SOLO COL SOCIALISMO

L’amico è compagno Berlanda, segretario cittadino del PD rivolge una domanda a chi di dovere. Penso che il piu’ deputato a una risposta sia l’assessore comunale alla Cultura e ovviamente il Sindaco che, per legge, ha tutte le competenze. Il quesito pero’ non e’ individualmente mirato, ma è “aperto” sotto forma di post su profilo fb, quindi interroga un po’ tutti, anche chi non ha responsabilita’ dirette ne’ sugli eventi, quantita’ e qualita’, ne’ sul correlativo prezzo. Quindi caro Paolo, ti dico la mia “doxa”, la mia personalissima opinione: l’impianto costa, va manutenuto e pagati gli operatori. Quindi si saranno fatte delle stime approssimative dei visitatori paganti e su queste si e’ tariffato un biglietto. Credo peraltro siano previste visite gratuite guidate per le scolaresche. E prezzi convenzionati per gruppi di appassionati riuniti in circoli e associazioni. Quindi il biglietto di cui parli e’ il prezzo pieno per visitatore individuale. Indubbiamente alto, ma non piu’ caro di un aperitivo o una pizza e birra in uno dei locali cittadini, come gia’ altri hanno scritto. O di una cura alle mani o ai piedi… Insomma il voluttuario, edonistico o godereccio a fruizione individuale, costa ed e’ giusto che costi anche la cultura: cio’ e’ corretto e giusto se si resta “entro” questo sistema capitalistico in cui le cose hanno valore solo se si pagano a un prezzo di mercato. E’ il sistema in cui l’acqua non e’ un bene comune inestimabile, ma valoriale. Lo e’ anche la neve per sciare, il lago montano per passarci vacanze e le montagne da scalare.O la barca per fare vela o le terme. Tutto si paga in questo sistema perche’ cio’ che non si paga non ha valore. E il prezzo e’ direttamente proporzionale al valore. Andare al planetario dunque costa caro perche’ vale molto. Se vuoi svolgere una critica a questa situazione non puoi sottrarti pertanto a una critica piu’ generale al “sistema” capitalista cui essa appartiene ed entrare in una alternativa socialista. Ma in questa nostra citta’ (Imperia ndr.) non si vuole fare cio’: non ti sei lamentato per la polizia che assedia “la talpa e l’orologoo” ne’ per la chiusura inopinata del “camalli bar”. Eppure questi sono gli unici due tentativi (poco o punto riusciti) di una cultura davvero ALTERNATIVA al sistema, avvenuti storicamente. Un po’ poco, dopo tanti anni di PCI e anche di PSI. E’ in una cultura socialista, che riconosce differenze di classe sociali e non indistinti utenti, e solo in essa, che si puo’ rivendicare una non valorialita’ di certi beni e servizi (cultura, scuola, sanita’ trasporto persone) e quindi di un prezzo “politico” di essi, in cui la fiscalita’ generale e non il ticket individuale indifferenziato ne paga il costo (senza profitto). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SVOLTA DI GALLI DELLA LOGGIA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Faccio seguito alla lettura dell’articolo di Galli della Loggia che ho letto con attenzione, mentre rimbombano nelle mie orecchie le parole di Silvano Veronese quando conclude il suo pezzo di commento con le seguenti parole:” Se le cose stanno così, non c’è nessuna ragione al mondo per ricercare da socialisti una identità (pur minima) organizzativa comune con gli epigoni di questa tradizione comunista anche se ora alberga in una casa comune con epigoni democristiani”. Non contesto la lunga analisi che Galli della Loggia espone nel suo testo, non nego l’errore del ’21 e l’effetto che la rivoluzione di ottobre ha avuto sul comportamento del PCI per molti anni. Io mi riconosco piuttosto, usando le parole di Galli della Loggia, in quello “sparuto gruppo di esponenti del PCI, i cosiddetti “miglioristi” i quali avevano cercato nonostante tutto di mantenere in qualche modo un rapporto non conflittuale con i socialisti”. Non mi sono mai identificato con la storia, fatto che non ha mai costituito una pietra angolare del mio pensiero, rivolto più che altro non tanto alla mitologia quanto all’esame della situazione economica del nostro paese ed al clima dominante in Europa. Di Galli della Loggia contesto il suo assunto per cui, e riprendo le sue parole: “quando dopo l’89 al fatale appuntamento con la storia, si vide come in complesso questi stessi intellettuali comunisti non si mostrassero per nulla favorevoli a un riorientamento del loro partito in senso socialdemocratico” L’autore, in tutto il suo testo, ripete quella che secondo lui sarebbe stata la mossa ineluttabile, ovvero che al PCI “si offriva una via soltanto per cercare di non disperdere interamente la propria esperienza, per sperare di conservare la compattezza del proprio organismo e non vedere il proprio passato disfarsi senza lasciare traccia. La via era quella di svolgere a ritroso il filo della propria storia per riandare al suo inizio e quindi ripercorrerne lo svolgimento”.  Ripercorrere il proprio filo ritrovando un’altra direzione “E quale se non quella del socialismo? Quale se non quella del riformismo socialdemocratico? Non c’è dubbio che in astratto sarebbe stata questa la via più ovvia, per non dire anche quella con ogni probabilità più produttiva di risultati politici”. La mia prima impressione è che l’autore eternizza una fase iniziale, che può anche essere stata vera agli inizi, ma dimentica gli sviluppi successivi con Gramsci e poi con Berlinguer; difficile riconoscersi in quello che sembra essere uno stereotipo piuttosto che un pensiero in movimento che aggiusta e rielabora gli inputs iniziali creando come comunismo italiano qualcosa di diverso da ciò da cui era partito. Io, al contrario dell’autore, qualche dubbio sulla ritrovata strada del riformismo socialdemocratico ce l’avrei. Sia chiaro, non sto negando le grandi conquiste che il riformismo socialdemocratico ha ottenuto negli anni del dopoguerra”. Durante i cosiddetti “trenta gloriosi” – i decenni di forte crescita vissuti dopo la Seconda guerra mondiale – la socialdemocrazia era vista dalla maggioranza dell’elettorato operaio come la forza che proteggeva i lavoratori e garantiva il progresso di tutta la società, conciliando capitalismo e benessere diffuso. Ma è indubbio che le conquiste fatte dalle politiche redistributive avvenivano in anni in cui la presenza viva della “concorrenza” comunista rendevano il capitale più propenso a rafforzare i rapporti con la socialdemocrazia. Con il crollo del muro di Berlino il capitale si è liberato da quella pericolosa concorrenza, si è rafforzato anche per il disconoscimento del comunismo russo come valida alternativa, e gli ha permesso di smantellare gran parte delle conquiste fatte nei trenta gloriosi. I rapporti di lavoro sono peggiorati, precarizzati, la partecipazione dei subalterni alla vita politica con comitati di quartiere, sindacati, consulte di ogni tipo si è isterilita portandoci all’abbandono del voto, ad essere “sonnambuli”. Non è chi non veda che il riformismo è sulla difensiva, anzi oggi le riforme sono quelle che cancellano i diritti a suo tempo conquistati. L’assetto tributario è l’esempio splendente di come si blocchi l’ascensore sociale, come si impoveriscano non solo le classi subalterne ma anche quella recente classe media che sta via via scomparendo in una fase di decisa polarizzazione. La mia interpretazione è che la rinuncia dello stato ad avere un ruolo di guida dell’economia, come ad esempio era stata, dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la creazione di un modello di economia mista in cui lo sguardo ad un orizzonte esteso ci aveva portato ad esempio in molti paesi esteri, lasciando tutto all’iniziativa privata, al cosiddetto libero mercato, ha fatto crollare le capacità competitive del nostro paese. L’adozione dell’euro come moneta unica, necessitava che, non potendo più utilizzare la svalutazione competitiva della nostra moneta come strumento di difesa (miope) della nostra economia, si puntasse sull’aumento della produttività, sulla innovazione, sulla digitalizzazione del nostro sistema produttivo. Ma con il 92% delle imprese che operano con meno di 10 dipendenti che innovazione vuoi fare; sei costretto a campare sul basso costo della mano d’opera, e nemmeno l’istituzione di un salario minimo può servire a qualcosa in questa situazione. Siamo arrivati al punto in cui il ministro Calenda, che ha capito le cose, vuole la rivoluzione 4.0 ma la attua usando i proventi fiscali dei lavoratori e dei pensionati, per regalare fondi a chi, per cultura privatistica, dovrebbe operare con lo spirito schumpeteriano dell’imprenditore creatore di efficienza. In un mondo in cui la tecnologia, dalla digitalizzazione alla robotica, dal computer quantistico all’intelligenza artificiale si mostra essere l’elemento chiave per il futuro, rendendo emarginati chi quelle strade non vuole o non può o non sa percorrere. In Italia la ricerca (pubblica e privata) è tra le più basse in Europa destinandoci così ad un inevitabile declino. Si aggiunga che quasi la metà dei nostri laureati trovano lavoro all’estero. Non è quindi il riformismo socialdemocratico che risolve le contraddizioni del nostro paese; non è più il tempo di far crescere le pecore per poi tosarle meglio, la strada è ben altra: è quella di raccogliere la bandiera della produttività che il capitale ha lasciato cadere; intervenire nel “cosa e come …

INCONTRO SOCIALISTI DI SICILIA

COMUNICATO STAMPA | Si sono incontrate le segreterie regionali di Psi, Liberalsocialisti, Socialdemocratici, Socialismo XXI e Fgs per verficare le possibilita’ di unificare i rispettivi percorsi politici in sicilia. I soggetti coinvolti hanno condiviso lo spirito unitario dell iniziativa dandosi un cronoprogramma in tre tappe.Inanzitutto l’elaborazione di un documento politico che analizzi la situazione politica siciliana e il ruolo che i socialisti intendono svolgere nell’isola, e che manifesti la volontà dei soggetti firmatari di lavorare da subito ad un progetto politico socialista per la Sicilia e per il paese. Ad inizio del 2024 ci si impegna ad organizzare un appuntamento organizzatvo unitario per esplicitare il comune percorso politico intrapreso.In terzo luogo ci si impegna, previa condivisione del percorso politico, a presentarsi in maniera unitaria negli appuntamenti elettorali che nei prossimi mesi interesseranno i siciliani.Si rivolge infine un invito ai rispettivi livelli superiori affinchè medesimo percorso veda coinvolti i medesimi soggetti sul piano nazionale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOCIALISMO XXI PRATO

Comunicato Stampa Si è riunito il consiglio direttivo dell’Associazione Socialismo XXI di Prato, per iniziare a discutere delle prossime scadenze elettorali e amministrative nella Provincia di Prato. Per quanto riguarda l’Europa il problema sarà affrontato a livello Nazionale, per le elezioni amministrative nella nostra Provincia, l’Associazione Socialismo XXI intende partecipare, ritiene di intervenire insieme ad altri soggetti politici, che abbiano a cuore gli interessi dei cittadini e fautore dell’idea di libertà, uguaglianza, giustizia, laicità, partecipazione e democrazia. Il pensiero del Consiglio direttivo dell’Associazione, è quello di attivare nuovi rapporti con altre associazioni e partiti dell’area socialista, liste civiche locali che guardano agli interessi collettivi, amici radicali e repubblicani, forze laiche e democratiche del centro sinistra, tutto ciò per capire se ci sono le condizioni, per partecipare insieme nelle prossime liste elettorali nei nostri comuni, al fine di costruire unitariamente una rappresentanza sul territorio adeguata a rappresentare i meriti e i bisogni dei cittadini. L’associazione Socialismo XXI di Prato, con la partecipazione alle prossime elezioni amministrative, ritiene di dare il proprio contributo per la crescita politica, laica e culturale del territorio pratese, espandere i diritti dei cittadini, costruire un futuro capace di creare lavoro e dignità della persona umana, guardare al Socialismo nella nostra Provincia, in Italia e in Europa. Infine, la riunione si è chiusa, eleggendo a Presidente del Circolo dell’Associazione Socialismo XXI Giancarlo Giagnoni e vice Presidente Tiziano Massara. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SVOLTA IMPOSSIBILE

di Ernesto Galli della Loggia | Tra il 1988 e 1991, nel triennio in cui tutto venne giù – in cui proprio la storia, questo supremo feticcio dell’idolatria marxista, presentò brutalmente i suoi conti al comunismo – molti pensarono che al partito italiano che aveva quel nome si offriva una via soltanto per cercare di non disperdere interamente la propria esperienza: per sperare di conservare la compattezza del proprio organismo e non vedere il proprio passato disfarsi senza lasciare traccia. La via era quella di svolgere a ritroso il filo della propria storia per riandare al suo inizio e quindi ripercorrerne lo svolgimento: ma tentando di trovare un filo diverso per tessere una tela anch’essa diversa in vista di un abito interamente nuovo. Un filo diverso da quello che era effettivamente stato: dunque ipotetico rispetto al modo in cui le cose erano andate, ma non gratuito: dal momento che quel filo avrebbe pur sempre potuto essere tessuto di materiali non certo immaginari bensì con uomini esi- stiti davvero e fatti realmente accaduti. Bisognava perciò non buttare via tutto, perché certamente non tutto era da buttare: ma piuttosto conservare quanto doveva essere conservato organizzandolo sotto un’altra insegna e disponendolo in un’altra direzione. E quale se non quella del socialismo? Quale se non quella del riformismo socialdemocratico? Non c’è dubbio che in astratto sarebbe stata questa la via più ovvia, per non dire anche quella con ogni probabilità più produttiva di risultati politici. Con una tale premessa, infatti, sarebbe stata nelle cose, a scadenza più o meno ravvicinata, l’ipotesi di una riunificazione dei due tronconi della sinistra italiana, e Partito socialista e Partito comunista avrebbero potuto ragionevolmente aspirare, insieme, a rappresentare almeno un terzo dell’elettorato: essendo così nelle condizioni, altrettanto ragionevolmente, di porre la propria candidatura al governo del paese. Peccato però che siffatti auspici non tenessero conto di un fatto: e cioè che l’identità degli organismi storici – parlo dell’identità degli organismi storici veri, non di quelli spuri come certi partiti della recente scena italiana – non è un assemblaggio di pezzi scomponibile e ricomponibile a piacere (che razza di organismi sarebbero altrimenti?), bensì è un insieme. E non solo la loro identità in buona parte è già nella loro nascita, ma essa poi si sviluppa e resta sempre come qualcosa di indissolubilmente coeso, come qualcosa in cui ogni parte è legata alle altre in un tutto: sicché se si toglie quella, anche il tutto si dissolve e con esso si dissolve anche la sua identità. L’identificazione con la storia rappresentò fin dall’inizio la pietra angolare nella psicologia del militante comunista. Ora, per dirla molto in breve e quasi a mo’ di premessa di quanto sto per sostenere in queste righe, il comunismo non era stato un’eresia del socialismo. Era stato un suo nemico, sorto con il preciso proposito di farne piazza pulita. L’identità del Pci era stata segnata alla nascita da due caratteri decisivi. Da un lato l’obbedienza a Mosca, la quale aveva teleguidato (ormai lo sappiamo bene grazie alle memorie dei suoi emissari) la scissione di Livorno. Dall’altro la ferma volontà, per l’appunto, di far fuori i socialisti e il loro partito in omaggio al forsennato egemonismo con cui Lenin, dopo avere eliminato in Russia qualunque forza della sinistra che non fosse la sua, mirava a replicare dovunque la medesima linea d’azione. Eliminare i socialisti dalla scena, prendere il loro posto nel rapporto con le masse lavoratici e per far ciò non esitare a servirsi della più selvaggia aggressività verbale fu il primo compito assegnato dalla casa madre ai partiti comunisti. Questi due aspetti rimasero sostanzialmente inalterati nel corso dei decenni seguenti. A poco o a nulla, se non a produrre montagne di raffinate esegesi storiografiche destinate alla critica demolitrice dei topi, servirono tutte le tesi di Lione, le svolte, i fronti uniti, i fronti popolari, i distinguo, le prese di distanza e le dichiarazioni sulla fine della spinta propulsiva che si successero da quel fatale 1921 al 1989. Ci sarà ben stata una ragione se fino all’ultimo, come attestano gli archivi, dall’Unione sovietica arrivarono al Pci fondi cospicui senza che mai essi fossero rispediti al mittente. Allo stesso modo – si ricordi quanto accadde nella stagione craxiana – fino all’ultimo l’atteggiamento dei comunisti verso il Partito socialista fu di avversione e disprezzo. Avversione e disprezzo che per chi sapeva intendere questo genere di cose avevano il sapore evidentissimo di qualcosa che non apparteneva al normale contrasto della lotta politica, sia pure aspra quanto si vuole, bensì venivamo da assai più lontano. Venivano da un’opposta visione del mondo e da un’opposta scala di valori, venivano da un non mai deposto senso di superiorità intrecciato di arroganza nei confronti di chi era ritenuto ormai fuori dalla storia che conta. Agli occhi degli eredi di Lenin i socialisti rappresenteranno sempre una sorta di ectoplasma, una presenza ad ogni effetto secondaria e destinata a spegnersi: perciò manipolabile e utilizzabile a piacere. Del resto era proprio questo che aveva segnato in modo indelebile l’identità del Partito comunista e di tutto quanto aveva quel nome: la convinzione di essere uno strumento della storia. Il solo in grado di conoscere il suo senso di marcia e dunque il suo unico interprete autorizzato. Era questo che aveva costituito fin dall’inizio l’anima e la vera energia animatrice dell’identità comunista. Gli altri, le altre forze politiche, appartenevano alla cronaca: fungibili di nome e di fatto rappresentavano pure sovrastrutture ideologiche della società borghese, votate prima o poi ad essere spazzate via. Laddove i comunisti invece erano la storia, e come tali predestinati all’avvenire. Si badi, non si trattava di parole: si trattava piuttosto di una straordinaria idea-forza. Ora è noto che solo se si è animati da una idea simile si arriva a giudicare l’impegno politico come la massima realizzazione possibile dell’essere umano: solo a questa condizione si possono fare grandi cose, si può giungere perfino a sacrificare la propria vita. È viceversa per chi è cultore del dubbio, per chi riguardo il fine della storia ammette di …

LA BATTAGLIA DEL CILE

La battaglia del Cile – Un film-documentario di Patricio Guzmán Cile 1973. Il presidente socialista Salvador Allende viene rovesciato da un sanguinoso colpo di stato militare: la fine del sogno di una società più giusta. Cinquant’anni dopo, ripercorriamo quei drammatici eventi con la trilogia di Patricio Guzmàn, toccante resoconto di quel periodo nonché capolavoro del cine-documentario. La battaglia del Cile (1/3) La rivolta borghese Salvador Allende avvia un programma di riforme sociali e politiche volto a modernizzare lo Stato e sradicare la povertà. Le classi conservatrici rispondono con una serie di scioperi contro il governo, mentre gli Stati Uniti optano per il boicottaggio economico. Nonostante l’impasse parlamentare, i partiti a sostegno di Allende ottennero un risultato sorprendente, conquistando il 43,4% dei voti nel marzo 1973; la destra si rende conto che i mezzi legali sono inefficaci e opta per il cambio (violento) di strategia. Tra marzo e settembre 1973, sinistra e destra cilena fanno muro contro muro su tutti i fronti: nelle strade, nelle fabbriche, nei tribunali, nelle università, in Parlamento e sui media. L’amministrazione statunitense, guidata da Richard Nixon, continua a fomentare gli scioperi acuendo il disordine sociale. Il presidente Salvador Allende cerca una mediazione (fallita) con le forze politiche di centro, e le contraddizioni nel campo progressista precipitano la situazione. Gran parte della classe media propugna la “disobbedienza” e la guerra civile, mentre i militari preparano il Golpe. Il 4 settembre, quasi un milione di persone scende in piazza contro Allende; una settimana dopo, Augusto Pinochet bombarderà il palazzo presidenziale. Regia Patricio Guzman Produzione ATACAMA PRODUCTIONS Produttore Renate Sachse Arte TV PER VISUALIZZARE IL VIDEO CLICCA SULL’IMMAGINE Filmato 1/3 La battaglia del Cile (2/3) Il Golpe Nel 1973, il conflitto politico assume una dimensione senza precedenti in Cile: l’opposizione al presidente Salvador Allende, inviso al governo degli Stati Uniti, cambia radicalmente strategia. Non riuscendo a scalfire il leader socialista per vie costituzionalmente legali, rimuoverà il leader socialista per mezzo di un colpo di Stato militare, cui seguiranno 17 anni di dittatura incarnata da Augusto Pinochet. Tra marzo e settembre 1973, sinistra e destra cilena fanno muro contro muro su tutti i fronti: nelle strade, nelle fabbriche, nei tribunali, nelle università, in Parlamento e sui media. L’amministrazione statunitense, guidata da Richard Nixon, continua a fomentare gli scioperi acuendo il disordine sociale. Il presidente Salvador Allende cerca una mediazione (fallita) con le forze politiche di centro, e le contraddizioni nel campo progressista precipitano la situazione. Gran parte della classe media propugna la “disobbedienza” e la guerra civile, mentre i militari preparano il Golpe. Il 4 settembre, quasi un milione di persone scende in piazza contro Allende; una settimana dopo, Augusto Pinochet bombarderà il palazzo presidenziale. PER VISUALIZZARE IL VIDEO CLICCA SULL’IMMAGINE Filmato 2/3 La battaglia del Cile (3/3) Il potere popolare Nei mesi precedenti il colpo di Stato militare in Cile, i sostenitori del presidente Salvador Allende tentano di dar vita a uno “Stato nello Stato”, attraverso azioni politiche e iniziative benefiche, per contrastare le forze reazionarie del Paese – sostenute, peraltro, dall’amministrazione Nixon negli Stati Uniti – ostili alle riforme del leader socialista. Dirigenti e ingegneri abbandonano le fabbriche, che gli operai scelgono di gestire autonomamente. Vengono istituiti comitati di vigilanza per sorvegliare gli edifici di notte e nel fine settimana; al tempo stesso, nascono dei “cordoni industriali”, un sistema di scambio di risorse a livello locale, per arginare lo sciopero degli autotrasportatori che metteva a rischio l’approvvigionamento. All’inizio dell’estate 1973, sono 31 i “cordoni” posti in essere in tutto il Paese, di cui otto nella sola capitale Santiago. In ogni quartiere sono creati negozi di comunità, per la raccolta di beni di consumo, sotto la guida dei collettivi locali. I beni alimentari sono forniti dall’unica società di distribuzione nazionale, controllata dal governo, che riesce a soddisfare i bisogni più urgenti della popolazione. PER VISUALIZZARE IL VIDEO CLICCA SULL’IMMAGINE Filmato 3/3 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DOCUMENTO POLITICO FONDATIVO DI SOCIALISMO XXI

Rimini, Conferenza Programmatica 10 Febbraio 2019 La globalizzazione guidata dalla ideologia neoliberista, se ha rappresentato una occasione di sviluppo in alcune aree di sottosviluppo economico, con la deregolamentazione dei mercati e la concorrenza fra sistemi sociali e politici molto diversi, ha, di converso, prodotto, nell’occidente industrializzato e dotato di avanzati sistemi di protezione sociale, la precarizzazione del lavoro, vaste aree di povertà, l’arretramento delle conquiste sociali, l’aumento dell’indebitamento pubblico e privato e le diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Gli effetti di tali cambiamenti sono rappresentati dal peggioramento della distribuzione del reddito, oggi in Italia meno del 50% del valore aggiunto complessivo va ai redditi da lavoro, rispetto al 60/65% che era la quota del passato. “Il tasso di crescita medio a lungo termine dei Paesi sviluppati è andato progressivamente riducendosi passando dal 3-4% dei primi anni ‘70 ai modesti tassi attuali. Le crisi finanziarie dopo un periodo di stabilità durato circa 30 anni, sono diventate sempre più frequenti. La diseguaglianza dei redditi delle persone è aumentata in modo esponenziale. Le retribuzioni sono rimaste stagnanti in termini reali sui livelli degli anni ‘80, mentre la produttività da allora ad oggi è più che raddoppiata, pertanto l’intero beneficio si è indirizzato a favore della parte più benestante della popolazione. Il tasso di disoccupazione intorno al 7,8% viene considerato normale, anche in Paesi dove si rilevavano alti tassi di occupazione. Inoltre spesso l’occupazione è precaria e mal retribuita. A questo desolante scenario si aggiunge La scarsa attenzione nei confronti dello sfruttamento della risorse mondiali e delle conseguenze ambientali e sulla salute delle persone. Come era prevedibile la reazione è stata ed è la paura del futuro, la forte inquietudine verso il presente e la ricerca verso illusorie protezioni nazionali che privilegiano risposte sovraniste e populiste. La sinistra di fronte alla aggressiva egemonia delle idee neoliberiste non ha saputo elaborare una proposta alternativa, anzi spesso ha accompagnato con lo slogan della modernizzazione i processi economici internazionali dettati dagli interessi della finanza e delle multinazionali, tentando persino, come è avvenuto in Italia, di modificare la Costituzione privilegiando la governabilità e, con le leggi elettorali, mortificando la partecipazione e la rappresentanza. In tal modo, smarrendo gli elementi distintivi delle politiche socialdemocratiche, in un mondo di grandi trasformazioni economiche e sociali è venuto a mancare il riferimento politico, capace di orientare e guidare vaste aree di cittadini che, all’aumentare delle difficoltà economiche e di fronte al lento smantellamento del welfare, ha reagito rivolgendosi verso movimenti di protesta di vario orientamento. Lo scenario culturale contro cui tutte le forze democratiche progressiste ed in particolar modo quelle del socialismo democratico devono svolgere la loro azione è dei più difficili poiché con il neoliberismo si sono diffusi elementi culturali negativi come l’edonismo, l’individualismo, l’egoismo sociale, l’avversione verso la politica, ovvero il contrario della cultura socialista democratica che si riconosce nei valori comunitari, solidaristici e nella democrazia partecipata. Ciò nonostante i primi sintomi della crisi della globalizzazione neoliberista sono ormai evidenti e l’introduzione dei dazi doganali voluta da Trump, con tutte le conseguenze che comporta, è una dimostrazione del livello di insofferenza che provoca la liberalizzazione dei mercati avvenuta secondo interessi che non hanno posto le condizioni di vita delle persone al centro degli obiettivi da perseguire. L’Europa con i Trattati di Maastricht e il successivo di Lisbona ha assunto il modello neo-liberista come stella polare. E’ tempo di ridiscutere quei trattati intergovernativi che hanno favorito la crescita di una insofferenza sociale che rischia di compromettere il disegno europeo. La Brexit è una delle più evidenti conseguenze. Noi Socialisti siamo per superare l’Europa Confederale, dominata dalle burocrazie, per avviarci verso un’Europa Federale che abbia il Manifesto di Ventotene quale riferimento di base. L’Italia ha affrontato la diffusione delle idee dei Chicago boys nel momento più grave della sua storia politica e si è trovata in balia di forze o culturalmente vicine alle idee neoliberiste o con una sinistra post comunista travolta dalle macerie politiche e culturali della caduta del muro di Berlino, che emblematicamente rappresenta la conclusione del comunismo, incapace culturalmente e politicamente di affrontare le nuove difficoltà. Proprio nel momento della maggiore necessità, a causa di diverse responsabilità, è stata distrutta l’unica forza, il Partito Socialista Italiano, capace con la sua carica innovativa, ben descritta a Rimini nel 1982, di svolgere una azione di contenimento e di ostacolo alla azione aggressiva del neoliberismo e di offrire una soluzione, l’alleanza tra i meriti ed i bisogni. Oggi, come già osservato precedentemente, appare in grave difficoltà il modello di globalizzazione finora perseguito; è in crisi sia l’UE, sia l’area euro. In Italia la scelta del PD di perseguire una modernizzazione secondo le idee che potremmo definire tipiche di un ”neoliberismo progressista” propugnate dalla così detta terza via, ha privilegiato di DIRITTI CIVILI rispetto alla GIUSTIZIA (BISOGNI) SOCIALE (ovvero unendo alle azioni indicate dal neoliberismo quelle dei diritti Lgbtq), non segnando una netta linea di demarcazione fra se e alcune forze di centrodestra con le note conseguenze. La Conferenza programmatica di Rimini vuole essere il tentativo di concorrere a porre un argine ai rischi sempre più evidenti che l’intera comunità nazionale corre a causa delle risposte sovraniste e anti euro di una parte della destra e di alcune marginali forze di sinistra e più in generale a causa dello smarrimento in cui si trova tutta la sinistra. La crisi politica è tanto più grave se si considera che dovremo affrontare le difficoltà e le opportunità della economia denominata 4.0, ovvero la robotica diffusa, e ciò che rappresenterà per concentrazione di capitali e per la riorganizzazione del modo del lavoro. L’industria 4.0 ha segnato la fine di un paradigma che ha traversato gli ultimi due secoli, al crescere degli investimenti cresceva l’occupazione, oggi non è più così, l’innovazione espelle forze dal ciclo produttivo ed anche dalle strutture di servizio. Noi socialisti dobbiamo farci promotori di un nuovo Patto dei produttori che isoli o almeno ridimensioni il capitalismo finanziario e rafforzi l’imprenditoria produttiva, ma dobbiamo per l’appunto essere consapevoli che il vecchio modello industriale …

VIVRAI POCHI MESI». E MIO ZIO GIACOMO BRODOLINI, MALATO, SCRISSE LO STATUTO DEI LAVORATORI

di Emanuele Trevi – Pubblicato sul Corriere della Sera | Emanuele Trevi racconta la corsa contro il tempo di Giacomo Brodolini, il ministro che sfidò la morte A meno che non si possa far ricorso a guerre, rivoluzioni e altri eventi grandiosi o catastrofici, è difficilissimo portare sullo schermo (o sulle pagine di un romanzo) la vita di un uomo politico, che consiste per la maggior parte di riunioni, telefonate, spostamenti, e ancora riunioni in cui gli stessi discorsi vengono tessuti e ritessuti all’infinito. Nemmeno l’oratoria può arrivare in soccorso come una volta: non siamo più ai tempi di Tucidide, e nelle democrazie moderne il divario tra le parole e le loro conseguenze concrete è sempre più sfuggente ed opinabile. È necessario trovare degli schemi narrativi efficaci, vale a dire delle situazioni, limitate nel tempo e nello spazio, in cui, per così dire, tutti i nodi vengono al pettine. Bisogna insomma rintracciare e rappresentare quei particolari momenti di intensità che sono capaci di rivelare il senso profondo di un’intera vita pubblica. Sono riusciti egregiamente in questa impresa Giancarlo Governi e Marco Perisse, autori di un trattamento cinematografico intitolato «Non ho tempo», e dedicato a Giacomo Brodolini, dirigente sindacale, parlamentare socialista e ministro del lavoro, nato a Recanati nel 1920 e morto in una clinica di Zurigo a soli 49 anni, l’11 luglio del 1969. Spero proprio che il film (prodotto da Gianpaolo Sodano) vada in porto nel migliore dei modi: come cercherò di spiegare racconta una storia davvero interessante, e non solo per i suoi ovvi risvolti politici e sociali. Con gli operai Nei libri di storia e nelle enciclopedie Brodolini è il ministro che concepì (con la collaborazione fondamentale del giurista Gino Giugni) e impose alla sua stessa maggioranza di governo lo Statuto dei Lavoratori, finalmente convertito in legge, la famosa legge 300, nel maggio del 1970. Viene spesso ricordato anche il capodanno del 1968 passato assieme agli operai della Apollon in sciopero, in un tendone eretto a via Veneto: un fatto che all’epoca destò scandalo, così come la sua solidarietà ai braccianti siciliani di Avola, che lottavano contro il caporalato e le famigerate gabbie salariali. E non può essere dimenticata la sua lucidissima, intransigente protesta, quando era ai vertici della Cgil, contro l’invasione sovietica dell’Ungheria, in netto contrasto con la filosofia che vedeva nei sindacati una semplice «cinghia di trasmissione» degli orientamenti e delle decisioni dei partiti. Di lui si può dire che il suo slogan più celebre («Da una parte sola. Dalla parte dei lavoratori») fu tutt’altro che uno slogan, ma un destino, una questione di vita e di morte. Il ruolo voluto Tra le tante fotografie che si trovano facilmente in internet, mi piace soprattutto una che lo ritrae a Recanati, nell’immediato dopoguerra, in compagnia di Joyce Lussu, in occasione di un comizio elettorale, con l’eterna (e fatale) sigaretta in bocca: una specie di Jean Gabin sindacale, non bello ma sicuramente affascinante. Ne ho anche un ricordo privato, che fatalmente si mischia alle notizie pubbliche: Giacomo Brodolini era mio zio, e in famiglia su quell’uomo testardo e proteso all’avvenire circolavano molte leggende. Ma leggendo il lavoro di Governi e Perisse, la storia di zio Giacomo mi è apparsa in una luce totalmente diversa, e talmente commovente che voglio provare anche io a raccontarla per quello che è stata: una sfida alla morte, un appuntamento con il Fato che, al di là dei suoi significati storici e politici, ha un sapore antico, che non esito a definire eroico. Se dovessi indicare un epicentro, o meglio un fulcro di tutta la vicenda, sceglierei lo studio di un medico, a Roma, nell’autunno del 1968. Uno di fronte all’altro, stanno il paziente, che è Giacomo Brodolini, da pochi mesi eletto senatore nelle file del PSU, e il medico, di cui non conosco il nome, e che ha pessime notizie: le peggiori che si possano dare a un paziente. Brodolini ha un tumore ai polmoni, con metastasi arrivate alla gola. La sentenza è inappellabile: gli rimangono pochi mesi di vita. È una scena terribile, che si ripete ogni giorno, ogni ora in ogni angolo del mondo: ma questo non toglie nulla alla sua unicità, perché ogni essere umano reagisce a modo suo di fronte agli eventi supremi. Immagino il giovane senatore (a luglio aveva compiuto quarantotto anni) che, uscito dallo studio del medico, vaga stordito per le strade di Roma, forse già addobbata per le feste di quello che sarebbe stato il suo ultimo Natale.Sicuramente pensò a quanto poco fosse il tempo che gli restava: mesi, settimane ? Ma assieme a quel pensiero, deve pure essercene stato un altro, che non smentiva il primo, ma gli dava un altro senso: era ancora vivo, come tutta la gente intorno a lui, e nessuno dei suoi simili avrebbe potuto prevedere con certezza quanto tempo gli restasse. Bisogna anche sapere che erano giorni molto intensi e agitati, nel mondo politico: si lavorava alla formazione di un governo di centrosinistra, il cui presidente sarebbe stato Mariano Rumor. Ai socialisti spettavano alcuni ministeri importanti, e uno di questi sarebbe facilmente andato a Brodolini. Ma lui, in quelle ore terribili, aveva fatto la sua scelta, e la impose ai compagni di partito, a partire dal segretario socialista, Francesco De Martino. Volle un ruolo che, almeno sulla carta, era meno importante di altri che gli venivano offerti: e il 12 dicembre del 1968 divenne ministro del lavoro e della previdenza sociale. Era la posizione che gli avrebbe consentito, nel poco tempo che gli rimaneva, di portare a termine il compitoche si era assunto fin da giovanissimo, quando arrivò a Roma a dirigere il sindacato dei lavoratori edili. Ed era l’occasione, più unica che rara, di conferire un senso a un’intera vita. Ogni giorno che passava, a quel punto, era prezioso.Sono queste le condizioni drammatiche in cui fu concepito, scritto e infine convertito in legge lo Statuto dei Lavoratori. L’ultimo gesto Oggi possiamo affermare che lo Statuto dei Lavoratori mise l’Italia all’avanguardia della vita civile e sociale in …

SOCIALISMO XXI TOSCANA

COMUNICATO STAMPA Dopo un periodo travagliato dovuto ai cambiamenti avvenuti nella sua struttura a causa del periodo del Covid e del mutare delle prospettive politiche, si è svolta nei giorni scorsi a Lucca, alla presenza del Presidente Nazionale avv. Luigi Ferro, l’assemblea dell’Associazione Socialismo XXI Toscana, confermando la vivacità e disponibilità della nostra associazione regionale e chiamando tutti gli iscritti e simpatizzanti a dare il proprio contributo per sviluppare e allargare la nostra presenza in Toscana con l’approssimarsi del 2024, anno nel quale si terranno le elezioni europee e le elezioni amministrative in molti comuni della regione e dell’Italia. Per fare ciò, è necessario auspicare la ripresa di una forte capacità elaborativa per proseguire nella nostra azione politica e organizzativa,  finalizzata alla costruzione in Toscana di nuovi rapporti con altre associazioni culturali e politiche a noi vicine, come ai compagni del PSI, come quelle liste civiche locali che più guarderanno agli interessi collettivi dei cittadini o movimenti e partiti politici come i radicali, i repubblicani, la lista Bonino o Azione di Calenda, cercando insieme di elaborare dei progetti comuni e favorendo le condizioni per partecipare e riportare una rappresentanza Socialista nelle istituzioni locali. L’intento di ciò non è la voglia di costruire l’ennesimo partitino, non è la volontà ne l’obiettivo dell’Associazione Socialismo XXI, il nostro obiettivo è quello di proporre un nuovo modo di fare attività politica ponendo i problemi dei territori e dei nostri concittadini al primo posto, come sempre lo è stato nella tradizione socialista e come dovrà ancora essere nella nostra visione per un nuovo Socialismo per il XXI secolo. Il movimento Socialista per crescere ed elevare nuovamente i valori della politica attiva, deve rientrare nelle istituzioni partendo dal basso, partendo proprio dai territori e non sarà una cosa facile ma crediamo che sia un obiettivo concreto e raggiungibile, proseguendo nuovamente l’azione di Andrea Costa, del primo Partito dei Lavoratori e poi del Partito Socialista che proprio iniziando dai territori hanno raccolto il sostegno dei tanti lavoratori e cittadini che hanno portato alla stagione delle grandi riforme volute e perseguite proprio dal movimento Socialista. Ma vi è un altro grande obiettivo che riguarda le elezioni Europee del 2024, dove a livello Nazionale stiamo lavorando per costruire le condizioni affinché vi sia la possibilità di partecipare insieme ad altri o di indicare come il nostro voto possa giungere in Europa al PSE, il Partito del Socialismo Europeo e contribuire così a riportare nel Parlamento europeo dei compagni socialisti italiani. L’obiettivo della nostra presenza nel Parlamento Europeo sarà quello di impegnarsi per costruire un migliore rapporto fra i partiti che in Europa si richiamano al Socialismo Europeo, al fine di ricostruire una comunità internazionale capace di creare una solidarietà ed una unitarietà di intenti per affrontare tutti insieme i problemi che l’Europa sarà chiamata a risolvere e, soprattutto, sollecitare fortemente e con coraggio la creazione “vera” della Federazione degli Stati Uniti d’Europa. Infine, nel corso della riunione abbiamo affrontato la questione importante della crescita e dello sviluppo dell’azione dell’Associazione Socialismo XXI della Toscana, definendo alcune azioni mirate ad organizzare alcuni eventi nella nostra regione, con l’intento di ricercare il coinvolgimento e l’allargamento a compagni e compagne disponibili a dedicare una parte del proprio tempo alla crescita di questo obbiettivo che rimane quello di creare un nuovo movimento politico, finalizzato allo sviluppo del Socialismo del nuovo Millennio nel nostro Paese. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DEMOCRAZIA DIRETTA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | L’uso di concetti o termini è importante e richiede una onestà intellettuale rigorosa e seria, tale da dare credibilità a chi quei concetti o termini utilizza. Per esempio, per nulla casuale, il fatto che il governo Meloni usi il termine “democrazia diretta” per connotare la sua proposta di riforma costituzionale, denuncia, a mio parere, non solo ignoranza, ma un palese tentativo di ingannare l’opinione pubblica che, molto probabilmente, sarà chiamata al referendum per l’approvazione o meno della stessa proposta.   La democrazia diretta ateniese Inizierò allora dal concetto di democrazia diretta al tempo dei greci: con tutti i limiti relativi ai cittadini che erano abilitati a essere i soggetti abilitati a partecipare, siamo pur sempre in una società antichissima dove esisteva la schiavitù, peraltro giustificata anche da Aristotele, la democrazia diretta consisteva nella riunione dei cittadini nella “ekklesia” luogo in cui a maggioranza venivano deliberate le leggi che regolassero la comunità. I cittadini direttamente e senza intermediazione costituivano quello che oggi definiremmo il potere legislativo, differenziando così la democrazia dalla monarchia e dall’aristocrazia. Nella monarchia era uno solo, il capo, che aveva il potere di emettere le leggi; nell’aristocrazia era una classe ristretta ad esercitare il potere legislativo. La democrazia diretta contiene quindi due elementi caratterizzanti: a) il potere spetta al popolo e b) tale potere è esercitato direttamente, senza intermediazioni, dal popolo. E’ da osservare che le proposte di legge assoggettate all’approvazione del popolo trattavano di argomenti diversi, interessando gli interessi o il coinvolgimento di maggioranze non necessariamente costanti ma che potevano costituirsi, di volta in volta, con raggruppamenti diversi. La democrazia diretta, cioè, non presupponeva la costituzione di una maggioranza costituita dalle stesse persone in ogni evenienza, ma si basava su maggioranze che si costituissero di volta in volta a seconda degli argomenti proposti.      Quando il secondo elemento viene meno, quando cioè l’esercizio della sovranità non è esercitato direttamente dal popolo ma, per esempio, da persone elette per svolgere la funzione legislativa in rappresentanza del popolo, si ha, come previsto dalla nostra Costituzione, la democrazia “rappresentativa”.  Il popolo cioè delega la sua sovranità a cittadini che si ritiene siano più competenti ed atte a gestire le faccende della politica. La democrazia diretta ai nostri tempi Ai sensi della nostra Costituzione, l’intervento diretto della popolazione intera in attività politiche, si attua secondo il principio per cui “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Le forme di esercizio della sovranità, con la partecipazione diretta del popolo, sono: ● elezione dei membri del Parlamento; ● referendum abrogativo per le leggi ordinarie, previsto dall’art. 75 della Costituzione; ● referendum confermativo per le leggi di revisione costituzionale, previsto dall’art. 138 della Costituzione; ● forme di referendum consultivi previsti dagli articoli 132 e 133 della Costituzione.   Naturalmente l’elezione dei membri del Parlamento trasforma la democrazia diretta in democrazia rappresentativa. Se volessimo attuare una democrazia diretta (all’ateniese) ai nostri tempi, penso che dovremmo guardare all’esperienza dei 5stelle che, tramite una piattaforma elettronica, hanno sperimentato, con le tecnologie moderne, una simile consultazione. L’esperimento, che ora pare abbandonato, non ha avuto molta partecipazione, ma comunque in un futuro, a livello nazionale, potrebbe essere realizzata. Anche se si trattasse soltanto di rispondere con un sì o con un no, la consultazione spingerebbe i cittadini ad approfondire e a ragionare sull’argomento ampliando gli spazi di partecipazione. Tale possibilità è oggi percorribile perché le tecnologie moderne permettono di elaborare con celerità e sicurezza il voto espresso dai cittadini e perché la diffusione dei computer, tablet, telefonini, rende possibile l’esercizio del diritto di voto alla quasi totalità della popolazione, con la possibilità di garantirla anche a quei soggetti senza gli strumenti tecnologici necessari (ad esempio costituendo centri di voto per tali soggetti). La natura di questa consultazione, di cui venga garantita l’assoluta difesa da interventi esterni o da manipolazioni degli operatori, avrebbe ovviamente natura di parere non vincolante, anche se politicamente molto rilevante, a meno di riformare le forme e i limiti della Costituzione. Occorre tra l’altro prepararsi alle problematiche che l’I.A. potrebbe comportare, interferendo nelle consultazioni. Va inoltre ricordato che la nostra Costituzione prevede e promuove, ad esempio all’articolo 3 e anche all’art.46, il coinvolgimento diretto dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, coinvolgimento che tende a rendere sempre più efficace la partecipazione dei cittadini nella vita politica. I contenuti della democrazia Restringere il concetto di democrazia al solo esercizio del voto, è, a mio parere, estremamente limitante ma purtroppo ai nostri giorni pare che l’esercizio democratico si limiti solo al momento delle elezioni. Infatti tutti i partiti operano in funzione delle prossime consultazioni, cosa che, ad esempio in questi giorni, si proiettano su un arco temporale di quasi un anno in attesa delle prossime elezioni europee. I partiti allora pensano solo ad attrarre consensi con regalie piccole o grandi ai potenziali elettori rendendoli cioè incapaci di affrontare temi importanti quando ciò potrebbe far perdere loro voti alle prossime consultazioni elettorali. Va purtroppo ricordato che nei casi in cui il paese si è trovato in difficili situazioni economiche, i politici non sono stati in grado di affrontare tali situazioni con provvedimenti talora impopolari anche se necessari a superare le difficoltà. Facile pensare ai casi in cui si è dovuto ricorrere a governi “tecnici” quali quelli di Ciampi, Monti e Draghi. I tecnici, non condizionati dalla ricerca del consenso, hanno potuto agire nell’interesse (che ci siano riusciti è un’altra faccenda) del Paese. Ma la riduzione dell’esercizio della democrazia al solo esercizio del voto, ha allontanato quasi la metà dei potenziali elettori dall’esercizio del voto, denotando una evidente crisi, stanchezza e sfiducia nell’esercizio della democrazia così come si attua oggi. E poi diciamocelo, si vota anche in paesi che non hanno la minima parvenza di paesi democratici, e ciò demistifica il valore dell’esercizio del voto. Ne deriva che la democrazia richiede partecipazione in tutti quegli istituti che negli anni scorsi si sono formati nella scuola, nella sanità, nella fabbrica, nella società civile. …