieno esercizio delle Libertà.» BETTINO CRAXI: «La difesa della Libertà è la missione più alta, più nobile.» ROSSANA ROSSANDA: «”Libertà è una parola bellissima. Per me anzitutto vuol dire Libertà di essere. Libertà di essere diversa. Per cui, a dire il vero, non è senza contraddizioni con uguaglianza. Libertà di essere diversa malgrado le leggi, al di là delle leggi, anche al di là di quelle che chiamavi ‘leggi di natura’. Libertà è poter scegliere senza cancellare niente di se stessi: il proprio essere intellettuale, i propri bisogni materiali, il proprio io profondo. Libertà è poter non trascurare nessuna parte di sé. Trasformare davvero il proprio rapporto con il mondo, fino all’ultimo e senza possibilità di tornare indietro.”» NILDE IOTTI: «Credo nella Libertà, solidarietà, amore per gli “ultimi”.» SANDRO PERTINI: «Non vi può essere vera Libertà senza Giustizia Sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza Libertà.» SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ORIDINARIA STORIA DI “AIUTO” AI GIOVANI IN ITALIA

Scrivo queste righe che parla di una mia questione personale, lavorativa, di quelle che danno fastidio alla sinistra al caviale ma che parla anche del trattamento che si riserva ai giovani in questo paese. Ho deciso, assieme ad altri due ragazzi che come me sono in condizione di doversi inventare un lavoro, di mettere insieme le nostre competenze (formazione, organizzazione di eventi, social managment e consulenza per imprese) per formare una cooperativa di tipo C, di quelle tanto reclamizzate dal governo come accessibili ai giovani per creare lavoro buono. Ci rivolgiamo dunque a Leegacoop, la quale ci informa che servono tre soci e questo lo sapevamo, che servono almeno 25 Euro a socio, e questi per fortuna li abbiamo, ma dettaglio, piccolo dettaglio… servono duemila, ripeto Duemila Euro per il notaio. In questi Duemila Euro, da notare, non è inclusa la parcella che è a carico di Legacoop ma solo le tasse, i cosiddetti “bolli“. Ma che paese è quel paese che chiede Duemila Euro a giovani che vogliono crearsi e creare lavoro? Questo è il paese dei figli di, oppure dei giovani che se ne devono andare. Occupatevi di questo politici della “sinistra”, non solo di come spartirvi i seggi. Noi, nella vita reale, abbiamo a che fare con queste cose, magari se vi resta tempo, tra una spartizione e l’altra, fatevi un bagno nel mondo reale. Antonino Martino SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL JOBS ACT UNA REGRESSIONE CULTURALE

“Quando – il 20 maggio 1970 – con la legge 300 fu approvato lo “Statuto dei diritti dei lavoratori”, furono in molti ad affermare che la Costituzione della Repubblica, finalmente, faceva il suo ingresso ed entrava nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi di lavoro. Dalla sua promulgazione erano dovuti trascorrere ben 22 anni, ma, infine, si poteva affermare che i principi fondamentali della Carta, in particolare gli articoli 1, 3 e 4 iniziavano ad avere effettiva applicazione. Lo statuto ha un padre: il socialista Giacomo Brodolini, ministro del Lavoro in un governo di centrosinistra alla fine degli anni sessanta. Fu lui a concepire quell’insieme di norme, con l’apporto di un fine giurista come Gino Giugni, ma, per una grave malattia, non poté assistere all’approvazione della suo ambizioso progetto che fu portato a termine dal suo successore: Carlo Donat Cattin, leader della corrente “Forze Nuove della Democrazia Cristiana”. Se lo Statuto ha un padre, ha però anche degli antenati: in primo luogo Filippo Turati e Giuseppe Di Vittorio. Era1 il 26 giugno del 1920, alla vigilia del fascismo, quando il deputato socialista Filippo Turati presentò nel Parlamento nazionale un programma ispirato alla Confederazione generale del lavoro che conteneva, insieme alla proposta di una partecipazione attiva dei lavoratori alla ricostruzione del Paese, alcune rivendicazioni materiali come le otto ore di orario giornaliero, la previdenza sociale, la parità salariale e normativa tra uomini e donne, il riconoscimento dei contratti collettivi. E vi era anche l’indicazione di uno “Statuto di diritti civili, politici e sindacali”. La proposta incontrò, naturalmente, l’opposizione netta degli industriali, ma anche l’ostilità della direzione massimalista del Partito socialista. A tale proposito va ricordato che anche nel 1970 non tutta la sinistra accolse come un grande successo il varo della legge 300. Il gruppo parlamentare comunista, ad esempio, si astenne perché non completamente soddisfatto del risultato, mentre altri esponenti politici, appartenenti a gruppi di estrema sinistra, considerarono lo Statuto come “dei diritti dei sindacati” e non dei lavoratori. Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, ritornò sul tema dopo la fine della seconda guerra mondiale e la rinascita del sindacalismo. Erano gli anni della repressione, delle cariche della polizia nei confronti dei cortei sindacali, con morti e feriti tra i manifestanti, gli anni del ministro dell’Interno Mario Scelba che aveva, tra l’altro, disposto la schedatura degli attivisti sindacali. Una fase nella quale gli stessi principi costituzionali erano platealmente violati. Una realtà che indusse Di Vittorio a presentare nel 1952, al terzo congresso della Cgil, un progetto di Statuto volto alla conquista di uno strumento giuridico a presidio dei “diritti civili” del lavoratore, della sua libertà di “sviluppare la propria personalità morale, intellettuale e politica”. Ma i tempi non erano ancora politicamente maturi e non se ne fece nulla. Quei diritti, dopo la ripresa delle lotte sindacali dei metallurgici nei primi anni sessanta, entrarono con forza nelle piattaforme rivendicative dell’autunno caldo, per i contratti del 1969. In particolare i metalmeccanici indicarono tra le priorità non solo l’aumento dei salari, ma un insieme di diritti, tra cui il diritto di assemblea, il diritto di riunirsi in fabbrica, anche durante l’orario di lavoro. Fu così, in quella stagione di forti scioperi, di importanti e partecipate lotte unitarie e conquiste sindacali, che poté finalmente realizzarsi il progetto di Giacomo Brodolini, nonostante la profonda ostilità con la quale era stato accolto dalla Confindustria. Lo Statuto, del resto, è sempre stato considerato, con poche eccezioni, dal ceto imprenditoriale non una conquista di civiltà, una modernizzazione dei rapporti e delle relazioni, ma un impaccio alla gestione unilaterale delle aziende. Questo spiega l’offensiva che contro l’articolo simbolo dello Statuto è stata costruita nel corso degli anni. Prima, attraverso la esplicita sponsorizzazione di iniziative referendarie per l’abolizione dell’articolo 18 che, nelle aziende medie e grandi, obbliga al reintegro il lavoratore licenziato senza valido motivo. In seguito, visto che il voto popolare aveva sconfessato quella pretesa abolizione, con il sostegno, nel 2002, al governo Berlusconi che, prendendo a pretesto le profonde trasformazioni in atto nella società del lavoro italiana, mise sotto tiro l’intero Statuto, con l’obiettivo di smantellare, ridimensionare, togliere senso e significato al ruolo del sindacato e dello stesso mondo del lavoro. Un’offensiva che si infranse contro i tre milioni di lavoratori convocati il 23 marzo di quell’anno a Roma, nel Circo Massimo, dalla Cgil di Sergio Cofferati. Dovevano trascorrere ancora dieci anni e incrociare le conseguenze della più grave crisi economico-finanziaria capitata all’occidente dal ’29 – che ha colpito pesantemente i lavoratori, aumentato le diseguaglianze, accresciuto il disagio sociale e, per effetto della disoccupazione, soprattutto giovanile, indebolito e diviso il sindacato – perché la rivincita delle destre cogliesse un primo importante risultato. Il governo dei tecnici guidato da Monti – culturalmente affine alle politiche liberiste dettate ai paesi europei dalla troika (Commissione Europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale) che con le politiche del rigore e dei sacrifici a senso unico ha concorso a creare nell’Unione europea oltre 25 milioni di disoccupati – utilizzando lo sconcerto del dopo Berlusconi ha ridotto le possibilità di reintegro dei lavoratori licenziati previste dall’articolo 18 dello Statuto e colpito duramente le pensioni. Per questo secondo aspetto con uno spropositato innalzamento dell’età e dei criteri necessari per raggiungere la pensione che ha prodotto il dramma degli esodati: decine di migliaia di lavoratori i quali sono stati costretti per diversi anni a rimanere, contemporaneamente, senza lavoro e senza reddito da pensione. Per motivare questa ricorrente ossessione dei fautori delle teorie liberiste volta a rendere più facili i licenziamenti – pudicamente nascosta sotto la locuzione “per favorire la flessibilità in uscita” – e ricattabili i lavoratori, negli anni sono stati utilizzati diversi argomenti: che in realtà oggi i lavoratori ricorrerebbero assai raramente all’articolo 18; che tutelerebbe solamente quelli con un contratto a tempo indeterminato considerati in qualche modo “garantiti”; che vi sarebbe incertezza circa i tempi di applicazione della norma e le lungaggini ricadrebbero tanto sugli imprenditori che sui lavoratori. La verità è che con la manomissione dell’articolo 18 tutti sanno che …