COERENZA E ATTUALITA’ DELLA VITA E DEL PENSIERO DI RICCARDO LOMBARDI

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ROMA TRE Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in: Scienze Storiche, del Territorio e per la Cooperazione Internazionale Tesi di Laurea in Storia Contemporanea Coerenza e attualità della vita e del pensiero di Riccardo Lombardi Relatore: Chiar.mo Prof. Paolo Carusi Laureando Sergio Grom Anno Accademico 2006 – 2007   “[…]proponiamo la nostra esperienza con grande umiltà. < Siamo nani sulle spalle dei giganti > è stato affermato. Ma, se non utilizzi questa posizione per tentare di guardare più in là e di proporti, quindi, un superamento, cosa stai a fare lì su, su quella scomoda posizione?” 1 Indice Pag. 6 Introduzione Pag. 6 Riscoperta del pensiero e della prassi politica di Riccardo Lombardi Pag. 8 Riccardo Lombardi nel ricordo di tre protagonisti della politica e della cultura Pag. 10 Dalla Storia all’attualità. Pag. 11 Breve Cronologia del ‘900 Pag. 14 Cenni biografici su Riccardo Lombardi Pag. 14 Gli anni della formazione Pag. 15 L’incontro con Ena Pag. 16 Il Partito di Azione Pag. 18 L’Assemblea Costituente e il dibattito sull’Art.7 Pag. 20 Lo scioglimento del Partito d’Azione e la confluenza nel Partito Socialista Pag. 24 La prima emarginazione e il successivo ritorno sulla scena politica: “primavera” del centro-sinistra e nazionalizzazione dell’energia elettrica Pag. 27 La seconda, e definitiva, emarginazione Pag. 28 Il pensiero politico – economico di Riccardo Lombardi Pag. 30 Linee portanti del pensiero economico di Riccardo Lombardi. Gli interventi all’Assemblea Costituente. Pag. 38 Il programma economico del PSI nel primo centro-sinistra e la nascita dell’ENEL. Pag. 42 La fine della “primavera” del centro-sinistra. Pag. 44 Il Pensiero politico Pag. 45 Sulla politica internazionale Pag. 50 Verso la proposta dell’alternativa di sinistra. Pag. 51 Per un Governo e per una società socialista. Pag. 53 Riccardo Lombardi nella critica al Partito Comunista ed al marxismo. Pag. 53 Marx necessario ma non sufficiente. Pag. 55 L’evoluzione del concetto di “autonomia” dal Partito Comunista. Pag. 57 Lo “schiaffo” agli alleati, e in particolare al Pd’A, della Svolta di Salerno. Pag. 59 La rinascita della Confederazione Generale del Lavoro, altro “sconfitta” del Pd’A. Pag. 60 L’a-comunismo di Lombardi Pag. 62 Lo scontro sull’inserimento del Concordato nella Costituzione: l’art. 7. 4 Pag. 64 Breve ricostruzione della genesi del Concordato e del suo successivo inserimento nella Costituzione Repubblicana. Pag. 64 Genesi dei Patti Lateranensi. Pag. 65 Togliatti e l’art.7 Pag. 70 Nenni e l’art. 7 Pag. 71 Il rischio dell’inserimento dell’indissolubilità del matrimonio nella Costituzione. Pag. 72 Conseguenze storiche e politiche del confronto tra PSI e PCI. Pag. 74 La posizione di Lombardi all’interno del Partito Socialista. Pag. 74 Dal Partito d’Azione al Partito Socialista :Lombardi, Nenni e la sinistra socialista. Pag. 80 Dall’opposizione al Fronte Popolare al 1956: il XX Congresso del PCUS. Pag. 82 Il laboratorio ideativo del primo centro-sinistra: la politica di piano. Pag. 84 Considerazioni di Lombardi sulla fine della “primavera” del centro-sinistra. Pag. 86 L’autunno del primo centro-sinistra, la scissione del PSI e la genesi dell’idea dell’alternativa di sinistra. Pag. 88 Il rifiuto del PCI dell’alternativa di sinistra. La proposizione del compromesso storico. Pag. 90 Le vittorie, e le sconfitte, delle sinistre negli anni Settanta. Pag. 91 L’ultimo congresso di Riccardo Lombardi. Lombardi e la “società civile”. Pag. 94 Riccardo Lombardi: un riformatore o un utopista? Pag. 95 Contro le politiche di corto respiro la visione globale dei problemi e di come affrontarli. Pag. 98 Valore e importanza del pensiero di Riccardo Lombardi nell’attuale dibattito politico-culturale. Pag. 98 Memorie di un altro economista: Federico Caffè. Per una Società diversamente ricca. Pag. 101 Conclusioni Pag. 104 Appendice: Riccardo Lombardi nelle considerazioni di un politico, Fausto Bertinotti e di Massimo Fagioli, lo psichiatra dell’Analisi Collettiva. Pag. 105 Le ragioni di fondo di una possibile e vitale dialettica. Il campo politico e il campo psichiatrico. Pag. 107 Politica e teoria sulla natura umana. Pag. 109 Una trentennale resistenza. Pag. 110 Stralci di due interviste a Massimo Fagioli e Fausto Bertinotti. Pag. 114 La comune ricerca sulla realtà umana, l’onestà e la coerenza. Pag. 115 Cura, formazione e ricerca. Pag. 117 Reazioni politiche e mediatiche alla dialettica politica e culturale tra Massimo Fagioli e Fausto Bertinotti Pag. 124 La necessità inderogabile, per la sinistra, di una nuova teoria sulla natura umana. Pag. 126 Opere Consultate Pag. 126 Storie d’Italia Pag. 127 Storie dei Partiti Politici Pag. 128 Storie del Partito Socialista Pag. 128 Studi Pag. 128 Scritti su Riccardo Lombardi Pag. 129 Fonti Pag. 129 Scritti di Riccardo Lombardi Pag. 130 Riferimenti Bibliografici Introduzione Riscoperta del pensiero e della prassi politica di Riccardo Lombardi Vari sono i segni di riscoperta del pensiero e della prassi politica di Riccardo Lombardi che stanno emergendo in tempi recenti, non ultimi la pubblicazione integrale dei suoi discorsi parlamentari 2 e i contributi raccolti da Andrea Ricciardi e Giovanni Scirocco in occasione del ventennale della sua scomparsa 3 . Proprio dalla lettura di questi interventi emerge netta una qualità di Riccardo Lombardi: la coerenza. Coerenza beninteso che non si deve intendere come immutabile attaccamento ad una ideologia, bensì ad una coerente visione umana e politica di fondo: la politica, il sistema sociale vagheggiato, dovevano tendere al miglioramento “strutturale” cioè reale degli esseri umani, di tutti gli esseri umani. Questa qualità, rara in un mondo politico caratterizzato dal voltare-gabbana o “trasformismo“ degli uomini del centro-destra e/o dal “contrordine compagni” della sinistra, è uno dei punti “qualificanti “ del sua vita e della sua prassi politica. Forse, visto il momento storico in cui sono vissuti, si può ipotizzare che alcune delle ambivalenze di determinati uomini politici fossero dettate dalle condizioni politiche internazionali: mi riferisco agli stretti rapporti con gli USA della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati storici (Partito Socialista Democratico e Partito Repubblicano) da una parte e a quelli con l’URSS del Partito Comunista Italiano e, almeno fino al 1956, del Partito Socialista Italiano dall’altra. Ma l’immagine che viene fuori da uno sguardo d’insieme all’uomo e al politico Lombardi è proprio il contrario di tutto ciò. Forse l’immagine più bella e precisa che qualcuno …

LA GIOVINEZZA POLITICA DI RICCARDO LOMBARDI (1919 -1949)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI STORIA “La giovinezza politica di Riccardo Lombardi (1919 – 1949)” Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. Maria Cristina La Rocca Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Walter Panciera Supervisore : Ch.mo Prof. Silvio Lanaro Dottorando: LUCA BUFARALE   Introduzione “Per le sue posizioni, spesso fuori dagli schemi e comunque mai condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, il Lombardi venne rappresentato come socialista inquieto e coscienza critica della sinistra” 1 . Questo passaggio, tratto dalla voce del “Dizionario biografico degli italiani” curata da Giuseppe Sircana, esprime bene una caratteristica attribuita spesso all’ impegno politico di Riccardo Lombardi (Regalbuto, Enna 1901 – Roma 1984). Iscrittosi al Partito popolare all’età di diciotto anni, antifascista della prima ora, prefetto di Milano dopo il 25 aprile 1945, dirigente del Partito d’Azione e, dal 1948, del Partito socialista, Lombardi è una figura che ha senz’altro rivestito un ruolo importante nella storia politica del Novecento italiano. Eppure quest’uomo ha raramente ricoperto, dopo l’esperienza della prefettura milanese, cariche dirigenziali. Una sola volta ministro, dei trasporti, durante il primo governo De Gasperi. Segretario del Partito d’Azione, ma soltanto dal giugno 1946, nella fase terminale di quella formazione politica. Nominato presidente dell’Ente siciliano di elettricità nel 1947, si dimette dopo un anno per non avallare una politica da lui giudicata come gravemente compromissoria nei confronti dell’ente privato elettrico dell’isola. Del PSI è, tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta, il principale ispiratore della politica economica e uno dirigenti più noti di quel partito anche all’estero, eppure non ne diventerà mai il leader. Dal 1965-66 sino agli anni ottanta gli esponenti della corrente di sinistra del PSI ameranno qualificarsi come “lombardiani”, ma il diretto interessato mostrerà sempre un certo disappunto per quella formula. Enzo Forcella, in un articolo sull’ “Espresso” dell’agosto 1964, commentando la decisione di Lombardi di rompere con la maggioranza del suo partito ritenendo deleteria la prosecuzione dell’alleanza di governo con i democristiani inaugurata due anni prima, afferma: Può darsi che uomini come lui, in certe fasi della vita politica, non siano, come si dice, “costruttivi”. In ogni situazione non possono fare a meno di identificare la zona d’ombra, la parte di verità che nell’azione viene soffocata. Ragionano in termini di potere ma non sono disposti ad accettare i compromessi necessari per conquistarlo e mantenerlo. Con tutto il loro ostentato realismo, finiscono spesso per rappresentare soltanto se stessi e un’idea che magari è la più giusta ma intanto resta in aria, priva di basi. Però bisogna aggiungere che se questo avviene è proprio perché le zone d’ombra dimostrano una preoccupante tendenza a invadere troppo la scena. In un paese come il nostro, così pronto ad adeguarsi, così facile a scivolare nel conformismo, a un leader come Lombardi tocca il ruolo, sgradevole ma indispensabile, dell’eterno dissenziente 2 . D’altro canto, Riccardo Lombardi non è neppure ascrivibile al gruppo, particolarmente folto tra gli ex-azionisti, degli “intellettuali prestati alla politica”, anche se si è spesso visto rivolgere l’accusa di “intellettualismo”. Lettore accanito e uomo di vasti interessi, Lombardi si è sempre mosso agevolmente tra gli ambienti intellettuali, ma ciò non gli ha mai impedito di calarsi a fondo nella vita di partito. Il suo approccio da “empirico”, come lui stesso si definirà, ha forse contribuito a tenerlo a distanza dalla tentazione di “sistematizzare” i suoi studi. Non a caso, Lombardi non lascia libri, pamphlets o memorie (se si eccettua un libro-intervista del 1976 curato da Carlo Vallauri) 3, a fronte però di una grande quantità di articoli ed interventi a convegni sui temi più vari. Dell’abito intellettuale o più esattamente scientifico – nota Emanuele Tortoreto, che lo ha conosciuto per la prima volta nel Partito d’Azione – conserva soprattutto “l’attitudine all’analisi, e alla comprensione delle posizioni dell’avversario, nonché la rapida sensibilità per l’ascolto delle posizioni più avanzate” 4 . In Riccardo Lombardi si direbbe quasi che convivano, in precario equilibrio, le weberiane “etica della convinzione” ed “etica della responsabilità”. Leader politico con tutti i crismi, certamente. Consapevole, quindi, che il potere è un “mezzo insufficiente ma necessario per realizzare gli ideali in cui si crede 5 ”, ma per nulla amante di cariche e onori e sempre disposto a mettere in discussione i risultati ottenuti – come avverrà con il centro-sinistra – qualora si rivelino del tutto inadeguati rispetto alle sue prospettive originarie. Personalità di indubbio spessore intellettuale, capace di parlare per ore, nell’attesa di un comitato centrale o di una seduta parlamentare, di un libro o di una teoria che lo ha affascinato 6 , eppure niente affatto propenso alle spiegazioni teoriche onnicomprensive. Uomo di partito, senz’altro, ma diffidente nei confronti di ogni “patriottismo di partito”. Vivere la politica non come una professione o una scienza, ma piuttosto come un’ “avventura esistenziale” 7 è la tipica caratteristica, del resto, che si rinviene in quelle personalità che, trovandosi ad operare in momenti storici particolari, sono portate a fare delle scelte decisive e ad assumersene sino in fondo la responsabilità. Non c’è dubbio che nel percorso di Lombardi l’esperienza del “biennio rosso” e della successiva reazione fascista, l’opposizione al regime, la partecipazione alla Resistenza e alle vicende del dopoguerra spieghino molto del modo con il quale ha vissuto anche la militanza politica successiva. Paradossalmente, però, è proprio il periodo iniziale ad essere il meno conosciuto della sua vita. La maggior parte degli studi su di lui si è concentrata, infatti, sugli anni cinquanta e sessanta e sul centro-sinistra, considerati spesso come la fase in cui “i progetti lombardiani hanno avuto una sia pur parziale applicazione o, per lo meno, sono stati più vicini ad averla” 8 . Il saggio più importante da questo punto di vista è sicuramente quello di Andrea Ricciardi su “Riccardo Lombardi e l’apertura a sinistra” pubblicato in un volume collettaneo del 2004 9 . Anche chi scrive ha iniziato ad occuparsi di Lombardi con una tesi di laurea dedicata alla fase che va dal 1956 al 1966, studiando quindi la parabola che lo porta dalla battaglia per …

CONCLUSIONI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA CONCLUSIONI Il dibattito all’interno della sinistra italiana negli anni 1945-1948 sulla natura sociale dell’Unione Sovietica si caratterizza per avere identificato sostanzialmente quattro diverse definizioni teoriche di quel modello politico-economico. Inutile dire che ogni definizione cozzi inevitabilmente con l’altra e contribuisca a specificare, nelle linee generali, la particolare ideologia di ogni forza politica. Il giudizio espresso dai vari partiti della sinistra italiana a proposito della realtà sociale dell’Unione Sovietica, inoltre, testimonia pure delle differenti concezioni del socialismo che ciascuno di loro intendeva difendere e realizzare. Vi è un’altra questione da non trascurare: quei quattro tipi di giudizio che in quegli anni furono postulati ed approfonditi posseggono la validità anche in sé, in quanto quelle tematiche caratterizzano pure il dibattito odierno sulla natura sociale dello Stato sovietico. Questo studio possiede dunque una duplice dimensione: da un lato serve come strumento di conoscenza politico teorico dei partiti di sinistra in un momento particolarmente delicato del loro sviluppo (gli anni immediatamente seguenti alla caduta del fascismo), dall’altro ci fornisce una panoramica delle possibili interpretazioni dell’esperimento sovietico che, a tutt’oggi, non sono stati ancora abbandonate dagli storici e dai teorici del movimento operaio. Di queste questioni ci occuperemo in queste pagine conclusive, sforzandoci di amalgamare tutti gli elementi di cui abbiamo trattato nelle pagine precedenti in maniera analitica (eviteremo perciò di riportare nei dettagli dimostrazioni ed argomentazioni già abbondantemente trattate). Le quattro diverse definizioni del modello sovietico sviluppate dai partiti della sinistra italiana in quegli anni furono, sappiamo, le seguenti: ‘collettivismo burocratico’, ‘capitalismo di Stato’, ‘socialismo realizzato’ e ‘stato operaio degenerato – stato socialista imperfetto’. PARTE PRIMA PSLI, PSIUP, PCI E ANARCHICI I teorici del ‘collettivismo burocratico’ (socialdemocratici ed anarchici) sostengono che il modello sovietico non fosse assolutamente socialista, in quanto la nuova classe dominante, nel senso marxista del termine, si era impadronita delle leve del potere politico ed economico. Questa classe che deteneva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione era la burocrazia, ossia tutta la compagine dei funzionari dello Stato sovietico e del partito bolscevico. Essa si era impadronita prima dei poteri politici dello Stato e successivamente dei poteri economici tramite la nazionalizzazione dell’economia industriale, la collettivizzazione delle terre e la pianificazione dell’intera economia. Con la nazionalizzazione, le fabbriche, trasformatesi in proprietà dello Stato, divennero, attraverso questa via, proprietà collettiva della burocrazia, padrona indiscussa dei poteri statali. Con la coltivazione agricola pure le campagne furono sottomesse al dominio della burocrazia statale e furono, di conseguenza, obbligate a fornire una parte stabilita della loro produzione allo stato a prezzi da questo fissati (in pratica si trattava, a loro parere, di una pura e semplice requisizione). Con la pianificazione, infine, la burocrazia poté gestire la produzione, orientandola decisamente nel proprio interesse e nell’interesse del rafforzamento, soprattutto militare, dello Stato sovietico (la difesa del quale significava pure la difesa dello strumento attraverso il quale la nuova classe esercitava il proprio potere). Questo comportò come conseguenza inevitabile la compressione dell’industria produttrice dei beni di consumo, provocando enormi ed ineliminabili disagi per tutta la popolazione. Il nuovo stato, sorto dai ruderi della Rivoluzione d’Ottobre, può essere definito socialista solo da ciechi. La sua struttura economica e politica non può però nemmeno essere avvicinata al modello capitalista. Non esiste più in URSS l’elemento del capitalismo: la ricerca del profitto mercantile. Neppure esiste più il mercato, sostituito dalla pianificazione economica. Il sistema sovietico, quindi, costituisce un nuovo modello storico di sfruttamento del lavoro: il ‘collettivismo burocratico’, appunto. Nuova forma economica – politica (analoga ai sistemi nazifascisti) che non costituisce neppure un progresso storico rispetto alle precedenti, semmai un regresso verso forme feudali e schiavistiche di sfruttamento. Lo stato sovietico, infatti, e, tramite esso la burocrazia, si è impadronito non solo della forza lavoro, come avviene nei sistemi capitalistici, ma dell’intera vita del lavoratore, trasformato da libero prestatore della forza lavoro in servo di stato. Lo stato totalitario si è impadronito di tutti i poteri della società civile e rappresenta la sintesi mostruosa del nuovo regime. Nessun pertugio di libertà e di democrazia è più lasciato aperto nella società sovietica. Questa, schematicamente, la teoria del ‘collettivismo burocratico’. Il merito di averla strutturata e sviluppata spetta, come abbiamo abbondantemente mostrato, all’italiano Bruno Rizzi che nel 1939 scrisse “La bureaucratisation du Monde”. Nell’ambito della sinistra italiana essa fu ripresa e fatta propria, oltre che dagli anarchici, pure dai teorici socialdemocratici degli anni ’40. Questi non conobbero Rizzi e la sua opera, stampata a Parigi in un numero limitatissimo di copie, prova ne sia il fatto che l’autore della “Bureaucratisation…” non viene mai citato né chiamato in causa nei loro articoli. Conobbero, però, indirettamente la sua teoria attraverso gli scritti di un leader del partito che poteva esercitare sul loro pensiero un’ influenza profonda (e che, a mio parere, la esercitò senz’altro), Giuseppe Saragat. Questi, infatti, aveva certamente letto il libro di Rizzi del 1939 (era infatti esule a Parigi in quegli anni) e ne aveva assorbito i concetti contenuti al punto tale che alcuni suoi articoli, pubblicati sul giornale socialista “Il nuovo Avanti!”, stampato a Parigi, a partire dal 6 gennaio 1940 possono essere considerati semplicemente come dei riassunti e una chiosa delle tesi di Rizzi, come abbiamo abbondantemente mostrato nelle pagine precedenti. Alcune frasi ed espressioni usate da Saragat sono infatti non solo simili, ma addirittura identiche a quelle di Rizzi. In questo modo va individuata, secondo me, la linea di derivazione del pensiero socialdemocratico da quello di Rizzi del 1939: tutti gli articoli pubblicati infatti dalle riviste socialdemocratiche del periodo oggetto di questo studio sono tesi alla dimostrazione e all’illustrazione dei vari aspetti della società sovietica alla luce della teoria del ‘collettivismo burocratico’. Il discorso sulle influenze non si ferma a Rizzi, procede invece più indietro nel tempo e diventa al momento stesso più interessante. Si può infatti …

OSSERVAZIONI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA OSSERVAZIONI A) IL PENSIERO TROTZKISTA Il pensiero trotskista del periodo, riferito al modello sovietico, si caratterizza per una ripresa testuale, senza nulla aggiungere e nulla togliere, del pensiero del maestro e in particolare della tesi da lui lucidamente e chiaramente espressa nel suo libro “La Rivoluzione tradita” (33). Per quanto riguarda quindi la valutazione del loro pensiero si possono utilizzare gli stessi argomenti che già Rizzi aveva enucleato nelle critiche rivolte all’ex leader bolscevico. Poiché questo processo si affronterà nell’ultima sezione di questo lavoro, la conoscenza da parte del lettore di ciò che precede mi facilita enormemente e mi esime dal ripetere nel dettaglio considerazioni ed argomenti svolti in precedenza. Posso, molto sinteticamente (questo non per sminuire l’importanza del pensiero trotskista, ma per non appesantire il lavoro con ripetizioni inutili), richiamare gli argomenti dei teorici del ‘collettivismo burocratico’ con i quali, ripeto, concordo sostanzialmente, al fine di mettere in rilievo quelli che a mio avviso sono i limiti del pensiero trotzkista sull’URSS. 1 – La burocrazia non è una casta che gioca la parte del leone nella distribuzione del reddito, ma una vera e propria classe in senso marxista, proprietaria collettiva dei mezzi di produzione. 2 – La pianificazione economica non costituisce un elemento progressivo del nuovo sistema economico instaurato in Russia, ma un elemento regressivo del modello di sfruttamento sovietico, lo strumento necessario che la burocrazia ha a sua disposizione per esercitare il suo controllo e il suo potere economico sui meccanismi produttivi e per indirizzare la produzione nel senso da lei preferito. 3 – La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, analogamente, non sarebbe una misura politica proletaria, ma al contrario la via concreta percorsa dalla burocrazia per impadronirsi collettivamente dei mezzi di produzione. La proprietà statale di questi, infatti, se costituisce il superamento storico della forma della proprietà privata, non implica però, come vuole il pensiero trotzkista, una vittoria del proletariato a livello strutturale – economico. Essendo infatti la burocrazia proprietaria dei poteri dello Stato, con la statizzazione (nazionalizzazione) dei mezzi produzione, essa diviene pure proprietaria degli stessi, ed alla forma borgese della proprietà privata si sostituisce la forma burocratica della proprietà collettiva. 4 – La tesi trotskista, che afferma la necessità per il movimento operaio internazionale di difendere l’Unione Sovietica, in quanto così facendo si difende pure la nuova forma di proprietà statale dei mezzi di produzione attuata dal potere bolscevico, riduce il movimento operaio all’impotenza, in quanto cela il carattere di classe del nuovo regime e mistifica il carattere antiproletario della sua struttura economica. 5 – Infine la prospettiva di lotta indicata dai trotzkisti che auspica un rivolgimento politico che abbatta la casta burocratica e reintroduca la democrazia operaia conservando intatta la struttura economica basata sulla pianificazione e sulla nazionalizzazione dei mezzi produzione è altrettanto fuorviante poiché, lasciando intatte quelle che sono le basi economiche del suo dominio, sarà sempre possibile, anzi inevitabile, che essa risorga dalle proprie ceneri. Come si vede, il pensiero dei teorici del ‘collettivismo burocratico’, cui rimando il lettore a questo proposito, può essere benissimo e facilmente impiegato per una critica al pensiero trotskista. Questo non deve destare meraviglia, se teniamo presente il fatto che il primo che abbia sistematizzato quella teoria fu Bruno Rizzi che è uscito dalle fila trotskiste polemizzando vivacemente con lo stesso Trotzky a proposito della definizione della natura politica economica dello Stato sovietico. La teoria del ‘collettivismo burocratico’, nel libro di Rizzi, ha infatti come punto costante di riferimento polemico il pensiero trotskista che viene vivisezionato per essere poi analizzato e demolito. L’una, la teoria di Rizzi, è quindi la rielaborazione e allo stesso tempo il superamento dell’altra. B) IL PENSIERO SOCIALISTA 1 – Pensiero trotskista e pensiero socialista. Ho detto che il pensiero socialista del periodo, abbastanza povero di articoli sulla natura sociale dell’Unione Sovietica, si caratterizzò in alcuni dei suoi interventi per un aver riecheggiato alcune tesi tipiche del pensiero trotskista: fatto che ne giustifica la collocazione in questa parte del lavoro, se pur in una posizione autonoma. Voglio subito chiarire con un paragone cosa intendo per ‘riflesso’, cioè la ripresa di alcune tesi trotzkiste negli articoli socialisti. Si può intravedere questa influenza allo stesso modo in cui un osservatore esterno si immagina il panorama circostante a partire dai riflessi lasciati da questo sui vetri delle finestre di un edificio; in maniera, cioè, diafana e disarticolata. Cerchiamo ora di mettere in evidenza gli elementi di questa pallida influenza analizzando le tesi socialiste che più si avvicinano a quelle trotskiste. Cominciamo con le tesi di Riccardo Lombardi che più di tutti gli altri vi si avvicina. L’autore socialista, infatti, sostiene che la mancata rivoluzione mondiale abbia avuto un forte contraccolpo in Unione Sovietica, provocando il prevalere di elementi burocratici nazionalistici nella politica del governo bolscevico, elementi che Lombardi definisce ‘non certo socialisti’. È evidente, a questo proposito, la similitudine con le tesi della Quarta Internazionale che individuava le cause della burocratizzazione del regime e le cause della vittoria dello stalinismo nel mancato avvento della rivoluzione proletaria nei paesi industrializzati e nelle misere condizioni economiche in cui la Russia fu abbandonata a causa di quel fallimento. Se i trotskisti, a seguito di questa affermazione, sostennero che dopo la vittoria della burocrazia in Urss e la teorizzazione del ‘socialismo in un paese’, la politica internazionale del governo russo tese a trasformare il movimento proletario mondiale in uno strumento adatto e sottomesso ai propri scopi facendo così fallire la possibilità e le occasioni rivoluzionarie che si erano presentate nei vari paesi nel corso della storia, Lombardi d’altro canto mette in guardia contro lo stretto legame con Mosca, in quanto lo stato sovietico, burocratizzato e nazionalista, non avrebbe attuato una politica internazionalista ma avrebbe solo intralciato la strada all’avanzata del movimento proletario al fine di proteggere i …

STATO SOCIALISTA IMPERFETTO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA IL PENSIERO SOCIALISTA E LO STATO SOCIALISTA IMPERFETTO Potrà sembrare paradossale, e forse lo è sotto alcuni aspetti, collocare in queste pagine dedicate all’analisi della tesi trotskista pure gli interventi più interessanti scritti dai socialisti sulla natura del modello sovietico. I socialisti, infatti, ritengono nel loro complesso l’Unione Sovietica un paese socialista (con alcune imperfezioni) e non uno stato operaio degenerato. Ciò che mi ha fatto decidere circa la loro collocazione in questa sezione è la presenza, soprattutto in alcuni autori, di tesi tipiche del pensiero trozkista (come vedremo in seguito e come faremo meglio risaltare nelle pagine dedicate alle osservazioni). Questi temi, dicevo, ritornano anche se molto attutiti, quasi un eco ovattata, negli articoli di alcuni socialisti. Anche se quei pensatori definiscono lo Stato sovietico di tipo socialista, al pari dei comunisti, ho preferito differenziarli da questi in quanto la loro divergenza dai giudizi comunisti è fatta rilevare chiaramente da loro stessi. In un articoletto anonimo apparso sul quotidiano del partito il 10 novembre 1948 si afferma che ciò che distingue il pensiero comunista da quello socialista a proposito dell’Unione Sovietica non riguarda tanto il giudizio sugli sviluppi della Rivoluzione d’Ottobre, quanto quello sullo stato che dalla stessa rivoluzione è sorto: “Il punto che diversifica i socialisti dai comunisti è l’accordo su alcuni dei successivi sviluppi non della Rivoluzione russa, ma dello Stato che da quella rivoluzione è nato.” (14) Con questa affermazione, in altre parole, si vuole operare una distinzione tra quelle che sono le realizzazioni sociali ed economiche della rivoluzione e la sua sovrastruttura politica. Riccardo Lombardi, in una serie di articoli pubblicati sull’Avanti! (15), dà sostanzialmente ragione a questa tesi. Il chiodo sul quale Lombardi batte il martello con un’insistenza decisa è rappresentata dalle riflessioni sul problema degli effetti, positivi o negativi, cui avrebbe dato origine lo stretto legame intessuto dalle forze del movimento operaio internazionale con la politica di Mosca. In altre parole: la sudditanza dei partiti di sinistra agli interessi della politica sovietica favorisce la vittoria socialista del proletariato internazionale e facilita il cammino dello stesso socialismo sovietico, oppure rende entrambe le cose più difficili e spinose? Nell’articolo “Socialisti, comunisti ed unificazione” Lombardi risponde chiaramente affermando che, se da una parte i socialisti devono difendere ed aiutare fraternamente l’Unione Sovietica in quanto quello è il solo paese nel mondo nel quale “lo sfruttamento economico dell’uomo sull’uomo sia stato giuridicamente e di fatto abolito” e difenderlo, dice Lombardi, “indipendentemente dal giudizio che sul regime politico in esso instaurato possa darsi” (16), d’altra parte dovere delle forze socialiste è quello di difendere la propria autonomia dall’ apparato dirigente dell’Unione Sovietica. Le forze socialiste non devono perciò cadere nel vicolo cieco della subordinazione agli ordini del Cremlino, ma seguire situazione per situazione quella particolare linea politica che risulta essere di massimo rendimento per il raggiungimento dello scopo, cioè per la realizzazione di una società socialista : “La difesa e l’aiuto fraterno all’URSS, qualunque sia il giudizio che sul regime politico in essa instaurato possa darsi, è un dovere primordiale per ogni socialista che del socialismo non abbia rinnegato tutto e conservato solo il nome …. La difesa e l’aiuto fraterno all’Unione Sovietica devono essere esercitati dai partiti socialisti in piena indipendenza dall’apparato dell’Unione, non devono isterilirsi in una mera opera di assecondamento della politica dello Stato sovietico.” (17) Ogni successo del socialismo infatti, scrive Lombardi, oltre ad essere un passo in avanti per il proletariato internazionale è pure un apporto concreto alla difesa del socialismo russo. Ritorna, in altre parole, il concetto che, solo grazie al successo mondiale del socialismo, sia possibile la concreta realizzazione del socialismo stesso nei singoli paesi. L’autonomia dalla politica dello Stato sovietico è indispensabile al fine di evitare i pericoli e gli intoppi che la politica russa potrebbe creare alle forze proletarie internazionali. La subordinazione a Mosca si trasformerebbe in un freno insopportabile che rallenterebbe pericolosamente l’avanzata del socialismo: “Se, per esempio, i dirigenti dell’Unione Sovietica nella pienezza della loro responsabilità, reputassero utile ai fini della difesa e dell’incremento dell’Unione che determinate riforme socialiste mature per la realizzazione, fossero in questo o in quell’altro paese accantonate, che la classe operaia svolgesse una politica di attesa e di collaborazione laddove le possibilità di lotta vittoriosa esistono, ebbene in tal caso noi diremmo che i socialisti non dovrebbero affatto rinunciare alla lotta o accantonarla perché gli interessi permanenti del proletariato internazionale e, con essi quelli dell’Unione Sovietica, ne sarebbero in tal modo meglio serviti.” (18) Che quest’ipotesi non sia puramente retorica o fantasiosa, ma al contrario molto reale, è provato concretamente dai risultati dell’interferenza degli interessi sovietici nella determinazione, ad esempio, dalla politica di alcune forze della sinistra italiana. Lombardi sostiene infatti che l’accantonamento delle riforme di struttura e degli ideali che avevano alimentato la Resistenza al nazifascismo è dovuto all’influenza degli interessi della politica sovietica, tendente a dividere il mondo, assieme alle altre superpotenze, in sfere d’influenza rigidamente determinate: la vita e la ritirata delle forze proletarie in Italia sarebbe quindi il prezzo (‘usuraio’, dice Lombardi) pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione in Europa orientale: “Il caso indicato come esempio che potrebbe apparire retorico non è poi tanto paradossale, se al congresso di Genova un autorevolissimo compagno ha potuto prospettare, sotto tale profilo, l’accantonamento delle riforme di struttura e dei postulati della Resistenza in Italia dopo il 25 Aprile, quale prezzo pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione nell’Europa centro orientale. Noi possiamo giudicare che tale prezzo è stato ‘usuraio’.” (19) L’origine di questa particolare politica dello Stato sovietico, sostiene l’autore, ha una causa precisa: la mancata rivoluzione nell’Occidente industrializzato. Questo fatto ha provocato l’abbandono da parte bolscevica dei principi di libertà e di iniziativa popolare presenti nella Rivoluzione d’Ottobre ed ha provocato come risultato naturale lo …

STATO OPERAIO DEGENERATO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA I TROTZKISTI E LO STATO OPERAIO DEGENERATO Il pensiero trotskista soffre degli stessi limiti evidenziati da quello bordighista: la scarsezza del materiale. Anche in questo caso, però, i pochi articoli non vanno a detrimento della qualità del discorso che possiamo anzi considerare completo ed acuto. Come già detto la definizione che in questo campo viene data dell’URSS è quella di ‘stato operaio degenerato’. Due sono i punti base, i pilastri dell’analisi trotskista sull’URSS: la burocratizzazione e la teoria del ‘socialismo in un solo paese’. Da queste due critiche al modello bolscevico si dipana il corpo della loro teoria. È affermato esplicitamente in un articolo: “La degenerazione burocratica dell’URSS determina l’origine storica dello stalinismo; la dottrina del ‘socialismo in un solo paese’ costituisce il fondamento ideologico di esso.” (1) La paternità delle critiche e l’individuazione di queste due storture del regime bolscevico vengono attribuite alle analisi di Trotzky, cui essi si richiamano in modo del tutto esplicito senza nulla togliere od aggiungere alla tesi sviluppate dal loro maestro. Afferma infatti Pablo in un articolo dedicato alla storia del movimento trotskista sulla rivista del loro movimento “Quarta Internazionale”: “Trotzky alla testa dell’opposizione comunista di sinistra aprì per primo il fuoco contro la teoria del ‘socialismo in un solo paese’, difesa immediatamente, dopo la morte di Lenin, da Stalin e contro la burocratizzazione accelerata del partito, dell’Internazionale Comunista e della vita sovietica in generale.” (2) La burocratizzazione del regime e la teoria del ‘socialismo in un solo paese’ sono considerati quindi i principali fattori responsabili della degenerazione dello Stato sovietico. Dal potere della burocrazia, nuova casta privilegiata economicamente (poiché dispone della maggior parte del reddito nazionale) e politicamente (poiché detiene tutto il potere nel paese, dove la democrazia operaia è stata calpestata e distrutta), deriva il carattere non socialista dello Stato sovietico. Questa casta, infatti, per assicurarsi ad accrescere i privilegi di cui gode è costretta ad opprimere il proletariato, sfruttarlo e ad impedire che in alcun modo esso intervenga nel determinare la politica dello Stato. La dittatura non è quindi più esercitata dal proletariato, ma dalla burocrazia. La teoria del ‘socialismo in un solo paese’ è, a loro parere, falsa, fuorviante e strumento della burocrazia staliniana, utile allo scopo di assicurarle il potere. ‘Falsa’ in quanto, secondo Marx e Lenin, il socialismo non potrà realizzarsi se non con la vittoria a livello mondiale del proletariato; ‘fuorviante’ per il movimento operaio russo ed internazionale in quanto riduce le energie del proletariato internazionale al rango di strumenti della politica moscovita, determinata dagli interessi della casta burocratica; ‘strumento della burocrazia staliniana’ in quanto comporta il rafforzamento dello Stato russo, arbitrariamente definito socialista, a tutto vantaggio della casta dominante che ne detiene il potere e gode di conseguenza di enormi privilegi. Questo, schematicamente, lo sviluppo di quelle critiche definite basilari, ma analizziamo ora nei particolari il loro concatenarsi negli articoli della rivista del movimento trotskista, cominciando dall’articolo “Le origini e le basi programmatiche della Quarta Internazionale”, non firmato (3), che può essere considerato il più completo in quanto contiene quasi tutti i temi della critica trotskista al modello sovietico ed è il più completo. L’autore attribuisce alla critica dello stalinismo sviluppata da Trotzky e dalla Quarta Internazionale un valore e un peso teorico di importanza notevole: “La critica allo stalinismo costituisce il contributo storico al marxismo da parte di Lev Trotzky e della Quarta Internazionale.” (4) Questa critica fa parte, a loro parere, del patrimonio storico del movimento operaio comunista. Il punto di partenza della loro critica è ancora una volta, come già per i bordighisti, la constatazione dell’ arretratezza dello Stato russo. Questo fatto convinse, afferma l’articolista, sia Lenin che tutti gli altri dirigenti bolscevichi della necessità della rivoluzione proletaria in Europa e nel mondo intero al fine sia di assicurare la difesa dell’URSS da attacchi esterni, sia di permetterle la realizzazione del socialismo. La mancata rivoluzione europea abbandonò la Russia sotto il peso della sua arretratezza e delle sue contraddizioni. Queste contraddizioni consistevano nel fatto che, accanto ai rapporti sociali di proprietà ‘proletari’ (dovuti alla nazionalizzazione del suolo, dei mezzi di produzione, eccetera), sussisteva un bassissimo grado di sviluppo dell’economia del paese che, a causa della conseguente bassa produttività, non poteva mettere a disposizione della massa della popolazione russa una produzione sufficiente al soddisfacimento dei suoi bisogni. Questa ristrettezza impose quindi un criterio di distribuzione del reddito dei prodotti in base alle norme borghesi (a ciascuno secondo il suo lavoro) e non socialiste (a ciascuno secondo i propri bisogni), creando quella diseguaglianza che permetterà poi il formarsi della casta privilegiata: “Senonché, venuta meno tale prospettiva ad una scadenza breve, la rivoluzione sovietica si trovò aggravata da tutto il peso della propria arretratezza e delle proprie contraddizioni, destinate ad accentuarsi anziché ad eliminarsi. Difatti, se da un lato la Russia per i suoi rapporti sociali di proprietà (nazionalizzazione del suolo, dei mezzi di trasporto e di scambio, monopolio del commercio estero) meritava a giusto titolo la qualifica di Stato proletario, dall’altro lato essa si trovava nell’impossibilità di raggiungere quell’alto sviluppo delle forze produttive che è un presupposto essenziale del socialismo. Data l’insufficienza delle forze produttive, si imponeva allo stato operaio l’applicazione di norme borghesi di distribuzione; e cioè, non potendosi assicurare a tutti il soddisfacimento totale dei bisogni, lo stato doveva decidere in quale misura dovesse avvenire la distribuzione del reddito nazionale. Di conseguenza criteri borghesi di distribuzione vennero applicati da parte degli strati burocratici, che si erano venuti sviluppando e consolidando nelle strutture dello Stato e del partito, e tali criteri finirono con il creare dei ceti privilegiati nella suddivisione del reddito nazionale.” (5) Questa casta privilegiata è quella che beneficerà più di tutti dell’aumentato volume della produzione, in quanto, se la produttività sovietica è di molto aumentata rispetto ai livelli …

OSSERVAZIONI CRITICHE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA OSSERVAZIONI CRITICHE Due osservazioni iniziali prima di passare alle critiche delle affermazioni comuniste in lode dell’esperimento bolscevico sopra esposto. A) Banalità e calunnie Una prima osservazione riguarda l’affermazione da me già fatta circa la povertà della teoria comunista questo proposito. In altre parole, ritengo che, a parte alcuni articoli cui ho fatto riferimento nell’esposizione, molti altri si riducano nel migliore dei casi a delle pure e semplici magnificazioni del regime, prive del benché minimo tentativo di analisi e nel peggiore a delle vere e proprie ‘bestialità’ e calunnie dirette contro altri settori della sinistra non comunista e in particolar modo contro i trotskisti. A questo proposito non si deve giudicare con indulgenza, considerando la polemica di allora, specie contro i trotzkisti, frutto dei tempi e delle circostanze storiche (legame con l’URSS, asprezza dello scontro interno ed internazionale culminato con la guerra, necessità conseguente di serrare i ranghi e compattare il movimento comunista per evitare spinte centrifughe in un momento delicato del suo sviluppo), ma al contrario denunciare lo spirito, la ‘forma mentis’ che aveva portato i comunisti allora a denigrare i trotskisti e oggi a calunniare, calpestare tutto ciò che di diverso sorge alla loro sinistra (pensiamo alle accuse rivolte dal PCI molto di recente ai gruppi della Nuova Sinistra, al movimento del 77, ai radicali tacciati, nel migliore dei casi, di provocazione se non apertamente di fascismo). Ma procediamo con ordine, e diamo ragione innanzitutto del carattere banale e superficiale da noi rilevato in molti articoli dedicati dai comunisti all’URSS. Si possono caratterizzare questi articoli con una sola parola: iconografici. La loro struttura consiste infatti nel riproporre delle ‘icone’ la cui immagine è già di per sé significante e non richiede analisi ulteriori, ma solo una dichiarazione di fede. Le espressioni: piani quinquennali, abolizione della proprietà privata, patria dei lavoratori, sistema socialista sovietico, Russia di Stalin, sono considerati sinonimi o prove di socialismo, la cui veridicità è inattaccabile. Questo è un elemento negativo del pensiero comunista del periodo che va rilevato anche per giustificare il relativamente scarso peso accordato loro in queste pagine. Questo da una parte, dall’altra alcuni articoli sono delle vere e proprie ‘bestialità’ contro la sinistra trotzkista. L’accusa più pesante e più classica loro rivolta fu quella di essere agenti del dell’hitlerismo e del fascismo, da questi sguinzagliati contro il paese del socialismo. Specializzato in questo compito di denigrazione era Felice Platone che dalle pagine di “Rinascita” si diceva dispiaciuto che la vigilanza e la lotta contro i trotskisti fosse scesa di tono e di asprezza, incaricandosi personalmente di attizzare il fuoco dello scontro. Dice l’autore: “Due sono stati nel passato gli obiettivi fondamentali del trotzkismo: disgregare dall’interno le forze dell’Unione sovietica privandola al tempo stesso delle simpatie e della solidarietà del movimento operaio internazionale, portare la divisione e la lotta interna nelle file proletarie e democratiche.” (49) In un altro articolo, unendo i due caratteri della superficialità e della calunnia, afferma: “Sembrerebbe che soltanto dei mentecatti possano mettere in dubbio che l’URSS è il paese del socialismo. I Trotskisti invece hanno fatto propria, anche in questo caso, la tesi dei fascisti di ieri e di oggi, italiani e stranieri. Per giustificare la loro posizione di complicità coi fascisti durante la guerra essi hanno sostenuto e sostengono che l’Unione sovietica si è battuta per scopi imperialistici, che il socialismo è tramontato nell’URSS, che la rivoluzione è stata tradita.” (50) Altre volte l’insulto è sfrenato e ripugnante: “Non è forse morto il trotskismo? E gli aggruppamenti equivoci più apparentati con la malavita che con la politica e nei quali si fondono vecchi e nuovi trotskisti, tenitori di tabarin e di bische clandestine, spacciatori del mercato nero ed eroi del brigantaggio notturno rappresentano forse un pericolo per il movimento operaio e democratico, o non rappresentano piuttosto un semplice problema di polizia?” (51) A volte ai trotskisti venivano pure avvicinate le forze della socialdemocrazia internazionale che sarebbero state reclutate, secondo Alfa, proprio dall’opposizione controrivoluzionaria trotzkista, agente per conto dell’imperialismo fascista, in un fronte comune contro l’URSS e il socialismo: “In quegli anni la borghesia fu presa dal panico e cominciò a indirizzarsi verso il tentativo di rovesciare comunque sia il governo sovietico, organizzando il sabotaggio su larga scala, sia organizzando dei complotti di carattere militare e dei complotti controrivoluzionari nell’interno stesso dell’Unione sovietica. Messisi la borghesia e il fascismo italiano su questo terreno, naturalmente ancora una volta la socialdemocrazia li seguì. Furono reclutati e mobilitati dall’ opposizione controrivoluzionaria trotzkista o d’altre forme, la quale tentò di agire in Russia sotto l’impulso dell’imperialismo straniero e particolarmente del fascismo hitleriano. Da questo le alte strida della socialdemocrazia contro i famosi processi sovietici che spezzarono i tentativi controrivoluzionari. Il potere sovietico fucilò i traditori e mandò all’aria anche questi tentativi e la socialdemocrazia ancora una volta fallì.” (52) Che questi giudizi rappresentino una pura e semplice barbarie intellettuale è ormai fuori di dubbio e non sono d’altra parte necessarie parole per provare la completa assenza non dico di verità, ma di onestà, in quelle affermazioni. Quello che preoccupa a tutt’oggi è il fatto che quella forma mentis non si è persa anche nella storia recente del partito comunista italiano. E’, a mio parere, un sintomo grave della burocratizzazione del partito e della sua gestione da parte di una claque (problema sul quale torneremo in seguito). B) I comunisti italiani e la storia dell’Urss prima del 1929 La seconda osservazione, prima di passare alle critiche, riguarda la scarsa o quasi nulla attenzione prestata negli articoli alla storia dell’Urss antecedente alla collettivizzazione agricola, all’industrializzazione e alla pianificazione economica, antecedente cioè al 1929. Sembrerebbe, come risulta dall’esposizione da noi fatta, che la storia dell’URSS cominci solo a partire dal 1929. Se quell’anno fu certamente cruciale per la stabilizzazione e il consolidamento del …

MASSIMA DEMOCRAZIA NEL SISTEMA SOCIALISTA SOVIETICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 4 – Massima democrazia nel sistema socialista sovietico Secondo gli scrittori comunisti, in tutti i campi della vita sociale, a cominciare dal partito, dai sindacati, per arrivare alla scuola, alla legislazione del lavoro, alla costituzione sono rispettati ed esaltati i principi socialisti di massima democrazia. Analizziamo ora nei particolari i vari articoli, cominciando dal problema del partito. A questo argomento l’infaticabile Robotti dedica lo scritto di cui ci occuperemo (37). Per l’autore due sono le considerazioni che si devono svolgere in proposito. Da una parte si deve riconoscere che l’esistenza di un solo partito, più volte portato come esempio della mancanza di democrazia interna del paese, è, al contrario, la testimonianza vivente del più alto grado di democrazia raggiunto dal popolo sovietico. Quest’affermazione all’apparenza paradossale è spiegata dall’articolista nel modo seguente: se tutti gli altri partiti politici della Russia presovietica avevano ostacolato la marcia dei lavoratori russi, la loro soppressione, permettendo la salda gestione del potere da parte del proletariato e la realizzazione, quindi, del socialismo e della più profonda democrazia economica, è di conseguenza un segno dell’ elevata maturità democratica del popolo sovietico. Dall’altra una profonda democrazia contraddistingue il funzionamento interno del partito bolscevico senza la quale sarebbe impossibile controllare ed eleggere le istanze superiori ed esercitare in piena libertà la critica e l’autocritica, necessarie entrambi al consolidamento ideologico e all’autorità del partito. Passando ad un altro aspetto della vita sociale sovietica, il sindacato dei lavoratori, incontriamo l’interessante articolo di Giovanni Borghesi, già citato precedentemente a proposito della collettivizzazione agricola (38). È espressa in questo articolo un’idea interessante ed abbastanza singolare: che il sindacato sia il vero e supremo regolatore dell’economia dell’intero paese. Padrone dell’economia sarebbe il sindacato in un paese nel quale il potere politico spetterebbe ai Commissari del popolo. Se ne ricava che il sindacato nell’Urss avrebbe rilevato tutti i poteri dei vecchi capitalisti, sarebbe l’unico e vero detentore delle leve del potere economico e non rappresenterebbe più gli interessi antagonistici della classe padronale, soppressa, ma quelli della nuova classe dominante proletaria: “Il sindacato dei lavoratori dell’Unione Sovietica è il supremo regolatore di tutta la vita lavorativa degli operai e degli impiegati. Con la socializzazione di tutte le attività economiche il sindacato non rappresenta più la classe antagonista della classe padronale, ma la sezione economica amministrativa di tutto un complesso produttivo che è politicamente rappresentato dai commissari del popolo.” (39) Borgese tratteggia quindi il regime sovietico come ‘stato sindacalista’ nel quale la base, la struttura economica, è diretta dal sindacato. Afferma infatti l’autore che, se si osservano i molteplici compiti del sindacato stesso e l’indipendenza con cui li svolge (faccio notare come sia importante questa sottolineatura dell’indipendenza del sindacato dal potere politico: se le cose stessero altrimenti infatti, come si potrebbe parlare di un sindacato che gestisce la vita economica?), si deve concludere che i sindacati non solo costituiscono la sezione economica dello Stato, ma devono essere ritenuti i veri creatori della nuova società. Dice infatti borgesi: “Abbiamo detto che il sindacato può essere considerato come la sezione economica dello Stato sovietico, ma se si pensa alla molteplicità dei suoi compiti, all’indipendenza con cui li adempie e all’influenza diretta che esso esercita sull’organizzazione e sul funzionamento dello Stato sovietico, si può senz’altro affermare che i sindacati in Unione Sovietica sono i veri creatori della nuova società.”(40) Che il sindacato poi, nello svolgimento di questi nuovi importanti compiti, non abbia per nulla dimenticato la sua origine e la sua natura, che consiste nell’essere l’organo della difesa degli interessi dei lavoratori è cosa che, per Borghesi, non può essere minimamente messa in dubbio: “Il sindacato nell’Unione Sovietica esprime la volontà dei lavoratori in tutte le questioni che riguardano il lavoro e le sue connessioni con tutti gli elementi che concorrono a compensare, a tutelare, a proteggere e ad elevare i lavoratori.” (41) Da tutto quanto precede si ricava quindi che per la stampa comunista nell’Unione Sovietica sono i lavoratori stessi a dirigere l’intera economia, in quanto i dirigenti sindacali provengono dalle stesse fila dei lavoratori e sono liberamente scelti e revocabili. In questo modo l’autore ci dipinge uno stato dove la massima democrazia, nel senso di potere del popolo, ha trovato la sua completa realizzazione e dove i lavoratori detengono e controllano realmente tramite i loro sindacati il potere economico. Un altro aspetto importante della democrazia sovietica, la legislazione del lavoro , è illustrata in un articolo di L. L. (Luigi Longo?) (42). L’autore sostiene che nell’Unione Sovietica il diritto al lavoro, elemento fondamentale di qualsiasi tipo di democrazia economica e sociale, è pienamente assicurato in Urss, dove crisi e disoccupazione sono praticamente sconosciute: “Il lavoro è la pietra angolare del sistema socialista: da esso partono e ad esso convergono tutti i molteplici rapporti della società socialista. Sotto qualsiasi forma, dalla creazione di beni materiali alle più alte creazioni dello spirito, esso ha uguale diritto di cittadinanza , uguale giustificazione sociale, uguale protezione. Questa posizione del lavoro nella nuova società socialista trova preciso riconoscimento nell’articolo 118 della Costituzione sovietica: ‘I cittadini dell’Urss hanno il diritto al lavoro, cioè il diritto di ricevere un impiego garantito, con remunerazione del loro lavoro secondo la sua quantità e la sua qualità.’ In armonia con questi principi essenziali, lo stato sovietico ha fatto in modo che il diritto al lavoro non restasse una mera dichiarazione astratta. Esso, secondo le linee tracciate nella Costituzione, ha saputo creare le condizioni concrete perché il diritto al lavoro divenisse una realtà.” (43) Scomparsa la disoccupazione, con il pieno impiego del popolo sovietico, è scomparsa pure, secondo L.L., la minaccia perpetua che essa rappresenta nei confronti degli altri lavoratori occupati, minaccia che si concretizza in pressioni sui loro salari e sulle loro condizioni di vita (elemento essenziale, strutturale, al contrario, nei paesi dominati …

PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA E SOCIALISMO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 3 – Pianificazione dell’economia e socialismo La pianificazione economica, infine, a giudizio degli autori comunisti, costituisce il gioiello dello Stato sovietico. È grazie ad essa, infatti, che sono state rese possibili sia la collettivizzazione delle terre sia l’industrializzazione a passi da gigante del Paese. È il principio della pianificazione a distinguere e a differenziare nella sostanza, assieme all’altro principio della proprietà statale dei mezzi di produzione, l’economia socialista realizzata in URSS da quella capitalista mercantile. Solo il tipo di pianificazione sovietica ha potuto eliminare alla radice le piaghe classiche del capitalismo: la disoccupazione e le crisi economiche. Essa, infatti, regola e armonizza la produzione e il consumo, impedendo così la possibilità concreta di crisi economiche. Questi sono, in poche parole, gli effetti benefici del socialismo che si identifica perciò con la completa pianificazione dell’economia e col completo possesso dei mezzi di produzione da parte dello Stato. Veniamo agli autori. Dell’importanza avuta dalla pianificazione economica nella collettivizzazione e nell’industrializzazione del paese abbiamo già riferito nei due punti precedenti di questa esposizione. Pavlowski afferma a questo proposito che solo grazie all’integrazione dei due settori dell’economia, industria ed agricoltura, sia stato possibile operare il grande balzo in avanti compiuto sulla via del progresso economico. La pianificazione, a giudizio dell’autore, dando vita ad una completa organicità del sistema economico, avrebbe infatti inquadrato l’azienda contadina nel sistema industriale moderno, liberando la strada dall’ostacolo che sbarra ancora le vie dello sviluppo economico europeo e che frena notevolmente il progresso agricolo: “La caratteristica forse più saliente dei piani quinquennali consiste nella loro stretta aderenza al principio fondamentale dell’ organicità del sistema economico, ed è proprio ciò che determina il posto dell’agricoltura nel quadro di questi piani. Nella creazione e nell’ulteriore sviluppo dell’economia dell’Unione sovietica l’agricoltura, le industrie e tutti gli altri rami dell’attività produttiva, tanto economica quanto scientifica e culturale, sono chiamate ad aiutarsi e ad integrarsi a vicenda. Era questa integrazione, infatti, che mancava nella vecchia Russia, determinando le molte difficoltà e i gravi disagi nei quali si dibatteva il contadino.” (28) Questo concetto è ripetuto pure su “Vie nuove”, da Michele Pellicani (29) che esalta la pianificazione sovietica stabilendo un confronto con il tipo di pianificazione operata, sotto l’impulso della guerra, da parte dei paesi capitalistici occidentali. Quel tipo di pianificazione ha in comune con quella sovietica il solo aspetto tecnico. La pianificazione capitalista, infatti, oltre ad essere caratterizzata da elementi contingenti, quali la guerra, ha di negativo il fatto che è operata in vista della difesa di interessi particolari e di alcuni settori della produzione. Per cui una pianificazione socialista deve essere caratterizzata dal fatto di abbracciare tutta l’economia del paese, non abbandonando nulla all’iniziativa privata; essa deve “enumerare e misurare” tutti gli aspetti della produzione, operare una stretta interconnessione tra industria di agricoltura ed assicurare il benessere alla popolazione, cosa realizzabile solo in un paese dove non esistono più interessi privati che calpestino quelli generali. Tutte queste condizioni sono, a giudizio dell’ articolista, rispettate nell’Unione Sovietica che diviene in questo modo modello di socialismo realizzato. Sotto altri aspetti il prolifico Robotti ci istruisce circa i vantaggi della pianificazione economica sovietica. Afferma che “il poderoso sviluppo dell’economia sovietica ha potuto avere luogo solo grazie alla sostituzione del principio della concorrenza e della ricerca del profitto, elementi generatori delle terribili crisi di mercato, con il principio della direzione centralizzata dell’economia”.(30) Ci spiega anche il motivo per il quale l’URSS, liberata dalle crisi di mercato, si è liberata pure da un altro tipo di crisi dalle conseguenze forse uguali: quella dovuta a possibili errori commessi dagli addetti alla pianificazione. Se questo inconveniente non si verifica nell’Unione Sovietica ciò dipende dal fatto che in quel paese la democrazia economica ha conosciuto il massimo grado del suo sviluppo: non essendo il piano di pura pertinenza degli addetti ai lavori, ma sottoposto all’analisi e all’approvazione delle grandi masse lavoratrici non possono verificarsi casi di scompensi o di storture nel piano stesso che risulta così sempre adeguato agli interessi e ai bisogni del paese. Robotti inoltre, alle critiche che escludono la possibilità di pianificare un’intera vita economica di un paese, risponde con le cifre dei successi economici sovietici e alle critiche che ‘fantasticano’ (l’espressione è dell’autore) su una colossale burocrazia che la pianificazione comporterebbe, risponde esaltando la coscienza dei lavoratori sovietici che, con il loro impegno produttivo, dimostrano di essere l’elemento dirigente del processo produttivo e non dei semplici esecutori agli ordini di una supposta burocrazia. Grazie alla pianificazione, infine, l’URSS ha realizzato gli obiettivi essenziali per un regime socialista, di far corrispondere produzione consumo, al fine di evitare gli sprechi e di aumentare notevolmente il benessere della popolazione. Interessante argomento a questo proposito è stato sviluppato da Giorgio Kieser in un libro(31) di quel periodo. Kieser ricava dall’analisi della pianificazione sovietica una conseguenza importante: l’assenza di crisi dovuta al funzionamento dei meccanismi del piano. L’autore osserva infatti che, essendo i salari stabiliti centralmente dalla commissione pianificatrice, saranno sempre fatti corrispondere al valore delle merci che la produzione industriale agricola immetterà sul mercato. Da questo fatto risulterebbe una completa corrispondenza tra offerta e domanda e le sfasature pericolose che si verificano in regime capitalistico non avranno quindi luogo in Unione Sovietica: “Nell’economia pianificata invece il centro decide quale parte servirà allo sviluppo dell’apparato di produzione. La somma dei salari è fissata in modo preciso, essa corrisponde all’incirca alla quantità di beni di consumo che sono offerti alla vendita dopo la deduzione della parte riservata agli scopi di riproduzione …. Così si stabilisce un equilibrio tra l’offerta e la domanda. È in questo che risiede il grande vantaggio dell’economia pianificata russa. A ciò si aggiunge il fatto che la produzione nell’Unione Sovietica è costruita su un’altra base che nei paesi capitalistici. Sono i bisogni, non il …

INDUSTRIALIZZAZIONE E SOCIALISMO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE TERZA SOCIALISMO REALIZZATO 2 – Industrializzazione e socialismo I concetti espressi dalla totalità degli scrittori comunisti in riferimento all’industrializzazione, realizzata a passi da gigante nell’Unione sovietica si riducono sostanzialmente a due: 1) lo sviluppo intenso e mirabile dell’industria sovietica, l’enorme aumento della sua produttività starebbe a significare la completa vittoria del socialismo che avrebbe così portato, secondo le previsioni di Marx, ad un progresso prodigioso nello sviluppo delle forze produttive. 2) lo squilibrio che ancora si registra in URSS tra lo sviluppo dell’industria pesante e quello dell’industria leggera, a tutto favore del settore primario, è contingente, in quanto solo grazie allo sviluppo di questa l’altra, produttrice di beni consumo, può svilupparsi. Questo squilibrio è inoltre dovuto all’accerchiamento cui la Russia è fatta segno da tutto il mondo capitalista, da quando divenne il primo paese socialista del mondo. Fu quindi per difendersi contro eventuali aggressioni straniere (previsione che si è dimostrata terribilmente reale nel 1941) che l’Urss dovette privilegiare lo sviluppo dell’industria pesante e degli armamenti. Questi, dicevo, i due punti base dei giudizi comunisti sull’industrializzazione nell’Unione Sovietica; vediamone alcuni tra i più interessanti. Paolo Robotti nei suoi articoli riassume tutti e due questi concetti. Da una parte sottolinea infatti la stretta relazione esistente tra lo sviluppo delle forze produttive e la realizzazione del socialismo come premessa al comunismo. Il rapido sviluppo dell’industria e della produttività sovietica, a confronto di quella degli stati capitalistici, starebbe a dimostrare che solo il regime sovietico, socialista permette un così rapido sviluppo delle forze produttive e costituirebbe quindi l’unico sistema che può permettere all’umanità di compiere quel balzo in avanti verso una situazione di eguaglianza e di benessere economico : “Dal 1928 l’URSS ha più che decuplicato il volume della produzione industriale. In soli dieci anni ha aumentato di otto volte il numero degli operai e impiegati dall’industria. Tutto il mondo capitalista nel suo complesso in 80 anni – dal 1950 al 1929 – ha aumentato il volume della sua produzione industriale di nove volte, ma ha attraversato nello stesso tempo ben dieci crisi economiche molto vaste. Gli USA in 50 anni – dal 1880 al 1929 – hanno aumentato la loro produzione industriale di nove volte. Si vede quindi che il ritmo di aumento della produzione industriale nell’Urss è avvenuto a tempi ben più accelerati. In ciò sta appunto la superiorità del regime socialista. In ciò sta la premessa fondamentale per il passaggio ad una forma economico-sociale superiore: il comunismo.” (17) Dall’altra parte in un altro articolo (18) si riconosce che, come è stato per il primo piano quinquennale, anche in quello approntato dopo la devastazione operata dalla guerra, viene dato un valore predominante alla ricostruzione e allo sviluppo dell’industria pesante. Pur riconoscendo che i sacrifici che questo fatto comporta per tutto il popolo sovietico non sono indifferenti, esprime però la convinzione che comunque saranno più brevi di quelli supportati nel periodo iniziale dell’opera di industrializzazione del paese, quando il lavoratore russo mancava di esperienza e i tecnici erano pressoché inesistenti ed esprime la certezza che solo grazie allo sviluppo dell’industria primaria sia possibile imprimere un ritmo elevato di sviluppo anche a tutti gli altri settori industriali del paese. Anche Pavlowski con le stesse argomentazioni affronta il problema della compressione dell’industria leggera in Urss. Ammonendo gli organi di stampa e gli osservatori stranieri, colpevoli di avere espresso giudizi negativi sul regime a partire dalla constatazione del basso tenore di vita degli abitanti russi, fa presente che, pur essendo sbagliato confrontare il livello di vita russo con quello degli stati occidentali che hanno alle loro spalle uno sviluppo industriale molto più antico di quello sovietico, vi furono delle motivazioni e delle ragioni ben precise che indirizzarono su quella via lo sviluppo industriale sovietico. Queste motivazioni consistono nel fatto che da una parte la Russia fu costretta a destinare al mercato solo una parte della propria produzione industriale in quanto l’opera di industrializzazione richiedeva la maggior parte dei prodotti (in termini di mezzi produzione) e dall’altro nel fatto che, minacciata da ogni parte, doveva dedicare buona parte della propria attività industriale alla produzione di armamenti: “Minacciata da Oriente dall’espansionismo nipponico e da occidente dalla graduale ascesa del nazismo, il quale già nel 1923 aveva effettivamente dichiarato, nel Mein Kampf, una guerra di rapina alla Russia, l’Unione sovietica era costretta alla diversione di una grande parte delle sue industrie a scopi economicamente improduttivi, rappresentati da armamenti di ogni genere. Dall’altra parte, durante i piani quinquennali l’economia sovietica poteva dare alla popolazione soltanto una parte della sua produzione, il resto essendo destinato all’investimento per assicurare lo sviluppo ulteriore delle industrie, condizione che non esisteva prima della guerra in Inghilterra, negli Stati Uniti od in Francia, ove le industrie lavoravano in primo luogo per il mercato.” (20) Molto meno problematico invece l’articolo di Michele Pellicani (21) che dà già per risolta questa contraddizione tra industria pesante e industria leggera: a parere dell’autore, infatti, se il primo piano quinquennale fu orientato verso il potenziamento dell’industria primaria, già con il secondo la carenza di beni di consumo fu risolta grazie al potenziamento del settore secondario. Il che sta quindi a dimostrare la superiorità del regime socialista sovietico. Per quanto riguarda invece l’altro punto centrale, la relazione tra lo sviluppo industriale del paese e la realizzazione del socialismo, troviamo un interessante contributo di Agostino Novella (22). Dopo aver sottolineato con dovizia di dati e di argomenti come il mondo capitalista fosse stato travolto dalla violentissima crisi economica del 1929-32 (“La società capitalistica entrava nella crisi più lunga e profonda della sua storia” (23)) che significò il crollo della produzione industriale, la distruzione in massa di prodotti di prima necessità, la disoccupazione per venti milioni di lavoratori (“tutti fatti che da soli bastano a provare il fallimento del sistema” (24)) passa …