LA VICENDA DI SIGONELLA

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO QUARTO La vicenda di Sigonella 4.1 Il sequestro dell’Achille Lauro Quella giornata di sabato 12 ottobre 1985 si annunciava come un momento assai rischioso per la politica estera italiana in quel periodo. E’ lunedì 7 ottobre del 1985 quando arriva l’annuncio del sequestro dell’“Achille Lauro” da parte di un gruppo di terroristi palestinesi. Sulla nave ci sono 334 uomini di equipaggio e 201 passeggeri, 545 ostaggi a rischio vita. Le prime misure del governo italiano sono di carattere militare. Ma le carte che Craxi vuole giocare, prima, tutte, sono le carte politiche. E’ chiaro a tutti che ogni possibile soluzione pacifica della vicenda richiede anzitutto di conoscere a quale gruppo della diaspora palestinese appartengono i terroristi che hanno assalito la nave italiana. In un messaggio personale a Craxi, Arafat afferma la totale estraneità dell’OLP all’operazione contro l’Achille Lauro; offre anche i suoi servigi per cooperare a una fine non cruenta dell’attacco terroristico. L’attacco è avvenuto in acque internazionali, ma la nave sembra puntare verso l’Egitto. E’ una buona notizia. L’Egitto è contrario alle guerre, al terrorismo, può essere un buon mediatore. Arafat ha inviato due emissari al Cairo, tra cui Abu Abbas alla cui formazione militare i terroristi, (peraltro poi rivelatosi schegge impazzite), erano affiliati. Abbas convince i dirottatori alla resa con la sola contropartita di un salvacondotto che consentirà loro di raggiungere la Tunisia dove l’OLP s’impegna a processarli.39 Mercoledì 9 la resa dei dirottatori. Giovedì 10 un giorno tranquillo e un sospiro di sollievo per aver evitato un bagno di sangue e l’impegno affinché gli assassini di un povero turista statunitense di origine ebrea e paralitico, che era stato ucciso a bordo, avessero il processo che gli spettava. Tutti sono convinti che l’Egitto abbia già consegnato i dirottatori all’OLP, secondo i termini della resa. Invece no: quando alle 23.50, la Casa Bianca chiama Craxi i terroristi sono nel cielo italiano, a bordo di un Boeing 737 dell’Egypt Air che quattro Caccia F14 americani partiti dalla portaerei Saratoga hanno intercettato e obbligato a puntare verso l’Italia. E’ Ronald Reagan che parla al telefono per chiedere l’atterraggio a Sigonella e fa una seconda telefonata per chiedere il trasferimento in America degli assassini di Leon Klinghoffer. Nella situazione di emergenza in cui si era venuto a trovare Craxi chiama l’ammiraglio Martini, capo del Servizio Informazione militare; da Martini a Bertolucci, capo di Stato Maggiore della Difesa; da Bertolucci a Cottone, comandante dell’Aereonautica, da Cottone al Colonnello Annicchiarico, comandante della base di Sigonella. L’atterraggio dell’aereo egiziano avviene alle 00.16 e trova già schierati avieri e carabinieri. 4.2 Sigonella Comincia la vicenda di Sigonella. Sigonella è una base NATO, a pochi chilometri da Catania. E’ suolo italiano a tutti gli effetti, soggetto ai poteri della giurisdizione italiana. Quando il Generale Stiner e le cinquanta “teste di cuoio” del Seals Team six si avvicinano all’aereo egiziano, questo è già circondato dai soldati italiani. Stiner dispone i suoi soldati tutto intorno al cerchio degli avieri e dei Carabinieri e dice ad Annicchiarico che deve prendere i terroristi che sono a bordo del Boeing. Al diniego dichiara che ha ordini dalla Casa Bianca, ma capisce ben presto che la foga non gli servirà contro l’ordine di difendere l’aereo egiziano che il comandante italiano intende far rispettare. Stiner, dopo aver ancora parlato con Washington, conferma l’ordine di catturare i terroristi e dichiara che essendo un militare egli dovrà esercitare tutti i poteri e i doveri che tale qualifica comporta. Gli si obbietta che egli ha di fronte altri militari, i quali hanno ordini uguali per l’uso della forza, opposti riguardo agli obiettivi. Stiner continua a tormentare la radio. Alle quattro del mattino comunica che ha avuto l’ordine di ritirarsi: c’è stato l’ultimo “no” di Craxi a Reagan, la Casa Bianca non può insistere nella violazione del diritto internazionale e delle leggi di uno Stato alleato. Alle 8.30 di quel sabato mattina, il Presidente del Consiglio Craxi viene informato dal suo consigliere diplomatico Antonio Badini che da lì a poco l’Ambasciatore americano Max Rabb sarebbe andato dal Consigliere diplomatico del Presidente alfine di consegnarli una memoria per l’estradizione dei quattro dirottatori presi in consegna dalle autorità italiane a Sigonella, contenente anche una specifica richiesta di fermo indirizzata ad Abu Abbas, dichiarato capo e ispiratore del gruppo terroristico autore del dirottamento, Craxi ascolta e lo incarica di chiedere ad Amato, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, di far venire con urgenza a Palazzo Chigi il gruppo di magistrati incaricati dal Ministro Martinazzoli di esaminare e valutare i documenti e preavvertire Renato Ruggero, segretario generale della Farnesina, che egli avrebbe dovuto convocare l’ambasciatore Rabb per le ore 12.00 per comunicargli l’esito dell’esame dei documenti americani. Craxi non ha intenzione di allungare i tempi della decisione. Egli aveva promesso al capo della Casa Bianca che avrebbe assicurato alla giustizia i quattro dirottatori e avrebbe assunto elementi per chiarire la posizione dei “mediatori” a bordo dell’aereo dirottato, tra cui Reagan affermava vi fosse Abu Abbas, leader della fazione dissidente dell’OLP denominata Fronte per la liberazione della Palestina. Craxi, dopo aver appreso dell’uccisione di Klinghoffer, un cittadino israeliano paralitico, aveva anche scritto a Mubarak ricordandogli che la disponibilità dell’Italia a mantenere il salvacondotto per i dirottatori su cui era impegnato l’Egitto era subordinata alla condizione irremovibile che non vi fossero stati fatti di sangue a bordo nel corso del sequestro. Craxi su questo punto fu molto attento a non contraddirsi e a osservare in qualunque circostanza una rigorosa coerenza con qualsiasi tipo d’impegno egli si assumeva. Riferendosi ai quattro palestinesi accusati di sequestro della nave e di atti di violenza a bordo Craxi non aveva con Reagan alcun impegno all’estradizione, questione che egli considerava, correttamente di diritto interno, dato che …

LA NOVITA’ DELLA POLITICA MEDIORIENTALE DEL GOVERNO CRAXI

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO TERZO La novità della politica mediorentale del governo Craxi Bettino Craxi giura come Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana il 4 agosto 1983. Craxi a fine ottobre 1984 inizia a riflettere su una forte iniziativa da assumere in Medioriente. Era rimasto molto turbato, nel corso dei suoi incontri istituzionali di quanto fosse diffuso, nella dirigenza politica di Algeria e Tunisia il timore dei contraccolpi che il perdurare della questione palestinese avrebbe prodotto nella regione. Forse solo oggi se né può valutare la portata ma già allora nei colloqui di Tunisi e Algeri erano risultati chiarissimi i riferimenti al distacco dei giovani e i fermenti di crescente radicalismo, soprattutto nell’inquietante emergere di una diffusa militanza religiosa. Da un lato occorreva indurre Arafat a rompere gli indugi e ad abbracciare la via del negoziato con Israele, dall’altro, specularmente vi era la necessità di far assumere all’Occidente una posizione meno ambigua sul sostegno all’esercizio del diritto palestinese all’autodeterminazione, con tutto quello che ciò implicava, inclusa la dichiarazione d’indipendenza. Lo stesso Arafat aveva detto a Craxi “Se non mi date una mano, si formeranno ali radicali che voi non riuscirete più a contenere, io sarò la prima vittima, ma le conseguenze ricadranno su Israele e l’Occidente.”31 Ricorda Ugo Intini: <<Eravamo amici degli arabi ma anche degli israeliani. Ci piaceva l’atmosfera di Israele, ci affascinavano i kibbutz, l’unica realizzazione pratica al mondo di un’utopia egualitaria, fraterna, dai tratti bucolici e in parte guerrieri. Ci inorgogliva la forza organizzata del più potente sindacato democratico del mondo…Ci attraeva l’ambiente modesto schietto e familiare che in quegli anni circondava i dirigenti israeliani…Ci commuovevano le storie eroiche e semplici dei pionieri. Condividevamo l’impostazione dei socialisti di Tel Aviv condensata nello slogan “Tutto per la pace fuorché la sicurezza”. Ma l’amicizia per i compagni non ci rendeva cechi. Ci irritava il loro sofismo furbesco quando ci spiegavano che dovevano si ritirarsi dai territori occupati secondo la risoluzione numero 207 delle Nazioni Unite, ma non da tutti, soltanto da alcuni perché la versione del testo da utilizzare non quella francese bensì quella inglese, dove la mancanza dell’articolo, tipica della lingua anglosassone, consentiva la forzatura interpretativa. Ci esasperava l’inflessibilità a definire sempre e soltanto terroristi i palestinesi e tutti i palestinesi…Ci pareva disastrosa la conseguente determinazione a volere trattare la pace con il popolo palestinese non attraverso il loro leader Arafat, bensì attraverso Re Hussein, odiato per il tragico massacro dei palestinesi in Giordania, nel “Settembre Nero” del 1970…Ci allarmava la mutazione genetica del paese, con la proliferazione di ebrei iper- ortodossi, dalle lunghe barbe e dalle palandrane nere simili, anche psicologicamente a fondamentalisti islamici anziché ai compagni di stile occidentale, laici e tolleranti, che eravamo abituati ad apprezzare.>>32 Craxi, che aveva perciò le carte in regola per fungere da mediatore cominciò il suo giro di consultazioni. Esso prevedeva prioritariamente il passaggio di Dublino dove di lì a poco era programmato il vertice CEE sotto la presidenza irlandese. Craxi contava di ottenere una sorta di mandato sull’argomento Mediorientale da poter utilizzare durante la presidenza italiana che sarebbe iniziata il mese successivo. La scaletta del “Piano” prevedeva poi in sequenza: un incontro risolutivo con Arafat, una consultazione con i paesi arabi più influenti, una navetta con la “troika” dei negoziatori arabi (Mubarak, Hussein, e lo stesso Arafat), per poi concludersi con il tentativo di portare a Roma Shimon Peres, il Primo Ministro israeliano, che Craxi conosceva per via della comune appartenenza all’Internazionale Socialista. E cosi andarono le cose, Craxi informò Andreotti, Ministro degli Esteri delle sue idee e acquisì i suoi consigli. Il suo obiettivo principale era convincere Re Hussein di Giordania a nominare una delegazione negoziale giordano- palestinese formata da personaggi vicini all’OLP. Egli sapeva tuttavia che senza alcune garanzie da parte di Arafat, il sovrano hascemita sarebbe stato restio a muoversi nella direzione desiderata. Craxi fece quindi sapere ad Arafat che egli sarebbe stato pronto a incoraggiare una dichiarazione di sostegno della CEE e del Presidente Reagan, qualora dal Consiglio Nazionale palestinese di Amman del 21 novembre 1984 uscisse una posizione chiara in favore di una piattaforma giordana-palestinese quale base per avviare un dialogo con Israele. Il tempo era poco per la preparazione dei due eventi ma Craxi decise comunque di incontrare Arafat insieme ad Andreotti. L’incontro ebbe luogo riservatamente nella tarda serata del 5 dicembre nella residenza segreta del rais, che Craxi descrisse come una viletta decisamente modesta nelle campagne di Tunisi. Il colloquio si protrasse fino a notte fonda e fu considerato utile dalle due parti. 3.1 La posizione di Arafat L’accettazione di un assetto federativo o confederativo della Palestina, che avrebbe significato da parte dell’OLP la rinuncia a uno stato palestinese completamente indipendente non venne mai fatta da Arafat che mantenne su questo punto una certa ambiguità. Ma aveva accettato la via dell’abbandono della lotta armata se Israele e Stati Uniti avessero riconosciuto l’OLP come forza rappresentativa e negoziale. Egli aveva bisogno di un sostegno sufficiente a dimostrare che l’opzione del dialogo era pagante e che quella poteva essere la strada che portava all’obiettivo voluto dal popolo palestinese. Arafat aveva poi sollecitato a considerare l’influenza stabilizzatrice che una reale iniziativa di pace poteva esercitare su tutto il Medioriente. Pronunciò poi una frase destinata a diventare famosa ma di cui nessuno (neanche in tempi recenti) ha fatto tesoro, “Dateci una seria prospettiva di avere una patria come hanno gli altri popoli e saremo anche noi partecipi di un più vasto assetto politico da proteggere e difendere.”33 Craxi e Andreotti avevano dunque intascato l’impegno di Arafat di sciogliere le ambiguità e le contraddizioni rispetto alla scelta negoziale, mantenendo una qualche riserva sulla capacità del rais di mantenere con tempestività la sua promessa. Stava crescendo, contro l’opzione …

LA POLITICA MEDITERRANEA DEL SEGRETARIO DEL PSI

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO La Politica Mediterranea del Segretario del PSI 2.3 Cooperazione italiana Secondo la convinzione che, come gli Stati Uniti sollevarono l’Europa con il Piano Marshall nel dopo guerra, un grande piano di aiuti e d’investimenti delle Nazioni Ricche verso quelle in via di sviluppo potesse promuovere una crescita comune ed equilibrata in tutti i continenti; fu il Partito socialista a pretendere che l’Italia rispettasse la percentuale dello 0,70% del PIL da destinare ai paesi poveri (un impegno deciso dall’ONU). A una visione poi meno caritatevole dell’impegno ancora una volta contribuirono in modo decisivo i socialisti che destinarono quella percentuale alla cooperazione italiana istituita presso il Ministero degli Affari Esteri. I paesi che investivano nei paesi poveri si assicuravano anche aree d’influenza e mercati, le opere progettate nel terzo mondo davano da lavorare alle nostre aziende e i poveri di quelle nazioni aiutate a risollevarsi si sarebbero sempre rivolti a chi li aveva soccorsi nel momento del bisogno. Craxi capì che un paese medio come l’Italia aveva l’obbligo di concentrarsi su alcune aree, cosi accanto al Sudamerica dove vi era una forte presenza della nostra antica immigrazione, lo sguardo doveva per contiguità geografica e storica rivolgersi al Mediterraneo, al vicino Medioriente e all’Africa. Nel Nord Africa (soprattutto la Tunisia) che per la sua estrema vicinanza costituiva un partner naturale. Nei territori del Corno d’Africa, dove l’avventura coloniale italiana aveva almeno lasciato lingua e cultura. Sempre tenendo conto del fatto che la Guerra Fredda, tema affrontato nel capitolo precedente, si consumava anche all’interno dello scenario Mediterraneo e Africano. Non era a caso che l’Unione Sovietica aveva occupato l’Etiopia e lo Yemen del Sud e in questo modo controllasse tutte e due le sponde dello Stretto di Bab el Mendeb, mettendo cosi le dita sulla vena giugulare dell’economia e dei rifornimenti energetici dell’Europa. I socialisti, e qui si può avere un esempio di come il provincialismo si può sposare con la demagogia, sostennero la Somalia e appoggiarono Siad Barre, per il solo e semplice motivo che costituiva un baluardo dell’occidente contro il regime etiopico del generale Menghistu, che appoggiato dai carri armati dell’URSS combatteva contro di lui nell’Ogaden. Il PCI per i suoi legami con l’URSS fraternizzava con Menghistu, anziché per Siad Barre, che pure con le sue tante colpe, era un amico dell’Italia e aveva studiato alla scuola dei Carabinieri di Firenze. Quando il regime Somalo crollò la stampa italiana esultò perché era stato appoggiato dai socialisti e applaudì l’avvento della democrazia, dimenticando che nelle società africane con tradizioni tribali solo degli sprovveduti possono immaginare libere elezioni fondate su partiti di stampo occidentale. Il risultato fu invece la definitiva disgregazione della Somalia (sino alle tragedie provocate dall’estremismo dei giorni nostri) con anni di orrori e conflitti tribali per i quali l’Occidente ha pagato un prezzo altissimo. Forse oggi, con gli occhiali della storia gli avvenimenti possono essere letti con maggior obbiettività. La verità è che grazie alla politica di cooperazione finita poi nelle aule dei tribunali l’Italia conquistò una visione e una presenza mondiale. Ci riuscì anche facendo leva su due caratteristiche che ci distinguevano dagli altri paesi occidentali. Primo, soltanto l’Italia non aveva un odioso passato coloniale, secondo l’Italia più di altri aveva esportato decine di milioni di immigrati. Questi italiani o discendenti di italiani avevano lavorato e conquistato nei paesi di accoglienza posizioni importanti. Non chiedevano aiuti o sovvenzioni ma chiedevano piuttosto identità, cultura, senso di appartenenza. Potevano in cambio diventare la nostra rete di pubbliche relazioni di espansione economica nel mondo, di un Italia apprezzata perché legata all’immagine della moda, del calcio, dell’arte, della buona cucina, della cultura cinematografica: un’immagine magari anche un poco edonista, ma dietro la quale arrivavano le esportazioni di tecnologia, di macchinari, di grandi opere pubbliche e infrastrutture. Sono stati fatti errori, manifestato una fiducia forse naif nei regimi emersi dopo il colonialismo? Certamente sì. Ma se l’Occidente avesse dovuto trattare solo con i paesi pienamente rispettosi dei suoi standard di libertà e democrazia avrebbe dovuto troncare le relazioni con tutti. Ci sono stati sprechi, ruberie, distorsioni, finanziamenti illegali ai partiti? È probabile, ma quello che è certo è che anche grazie alla politica di cooperazione, l’Italia è diventata una protagonista sulla scena mondiale, il suo sistema economico ha conquistato mercati e lavoro. Chi fa sbaglia, specialmente quando osa e fa per la prima volta, ma tutto ciò va pesato con equità sulla bilancia della storia. 25 2.4 Pace e Medioriente La politica estera del partito socialista di Craxi voleva essere una politica estera dinamica e ambiziosa questo significa soprattutto una politica che guardasse a Sud con l’obiettivo di fare del mediterraneo un mare di pace, consolidando la funzione dell’Italia come ponte tra l’Europa, il mondo Arabo e l’Africa. Quest’obiettivo a cui l’Italia era spinta da ragioni storiche, culturali, politiche ed economiche richiedeva la pace in Medioriente, l’eliminazione del conflitto tra israeliani e palestinesi. I socialisti italiani dettero il loro contributo con coerenza e testardaggine, potendo parlare con credibilità ed amicizia a tutti i tre protagonisti. Craxi, amico degli israeliani e dei palestinesi era convinto che non ci fosse un’altra strada da perseguire che non quella della paziente perseverante trattativa, disposto a litigare con entrambi gli amici per convincerli, parlando chiaro anche all’alleato americano. Craxi diventato segretario del PSI dirà “Nel più grave e serio dei conflitti, quello arabo- israeliano, la soluzione non può essere trovata al di fuori di trattative fra tutti i contendenti, che siano fondate sul principio del riconoscimento di tutti i fondamentali diritti degli stati e dei popoli della regione. Resta indiscusso il diritto allo Stato di Israele a vivere entro frontiere riconosciute e sicure, ma in un tale quadro resta anche indiscusso il suo dovere di …

LA POLITICA MEDITERRANEA DEL SEGRETARIO DEL PSI

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO La Politica Mediterranea del Segretario del PSI Craxi diventa segretario del Partito Socialista Italiano il 16 luglio 1976, era l’esponente di una corrente di minoranza e venne indicato dai maggiorenti del partito in lotta tra di loro, perché considerato debole, un segretario di transizione… Fu segretario del Partito Socialista Italiano per diciotto anni sino alla sua distruzione per mano giudiziaria. Appena insediatosi, Craxi si dedicò immediatamente a dare alla sua segreteria una forte impronta di politica estera, della quale era stato responsabile anche da vicesegretario, in grado di influenzare anche la politica estera del Governo Italiano. Aveva ben in mente che per fare ciò doveva, creare una rete di alleanze, e al tempo stesso, andare incontro a inevitabili inimicizie. Approfittò del fatto di avere come interlocutori (che poi divennero anche interlocutori istituzionali negli anni del suo governo) i suoi partner dell’Internazionale Socialista, da Mitterrand a Suarez da Papandreu a Gonzales ad Olof Palme. Cominciò quindi dall’Europa anche se le ambizioni erano più vaste e si mosse conciliando identità socialista e vocazione nazionale. L’eurosocialismo aveva come asse portante i paesi che condividevano tradizioni secolari di cultura latina e cristiana e che avevano comuni interessi mediterranei. Scrive Craxi in un discorso pronunciato durante una riunione dell’Internazionale Socialista: “ Non c’è dubbio che i nostri partiti hanno un interesse fondamentale alle vicende del mediterraneo…Dal manifestarsi della crisi economica in Europa nel 1974 si è continuamento parlato di un dialogo euro-arabo e di un dialogo fra nord e sud senza peraltro che esso sia approdato a un qualche concreto risultato…La verità è che l’approccio è avvenuto nei termini di interessi economici reciproci fra le strutture capitalistiche dell’Europa occidentale legate al capitalismo americano e alle compagnie multinazionali e i Paesi produttori di petrolio e materie prime. Rapporti di tale genere non possono risolvere i problemi di una cooperazione che, per essere concreta e duratura ha bisogno di una visione politica fondata sui principi della parità e dell’uguaglianza”. 18 2.1 Il Principio di Libertà Craxi e il Partito Socialista del nuovo corso ereditarono dalle radici del socialismo un immenso patrimonio: la fermezza dei principi morali, che in politica estera vengono prima di tutto, la conoscenza dei fatti e delle persone, il prestigio di avere alle spalle una storia fatta di tante lotte per la libertà. E fu proprio la fermezza nell’appoggiare il principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli sempre e ovunque, un principio che fu la stella polare di Craxi, che lo portò spesso a scontrarsi con i comunisti. Non affronterò in questo lavoro l’aspetto delle battaglie di libertà contro il dispotismo comunista, per i popoli dell’Europa orientale e della stessa Unione Sovietica o per la democrazia in America Latina19; mi limiterò solo a ricordare che chiunque soffrisse per la privazione della libertà a Est come ad Ovest e a Sud del mondo, argentini, cileni, salvadoregni, uruguaiani, e ancora cecoslovacchi, russi, ungheresi, polacchi, trovò la stanza del segretario del PSI sempre aperta. Ottenne la liberazione dei capi di Solidarnosc detenuti nelle carceri di Varsavia, la riabilitazione di Ymre Nagy eroe della rivolta di Budapest, portò Jiri Pelikan tra le file socialiste al Parlamento Europeo, si batté per la democrazia cilena ottenendo da Ronald Reagan il via libera alla presidenza del candidato cristiano-democratico Frei. Il tema di questo lavoro è la politica mediterranea e mediorientale e quindi comincerò parlando del sostegno politico e materiale che Craxi portò ai socialisti mediterranei in lotta per la libertà, gli spagnoli, i portoghesi, i greci. In via del Corso, sede nazionale del Partito socialista, per un certo periodo ebbero un ufficio e un modesto stipendio Felipe Gonzales20, Mario Suarez21 e Alexis Panagulis22, tutti in esilio. Craxi poi da Presidente del Consiglio si adoperò per fare entrare in Europa Spagna e Portogallo. Le prime difficoltà iniziarono con i compagni francesi e lo stesso Mitterrand, allora Sottosegretario alla Giustizia, quando Craxi e i socialisti italiani decisero di dare il loro sostegno alla lotta d’indipendenza del popolo algerino. I socialisti italiani appoggiarono senza esitazione il Fronte di Liberazione Nazionale di Ben Bella. L’ex comandante partigiano Italo Pietra (e futuro direttore di “Il Giorno”) faceva formalmente l’inviato del “Corriere della Sera”, ma in realtà teneva le fila dei rapporti riservati tra il FNL, il PSI e il Presidente dell’Eni, Mattei che fornì denaro e aiuti militari. Oggi, tutti i protagonisti sarebbero finiti in galera per corruzione e traffico d’armi. Allora, continuarono un impegno libertario iniziato con la resistenza e posero le basi per un’amicizia duratura tra le classi dirigenti democratiche italiane e algerine, dalla quale derivarono anche importanti commesse per le aziende italiane che penetrarono in Nord Africa. Avevano ragione i socialisti italiani quando suggerivano ai compagni francesi di ritirarsi dall’Algeria risparmiando un altissimo prezzo di vite umane e una rivolta in patria che minacciò la stessa democrazia a Parigi. 23 Craxi fu praticamente l’unico a tentare in Italia una politica estera autonoma, aiutato dalle relazioni conquistate proprio con le battaglie di libertà che nel tempo gli avevano creato in tutti i continenti, una rete di compagni e amici, poi diventati Capi di Stato e Ministri, animati da sincera gratitudine. Sulla scena internazionale Craxi e i suoi dirigenti non erano funzionari senza storia bensì appartenenti a una stessa famiglia socialista cresciuta fra i sacrifici e le passioni, nella solidarietà reciproca, capaci di intendersi con uno sguardo o una telefonata anche fuori dai canali ufficiali. Ricorda Ugo Intini “Craxi che, presidente del Consiglio, mentre le milizie druse bombardavano i bersaglieri italiani a Beirut, e i militari e i diplomatici si agitavano inutilmente, alzò il telefono, chiamò il loro capo Jumblatt, personaggio discusso, ma suo ex compagno nell’Internazionale Socialista, gli piantò una scenata in francese e lo fece smetter immediatamente.”24 2.2 Nord …

LE RADICI DELL’EURSOCIALISMO MEDITERRANEO

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO Le Radici dell’Eurosocialismo Mediterraneo 1.3 Nelle sabbie dell’Ogaden Con l’insediamento di Craxi alla segreteria la guerra fredda a sinistra era aperta. 9 Le posizioni dei due partiti sulle grandi questioni internazionali divennero quasi antitetiche. L’eurosocialismo mediterraneo, risposta all’eurocomunismo berlingueriano, divenne la bandiera sotto cui Craxi indirizzò la politica estera del Partito Socialista sin dal 1977 nel confronto con i comunisti. Il compromesso storico e il suo percorso spinsero ancora di più il PSI a una revisione delle posizioni di fronte ai grandi temi della politica internazionale. L’osmosi fra ideologia e schieramento internazionale era immediata nel confronto tra le due anime della sinistra.10 A poche settimane dalla tragica scomparsa di Aldo Moro, che segnò l’inizio della fine del compromesso storico, Berlinguer dalle pagine di Repubblica, rivendicò la “ricca lezione di Lenin”. In risposta Craxi dalle pagine dell’Espresso replicò con un saggio su Proudhon, che lì consentì di affermare che “leninismo e pluralismo sono due termini antitetici, se prevale il primo muore il secondo”, rivendicando apertamente l’occidente come costruzione politica e culturale, contrapposta dunque ai riferimenti del PCI ancora ancorati all’esperienza sovietica. Era lanciato il guanto della sfida, una sfida dai forti confronti dialettici fra i due partiti, di fronte ai grandi temi di politica internazionale. Per i socialisti fu decisivo il rilancio della NATO e con esso i valori dell’occidente, primo fra tutti la libertà.11 E della nuova guerra fredda il confronto fra i due partiti condivise anche uno dei luoghi topici, il corno d’Africa. Le sabbie dell’Ogaden che seppellirono la distensione fra i blocchi furono teatro anche di quella guerra fredda minore che oppose i due partiti della sinistra italiana. Dopo che Siad Barre, presidente della Somalia, era emerso quale personalità dominante nei confusi assetti politici seguiti ai rovesciamenti militari del 1969-70, Aldo Moro da Ministro e Presidente del Consiglio attuò un paziente avvicinamento al presidente somalo, fautore delle nazionalizzazioni che avevano colpito gli interessi e gli investimenti italiani nel paese africano. Mentre era in atto questo riavvicinamento, Siad Barre, strinse progressivamente rapporti politici, commerciali e di cooperazione militare con Mosca. Parallelamente il PCI cominciò a sviluppare rapporti sempre più stretti con la Somalia filo-sovietica. La presenza del Partito Comunista Italiano venne messa in crisi quando la rivoluzione spostò l’ex regno del Negus in ambito sovietico. Siad Barre cambiò alleato invadendo l’antico rivale. Sulla crisi della presenza del PCI in Somalia si costruì la cooperazione con il PSI che identificò Siad Barre come interlocutore privilegiato e quando Craxi divenne presidente del Consiglio poté annoverare i rapporti con Siad Biarre come tassello meridionale dell’eurosocialismo mediterraneo. 12 1.4 La prova dei Missili Il confronto tra le due anime della sinistra italiana visse un ulteriore esacerbarsi con l’invasione sovietica dell’Afghanistan del Dicembre 1979. L’elaborazione teorica politica del PSI si spinse a qualificare l’intervento sovietico come atto imperialista da potenza neostaliniana. Mentre il PCI continuava a gravitare strettamente nell’orbita sovietica.13 Ma su un punto la politica estera dei due partiti avrebbe trovato una convergenza. Con la segreteria Craxi il mondo arabo e in particolare la causa palestinese assunsero un ruolo centrale nella politica mediterranea del partito. L’Internazionale Socialista era il luogo in cui Craxi confidava di riportare le tensioni del levante mediterraneo, perché lì s’incontravano i socialisti libanesi e i laburisti israeliani, ma furono proprio questi ultimi, ad avere nel corso degli anni 80 i maggiori contrasti con il PSI quando Craxi iniziò ad accreditare la direzione dell’OLP di Yasser Arafat come interlocutrice pronta a percorrere la strada della trattativa.14 Prima che ciò accadesse, era già chiaro quanto sul sostegno ad Arafat convergessero le direzioni dei due partiti della sinistra italiana. Il sostegno alla causa palestinese fu un aspetto importante nell’avvicinamento della diplomazia dei due partiti ma secondario rispetto all’aspetto centrale della guerra fredda, ovverosia il problema degli armamenti nucleari. Nella crisi del processo sul disarmo si collocava la decisione sovietica di installare dei nuovi vettori missilistici a raggio intermedio gli SS-20, decisione che decorreva dal 1976. I governi dell’Europa atlantica si erano presentati divisi e incerti di fronte all’appello di Helmut Schmidt lanciato durante la conferenza londinese del 1977. Secondo Schmidt dopo lo schieramento sovietico degli SS-20 occorreva che da par suo, l’alleanza atlantica e i suoi membri europei, ristabilissero una deterrenza credibile a difesa dell’Europa senza lasciar cadere le trattative sulla limitazione degli armamenti. Durante un vertice tenutosi nell’isola della Guadalupa, i governi di Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Repubblica Federale Tedesca convennero nel chiedere agli organi dell’alleanza di valutare lo schieramento dei vettori missilistici, i cosiddetti euromissili, adeguati a rispondere agli SS-20. Gli euromissili non sarebbero stati schierati se l’Unione Sovietica avesse ritirato i loro. 15 Già alla fine del 1978 la Germania Federale aveva espresso la decisione di accogliere sul proprio territorio gli euromissili solo se un altro stato dell’Europa continentale avesse fatto altrettanto. La clausola della “non singolarità” era il compromesso trovato da Schmidt verso il suo partito, che era timoroso di affrontare l’opposizione dell’opinione pubblica in vista delle elezioni dell’anno successivo. La segreteria craxiana raccolse l’appello di Schmidt nel vivo della competizione elettorale.16 Le posizioni atlantiste di Craxi e Lagorio non erano maggioritarie nel partito, ma riuscirono a prevalere con la conta che Craxi pose nella direzione del partito socialista italiano. Tramontavano cosi definitivamente ipotesi classiste e neutraliste che avevano trovato luogo nel PSI nella stagione precedente. Il nuovo governo presieduto da Francesco Cossiga ottenne dalla Camera, con il voto socialista, l’approvazione all’installazione degli euromissili e poté presentarsi al Consiglio Nordatlantico (massimo organo dell’alleanza) il 12 dicembre 1979 annunciando la disponibilità italiana. Nel contempo il PCI di Berlinguer, spinto dalle proteste di piazza (imponenti manifestazioni, si scopri, poi finanziate dall’Unione Sovietica) abbracciò la causa dell’opposizione agli euromissili. Quest’avvenimento segnò il passaggio del …

LE RADICI DELL’EUROSOCIALISMO MEDITERRANEO

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO Le Radici dell’Eurosocialismo Mediterraneo Durante tutto il corso della prima repubblica, quando i partiti costituivano il cuore della vita politica italiana, la loro politica estera era un elemento essenziale del dibattito democratico. Ancor più essi concorrevano alla formulazione della politica estera nazionale e al mantenimento dei rapporti internazionali. Il mediterraneo è stato storicamente ambito di scambio e campo di battaglia. Si perdonerà l’ovvietà della considerazione del ruolo dell’Italia quale ponte tra la sponda meridionale e la sponda settentrionale del mediterraneo, ruolo strategico che peraltro l’Italia potrebbe mantenere anche ai nostri giorni. La geografia del potere mediterraneo era un paradigma obbligato nella politica italiana e altresì la politica mediterranea della Repubblica Italiana, s’intersecava con i rapporti italo – statunitensi, che a loro volta erano l’ambito in cui si definivano gli accordi volti a stabilire e gestire le basi statunitensi sul territorio italiano. 1.1 Il mediterraneo in armi La presenza politica e militare dell’alleanza atlantica nel mediterraneo è il punto di partenza per affrontare il discorso politico relativo all’eurosocialismo mediterraneo. L’anello di congiunzione era la guerra fredda, la cosiddetta seconda guerra fredda, che segnò una sensibile evoluzione politica dell’alleanza atlantica nel mediterraneo e al contempo lo sviluppo dei risvolti mediterranei dell’eurosocialismo. Sul sistema delle basi si reggeva il dominio statunitense nel mediterraneo a fronteggiare una timida presenza della marina militare di Mosca che durante la guerra arabo-israeliana schierò e incremento la flotta della 5° Eskadra nel Mediterraneo, subito ridimensionata dopo la guerra israeliana del 1973. Tuttavia la presenza bolscevica nel mediterraneo non si dissolse e benché espulsa dai porti egiziani il naviglio sovietico non smise di cercare nuovi scali, oltre i porti siriani, in cui attraccare. Cercarono un abboccamento con i maltesi quando nel 1979 Don Mintoff non rinnovò l’affitto dei porti alla NATO che lasciò l’isola. Il tentativo naufragò così i sovietici tentarono direttamente con il volubile Muammar Gheddafi, che avviò un balletto diplomatico sino a quando Gorbaciov decise di accantonare il capitolo mediterraneo dovendo affrontare i più seri problemi che gli poneva in patria la perestrojka. Non di meno il tentativo di Mosca di gettare le basi per una sua presenza nel mediterraneo era un’opzione strategica tenuta ben in mente dagli alleati atlantici perché avrebbe costituito comunque una minaccia per la 6° flotta, era perciò un assillo per tutti gli alleati NATO e in particolare per quelli rivieraschi. La capacità di arginare la marina sovietica, attraverso il dominio militare statunitense nel mediterraneo era un cardine dell’assetto che gli Stati Uniti determinarono in quel mare. Nel corso degli anni, l’utilità del sistema di basi si manifestò maggiormente durante le operazioni militari condotte nelle sponde orientali e meridionali come lo sbarco dei marines a Beirut del 1958, oppure garantendo l’appoggio navale al ponte aereo per Israele nel 1973, piuttosto che nella risposta a un’aggressione del Patto di Varsavia agli stati membri dell’alleanza. 4 1.2 Guerra fredda a sinistra In Italia la recrudescenza della guerra fredda trovò su fronti opposti comunisti e socialisti. Mentre Enrico Berlinguer, segretario del PCI, intendeva l’appartenenza del suo partito a un sistema di partiti satelliti facenti riferimento all’Impero Sovietico come una via per realizzare gli ideali comunisti, per Bettino Craxi, segretario del PSI, l’appartenenza allo schieramento atlantico era un’affermazione dell’identità dei socialisti italiani. L’elaborazione della politica estera del PSI durante la segreteria di Craxi era strettamente legata alla polemica con l’eurocomunismo e alla condanna della politica sovietica. I partiti europei affiliati all’Internazionale Socialista affidavano la loro identità politica, l’eurosocialismo, al rilancio del processo d’integrazione europea. Il contributo che il Partito Socialista Italiano dette all’eurosocialismo fu l’aggettivo “mediterraneo”, voluto dallo stesso Craxi all’indomani della sua elezione a segretario avvenuta nel luglio 1976. Lo fece partendo da una profonda convinzione che ebbe modo di esternare durante un discorso alla Brown University in occasione del conferimento della laura honoris causa, la convinzione che “intimamente e profondamente europea, legata alle istituzioni, alle prospettive, al ruolo dell’Europa, convinta della necessità di fare evolvere il processo di costruzione e di allargamento dell’Europa, superando crisi contraddizioni, tentazioni egoistiche ed eccessi di nazionalismo, l’Italia, immersa nel mediterraneo, sente profondamente l’impulso naturale che la spinge a collegarsi con i popoli e i paesi della regione mediterranea. Una vocazione antica, talvolta degenerata nelle vicissitudini della storia, che tuttavia si presenta nella sua attualità indicando prospettive di avvenire, all’insegna della pace, del rispetto dell’indipendenza e dei diritti dei popoli, del ruolo che l’Italia può svolgere in ogni campo della cooperazione economica, tecnica, culturale. Una cornice di Paesi in via di sviluppo, impegnati in forma diversa e sotto regimi diversi a entrare in uno stadio più avanzato della propria vita economica, civile e sociale, già guarda e sempre più potrà guardare all’Italia per le possibilità che essa offre e sempre più dovrà poter offrire come a un interlocutore e a un partner essenziale per la costruzione pacifica di un avvenire progredito. Allo sviluppo di relazioni sempre più strette e impegnative nella regione mediterranea bisogna attendere con visione lungimirante e con crescente intensità.”5 Sino alla completa affermazione di Craxi alla guida del partito, raggiunta dopo aspri scontri, il PSI non godeva di un credito europeista, atlantista e profondamente anticomunista come invece le altre anime della socialdemocrazia europea.6 Nel giro di pochi anni il PSI si afferma come uno dei più fermi oppositori da sinistra dell’eurocomunismo quale strategia perseguita dai comunisti italiani. Ad affiancare la profonda revisione ideologica avviata dalla nuova segreteria di Craxi, si distinse in quegli anni la rivista “Mondo Operaio” e il circolo d’intellettuali che l’animò da Luciano Pellicani a Federico Coen. 7Il progetto eurocomunista era indissolubilmente legato alla figura di Enrico Berlinguer, alla ricerca di una terza via fra socialdemocrazia e partiti comunisti che non fosse riconducibile al modello sovietico. Per fare ciò …

LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO

LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO – (Introduzione) LE RADICI DELL’EUROSOCIALISMO MEDITERRANEO (Paragrafi 1 e 2) LE RADICI DELL’EURSOCIALISMO MEDITERRANEO (Paragrafi 3 e 4) LA POLITICA MEDITERRANEA DEL SEGRETARIO DEL PSI (Paragrafi 1 e 2) LA POLITICA MEDITERRANEA DEL SEGRETARIO DEL PSI (Paragrafi 3 e 4) LA NOVITA’ DELLA POLITICA MEDIORIENTALE DEL GOVERNO CRAXI LA VICENDA DI SIGONELLA IL RAPPORTO CON RONALD REAGAN SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI DIPARTIMENTO di Scienze Politiche Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302 Relatore Prof. Vera Capperucci ANNO ACCADEMICO 2012-2013     INDICE Introduzione Pag. 1-4 Capitolo 1: Le radici dell’eurosocialismo mediterraneo Pag. 5-11 Capitolo 2: La politica mediterranea del segretario del PSI Pag. 12-19 Capitolo 3: La novità della politica mediorientale del governo Craxi Pag. 20-28 Capitolo 4: La vicenda di Sigonella Pag. 29-39 Capitolo 5: Il rapporto con Ronald Reagan Pag. 40- 45 Conclusioni Pag. 46-49   INTRODUZIONE Nel panorama della attività politica, la politica estera occupava per Bettino Craxi uno spazio prioritario, destinato a crescere negli anni della sua presidenza. Ma non era solo una naturale inclinazione a spingere il primo Presidente del Consiglio socialista verso l’impegno internazionale, inclinazione nota già nei primi anni giovanili all’interno del suo impegno nelle organizzazioni universitarie, impegno che lo aveva portato a viaggiare e a fare la conoscenza di politici che poi diventarono leader nazionali e internazionali. Per Craxi la politica estera coincideva con la sua volontà tenace, e talvolta testarda, di consentire che l’Italia esercitasse una maggiore influenza nello scacchiere internazionale: era convinto, infatti, che una maggiore considerazione in campo europeo e mondiale avrebbe contribuito alla valorizzazione del genio italico, virtù che sottostava al nostro formidabile sistema produttivo fatto da tante piccole e medie imprese. Craxi pensava che grazie alla nostra industriosità, alla italica capacità di produrre idee e realizzarle, alla nostra volontà di conquista, alla capacità di adattamento del popolo italiano alle diverse e talvolta difficili circostanze, l’Italia aveva certamente maggiori prospettive di affermarsi in un mondo pacificato. E tuttavia, poiché pensava che nulla si ottiene senza partecipare alla sua costruzione, intendeva fare la sua parte nella costruzione di un mondo pacifico rivendicando per l’Italia un ruolo che la ponesse tra gli “stakeholders” della scena internazionale.1 Se si confronta con la condizione dell’Italia di oggi si può vedere quale abisso ci separa da quella visione. Accanto ai legittimi interessi erano presenti, nella politica estera di Craxi, principi e valori a cui si era ispirato nella sua militanza nell’Internazionale Socialista. Il suo forte e coraggioso sostegno alla nascenti democrazie dell’America Latina, dall’Argentina di Alfonsin dall’Uruguay di Sanguinetti al Perù di García, era un segnale di un nuovo corso per la nostra proiezione internazionale e di un diverso modello di convivenza fra Nazioni sovrane, nonché la difesa del principio di libertà e dell’autodeterminazione dei popoli, un principio che considerava non negoziabile. Cosi come l’autentico impegno per il Medio Oriente indicava la consapevolezza che un paese e un continente, in questo caso un’Europa allora come oggi divisa e inconcludente, non sarebbero mai potute diventare grandi sino a quando nel “cortile di casa” fossero divampate le fiamme della violenza della guerra. Egli si rese, però, subito conto che il terreno di gioco sul quale mettere alla prova le ambizioni del suo governo era costituito dal cambiamento dei rapporti Est-Ovest, allora contraddistinti da un forte antagonismo tra Mosca e Washington. In una situazione cosi incandescente che un errore poteva compromettere le migliori intenzioni con rischi concreti per il paese. Pur cosciente di tale rischio, e avendone valutato a fondo la portata e le possibili conseguenze, decise di correrlo, per scrollarsi di dosso sia la tetraggine immobile del Cremlino, che manteneva sotto i piedi, con un pugno di ferro i paesi satelliti, sia la soffocante influenza con attitudini pedagogiche con cui l’alleato americano soleva trattare con gli alleati del Patto Atlantico. Il primo passo dell’ostpolitik di Craxi, allora segretario del Partito Socialista Italiano, è il via libera dato all’allora Presidente del Consiglio Cossiga sull’installazione degli Euromissili, deciso su sollecitazione di Helmut Schmidt che aveva legato lo schieramento delle forze nucleari nel territorio della Germania federale, a un analogo spiegamento almeno in un altro importante paese dell’Europa. Con i voti socialisti, e contro il parere contrario del Partito Comunista, si poterono schierare gli Euromissili, azione militare che gettò le premesse per un miglioramento del clima di distensione tra le due super potenze militari consentendo con il tempo di spostare il terreno di confronto da quello degli equilibri militari a quello economico e politico. Per Craxi la politica verso la regione mediorientale e mediterranea era anche una questione Europea: “ I socialisti europei hanno perciò non soltanto il dovere di dare un giudizio ma anche il compito di contribuire attivamente per raggiungere questi obbiettivi, individuando i problemi, indicando soluzioni, intensificando le relazioni reciproche con le forze politiche affini, influendo sui governi per operare la pace nel Mediterraneo.”2 Ma si può ricordare, della politica estera del governo Craxi, anche la straordinaria apertura alla Cina di Deng Xiaoping, con cui il Presidente del Consiglio ebbe un legame di reciproca simpatia e stima: una conoscenza approfondita che gli permise di pronosticare a Pechino lunga vita a differenza di quanto lui presagiva dell’Impero Sovietico. Ed anche la sagace azione che Craxi seppe intraprendere per allineare l’Italia tra i Grandi della Terra. Ma si può anche rammentare la fermezza con cui il Governo Craxi respinse l’irriguardoso comportamento degli Stati Uniti d’America che prima imposero l’atterraggio a Sigonella, base militare americana, di un velivolo egiziano, che godeva di protezione diplomatica, e poi pretesero di compiere sul nostro territorio sovrano operazioni di polizia senza alcuna base giuridica, un dispregio al diritto internazionale e alla nostra Magistratura. Un atteggiamento quello del governo italiano che servì a cancellare dalla percezione dei nostri alleati l’abitudine a una docile subordinazione dell’Italia. Per Craxi l’onore e il rispetto per il Paese venivano prima di tutto, aveva una visione ben chiara in mente: far pesare nell’arena mondiale di allora tutto il peso che il Paese si era guadagnato con il duro lavoro dei suoi figli, mediante una politica coraggiosa, intelligente e quando necessario, ferma. Egli voleva con tutto sé stesso che il nostro paese fosse partner affidabile sullo scenario mondiale e protagonista delle scelte volte ad accrescere la pace, …

“L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA”

“L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA” COME I MASS MEDIA HANNO INFLUENZATO LA POLITICA (I capitolo – 1.) INFLUENZE CULTURALI: IL POTERE DEI MASS MEDIA SULLA POLITICA, LA PROPAGANDA E IL CONSENSO (I capitolo – 2.) RIFERIMENTI LETTERARI,TELEVISIVI E CINEMATOGRAFICI (I capitolo – 3.) DUE “PARADIGMI” A CONFRONTO: IL LINGUAGGIO POLITICO PRIMA E DOPO TANGENTOPOLI (II capitolo – 1.) COM’E’ CAMBIATO IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA A PARTIRE DAL 1992 (II capitolo – 2.) IL DISCORSO POLITICO CONTEMPORANEO: SCELTE RETORICHE E STILISTICHE (II capitolo – 3.) DIFFUSIONE DEL WEB: DALLA SECONDA REPUBBLICA ALLA REPUBBLICA 2.0 (III capitolo – 1.) ELOQUIO, SPROLOQUIO E TURPILOQUIO (III capitolo – 2.) IL LATO OSCURO DEI SOCIAL NETWORK: L’ANALFABETISMO FUNZIONALE (III capitolo – 3.) COME SCRIVONO I POLITICI E I LORO SEGUACI NEL 2018 (IV capitolo – 1.) LESSICO RICORRENTE NELLA LINGUA DELLA POLITICA (IV capitolo – 2.) L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA: CONCLUSIONI SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CARTA DELL’UNIFICAZIONE SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIASCUOLA DI DOTTORATO Humane LitteraeDIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   APPENDICE DOCUMENTARIA 1 – Il partito socialista che sorge dalla unificazione del PSI e del PSDI prende posto nell’azione politica come una forza nuova al servizio  dei lavoratori e della  vita civile della nazione e per dare risposta e soluzione ai problemi nuovi della società e dello Stato. Il partito (PSI e PSDI unificati) continua la tradizione  del  movimento  socialista italiano organizzatosi in partito fino dal Congresso di Genova del 1892. Esso ne raccoglie, come proprio patrimonio, le esperienze dottrinarie, a cominciare da quella fondamentale del marxismo, e le esperienze politiche maturate  in  tre  quarti di secolo di lotte di classe sempre dure e sovente sanguinose. Nella linea di fedeltà a tale tradizione esso vive e si sviluppa nel continuo adeguamento della dottrina e dell’azione all’evoluzione dei tempi e dei rapporti sociali, caratterizzati dall’incidenza sempre maggiore dei lavoratori nella vita democratica del Paese. Il partito non richiede ai suoi militanti l’adesione ad un credo filosofico o religioso ed accoglie, con pari diritto di cittadinanza, tutte le correnti di pensiero che accettano i principi etici e i postulati politici e sociali ispirati agli ideali di giustizia,  di eguaglianza e di pace che il Partito pone a fondamento del proprio programma. Il Partito ha il fine di creare una società liberata dalle contraddizioni e dalle coercizioni derivanti dalla divisione in classi prodotta dal sistema capitalistico  e  nella quale il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione del libero sviluppo  di  tutti. La dimensione delle forze produttive dell’età contemporanea, la nascita della moderna civiltà industriale di massa, le immense possibilità aperte dalle nuove conquiste del genere umano, pongono in forme sempre più complesse il problema della libertà e della condizione umana del lavoratore. Il Partito, mentre dà, giorno per giorno, la propria risposta a questi problemi  con l’azione incisivamente riformatrice, non smarrisce mai il senso della propria ispirazione originaria fondata sui valori perenni della libertà. Il socialismo è inseparabile dalla democrazia e dalla libertà, da tutte le libertà, politiche civili e religiose, tra loro strettamente solidali e indivisibili, e come esse non può essere realizzato che nella libertà e con la democrazia, così la democrazia non può essere attuata integralmente se non col socialismo. L’esperienza storica insegna, e con particolare eloquenza nel nostro Paese, che tendenze alla involuzione autoritaria e dittatoriale sono sempre presenti nel regime capitalistico e che, anche dove esso rispetta formalmente le regole del gioco democratico, mantiene come suo tratto caratteristico lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, causa di antiche e nuove forme di alienazione della persona umana e di compressione della sua libertà. La storia dell’ultimo mezzo secolo insegna inoltre che  le  rivoluzioni  proletarie, che pure hanno portato alla abolizione della proprietà  privata dei  mezzi  di produzione e di scambio, degenerano in dispotismo di partito e di Stato quando venga soffocato il soffio della vita libera e democratica individuale e collettiva. 2 – Il Partito promuove l’organizzazione politica dei lavoratori e dei cittadini facendosi interprete delle esigenze di autonomia e di progresso del  popolo lavoratore e rifiutando di attribuirsi prerogative di egemonia,  di guida  carismatica,  di tutela. Il Partito conduce la lotta contro il sistema capitalista e le ideologie che esso esprime, per superarle e costruire una società nuova, autenticamente democratica. Coi lavoratori e con tutte le forse di progresso continua la lunga marcia per l’avvento dei lavoratori alla direzione dello Stato, che decenni di lotte democratiche ed operaie hanno trasformato, e vanno sempre più trasformando, da strumento di oppressione al servizio del capitalismo, a potenziale strumento di liberazione dei lavoratori, nella misura in cui essi partecipano alla gestione del potere pubblico. Nato un secolo fa come movimento di protesta e divenuto ormai un fattore potente della politica nazionale e mondiale, il socialismo, inteso come opera collettiva e cosciente, faticosae graduale, di una civiltà da costruire passo per passo nella democrazia e nella libertà, è la grande realtà del presente. La evoluzione democratica del capitalismo al socialismo comporta un periodo di transizione che ha il suo naturale quadro istituzionale nella democrazia repubblicana e la sua caratteristica nelle riforme di struttura della società e dello Stato. Rispetto al quadro istituzionale, il Partito è impegnato senza riserva  nella  difesa e nel consolidamento della Repubblica democratica e laica espressa dalla Resistenza antifascista e nella attuazione integrale della Costituzione repubblicana. Rispetto alle forme di struttura il Partito afferma che esse debbono corrispondere ad un fine sociale generale e creare condizioni più avanzate, tali da permettere di conseguire nella libertà nuove forme di vita associata ed individuale modificando a favore dei lavoratori i rapporti di potere tra le classi e realizzando    una effettiva partecipazione di tutti alla direzione della società e dello Stato. 3 – Le riforme nel campo politico ed amministrativo sono inseparabili da quelle della società, del suo ordinamento economico e civile, del rinnovamento del costume, della legislazione che regola gli istituti familiari e la condizione della donna, della estensione della cultura, in modo da eliminare il distacco tra società politica e società civile causa della crisi delle istituzioni democratiche ed alla lunga della loro. L’obiettivo del Partito è di giungere a un sistema politico ed economico dove ogni atto implichi scelte democratiche determinate e democraticamente controllabili per un fine di progresso sociale e generale del popolo lavoratore e della nazione. Questi valori sociali e civili e l’ideale socialista di una piena libertà e dignità della persona umana, sono alla base della critica e della lotta dei socialisti al capitalismo, in quanto sistema di rapporti di produzione incompatibili con quei  valori. Ma il problema fondamentale che pone il capitalismo contemporaneo  non è  più quello della anarchia delle forze produttive in regime di proprietà privata …