IL FALLIMENTO DELL’UNIFICAZIONE: LA NUOVA SCISSIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO QUARTO 4.3 Il fallimento dell’unificazione: la nuova scissione Il 12 dicembre venne ricostituito un governo di centro-sinistra presieduto dal democristiano Mariano Rumor. La formazione di un nuovo governo di centro- sinistra sembrò consolidare la maggioranza interna al Partito socialista unificato. Il tentativo di consolidamento, che verteva intorno alle due linee politiche principali sin’ora sostenute, quelle dell’unificazione e della riconferma del centro- sinistra, non durò, però, a lungo. L’irrigidimento delle correnti interne e le diverse concezioni politiche sul ruolo che il Psu avrebbe dovuto ricoprire nella società e nel governo minarono il già precario ed instabile equilibrio del Partito. Proseguirono, infatti, quelle oscure manovre che, ormai da molto tempo,  caratterizzavano,  non  solo la vita interna del partito, ma anche quella della stessa maggioranza. Nuove iniziative che la porteranno, nel giro di pochi mesi, alla completa distruzione. Mauro Ferri si trovò, così, non solo alla guida di un Partito sempre più diviso ma anche ingabbiato in una maggioranza che, ormai, tramava alle sue spalle. Il segretario del Psu si rese, infatti, conto del gioco dal quale era stato escluso e che poteva soltanto subire. In una dichiarazione rilasciata al quotidiano socialista nel gennaio del 1969 si lamentò di tale situazione, divenuta per lui insostenibile. “L’attuale maggioranza del Psi si è costituita con l’intento di assicurare al Partito una guida politica che non comprometta i risvolti raggiunti dai socialisti in questi ultimi anni, dall’unificazione al centro-sinistra. […] L’alleanza tra gli autonomisti e la corrente di ‘Rinnovamento’ è infatti la proiezione della politica condotta dall’ex Psi e dall’ex Psdi, prima con l’alleanza di centro-sinistra poi con la lunga battaglia per l’unificazione socialista, al fine di dare al Paese un equilibrio democratico più solido. Ciò non vuol dire che questa maggioranza non possa allargarsi ad altre correnti esistenti nel Partito purchè esse si dimostrino concordi non a parole ma con i fatti ed i comportamenti politici”316. Il nuovo segretario del partito illustrò, poi, il suo tentativo e la sua prospettiva  di un possibile e concreto allargamento della maggioranza. “Da parte mia si è cercato di stabilire nuovi rapporti tra la maggioranza e la corrente demartiniana e ciò attraverso intese politiche su punti specifici importanti che consentissero una più vasta unità del Partito. […] E’ giunto il momento di chiamare tutti i compagni ad un maggiore senso di responsabilità a rinunciare a metodi che devono essere condannati perché non sono fondati su ragioni politiche ma su posizioni personali e di gruppo e perché rischiano di mettere a repentaglio l’equilibrio unitario del Partito”317. Le polemiche interne alla corrente di maggioranza, però, non si fermarono qui. Proseguirono, infatti, interventi e dichiarazioni che acuirono le tensioni. Il protagonista indiscusso che manovrò e guidò scaltramente questo cambiamento interno alla maggioranza fu Giacomo Mancini. Il dirigente socialista, continuava, infatti, nel suo percorso, senza curarsi delle possibili conseguenze che avrebbe potuto provocare. In un’intervista rilasciata ad un settimanale, dunque, fece forti affermazioni che ebbero gravi strascichi polemici.  Nelle sue parole, oltre ad  una pungente analisi della condizione del partito, vi era un’attenta e provocatoria descrizione della forza e del peso politico delle varie correnti che lo dilaniavano. “I socialdemocratici? Ma se l’ala politicamente più importante dell’ex Partito  di Giuseppe Saragat è con noi! I socialdemocratici rimasti uguali a se stessi, che continuano a riconoscersi in Tanassi il loro leader, hanno preso all’ultimo congresso il 15% dei voti: non è poi così tanto. Comunque l’unificazione socialista l’abbiamo fatta e non ci si torna sopra. Questo non significa che all’interno del nostro Partito non debba cambiare niente. Significa che deve cambiare tutto”318. Questo cambiamento necessario e fondamentale, richiesto direttamente dal partito, era identificato nella nascita della sua corrente. Da quel momento, infatti, il Psu non sarebbe stato più diviso in cinque correnti, come era noto, ma in sei.  La  sesta era, appunto, quella guidata da Giacomo Mancini: “Presenza socialista” che, di lì a poco, avrebbe acquistato un grande peso politico e decisionale all’interno del Partito socialista unificato. Mancini espose tale aspetto nella parte centrale dell’intervista. “La storia di cacciar via Mauro Ferri dalla Segreteria del partito non mi interessa, non sono stato io a metterla in giro. Non mi interessa neppure cacciar via Tanassi dalla maggioranza del Psi e mettere al suo posto De Martino. Il discorso è un po’ più complicato di così. Bisogna partire dalla considerazione che al posto del Partito socialista oggi ci sono soltanto sei correnti incomunicabili tra loro. Sei partitini organizzati ciascuno per proprio conto non formano un partito; meno che mai fanno un partito moderno ed efficiente. L’assetto delle correnti riproduce, diviso per sei, il metodo delle decisioni al vertice che noi rimproveriamo ai comunisti e che si chiama ‘il centralismo democratico’. Oggi il Psi è un’organizzazione piramidale: discutiamo tra noi sei, all’insaputa di tutti gli altri”319. Il dirigente socialista proseguiva, inoltre, proponendo un progetto di “rilancio del Psi” che avrebbe dovuto avere al centro la “partecipazione di tutti e non solo dei plenipotenziari. […] Di fronte ai problemi reali si creerà una nuova maggioranza e potrà nascere un nuovo assetto del partito. Per portare avanti una politica  di  iniziativa bisogna essere in molti, non in pochi”320. Con queste dichiarazioni Mancini, uno dei sei “plenipotenziari”, si poneva alla testa di una nuova corrente che aveva l’intento di garantire al partito una più vasta maggioranza ed una maggiore stabilità oltre, naturalmente, ad affermare la propria personalità ed ad aumentare il suo peso politico all’interno di un partito, oramai, debole. In seguito alla lettura di questa intervista il segretario del partito Mauro Ferri annunciò, immediatamente, la convocazione del Comitato centrale. Tra le righe dell’intervista lesse, infatti, …

PIETRO NENNI, MINISTRO DEGLI ESTERI: NUOVI OBIETTIVI NELLA POLITICA ESTERA ITALIANA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO QUARTO 4.2 Pietro Nenni, Ministro degli Esteri: nuovi obiettivi nella politica estera italiana. In seguito alle decisioni stabilite dalla nuova maggioranza al Comitato centrale del novembre del 1968, il Psu tornò al governo. Il 12 dicembre del 1968 venne costituito un nuovo governo di centro-sinistra, presieduto dal democristiano Mariano Rumor. Il programma formulato dalla compagine governativa presentava elementi nuovi ed importanti, giudicati in modo positivo anche dalla maggioranza socialista. La definizione del rapporto del governo con l’opposizione comunista risultò più sfumata rispetto ai precedenti governi, arrivando a ritenere perfino utile il contributo della sinistra in Parlamento, come venne sostenuto da Rumor nelle dichiarazioni pronunciate durante il dibattito sulla fiducia. “Il governo si pone e si manterrà nei confronti dell’opposizione sul piano della corretta dialettica parlamentare, non chiudendosi  pregiudizialmente a stimoli  ed apporti obiettivi in ordine ad esigenze reali da essa raccolte ed interpretate”313. Il nuovo governo si poneva come obiettivo principale la realizzazione delle riforme previste dai precedenti governi Moro, relative alla scuola, l’università, le pensioni;  fu, inoltre, preso l’impegno di avviare una inchiesta parlamentare sul SIFAR, tema caro a Francesco De Martino divenuto Vicepresidente del consiglio del nuovo governo. Altra importante novità fu rappresentata dal ritorno di Pietro Nenni alla guida del Ministero degli Esteri314. Il leader socialista, dopo ben venti anni, ritornava alla direzione della politica estera italiana, un ruolo impegnativo da ricoprire in un momento storico difficile, attraversato da gravi crisi internazionali ancora aperte. Nenni si assumeva, così, una grande responsabilità “in un campo dove posso introdurre un linguaggio diverso ma non dar luogo a fatti diversi”315. L’accordo relativo alla politica estera raggiunto con gli altri partiti di governo era stato concordato su tre punti: l’accettazione definitiva della interpretazione socialista del Patto Atlantico come alleanza difensiva e geograficamente delimitata; l’autonomia di giudizio e di valutazione relativa alla politica e agli  impegni  mondiali degli Stati Uniti al di là ed al di fuori dell’Alleanza atlantica; e l’ impegno volto al riconoscimento della Cina all’Onu. Il 24 gennaio del 1969 Nenni pronunciò alla Camera il primo discorso in veste di Ministro degli Esteri nel quale illustrò le linee di politica estera sulle quali si sarebbe incentrato il suo impegno. “Onorevoli colleghi, presentandosi al Parlamento, il Governo ha detto che esso considera il Patto Atlantico, nella sua interpretazione difensiva e geograficamente delimitata, il fattore essenziale della sicurezza del Paese, ne accetta gli obblighi e intende svolgerli nel contesto di una politica generale volta a creare e a consolidare condizioni di sviluppo pacifico nelle relazioni internazionali, tali da fare dei blocchi un fattore di equilibrio e non di rottura, così da avviarli al loro superamento. Negli ultimi anni, e soprattutto nel 1968, il quadro politico internazionale ha subito notevoli alterazioni. Vi hanno concorso i conflitti locali dei quali abbiamo parlato: quello del Viet-Nam, quello scoppiato nel cuore stesso dell’Europa con l’intervento militare sovietico in Cecoslovacchia e con la rivendicazione da parte di Mosca di un incondizionato diritto di intervento militare nei Paesi associati nel Patto di Varsavia. Vi ha concorso lo stesso conflitto del Medio Oriente nella misura in cui in esso sono impegnate le grandi potenze. Si ha così la prova che la pace è un tutto indivisibile; la sua alterazione in una regione, magari la più periferica, si ripercuote a catena in un processo che può diventare incontrollabile. Da questo punto di vista i due blocchi in cui è diviso il mondo in cui è, in particolare divisa l’Europa, hanno risentito fortemente il peso dei conflitti locali dei quali abbiamo parlato, ma li hanno nel medesimo tempo contenuti impedendo una loro espansione e generalizzazione”. Il Ministro degli Esteri ribadì il suo impegno rivolto alla ricerca di “una organica politica di pace” che si sarebbe potuta realizzare solo inserendo nella dialettica della distensione nuovi interlocutori internazionali. “Ci impegniamo a tener fede al metodo della distensione, a non esasperare alcun motivo di contrasto, a svolgere il filo conduttore di una organica politica di pace, sia all’interno dell’Alleanza atlantica sia fuori, nei rapporti bilaterali come in quelli multilaterali, nelle relazioni con i Paesi non impegnati e, in generale, con quelli del Terzo mondo, nell’azione per il disarmo che sta per riprendere il suo, purtroppo, assai lento corso alla conferenza di Ginevra, nel rispetto dei principi di libertà, dell’uomo e degli uomini, e di indipendenza ed autonomia delle nazioni, che sono le fondamenta della vita civile e non devono soltanto essere scritti nei preamboli di patti ed accordi internazionali […] ma devono essere in ogni momento e da tutti rispettati. Un mondo senza principi sarebbe rapidamente un mondo in balia della sola nozione della forza”. Nenni proseguiva il suo intervento affrontando quello che era considerato “il problema dei problemi”: la questione dell’Europa unificata. “Onorevoli colleghi, eccomi a quello che per noi è il problema dei problemi: il problema dell’Europa unificata. Una Europa democratica che costituisca la propria unità immediatamente, un passo alla volta, ma con continuità, fino a raggiungere la meta di una comunità federale dei suoi popoli liberi, costituisce e continuerà a costituire il tema fondamentale della nostra politica estera, sia perché tutti i nostri più profondi interessi materiali ed ideali trovano il loro naturale soddisfacimento in questo avvenire, sia perché l’Europa può assicurare la propria indipendenza ed autonomia e contribuire alla pace, al progresso e alla solidarietà di tutta l’umanità, solo se riesce essa stessa ad unirsi”. Il nuovo Ministro degli Esteri concluse il suo discorso con una importante dichiarazione che riassumeva in modo chiaro la linea che avrebbe perseguito in politica estera: la ricerca della pace. “La pace è quindi il principio e la fine di …

IL FALLIMENTO DELL’UNIFICAZIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIASCUOLA DI DOTTORATO Humane LitteraeDIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO QUARTO 4.1 Il primo ed unico congresso del Partito socialista unificato Il 23 ottobre del 1968 si aprì a Roma, il primo ed unico congresso del Partito socialista unificato. Il XXXVIII congresso del Psi rappresentò un momento delicato per la vita del partito. Durante l’assise congressuale vennero riproposte le mozione preparate dalle correnti durante l’estate e su tali documenti si svolse il dibattito. Gli scontri tra i membri delle diverse correnti proseguirono fino al giorno del congresso ed ebbero strascichi polemici che furono riportati anche all’interno dell’assise socialista. I contrasti si erano, infatti, accentuati in seguito ai deludenti e fallimentari risultati elettorali che avevano posto il partito di fronte ad importanti problemi che non era stato ancora in grado di risolvere. Al congresso i dirigenti socialisti avrebbero dovuto, quindi, cercare di costituire una salda maggioranza che avrebbe dovuto mettere il partito nelle condizioni di risolverli. L’obiettivo di Nenni era, infatti, quello di ricomporre i tre gruppi che, a suo tempo, avevano approvato l’unificazione. I tempi erano, però, cambiati e le divergenze sorte anche intorno ad importanti questioni politiche rendevano, ora, impossibile la realizzazione di tale progetto. Il congresso del Psu si aprì, quindi, all’insegna della incertezza. Le relazioni dei capicorrente ribadirono i concetti espressi nelle singole mozioni; a queste si accompagnarono, però, ulteriori dichiarazioni pronunciate al  fine di trovare accordi per la formazione di una più forte e stabile alleanza. Il Presidente del partito, Pietro Nenni, intervenne per primo nel dibattito congressuale. Nel suo discorso il leader socialista non solo riaffermò i principi contenuti nella Carta dell’unificazione ma li propose  come base  per la formazione  di una più solida e numerosa maggioranza. Nenni dichiarava, infatti, di voler costituire “una maggioranza attorno ai principi ed alla linea politica generale che ha trovato la sua espressione e la sua sintesi nella Carta dell’Unificazione e che è compito nostro adeguare giorno per giorno ad una situazione interna ed internazionale in continuo movimento”294. Affrontando, in seguito, la  questione  della politica internazionale affermò di non voler “rimettere in discussione  la  politica della coesistenza e della distensione” nonostante la tragedia di Praga. Nell’affrontare tale tema Nenni ribadì la critica all’intervento sovietico, definendo l’azione militare non “un errore imputabile a questo o quel dirigente, ma che in esso c’è la logica inesorabile del totalitarismo e monolitismo comunista,  in un sistema  che come non può tollerare l’eresia della libertà, così non tollera l’autonomia nazionale, anzi erige a dottrina il principio del diritto di intervento di Mosca, anche con le armi, quando a giudizio suo, in questo o in quel paese del sistema comunista siano in gioco gli interessi di un’alleanza che funziona come un cappio al collo”295. Proseguendo su tale argomento aggiunse: “Non per questo si deve rimettere in discussione la politica della coesistenza e della distensione. […] La coesistenza è una necessità obiettiva di lunga durata, tanto per l’Unione Sovietica, quanto per gli Stati Uniti. Noi l’abbiamo sempre considerata tale e come tale l’abbiamo difesa dagli attacchi dei comunisti cinesi. Così come è, essa è valida, tanto più che non è sostituibile. Basata sul monopolio sovietico-americano delle armi nucleari di maggiore potenza, essa nasce, sì, da un compromesso, nasce dalla divisione del mondo in zone di influenza o meglio in zone di terrore, ma è tuttavia alla sua ombra che il mondo ha evitato se non le guerre locali almeno la guerra totale”296. Il leader socialista parlando, poi, della distensione affermò : “E’ un fatto che nasce invece dalla coscienza dei popoli, più che dall’equilibrio delle forze. Essa è cosa nostra, quotidiana nostra creazione (intendo dire creazione della volontà dei popoli e di quelli europei in particolare). Essa non è finita sotto i cingoli dei carri armati di Praga. Anzi è vero il contrario. […] La politica della distensione mantiene intatto il suo valore e deve essere più che mai la base della politica estera italiana; la distensione come la libertà sono un tutto indivisibile”. Nenni, concludendo il suo discorso, ribadì: “Coesistenza pacifica, distensione, superamento dei blocchi debbono essere le linee direttrici di una coerente politica estera. E ciò non è in contraddizione con l’accettazione sancita dalla Carta dell’unificazione degli obblighi della adesione del Patto Atlantico nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata. Lo è tanto meno nel momento in cui l’Unione Sovietica procede al rafforzamento del Patto di Varsavia; considera sacrilega la sola parola di neutralità sussurrata a Praga e a Bucarest; teorizza il suo diritto di intervento militare nei paesi della sua sfera di influenza”297. Nelle riflessioni relative alla politica internazionale Nenni riaffermò, quindi, i concetti fondamentali presenti nella Carta dell’unificazione, ribadendo la fedeltà al Patto Atlantico ritenuta ancor più valida dopo l’invasione di Praga da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Nel discorso del Presidente del partito emergeva chiaramente la differente interpretazione relativa ai due blocchi di potenza. L’Alleanza atlantica garante di libertà e stabilità, ed il Patto di Varsavia, che “considera sacrilega la sola parola di neutralità”, aggressivo e violento. Tali dichiarazioni erano in completo accordo con i principi seguiti dall’ala socialdemocratica presente nel partito. Nei loro discorsi gli esponenti socialdemocratici, presenti nella corrente di “Rinnovamento”, riproposero, infatti, i concetti espressi da Nenni. Il giorno successivo parlarono i capicorrente. Il discorso di Mario Tanassi, richiamandosi alla Carta dell’unificazione, riprese, dunque, le linee esposte da Nenni. “Richiamiamo per intero nelle nostre  tesi  politiche la Carta dell’Unificazione Socialista, le ragioni che l’hanno ispirata e l’indirizzo politico che tutti insieme abbiamo fissato e che la Costituente socialista ha solennemente approvato”298. Il segretario del partito si rifece al discorso  di  Nenni, anche sul tema della politica estera, affermando: “Dobbiamo constatare con rammarico che l’involuzione in …

LA QUESTIONE DELLA POLITICA ESTERA NEL DIBATTITO INTERNO AL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO

LA QUESTIONE DELLA POLITICA ESTERA NEL DIBATTITO INTERNO AL PARTITO SOCIALISTA DAL PROGETTO DI UNIFICAZIONE ALLA NUOVA SCISSIONE: 1964-1969 LA QUESTIONE DELLA POLITICA ESTERA NEL DIBATTITO INTERNO AL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO. DAL PROGETTO DI UNIFICAZIONE ALLA NUOVA SCISSIONE: 1964 -1969 I SOCIALISTI AL GOVERNO: UNA PROVA DIFFICILE IL DIBATTITO SUL PROGETTO DI UNIFICAZIONE SOCIALISTA IL CONFUSO DIBATTITO PRECONGRESSUALE SOCIALISTA: LE TESI E LA LETTERA AI COMPAGNI SIGNIFICATIVI PASSI VERSO L’UNIFICAZIONE LA COSTITUENTE SOCIALISTA E LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO IL CENTRO-SINISTRA E L’UNIFICAZIONE: TERMINI NUOVI NEL LINGUAGGIO DELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA LA CARTA IDEOLOGICA DELL’UNIFICAZIONE: TEMI TRADIZIONALI E NUOVI ASPETTI NELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA INTERNAZIONALE SOCIALISTA LA GUERRA DEL VIETNAM LA QUESTIONE ARABO-ISRAELIANA E LA GUERRA DEI SEI GIORNI IL PSU: UN PARTITO DIVISO IL FALLIMENTO DELL’UNIFICAZIONE PIETRO NENNI, MINISTRO DEGLI ESTERI: NUOVI OBIETTIVI NELLA POLITICA ESTERA ITALIANA IL FALLIMENTO DELL’UNIFICAZIONE: LA NUOVA SCISSIONE CARTA DELL’UNIFICAZIONE SOCIALISTA SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PSU: UN PARTITO DIVISO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO TERZO 3.3 Il PSU: Un partito diviso La prova più importante e fondamentale che il Partito socialista unificato dovette affrontare era rappresentata dalle elezioni del 19 maggio del  1968.  Grandi erano, infatti, le aspettative che i dirigenti socialisti riponevano  nella prova elettorale. Il Partito socialista unificato si sarebbe voluto presentare come un partito nuovo, un terzo polo laico e democratico,  capace di porre una valida  ed efficace alternativa al Partito comunista ed alla Democrazia cristiana. Il programma elettorale rappresentava, quindi, un elemento importante  per  il partito che ne affidò l’elaborazione e la discussione  alla Conferenza nazionale  per il programma elettorale che si riunì i primi giorni di aprile. Il 9 aprile, alla conclusione dei lavori, Nenni presentò il documento  redatto e nella sua relazione espose le linee principali in esso contenute. Il Presidente del partito nella prima parte della sua relazione illustrò l’atteggiamento adottato sino a quel momento dal partito di fronte alle crisi internazionali più gravi, rivendicando la validità di tale posizione: “Noi abbiamo seguito una linea di ricerca della pace in ogni momento ed in ogni circostanza. Lo abbiamo fatto con un metodo che ci è proprio e che associa alla pressione popolare per sciogliere i nodi delle complicazioni bellicistiche, l’intervento politico per ricercare tutte le occasioni suscettibili di favorire il negoziato pacifico. E’ il metodo al quale ci siamo attenuti nella guerra del Vietnam. Ed oggi possiamo salutare con soddisfazione e con fiducia il cambiamento di rotta che si è manifestato negli Stati Uniti e la disposizione del Vietnam del Nord a discutere con la Casa Bianca, se non ancora il negoziato di pace, per lo meno le condizioni che possono renderlo possibile. E’ il metodo al quale ci siamo attenuti nel conflitto nel Medio Oriente, dicendo il diritto di Israele alla esistenza come Stato libero ed indipendente, respingendo la tesi di una sua premeditata aggressione contro gli Stati arabi, sotto l’egida dell’ONU, per arrivare non soltanto alla definizione delle frontiere, ma ad un reciproco impegno di convivenza pacifica”263. In seguito il leader socialista affrontò il tema più spinoso  che, all’interno  del partito, attirava le più aspre critiche da parte della minoranza; tale questione   si identificava nella revisione del Patto atlantico. “Si è discusso molto, si discute, si discuterà nei prossimi mesi della revisione dei patti militari in cui è diviso il mondo, quello Atlantico e quello di Varsavia. Su questo problema l’Internazionale socialista sta conducendo studi assai seri ed accurati ai quali il nostro partito darà il suo più impegnato contributo. Due tesi di fondo intanto si sono affacciate, quella della trasformazione delle alleanze in comunità rette da un potere sovranazionale in cui si realizzi l’eguaglianza dei singoli Stati aderenti, quella dell’impegno globale, al di là dei limiti territoriali dei patti di alleanza. La prima soluzione è seducente, ma ancora teorica ed avveniristica. La seconda è inaccettabile. Le grandi potenze hanno interessi loro propri, spazi geografici da garantire, situazioni di privilegio economico da conservare. Nenni, proseguendo su tale riflessione, affermava che  “per  quanto  direttamente ci riguarda gli Stati Uniti hanno loro interessi particolari in Asia e nell’America Latina; hanno un problema negro interno. […] Un impegno globale è perciò impossibile”. Il leader socialista concludeva, dichiarando che “rimane quindi valido quanto è detto nella Carta dell’Unificazione e che cioè l’accettazione da parte nostra dei vincoli e degli obblighi inerenti alla adesione italiana al Patto Atlantico si colloca in una interpretazione difensiva e geograficamente delineata  dal  Patto  stesso, non va cioè al di là del territorio che il Patto copre e  che è attualmente il  meno esposto a tensioni e complicazioni belliche”264. Alla riunione del Comitato centrale convocata il 10 aprile del 1968 si aprì il dibattito sul programma elettorale che, sebbene infine fosse stato votato all’unanimità, sollevò polemiche relative alle linee di politica estera in esso contenute. Durante la riunione emersero, dunque, differenti punti di vista relativi ad alcune spinose questioni non ancora risolte. Al Comitato centrale si aprì, dunque, un dibattito che vide la sinistra, rappresentata da Riccardo Lombardi, esprimere riserve sulla parte relativa alla politica estera esposta nel programma elettorale. Il dirigente della sinistra espresse il proprio disappunto sulle dichiarazioni pronunciate da Nenni riguardanti le linee di politica internazionale che avrebbe dovuto seguire il partito. Lombardi riteneva, infatti, necessario procedere ad una revisione del Patto atlantico, contrariamente alla posizione formulata del leader socialista. “La sinistra del partito ritiene urgente e necessario rimettere globalmente in questione l’Alleanza atlantica, e partire dal rigetto della incondizionalità della partecipazione italiana a eventuali conflitti. Questa incondizionalità (e per conseguenza automaticità e inseparabilità operativa) deriva inevitabilmente dalla integrazione delle nostre forze armate con quelle di una superpotenza (gli Stati Uniti) esposta a rischi che comporta la sua politica di gendarmeria mondiale, e per di più integrazione anche con forze armate di Stati fascisti, quali la Grecia e il Portogallo”265. Tale linea si discostava, inoltre, da quelle esposte dai cosegretari del partito  che, seppur in modi differenti, non ritenevano giusta ed utile, in quella determinata situazione internazionale, un’uscita dell’Italia dall’Alleanza atlantica. Mario Tanassi considerava, infatti, utopistica la posizione di Lombardi alla quale si opponeva affermando con decisione che : “Il partito socialista deve portare avanti con coraggio la propria posizione internazionalistica, non chiudendosi in una posizione utopistica che equivarrebbe ad una fuga dalla realtà, ma considerando i termini reali della attuale situazione internazionale e operando in rapporto ad essi . […] La linea di politica internazionale che intendiamo portare avanti non può prescindere per altro dalla considerazione della situazione mondiale, dalle esigenze di equilibrio del mondo. Una politica chiusa, una politica che prescinde da tale considerazione, è una …

LA QUESTIONE ARABO-ISRAELIANA E LA GUERRA DEI SEI GIORNI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO TERZO 3.2 La questione arabo-israeliana e la guerra dei Sei giorni Sin dalla fine di maggio del 1967, in seguito alla diffusione della falsa notizia dello schieramento di truppe israeliane al confine siriano, la possibilità  dello scoppio  di  un conflitto appariva imminente. Il 20 maggio il governo israeliano ordinò la mobilitazione generale ed il giorno successivo, Nasser annunciò il blocco dello  stretto di Tiran. La situazione divenne, così, esplosiva. Il sostegno e l’appoggio fornito dai socialisti allo Stato di Israele fu, sin dall’inizio, incondizionato. L’“Avanti!” seguì con attenzione lo sviluppo degli eventi, dando largo spazio  al tragico evento. Il quotidiano socialista riportò prontamente i discorsi e le dichiarazioni dei dirigenti socialisti pubblicando, inoltre, ampi editoriali. Alla vigilia del conflitto Luciano Vasconi, in un lungo articolo criticava le ricostruzioni “ufficiali” che vedevano la Siria in pericolo per un attacco  di Israele  per conto degli americani. Vasconi, che definiva tale formulazione un “complotto” attribuito “razzisticamente al ‘sionismo internazionale’”, dichiarava: “lo Stato di Israele in tutto questo, non c’entra. Ha reagito alle missioni terroristiche di commandos arabi nel proprio territorio, anche con ‘rappresaglie’ che l’hanno messo dalla parte del torto in singoli episodi. Ma non c’è prova che Israele mediti ‘complotti’ ai danni della Siria; teme, come sempre, si scateni la ‘guerra santa’ araba, e chiede protezione a chi gliela dà. Il pericolo per Israele è di cadere in una provocazione tipo Suez del 1956, cioè nella guerra preventiva. E’ un pericolo serio, ma non si è ancora arrivati alla teorizzazione della guerra preventiva”238. Il sospetto più fondato, secondo Vasconi, era “che le due super potenze intendano misurarsi su una scala sempre più globale, dandosi e restituendosi dei ‘colpi di mano’. […] Da tutto ciò si ricava che Israele non è che un falso scopo, creato dalla politica di potenza, sia essa a livello ‘planetario’ (USA e URSS) o semplicemente regionale (Nasser)”239. Il 25 maggio i dirigenti socialisti, preoccupati per l’  evolversi  negativo della vicenda, in una riunione della segreteria, votarono all’unanimità un documento nel quale si prendeva in esame la questione del Medio Oriente. “La segreteria del partito di fronte alla grave situazione che si va creando nel Medio Oriente tra gli Stati arabi ed Israele conta su una sempre più impegnata azione a sostegno di tutte le iniziative di pace, sollecita l’intervento immediato dell’ONU e la mediazione delle maggiori potenze, la mobilitazione dell’opinione pubblica contro i fattori di antisemitismo ed ogni forma di razzismo che concorrono a rendere sempre più difficile la coesistenza pacifica tra i popoli. I socialisti si pronunciano per il rispetto delle frontiere, il cui mutamento quando non scaturisca da accordi bilaterali, rappresenta una irreparabile minaccia per la pace ed un pericolo di conflitto mondiale. Invita il partito a sviluppare nel Paese, come per il Vietnam e per ogni altro focolaio di guerra, un’azione risoluta e coerente per il mantenimento della pace”240. Tale posizione fu ribadita da Pietro Nenni, in un discorso pronunciato a Pisa durante un comizio elettorale. Il leader socialista affermava: “Niente di più ingiusto che inquadrare il conflitto tra gli Stati arabi e lo Stato di Israele nel più vasto contesto della lotta di potenza e di egemonia mondiale in cui il mondo rischia di ricadere e che ha riflessi assai pericolosi nel Medio Oriente. Gli Stati arabi sono impegnati in una lotta di carattere economico e sociale e di definitiva liquidazione delle sopravvivenze colonialistiche nella quale vanno sostenuti. Ma la guerra contro Israele non ha nulla di comune con l’anticolonialismo. A sua volta lo Stato israeliano sta portando avanti una esperienza politica e sociale in cui si fondono gli ideali di democrazia e di socialismo e che sono non una minaccia ma semmai, un esempio. Si tratta di dare una sistemazione, per quanto possibile definitiva, all’armistizio del 1948 e di trasformarlo in pace, con la garanzia delle frontiere ed ella libertà dei mari. E’ questo l’imperativo categorico su cui si regge la coesistenza pacifica nel Medio Oriente, in Europa e in Asia”241. Le dichiarazioni di Pietro Nenni rispecchiavano appieno la posizione del Psu di  fronte alla preoccupante questione mediorientale.  La condotta dei  socialisti italiani di fronte a questa nuova crisi spinse, inoltre, il segretario generale del Mapai, Golda Meir, ad inviare un messaggio ai socialisti italiani affinché mobilitassero l’opinione pubblica contro l’atteggiamento aggressivo di Nasser. Nel comunicato  era scritto  che “La guerra è imminente, se l’opinione pubblica mondiale delle pacifiche non impedirà a Nasser di realizzare le sue decisioni che rappresentano un pericolo, non solo per Israele, ma anche per il libero sviluppo e la stabilità di tutto il Medio Oriente”242. Il Psu aveva mantenuto, infatti, rapporti privilegiati con  il  Mapai,  partito che come lo stesso PSU , faceva parte dell’Internazionale socialista e proprio per questa comune “fede nella solidarietà socialista” Golda Meir chiese, ed ottenne sostegno e collaborazione da parte dei socialisti italiani. Numerose furono, infatti, le manifestazioni filo-israeliane organizzate nelle principali città italiane come gesti di solidarietà e di amicizia verso il popolo di Israele. La veglia al tempio ebraico di Roma fu solo un esempio di tale partecipazione. L’“Avanti”, che riportò la notizia, sottolineava nell’articolo la profonda commozione ed emozione delle migliaia di persone presenti. “La veglia di domenica ha visto migliaia di persone affollarsi intorno all’improvvisato palco dove decine di esponenti del mondo politico e culturale romano si sono susseguiti ai microfoni per denunciare le responsabilità di certi ambienti (anche nel nostro Paese)  e per riaffermare il diritto di Israele, di questo popolo verso il quale siamo tutti debitori, al proprio territorio, alla propria sovranità, alla propria indipendenza”. L’oratore ufficiale della manifestazione era Aldo Garosci che, …

LA GUERRA DEL VIETNAM

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO TERZO 3.1 La guerra del Vietnam La guerra del Vietnam rappresentò la questione di politica estera più delicata che il Partito socialista italiano dovette affrontare durante gli anni di governo di centro-sinistra. Il Psi, divenuto partito di governo, si trovò costretto a seguire  le  linee di politica estera stabilite dalla maggioranza e, quindi, ad accettare le decisioni adottate di fronte a tale crisi internazionale che spesso non condivideva191. La difficoltà maggiore per il Psi era rappresentata, infatti, dalla difficile conciliazione dei tradizionali principi del patrimonio socialista in politica internazionale come l’antimperialismo, il neutralismo ed il pacifismo con una  politica estera, quella italiana, condizionata da una precisa scelta di campo vincolata ad una alleanza politica e militare. Tale profondo conflitto non fu sempre facile da accettare soprattutto per alcuni dirigenti della sinistra socialista interna  al  partito che, in alcune occasioni, si rifiutarono di seguire, inerti, le risoluzioni espresse dal governo. Conciliare le differenti posizioni che sorsero all’interno del Psi in merito alla questione del Vietnam non sarebbe risultato semplice, e le difficoltà  aumentarono ulteriormente in seguito all’unificazione con il Partito socialdemocratico italiano. Il Psdi, infatti, fedele alfiere dell’atlantismo, se di certo non appoggiava l’intervento americano, neanche lo condannava, “comprendendo” il suo operato. In seguito all’unificazione queste due opposte visioni si trovarono costrette a convivere all’interno dello stesso partito. Il Partito socialista unificato racchiudeva, infatti, l’anima socialista e quella socialdemocratica portatrici di diversi e difficilmente conciliabili patrimoni ideologici relativi alla politica internazionale. Tale aspetto emerse in modo chiaro nei confronti del conflitto vietnamita che rappresentò la crisi internazionale più grave di tutti gli anni Sessanta. La lotta di liberazione del popolo vietnamita, fino alla metà del 1964, restò limitata a scontri interni e ristretti che vedevano i vietcong in lotta per unificare il Paese e per liberarlo dai governi filoccidentali appoggiati prima dai francesi ed, in seguito, dagli americani. I socialisti vedevano con favore tale lotta considerando i vietnamiti mossi da uno spirito di libertà ed indipendenza. La situazione cambiò radicalmente nell’agosto del 1964. In seguito al cosidetto incidente del golfo del Tonchino l’impegno americano in Indocina si fece più massiccio e determinato. L’amministrazione Johnson decise, infatti, di affiancare all’esercito sudvietnamita truppe americane con lo scopo di annientare i guerriglieri vietcong ed i loro alleati nordvietnamiti192. Iniziò così una sanguinosa guerra che avrebbe segnato  la storia  per lunghi anni. L’aggravarsi del conflitto suscitò una profonda preoccupazione al livello internazionale. L’importanza di tale avvenimento fu prontamente colta da Pietro Nenni che sull’ “Avanti!” scrisse: “Quanti oggi nel mondo, ripensando agli avvenimenti di 50 anni or sono, si domanderanno se l’episodio del golfo del Tonchino non sia per essere per l’Asia ciò che Sarajevo fu per l’Europa? Non deve esserlo. Non lo sarà. Ma a condizione che la guerra alla guerra sia il supremo impegno di tutti i popoli”193. Il timore di una estensione del conflitto fu subito presente all’interno del Partito socialista italiano che, preoccupato per una  evoluzione negativa che portasse allo scontro tra le due superpotenze, auspicava una conclusione immediata della guerra. Il presidente dei senatori socialisti Paolo Vittorelli, parlando al Senato l’8 agosto, si fece interprete di tale preoccupazione chiedendo al governo di “favorire ogni iniziativa che possa contribuire, nell’ambito dell’ONU, ad una sistemazione pacifica di tale tensione”194. Differente fu, invece, l’atteggiamento che adottò il Psdi. Mario Tanassi, intervenendo nel dibattito alla Camera, non affrontò in modo specifico la crisi in Indocina, inserendo la questione in un discorso più ampio riguardante le linee generali della politica estera italiana. Il segretario del Psdi dopo aver dichiarato che “un nuovo equilibrio il mondo dovrà pure trovarlo, ma dobbiamo stare attenti, in quanto nell’evoluzione di questo nuovo equilibrio ad un livello più  alto,  un  incidente (come purtroppo sta accadendo in questi giorni nel  Vietnam)  potrebbe farci perdere tutto”, tenne a ribadire la validità e la fedeltà indiscussa all’Alleanza Atlantica che “resta l’insostituibile pilastro di sostegno della sicurezza e della pace nel mondo”195. Tanassi aggiunse, inoltre, che “l’esistenza dell’Alleanza atlantica ha avuto e continua ad avere un ruolo essenziale nel processo distensivo dei rapporti internazionali. Se questa alleanza non fosse esistita, non saremmo qui riuniti a discutere dei problemi della distensione”196. Lo stesso giorno il settimanale del Psdi, “Socialismo Democratico”, in un articolo dal titolo significativo: Senza  scelta, riportò la notizia dell’incidente. Nel testo, dopo una descrizione dettagliata degli avvenimenti, veniva affermato: “La realtà è che gli americani ben difficilmente avrebbero potuto agire diversamente. Da dieci anni sono coinvolti nel Vietnam in una situazione che ha chiesto a loro soldi, uomini, pazienza in misura sempre più crescente, senza offrire in cambio altro che caos perdita di prestigio e anche perdita di influenza. Ciononostante non hanno voluto allargare il conflitto al Vietnam del Nord, pur sapendo che proprio da lì scoccavano le frecce che colpivano i loro fianchi. Hanno reagito solo quando la provocazione è diventata follia, come giustamente ha detto Stevenson; quando occorreva dare ai Vietcong, a Ho Chi Minh, a Mao Tze Tung, agli americani tutti, agli alleati ed ai nemici, la prova di fatto che oltre ai limiti segnati dalle leggi e dalla morale internazionali non si poteva andare. E’ stata una zampata, probabilmente isolata di una tigre che i cinesi ritenevano “di carta”; essa sul momento ha provocato molto rumore e minacciato gravi pericoli, ma –considerata in prospettiva- può essere stato solo un gesto positivo anche se rischioso a favore della pace. Gli sviluppi che la questione ha preso al consiglio di Sicurezza lo lasciano sperare”197. Sin dal principio fu, quindi, chiaro l’atteggiamento del Psdi nei confronti del conflitto: i socialdemocratici ribadivano, attraverso le proprie dichiarazioni, indiscussa solidarietà …

INTERNAZIONALE SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO 2.3 Internazionale Socialista L’unificazione socialista stabilì il definitivo ritorno del Partito socialista  italiano nell’organizzazione dell’Internazionale socialista. Il lungo e tortuoso percorso, iniziato nel 1956 con l’incontro di Pietro Nenni e Giuseppe Saragat a Pralognan, si concludeva nell’ottobre del 1966, in seguito alle decisioni stabilite  dalla Costituente socialista che portarono alla costituzione del Partito socialista unificato. Durante i lunghi anni che videro il Psi fuori dall’organizzazione internazionale che radunava tutti i Partiti socialisti europei,  esclusi  quelli dell’Europa dell’Est, furono numerosi i tentativi effettuati da parte di alcuni  esponenti socialdemocratici volti a favorire un riavvicinamento dei socialisti italiani all’Internazionale. Il lungo processo che si concluse con il ritorno del Psi nell’organizzazione internazionale fu strettamente legato al progetto  dell’unificazione dei due partiti socialisti. In sede internazionale, infatti, le due questioni erano considerate collegate e, quindi, la formazione di un unico grande partito socialista italiano era la premessa necessaria per far tornare il Psi in casa socialista. L’unificazione socialista fu vista, dunque, in modo favorevole dagli altri partiti socialisti europei e ricevette dalla fine degli anni Cinquanta un forte appoggio in ambito internazionale149. La politica frontista seguita dal Psi sin dalla metà degli anni Quaranta condizionò ed ostacolò la ripresa dei rapporti internazionali dei socialisti italiani con  i membri degli altri partiti socialisti europei. La scelta di legarsi al Pci ebbe, quindi, conseguenze profonde anche al livello internazionale prima fra tutte l’espulsione del partito dal Comisco150. L’organizzazione internazionale aveva posto, infatti, come condizione non negoziabile la rottura del patto d’unità d’azione stipulato con il Pci. La politica del frontismo, seguita dal Psi, non poteva, infatti, essere accettata dal Comisco che, essendo condizionata dalle dinamiche della guerra fredda, aveva effettuato una determinata scelta di campo di tipo occidentale. Il mancato strappo  con il Pci provocò, quindi, la definitiva rottura. Nella primavera del 1949 il Partito socialista italiano fu, quindi, espulso dal Comisco. Tale decisione fu comunicata al Psi con una lettera ufficiale del 20 maggio del 1949151. I primi anni Cinquanta furono caratterizzati da una profonda cautela nei  rapporti tra i socialisti italiani ed i partiti  membri  dell’organizzazione internazionale. L’Internazionale socialista osservava con attenzione, però, le dinamiche ed i cambiamenti che stavano avvenendo all’interno del Psi, attendendo  da Nenni e dagli altri esponenti autonomisti una revisione ideologica e politica che potesse riaprire l’ipotesi di un ritorno dei socialisti italiani nell’organizzazione internazionale. Al congresso di Torino del 1955 Nenni aveva compiuto un primo importante e significativo passo verso questa direzione. I socialisti, accettando la NATO, seppur nell’interpretazione difensiva e geograficamente delimitata, presero, in parte, le distanze dalla politica estera del Pci152. Il nuovo orientamento socialista emerso dai risultati del congresso, ricevette un’accoglienza positiva in sede internazionale e favorì, inoltre, la ripresa dei contatti tra i socialisti italiani ed alcuni membri dei partiti socialisti europei.  Il  XX  congresso del Pcus del 14 febbraio del 1956, con la lettura del “Rapporto segreto”  nel quale veniva attaccata e criticata la figura di Stalin,  facilitò il nascente dialogo. Le considerazioni espresse da Nenni, in seguito alla denuncia operata da Cruscev, furono riportatele in una serie di articoli pubblicati su “Mondo Operaio” che contribuirono in modo considerevole a migliorare i rapporti con i partiti dell’Internazionale153. Nel corso del lungo ed intenso 1956, quindi, la questione dell’unificazione dei due partiti socialisti italiani aveva attirato l’attenzione dell’ Internazionale socialista  e dei principali partiti socialisti europei, in modo particolare del partito socialista francese, interessato ad approfondire i rapporti con il Psi anche per motivi di  carattere nazionale154. Tale interesse fu testimoniato dalla missione di Pierre Commin, vicesegretario della SFIO, che giunse in Italia nel luglio del 1956 con l’appoggio del presidente del consiglio Guy Mollet. L’esponente socialista francese che aveva, infatti, il compito di indagare sullo stato del progetto di unificazione, incontrò alcuni esponenti dei due partiti socialisti italiani con i quali affrontò tale questione. Commin, avendo ricevuto un’impressione positiva dai lunghi colloqui avuti con i socialisti e socialdemocratici italiani, giudicò possibile la realizzazione dell’unificazione socialista su basi democratiche. Il vicesegretario della SFIO, una volta ritornato in Francia, riferì sulle conversazioni a Mollet che lo spinse ad inviare una lettera al presidente dell’Internazionale socialista Morgan Phillips  per metterlo  al corrente delle informazioni e delle impressioni acquisite in Italia.“J’ai acquis la conviction que le problème de l’unification  socialiste sur des bases démocratiques   se trouve posé et qu’il peut étre résolu conformément aux aspirations des militants socialistes des diverses tendances si l’Internationale Socialiste, comme c’est son devoir, prend les initiatives les plus hardies”155. Iniziative più ardite ma soprattutto autonome, non furono più prese; il presidente dell’Internazionale stabilì, infatti, che ogni proposta volta in tale direzione sarebbe dovuta essere prima richiesta al livello ufficiale solo dal Partito socialdemocratico italiano, contrario a qualsiasi iniziativa autonoma nella vicenda dell’unificazione156. Il viaggio di Commin in Italia fu di rilevante importanza poiché ottenne l’effetto sperato di interessare e coinvolgere l’Internazionale socialista, inserendola così definitivamente nelle  dinamiche connesse all’unificazione socialista italiana. La conseguenza più importante del viaggio di Commin fu l’incontro di Pietro Nenni e Giuseppe Saragat a Pralognan il  25 agosto del 1956, suggerito dallo stesso dirigente francese. Durante il lungo colloquio tra i due leader socialisti, venne affrontata, anche, la questione dell’unificazione, considerata, però, ancora un tema delicato da affrontare apertamente. L’incontro di Pralognan non ebbe, però, l’effetto sperato e sia Nenni  che Saragat cercarono di ridimensionarne l’importanza all’interno dei loro partiti157. In ambito internazionale l’iniziativa era stata preparata ma soprattutto fortemente voluta e l’Internazionale socialista da quel momento diventò una spettatrice attenta ma anche partecipe delle vicende legate all’unificazione. Il 20 settembre del 1956 a Londra i membri del Bureau stabilirono, quindi, di istituire …

LA CARTA IDEOLOGICA DELL’UNIFICAZIONE: TEMI TRADIZIONALI E NUOVI ASPETTI NELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO 2.2 La carta ideologica dell’unificazione: temi tradizionali e nuovi aspetto nella politica estera socialista Al Comitato centrale socialista del 16 settembre del 1966, l’ultimo prima del congresso dell’unificazione, furono esaminati ed, infine, approvati i documenti dell’unificazione: lo Statuto, le Norme transitorie e la Carta ideologica.  Al centro  del dibattito fu posto il documento ideologico elaborato dal Comitato paritetico in seguito a numerose discussioni e criticato ferocemente dalla sinistra interna al  partito. I giudizi negativi, che furono ripresi, in parte, durante il dibattito congressuale, riguardarono in modo particolare l’aspetto relativo alla politica estera. Tale questione venne affrontata al punto numero sei della Carta ideologica. Nel documento si associavano a temi tradizionali del patrimonio ideologico socialista indirizzi nuovi, frutto dei cambiamenti avvenuti sia in seguito all’unificazione che mutato clima internazionale. L’elemento nuovo e più rilevante era rappresentato dall’ingresso del nuovo partito nell’Internazionale socialista, costituendosi come “sezione dell’Internazionale socialista”. Il Psu si sarebbe impegnato, quindi, a  seguire i fondamentali principi dell’Internazionale individuati nella “solidarietà dei lavoratori del mondo intero; l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza  o che debbono difenderla  da interferenze straniere e da residui colonialistici” ed inoltre nella “lotta contro l’imperialismo nelle forme tradizionali e nuove in cui si manifesta”. Il nuovo partito avrebbe avuto come obiettivo principale quello “dell’organizzazione della pace” considerato  “il  problema dominante del mondo e di ogni singola nazione”, analizzava, inoltre, “i punti di convergenza nella azione internazionale dei socialisti, al di sopra  dei  blocchi militari o al loro interno” indicati nello “sforzo comune di assicurare all’Organizzazione delle Nazioni Unite l’autorità e l’universalità di cui ha bisogno per assolvere il compito di suprema regolatrice delle relazioni internazionali”. Il Psu avrebbe garantito, quindi, “l’appoggio alla politica della distensione, del disarmo, della non proliferazione e disseminazione, e della interdizione degli armamenti nucleari”. Il nuovo partito confermando “la consapevolezza dei rischi inerenti ad  ogni alterazione unilaterale dell’attuale equilibrio sul quale si regge la pace nel mondo, sia pure in modo precario” si sarebbe impegnato nella “ricerca di sempre maggiori rapporti tra i paesi dell’Ovest e dell’Est” e per “l’incoraggiamento ai paesi neutrali e non impegnati nel loro sforzo di rinascita politica ed economica e di mediazione pacifica”. Nel documento si ribadiva, inoltre, l’accettazione del Patto Atlantico e degli obblighi ad esso legati nella interpretazione difensiva e geograficamente delimitata. Il Psu considerava “obiettivi costanti e supremi del Partito […] la messa al bando della guerra e il superamento dei blocchi militari”, il nuovo partito si sarebbe impegnato, inoltre, “nella costruzione dell’unificazione dell’Europa” affermando che “nel mondo di oggi la mancata unificazione europea crea un vuoto che spetta ai socialisti di colmare nell’interesse della pace”139. Il primo aspetto fondamentale ma soprattutto nuovo presente nella Carta ideologica dell’unificazione era rappresentato dal sancito ritorno del  Partito socialista italiano all’interno dell’Internazionale socialista. L’organizzazione, dalla quale era stato espulso nella primavera del 1949, era stata considerata, sino a pochi anni prima, incapace di incidere sui problemi internazionali, soggiogata  dalle  logiche dei blocchi e, quindi, indifferente di fronte alle lotte di liberazione coloniale. L’Internazionale socialista, in vista dell’unificazione, rappresentava, ora, il luogo migliore per dare “l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza o che debbono difenderla da interferenze straniere e da residui colonialistici”. Per alcuni dirigenti della sinistra interna al Psi tale contraddizione  non era stata risolta, persistendo, anzi, in modo ancora evidente. Secondo il loro giudizio, l’Internazionale continuava, quindi, a presentare questi  gravi  limiti  che non potevano essere accettati. Nella Carta ideologica erano riportati alcuni dei fondamentali principi della tradizionale politica internazionale del Psi riconosciuti nell’internazionalismo, nel pacifismo e nella lotta contro l’imperialismo. Era, inoltre, confermata l’adesione del nuovo partito all’Alleanza atlantica ed agli obblighi ed i vincoli legati ad essa intesi sempre nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata; era, quindi un partito “atlantico” e non “atlantista” poiché, non accettando il Patto atlantico inteso “come scelta di civiltà”, ne respingeva l’ideologia140. Il nuovo partito sarebbe stato, inoltre, europeista anche se in questo campo le dichiarazioni esposte nella Carta si limitarono ad una riaffermazione per un impegno volto “alla costruzione dell’unificazione”. Non erano presenti, inoltre, dichiarazioni inerenti  ad  un eventuale ruolo autonomo dell’Europa all’interno dei blocchi o ad un suo contributo incisivo nella scena politica internazionale. Nel documento ideologico, accanto a chiare esposizioni di principi ed obiettivi politici, emergevano, però, degli aspetti in parte contraddittori. Il nuovo partito avrebbe avuto “come obiettivo costante e supremo” quello del superamento della politica dei blocchi pur ritenendo indispensabile  la difesa degli equilibri esistenti  che, al tempo stesso, si basava proprio su tale politica. Nella situazione internazionale, infatti, il mantenimento dello status quo continuava ad essere considerato come l’unico fattore “sul quale si regge la pace nel  mondo”. “L’appoggio alla politica della distensione”, considerato un punto fondamentale  nella Carta, mal si conciliava con la lotta all’imperialismo e con il proposito di appoggiare ed aiutare i popoli in lotta per la propria indipendenza; iniziative che avrebbero potuto mettere in crisi i principi stessi della distensione141. La difficoltà di conciliare principi ed interpretazioni tra loro contrastanti appariva evidente nella Carta ideologica dell’unificazione e non derivava solo dal tentativo di accostare due patrimoni ideologici in parte differenti ma non inconciliabili. Una tale difficoltà era, inoltre, il frutto di una mancanza di unità di vedute presenti all’interno dello stesso Partito socialista italiano. Le differenti interpretazioni elaborate intorno ai principi ideologici e  politici  dell’unificazione, che riguardavano anche le linee di politica estera, avevano prodotto una frattura interna al partito che non aveva permesso l’elaborazione di una comune base per la realizzazione del progetto. Il Psi, alla vigilia dell’unificazione,  si  presentava, …

IL CENTRO-SINISTRA E L’UNIFICAZIONE: TERMINI NUOVI NEL LINGUAGGIO DELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO 2.1 Il Centro-sinistra e l’unificazione: termini nuovi nel linguaggio della politica estera socialista All’inizio degli anni Sessanta la situazione internazionale appariva molto complessa. La divisione del mondo in due blocchi contrapposti guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica condizionava le scelte e le decisioni dei Paesi alleati. Kennedy e Kruscev si presentavano come i protagonisti indiscussi della scena mondiale, attenti alle nuove dinamiche internazionali ed ai cambiamenti ad esse connessi. I due leader mondiali, preoccupati di mantenere lo status quo ed il potere all’interno della propria sfera di influenza, avevano il compito di controllare e valutare che ogni possibile cambiamento interno ai singoli Stati non mutasse tale assetto. La profonda attenzione mostrata dall’amministrazione Kennedy riguardo le trasformazioni che stavano avvenendo all’interno della politica italiana era la testimonianza lampante di tale aspetto. Fu, quindi, in tale contesto internazionale che, in Italia, all’inizio degli anni Sessanta si stava preparando l’incontro tra la Democrazia cristiana ed il Partito socialista italiano. Questo evento, considerato di portata storica non solo in Italia, metteva in moto meccanismi nuovi che provocavano molti timori ed  incertezze anche in seno al Dipartimento di Stato americano.  Fu solo grazie al rilevante aiuto   di alcuni membri dell’amministrazione Kennedy e di uomini vicini al Presidente come Arthur Schlesinger, Richard Gardner, Averell Harriman, Arthur Goldberg ed i sindacalisti Victor e Walter Reuther che si riuscì a sbloccare la delicata situazione. I rappresentanti del presidente Kennedy, infatti, attraverso incontri e colloqui con esponenti democristiani e socialisti incoraggiarono e resero possibile questo incontro103. Tale impegno fu favorito, inoltre, dalla pubblicazione nel gennaio del 1962 di un articolo di Pietro Nenni sulla rivista americana “Foreign Affairs” nel  quale si ribadiva la validità dell’Alleanza atlantica, questione che più di altre suscitava paure ed incertezze tra gli oppositori americani104. Le nuove dinamiche internazionali contribuirono, quindi, in maniera considerevole a promuovere il dialogo tra i due partiti italiani fino al definitivo approdo del Psi al governo. La formazione dei primi governi di centro-sinistra fu, dunque, condizionata ed influenzata dal clima internazionale nel quale si trovò costretta ad operare. Nel lungo ed approfondito dibattito che precedette l’ingresso del Psi nella “stanza dei bottoni”, la politica estera rappresentò, dunque, una delle questioni più complesse e spinose che i socialisti dovettero affrontare105. Durante le trattative furono frequenti i contatti ed i colloqui che avvennero tra il leader del Psi, Pietro Nenni ed il leader della Dc, Aldo Moro durante i quali si affrontò anche tale questione. Significativa a tal proposito è una lettera scritta da Nenni in seguito ad un incontro avvenuto con Moro nel maggio del 1963 nella quale,  nella parte relativa  alla politica estera, si possono individuare i principali punti del programma dei socialisti in questo campo. “Il Psi non rimette in questione l’adesione italiana alla NATO e gli obblighi che ne derivano. Ma insiste perché tali obblighi conservino carattere strettamente difensivo e non siano estesi a zone non contemplate da Patto Atlantico. Ciò che il Psi attende da un governo che voglia l’appoggio socialista è una intensificazione di sforzi e di iniziative per il disarmo equilibrato e controllato; per la proibizione di nuove esperienze nucleari; per la interdizione del possesso e dell’uso delle armi nucleari ad altri paesi, e specialmente alla Germania; per la creazione di una zona europea denuclearizzata che non alteri l’attuale equilibrio delle forze”. Nella prima parte della lettera, Nenni assicurava l’adesione del Partito socialista italiano alla NATO e agli obblighi che ne derivavano insistendo e ribadendo, però, che tali obblighi avrebbero dovuto conservare il carattere strettamente difensivo e geograficamente delimitato. La conferma da parte socialista dell’accettazione del Patto atlantico rassicurò gli esponenti dei partiti della maggioranza: repubblicani, socialdemocratici e naturalmente democristiani che la ponevano come condizione irrinunciabile in politica estera.  Nenni  affermava, inoltre, la volontà di impegnarsi per la distensione necessaria per non incrinare l’equilibrio politico delle forze. Proseguendo nella lettera Nenni affrontò uno dei  temi considerati tra i più importanti nel disegno della politica estera  socialista:  quello dell’Europa. “Un terreno d’azione in cui l’iniziativa italiana va rafforzata è quello della  politica di unità europea, con una ferma opposizione contro i fautori di direttori autoritari e militari; sollecitando l’integrazione della Gran Bretagna e dei Paesi Scandinavi nelle organizzazioni comunitarie; di queste promuovendo la democratizzazione ed il controllo secondo direttive di pianificazione a scala continentale; dando nuovo impulso al problema della creazione di un Parlamento europeo eletto a suffragio universale” 106. Nenni individuava, quindi, nella politica europeista uno degli obiettivi fondamentali per la politica internazionale del governo consapevole che tale tema, a differenza di altri, non avrebbe trovato molti oppositori al governo ma anche nello stesso partito. In questa lettera Nenni esponeva, dunque, in modo chiaro le linee del programma che il partito socialista avrebbe cercato di perseguire in politica internazionale una volta approdato al governo, questione ancora aperta  all’interno del partito. L’eventualità della formazione di un governo con la diretta partecipazione socialista accresceva, infatti, le tensioni interne al partito presenti non solo fra la maggioranza autonomista raccolta intorno alle posizioni di Pietro Nenni e la minoranza di sinistra rappresentata da Tullio Vecchietti e Lelio Basso ma anche all’interno della stessa corrente autonomista, nella quale Lombardi ed altri dirigenti vicini a lui si discostavano dalle tesi espresse da Nenni e De Martino.  Nel  giugno  del 1963 questa tensione esplose intorno al testo politico programmatico presentato dalla Dc a Nenni. Il documento, che trovò la ferma opposizione della sinistra, fu, invece, discusso in modo approfondito dalla maggioranza autonomista in una riunione svoltasi  nella notte fra il 16 ed il 17 giugno del 1963,  nota come “la notte  di San Gregorio”, durante la …