LA COSTITUENTE SOCIALISTA E LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.5 La Costituente socialista e la nascita del Partito Socialista Unificato Nel gennaio del 1966 cadde il governo Moro a causa della mancata approvazione del disegno di legge istitutivo della scuola  materna  statale.  Iniziò, così, una fase difficile per la vita politica italiana che si risolse dopo un mese di lunghe trattative riaffidando allo stesso dirigente democristiano, l’incarico  di  formare  il  nuovo  governo  nel  quale  Nenni  ricoprì  nuovamente  la  carica  di vicepresidente. Questo nuovo scenario politico accelerò  il processo di unificazione.  I due partiti socialisti di fronte alla grave crisi di governo assunsero, infatti, un atteggiamento comune che rafforzò il loro legame “Le segreterie del Psi e del Psdi e i presidenti dei gruppi parlamentari dei due partiti hanno proceduto ad un ampio esame della situazione politica […] Le due delegazioni hanno registrato una piena concordanza di vedute sia sui motivi e sulle responsabilità della crisi, sia sull’atteggiamento da tenere per promuoverne la soluzione”70. La stretta collaborazione e la comune presa di posizione dei due partiti diede nuovo slancio al progetto, ed iniziative più concrete furono intraprese  dai  due  partiti. Nella primavera del 1966 il segretario del Psdi, Mario Tanassi, inviò alla Direzione del Psi una lettera nella quale si proponeva la costituzione di un Comitato unitario per l’unificazione socialista a livello di organi dirigenti nazionali dei due partiti guidato da “una ferma volontà di tutti i militanti del Psdi di porre fine, con l’unificazione, alla lunga e travagliata vicenda del movimento socialista italiano”, considerata: “obiettivo immediato, preliminare da realizzare”. Il Comitato avrebbe avuto, inoltre, il compito di vagliare tutti i problemi ancora presenti e procedere alla preparazione di un documento ideologico e programmatico. La lettera si concludeva con la convinzione che “attraverso il vostro ed il nostro impegno appassionato, coraggioso e responsabile sia possibile conseguire rapidamente l’unificazione socialista”71. La proposta fu esaminata dai dirigenti del Partito socialista italiano  nella  seduta del Comitato centrale convocato per il 22 marzo. In questa sessione si predisposero le manovre per procedere verso l’unificazione ed il dibattito si rivelò molto accesso poiché emersero le forti contraddizioni ed i limiti che ancora circondavano il progetto di unificazione. Il segretario del partito, Francesco De Martino, nella sua relazione, dopo aver valutato in modo soddisfacente la soluzione adottata per la crisi di governo, affrontò il tema dell’unificazione esponendone i caratteri e le questioni più importanti che il nuovo partito avrebbe dovuto affrontare. Il segretario del Psi rispose, inoltre, alla proposta formulata dal  segretario del Psdi Tanassi, esponendo in  modo molto chiaro i modi per giungere alla realizzazione di tale progetto. “Per quanto riguarda i modi di attuazione, propongo di accogliere l’idea di costituire un comitato comune dei due partiti, Psi e Psdi nelle forme che sembreranno più opportune e che vanno anche precisate tra i due partiti. Propongo altresì: • di ribadire e rafforzare l’azione comune anche alla base, in modo di interessare al processo di unità socialista tutti i militanti ed il maggior numero possibile di lavoratori, di cittadini, di intellettuali, di tecnici; • costituire vari organismi e commissioni, nei quali si affrontino e si dibattano i temi indicati e gli altri ancora, che si riterrà utile; estendendoli anche alla periferia; • chiamare a questo lavoro non solo esponenti del Psi e del Psdi ma anche altri gruppi e personalità interessate al rilancio del socialismo ed in grado di dare ad esso un contributo; • investire ampiamente i partiti e l’opinione pubblica del dibattito, in modo che il processo unitario non sia un fatto di vertice, ma un grande fatto popolare; • allo stesso fine, oltre che discussioni di base promuovere convegni nazionali; • al termine di tale impegnativo lavoro e nel ragionevole tempo che sarà necessario, procedere alla convocazione di una grande assemblea nazionale socialista, costituita dai rappresentanti del Psi e del Psdi, nonché di altri gruppi aderenti, nella quale assemblea cui si potrebbe riconoscere il carattere di una costituente, fare il bilancio del lavoro compiuto e procedere alla redazione definitiva dei documenti costitutivi del partito unificato, da sottoporre infine ai rispettivi congressi”. De Martino concluse il suo intervento con la speranza di poter iniziare questo processo mantenendo l’unità interna al proprio partito, per la quale non aveva mai smesso di lottare tenacemente, ponendola come premessa necessaria e fondamentale per realizzare nel modo migliore e giusto l’unificazione. Questo suo intento, che riteneva indispensabile, lo portò in più occasioni a scontrarsi  anche con Nenni,  il  più fermo sostenitore dell’iniziativa. “Occorre costruire qualcosa di nuovo, ma anche solidamente in modo da resistere alle dure lotte che ci attendono. E per questo è essenziale cominciare con l’unità di noi stessi, senza disperdere nulla di quanto ci ha unito o ci unisce, di quanto dovrà ancora unirci nell’avvenire”72. Nenni, intervenendo nel dibattito, confermò l’esigenza di accelerare  il  processo di unificazione considerata ormai necessaria ma soprattutto pronta,  anche  in seguito alla convergenza di posizioni prese dai due partiti socialisti davanti alla crisi di governo. Il leader socialista chiarì, inoltre, l’obiettivo da raggiungere ed il metodo da seguire per procedere nel modo giusto verso la conclusione del processo. “E’ bene sottolineare ancora una volta che, con il dibattito sui contenuti dell’unificazione il Comitato centrale non è posto di fronte al frontespizio di un libro interamente da scrivere, ma trae le conseguenze di premesse che ha posto da almeno dieci anni in qua e prende il via da una precisa indicazione dell’obiettivo da raggiungere e del metodo da seguire. L’obiettivo è stato indicato dal 36° Congresso nel rilancio del socialismo e delle forze socialiste a tutti i livelli. Il metodo è stato anch’esso indicato ed è quello …

SIGNIFICATIVI PASSI VERSO L’UNIFICAZIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.4 Significativi passi verso l’unificazione Il dibattito precongressuale socialista si svolse alquanto confusamente. Furono presentate le Tesi della maggioranza, la Lettera ai compagni ed, inoltre, la mozione della minoranza, contraria all’unificazione. Le votazioni procedettero, così, in modo complicato poiché in alcuni casi si votava solo per le Tesi della maggioranza, in altri solo per la Lettera ed in altri ancora per i due  documenti insieme.  Nelle  assemblee la maggioranza, raccolta intorno a Nenni e De Martino, raggiunse circa l’80% di consensi. Alla vigilia del congresso le posizioni del leader socialista e del segretario continuavano, dunque, a coesistere rappresentando un limite per la chiarezza e la trasparenza interna al partito. Nenni e De Martino confermarono le proprie tesi rinunciando a modificarle o a sfumarne alcuni tratti, intenzione attestata anche dal continuo scambio di lettere avvenuto tra i due sino al giorno  precedente  il  congresso. “Caro De Martino, è troppo tardi perché io possa discutere con te della relazione. Da questo punto di vista il metodo con cui siamo arrivati al congresso è stato certamente sbagliato. Non ho letto della tua relazione che la parte che riguarda l’unificazione e il centro-sinistra. Poco da dire sulla seconda. La prima non pecca nella impostazione ma nella formulazione troppo reticente, con troppe riserve, con troppo pessimismo, laddove c’è bisogno di uno scossone. […] Non dubito della lealtà del tuo sforzo per tenere unita la maggioranza, l’appoggerò non dicendo nulla che rischi di comprometterla, temo che il risultato, se non nelle quattro giornate del Congresso, ma subito dopo non corrisponda alle tue e mie speranze. Temo addirittura che il Congresso possa manifestare delle divergenze difficili da conciliare”. “Caro Nenni, mi rincresce profondamente che tu non abbia trovato soddisfacente la parte relativa all’unificazione. Ma non ho fatto altro che ripetere quanto è scritto nelle tesi e più volte detto davanti al Partito, semmai con qualche attenuazione. Vi sono momenti nei quali sentiamo che sono in giuoco valori fondamentali e questo è uno di quelli. Non posso quindi modificare: mi sembrerebbe di ingannare me stesso e la mia coscienza. Anche io so che il Congresso ha problemi difficili; speriamo di superarli. Io farò il possibile”49. Nelle lettere emergono chiaramente le difficoltà ed i dubbi che ancora tormentavano i due leader socialisti, nonostante il congresso fosse alle porte. Si esprimevano, inoltre, serie preoccupazioni sui problemi che  sarebbero  emersi durante l’assise socialista legati soprattutto alla questione dell’unificazione. Il 10 novembre del 1965 si riunì a Roma il XXXVI  congresso del Psi. Al  centro del dibattito congressuale si poneva lo spinoso tema dell’unificazione, affrontato ed interpretato in modi profondamente diversi all’interno del partito socialista. Il segretario del partito De Martino nella sua lunga relazione mantenne le posizioni già espresse nelle Tesi e riguardo il “problema della  unificazione  di tutte  le forze socialiste” ribadì: “Molte delle ragioni ideali e politiche, che provocarono la rottura del 1947, sono cadute. Si tratta dunque ora di precisare i termini politici del processo, e di avviarlo con convinzione ma anche con la coscienza degli ostacoli esistenti, con prudenza, con realismo, non compiendo alcun passo, che distacchi il partito dalla coscienza che i militanti e le masse hanno del problema stesso. Perciò il Congresso commetterebbe un grave errore, se appunto non tenesse nel massimo conto il giudizio che è stato manifestato nei dibattiti di base. Che è giunto a conclusioni non diverse a quelle indicate nelle tesi. In queste si affermava che il problema deve essere affrontato con la coscienza delle diversità tuttora esistenti tra il nostro Partito e quello socialdemocratico, diversità derivanti dalla differente esperienza storica e dalla composizione sociale dei due partiti. Si respingeva altresì la tendenza a considerarlo in modo strumentale e propagandistico o troppo sommario ed affrettato e principalmente si respingeva l’unificazione come il puro trasferimento del Partito Socialista Italiano sul terreno della socialdemocrazia”. De Martino parlando, inoltre, della socialdemocrazia mise in risalto la mancata “revisione dei suoi orientamenti per quanto riguarda una politica rivolta a realizzare più avanzate conquiste socialiste” rispetto a quella avviata, invece, dal Partito socialista italiano e riaffermò la volontà di coinvolgere nel progetto di unificazione “tutte le forze socialiste”. “Si poneva in rilievo che il Partito socialista ha proceduto ad una coraggiosa revisione dei suoi indirizzi politici ed ha dimostrato in modo incontestabile la sua autonomia ed il suo impegno democratico, mentre la socialdemocrazia, pur superando il centrismo e pur iniziando una più positiva collaborazione con il Psi, non ha ancora proceduto ad una revisione di pari importanza dei suoi orientamenti per quanto riguarda una politica rivolta a realizzare più avanzate conquiste socialiste. Infine le tesi respingevano il processo limitato ai vertici e ristretto soltanto ai due partiti, ed indicavano la necessità di estenderlo a tutte le forze socialiste, collegandolo ad un periodo di comuni lotte quotidiane”. Il segretario del Psi, affrontato poi il tema della Costituente socialista considerata una base per “la creazione di un grande partito unificato”, indicava due punti fondamentali “come mezzi per superare le diversità ed i contrasti ancora esistenti”. Uno è quello dell’azione politica, cioè di un periodo di lotte comuni che veda associate le forze che sono chiamate a partecipare all’unificazione, un periodo di lotte, nel corso del quale si manifesti chiaramente la volontà dei partiti di imprimere un carattere fortemente socialista al nuovo partito e quindi fare di esso un forte mezzo di azione delle masse lavoratrici. L’altro punto riguarda il dibattito, i contatti fra gli organismi dei partiti fra di loro e con le altre forze interessate all’unificazione. […] Nessun dibattito, per quanto penetrante ed elevato, nessuna carta per precisa ed appagante che sia, può …

IL CONFUSO DIBATTITO PRECONGRESSUALE SOCIALISTA: LE TESI E LA LETTERA AI COMPAGNI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.3 Il confuso dibattito precongressuale socialista: le Tesi e la Lettera ai compagni Nei mesi che precedettero il congresso socialista, il dibattito interno al partito proseguì vivacemente e si iniziarono a delineare le differenti e discordanti linee che sarebbero in seguito emerse in tutta la loro gravità durante le animose giornate congressuali 36. Il segretario del partito, Francesco De Martino, consapevole delle difficoltà   che sarebbero emerse con tutta la loro complessità, nella riunione del Comitato centrale del 25 agosto del 1965, propose al partito di distinguere in varie tesi i temi che si sarebbero dovuti affrontare nel dibattito congressuale, sperando, così, di evitare contrapposizioni nette e definitive 37. In apertura di seduta il segretario volle dare, appunto, una spiegazione  del  ruolo che le tesi avrebbero dovuto ricoprire all’interno della discussione. “Prima ancora che sostanza politica le tesi sono un metodo di dibattito, sono un modo di essere della democrazia di partito e così io le ho intese sin dal principio come un contributo alla discussione, una indicazione di orientamenti generali e di problemi da arricchire e precisare con l’attiva collaborazione di tutti i compagni. Esse quindi non vanno considerate come un documento immutabile, un testo sacro da accettare o respingere in blocco, come avviene per le mozioni […] Esse sono invece una base di discussione, che io chiedo al Cc di approvare in questo senso senza che ciò implichi l’adesione puntuale a qualsiasi punto in esse contenuto. […] Occorre proseguire nell’opera di superare l’organizzazione rigida e frazionistica della correnti, che mina alla lunga l’esistenza stessa del partito e ne indebolisce la capacità di azione ed iniziativa. Un congresso a tesi non è quindi rivolto a soffocare la libera espressione delle idee e nascondere i dissensi, ma è rivolto a conquistare una più ampia e genuina democrazia interna e restituire agli organi di partito la loro piena autorità e a ciascun compagno la sua piena libertà di giudizio, evitando la contrapposizione rigida, schematica e cristallizzata che nasce dal frazionismo”. De Martino, proseguendo nel suo intervento, analizzò la questione dell’unificazione, considerato il tema più delicato e critico da affrontare durante il dibattito congressuale. “Che esso risponda ad una esigenza sentita dal Paese di superare il frazionamento dei Partiti socialisti è incontestabile. Ma esso deve essere affrontato in modo giusto e realistico, con la coscienza delle diversità tuttora esistenti che derivano sia dalla differente esperienza storica sia dalla differenza della composizione sociale dei due partiti con chiarezza di idee e fini. Considerarlo in modo puramente strumentale e propagandistico o troppo sommario ed affrettato vuol dire condannarlo all’insuccesso. Peggio ancora sarebbe se l’unificazione fosse concepita come il puro e semplice trasferimento del Partito socialista italiano sul terreno della socialdemocrazia. Questo disperderebbe un patrimonio di idee, di valori ideali, di lotte che sono propri della tradizione socialista, dei quali altri si approprierebbero. Sarebbe altresì compromesso il fine dell’unificazione e cioè la creazione di un solo e grande partito socialista con ampie basi popolari e di massa, capace di iniziative unitarie verso l’intero movimento dei lavoratori. Il Psi ha proceduto nel corso di quest’ultimo decennio ad una coraggiosa revisione dei suoi indirizzi politici […]La socialdemocrazia pur superando il centrismo e pur iniziando una più positiva collaborazione con il Psi, che ha reso possibile la comune responsabilità di governo, non ha ancora proceduto ad una revisione di pari importanza dei suoi orientamenti fondamentali per quanto riguarda le conquiste socialiste” 38. Il metodo delle tesi, proposto e fortemente desiderato dal segretario, però, fallì poiché la minoranza, con alla testa Lombardi, propose tesi alternative. Lo scopo di adottare come base di discussione quello di un unico testo non fu, quindi, raggiunto; svanì, così, il tentativo di De Martino di stemperare le tensioni ed attutire le polemiche ed i contrasti prima di giungere al congresso. Nelle tesi espresse dalla minoranza, oltre ad una critica rivolta alla politica di centro-sinistra avviata oramai, secondo Lombardi, verso “un processo di deterioramento e poi di svuotamento”, spiccava la ferma critica nei confronti della proposta di unificazione. Si leggeva, infatti: “l’unificazione che viene proposta sia pure con scadenze diverse non ha più oggi, se anche possa averlo avuto in passato, il carattere di unificazione socialista. In particolar modo non tale carattere non può avere nella presente situazione politica, nella quale forze interessate tentano di piegare il Partito socialista alla pratica socialdemocratica per cui l’unificazione si ridurrebbe a sancire con un atto ufficiale la capitolazione ideologica e politica al del Psi di fronte alla socialdemocrazia. L’unificazione col Psdi non avrebbe carattere socialista perché non avverrebbe tra due forze politiche autenticamente socialiste, dal momento che non è possibile identificare la politica socialdemocratica di correzione del sistema capitalista con quella della sua trasformazione in sistema socialista. E poiché la funzione del Psi si identifica con le aspirazioni delle masse lavoratrici, allontanandosi dalle quali perderebbe la ragione della sua esistenza, esso non può ridursi ad unità con una forza politica come il Psdi, che non rappresenta, a differenza di altre socialdemocrazie europee, la maggioranza e neppure una larga porzione della classe operaia, ed esaurisce la sua azione a livello parlamentare e di Governo. Inoltre l’unificazione col Psdi comporterebbe due pesanti condizioni: la adesione all’Internazionale di Francoforte, che implicherebbe una politica atlantica come scelta di civiltà e la libertà di scelta riguardo alle organizzazioni sindacali, che determinerebbe la rottura della CGIL e la degradazione della corrente sindacale socialista […] La corresponsabilità di governo del Psi e del Psdi, come è configurata dall’attuale situazione politica, non può costituire il punto di partenza per una comune lotta per il socialismo a tutti i livelli. Tanto più che …

IL DIBATTITO SUL PROGETTO DI UNIFICAZIONE SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.2 Il dibattito sul progetto di unificazione socialista Con l’elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica ritornò, dunque, al centro del dibattito politico interno ai partiti socialisti il tema dell’unificazione. Questo importante avvenimento e la prospettiva dell’unificazione accrescevano la speranza dei socialisti di creare un grande e nuovo partito democratico e di sinistra, un terzo polo che modificasse i rapporti di forze con la Dc ed il Pci, partito interessato ed incuriosito da questa iniziativa. All’interno del partito comunista, infatti, il progetto politico dell’unificazione socialista aveva innescato un acceso dibattito al cui interno si contrapponevano voci discordanti. L’occasione che aveva dato inizio alla discussione scaturì dalla pubblicazione di tre articoli scritti21 nell’autunno del 1964 da Giorgio Amendola. Il dirigente comunista aveva espresso alcune considerazioni sull’unificazione proponendo, però, la creazione di un grande partito che coinvolgesse tutte le forze di sinistra compreso il Pci e che non si riconoscesse né nell’esperienza sovietica né in quella socialdemocratica22. Nell’articolo si leggeva: “Nessuna delle due soluzioni prospettate dalla classe operaia dei paesi capitalistici dell’Europa occidentale degli ultimi cinquant’anni, la soluzione socialdemocratica, e la soluzione comunista, si è rivelata fino ad ora valida al fine di realizzare una trasformazione socialista della società, un mutamento del sistema”23. La proposta suscitò molto scalpore non solo all’interno del partito comunista, fortemente contrario ed ostile a tale prospettiva. Diverse furono, infatti, le reazioni scoppiate anche all’interno del partito socialista. Nel Psi ci fu chi apprezzò e condivise determinati aspetti rilevati da Amendola, come il segretario del partito, Francesco De Martino che considerò corretta l’analisi critica sulla situazione del movimento operaio italiano. In un articolo pubblicato sulla  rivista  socialista  “Mondo Operaio” il segretario socialista, oltre a confermare la necessità della costituzione di un partito nuovo, colse l’occasione per ribadire il proposito di voler coinvolgere tutte le forze di sinistra non limitando l’unificazione al solo partito socialdemocratico. “Se l’unificazione socialista venisse intesa in questo senso, essa avrebbe prospettive favorevoli, altrimenti si risolverebbe in una nuova delusione e non sarebbe in grado di ridestare nelle masse e nelle stesse forze dei partiti quella tensione necessaria per far compiere al movimento operaio italiano una svolta storica. Bisogna a tal fine evitare che il tema dell’unificazione si imposti come limitato al Psi ed al Psdi, con l’esclusione del Psiup e di qualsiasi gruppo minore, che possa esistere, e si concepisca come la sostanziale accettazione da parte del Psi delle posizioni socialdemocratiche. Se si scegliesse tale strada il risultato sarebbe alla fine rovinoso per tutti o nella ipotesi migliore e più fortunata assolutamente inutile per creare una più robusta forza socialista capace di costituire un’alternativa politica seria. Chi sostiene tale orientamento non solo prescinde dai valori storici ed ideali, che il partito socialista rappresenta in Italia, ma anche dalla realtà del paese. […] Di tale esigenza occorre che il partito acquisti sempre più chiara la coscienza, elaborando collettivamente una linea di azione politica atta a favorire questo processo di unificazione e rifuggendo dall’alimentare pericolose illusioni di risultati facili ed immediati”. Fu proprio nella parte finale che De Martino affrontò in modo chiaro il tema dell’unificazione con i socialdemocratici ribadendo: “Anche il discorso con la socialdemocrazia deve cominciare ad uscir fuori dai luoghi comuni e dalle generiche espressioni unitarie, per porre in chiaro che il processo non può svolgersi nel senso di trasferire il partito socialista sulle posizioni assunte dai socialdemocratici nel 1947. Questo vorrebbe dire distruggere un patrimonio di valori ideali, disperderlo senza utilità, lasciare che di esso si impadroniscano altri”24. Altri esponenti socialisti, al contrario, non mancarono di sottolineare i limiti e gli aspetti negativi della posizione espressa dal dirigente comunista pur apprezzando il tentativo di aprire un serio dibattito sul tema25. I primi mesi del 1965 rappresentarono, dunque, una fase importante per il processo di unificazione. Ripresero, infatti, le iniziative volte in questa direzione anche grazie al fervido intervento di giornali e riviste che con interessanti articoli diedero il loro importante contributo su tale tema. Vennero organizzati, inoltre, dibattiti sull’argomento in sezioni e circoli culturali di molte città tra cui Milano, Genova,  Torino, Bologna. A Roma si tennero riunioni comuni di sezioni del Psi e del Psdi. I militanti si trovarono, però, spesso disorientati e confusi di fronte ai continui rallentamenti e alle differenti dichiarazioni pronunciate dai vertici del partito. Fattori che contribuivano solo a frenare il processo di unificazione  fortemente desiderato dalla base. L’interesse in favore dell’unificazione si dimostrò presente e forte e fu chiara la volontà di affrontare in modo più coerente i limiti e le difficoltà che ancora circondavano  il progetto di unificazione individuandone limiti  e problemi. Numerosi intellettuali socialisti o di area socialista  attraverso  interessanti iniziative e stimolanti discussioni analizzarono in modo più concreto e pratico le questioni più difficili tentando di sciogliere i nodi più intricati legati al delicato tema. La rivista “Tempi moderni” di Fabrizio Onofri organizzò una tavola rotonda sul tema L’azione socialista in Italia alla quale parteciparono attivamente molti intellettuali. Lo stesso Onofri insieme a Roberto Guiducci curò una raccolta di saggi dal titolo Costituente aperta, nuove frontiere del socialismo in Italia ed inoltre fu autore del volume New Deal socialista26. Un interessante dibattito si aprì, inoltre, sulla rivista “Critica Sociale” di Giuseppe Favarelli che raccolse molti contributi costruttivi sull’unificazione socialista come un interessante articolo scritto da Ugo Alfassio Grimaldi dal titolo significativo L’unificazione e il mostro nel quale si evidenziano le perplessità ed anche i timori presenti in alcuni intellettuali: “C’è, inespresso, un timore più profondo che è radice di ogni altro timore: quello che i noti mali del Psi e i noti mali del Psdi, diversi gli uni …

I SOCIALISTI AL GOVERNO: UNA PROVA DIFFICILE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.1 I socialisti al governo: una prova difficile Le deliberazioni del XXXV Congresso del Psi dell’ottobre del 1963 avevano dato il via libera alla partecipazione diretta dei socialisti al governo e così, dopo le dimissioni del Ministero Leone, si formò il primo governo organico di centrosinistra presieduto da Aldo Moro 5. Nel nuovo governo il partito socialista era rappresentato da Nenni alla vicepresidenza affiancato da altri ministri socialisti tra cui Giolitti al ministero del Bilancio, Pieraccini ai Lavori Pubblici, Mancini al ministero dell’Igiene e della Sanità e Corona al Turismo e allo Spettacolo 6. Il partito socialista iniziò la nuova esperienza di governo profondamente scosso ed indebolito. L’ingresso nel governo ebbe, infatti, come grave conseguenza la scissione dell’ala sinistra del partito che nel gennaio del 1964 costituì il Psiup 7. I parlamentari della sinistra rimasti nel partito convocarono a Roma un proprio convegno. La nuova composizione, che si definì “sinistra unitaria”, avrebbe costituito la futura sinistra guidata da Riccardo Lombardi, spesso critica verso le decisioni e le scelte stabilite dalla maggioranza autonomista di Nenni 8.    In seguito il Comitato centrale del Psi, convocato nel febbraio del 1964, elesse una nuova Direzione: De Martino fu eletto segretario e Brodolini vicesegretario. Lombardi, avendo rifiutato di entrare a far parte del governo, fu nominato direttore dell’ “Avanti!” e fu proprio dalle colonne del quotidiano socialista che non risparmierà pesanti critiche rivolte alla politica intrapresa dal nuovo governo e ad alcune decisioni e scelte adottate dal suo partito. La stabilità politica del governo Moro fu più volte messa alla prova a causa delle profonde divergenze esistenti tra i ministri socialisti e quelli democristiani sui tempi di attuazione delle riforme. Nel mese di maggio la delicata situazione politica si aggravò in seguito alla pubblicazione su “Il Messaggero” di una lettera riservata del ministro del Tesoro Colombo indirizzata a Moro 9. Nel testo il ministro democristiano esprimeva perplessità sulla possibilità di un’immediata realizzazione delle riforme, dichiarazioni, queste, che provocarono una dura reazione e una forte critica da parte socialista 10. Il Psi la considerò, infatti, come un chiaro tentativo di rallentare e rinviare le iniziative di riforma concordate e stabilite in precedenza. Fu, inoltre, il pretesto per riaccendere le polemiche già da tempo covate all’ interno della maggioranza autonomista. Alla fine di maggio, infatti, proprio in seguito ai cambiamenti ed alle difficoltà che il governo si trovò ad affrontare, si aggravarono i contrasti all’interno del partito. Dalle colonne dell’”Avanti!”, intanto, Lombardi proseguiva duramente la sua battaglia contro il governo, descrivendo in un articolo “il mezzo” sul quale stava viaggiando il centro-sinistra: “una macchina dotata di un motore imballato, di freni capaci solo di inchiodarla e di un sistema di guida o inesistente o arrugginito: è con tale macchina che il governo di centro-sinistra deve percorrere una strada accidentata e inoltre provvedere durante la corsa a cambiare o rinnovare gli ingranaggi”11. In alcuni dirigenti socialisti era presente, dunque, una profonda sfiducia nel governo, nata dal mancato rispetto degli impegni stabiliti nel programma e dalle riforme non ancora attuate. Questa grande delusione, oltre ad insinuare una forte diffidenza se non proprio ostilità nei confronti della DC, suscitò reazioni dure nei socialisti. Ebbe così inizio un periodo travagliato per il Partito socialista italiano che si trovò ad affrontare grandi difficoltà e tensioni sorte anche tra gli stessi membri della maggioranza autonomista. Differenti e discordanti erano le posizioni presenti all’interno del Psi riguardanti le decisioni e le soluzioni da adottare per cercare di superare gli ostacoli presenti nel governo di centro-sinistra. Si acuì, infatti, lo scontro tra Lombardi, sempre critico e pronto a muovere forti attacchi contro il governo dalle colonne dell’ ”Avanti!” e alcuni dirigenti socialisti, tra i quali Mancini e Palleschi, che lo accusavano di non considerare le potenzialità riformatrici del governo, ostacolando e limitando, quindi, la possibilità di manovra dei ministri socialisti che vi partecipavano. Disapprovavano, inoltre, la linea adottata dal quotidiano socialista di cui Lombardi era il direttore, giudicata da loro troppo faziosa e critica nei riguardi della politica di centro-sinistra. Mancini, infatti, parlando in un comizio a Cosenza, accusò apertamente la direzione della stampa di partito, affermando: andrà precisato il compito della stampa di Partito che deve rispecchiare e esprimere la linea decisa dal congresso e demandata alla Direzione per l’attuazione. Diversi recenti episodi hanno ingenerato notevole confusione nella base e nell’elettorato socialista, disagio nella rappresentanza socialista che dal giornale del Partito deve ricevere appoggio e solidarietà ed hanno offerto pretesti ed argomenti ai nostri oppositori di destra e di sinistra. Il quotidiano del Partito deve esprimere la linea tracciata dai congressi; ad essa deve scrupolosamente attenersi affidandosi in ogni caso l’interpretazione a dirigenti qualificati e non a elementi di troppo recente milizia per poter impegnare il Partito, intimare ultimatum e porre pregiudiziali. Si tratta di un problema urgente che deve essere affrontato al più presto e giacché siamo nella stagione delle verifiche sarà bene aggiungere anche questo argomento tra quelli da verificare 12. Palleschi, inoltre, ribadì i concetti espressi da Mancini dichiarando: L’Avanti! Che doveva essere lo strumento della Direzione per orientare nella battaglia tutto il partito ha manifestato una incredibile indipendenza dagli organi del partito e ha concepito la giusta autonomia del partito dal governo con una ingiusta continua critica al centro-sinistra che in realtà ha contribuito a screditare gli obiettivi per i quali era necessario chiamare i lavoratori a battersi 13. La crisi di governo, scoppiata alla fine di giugno a causa della proposta dello stanziamento di fondi a favore della scuola privata, portò alle dimissioni del Ministero Moro. Al Comitato centrale dei primi di luglio, De …

LA QUESTIONE DELLA POLITICA ESTERA NEL DIBATTITO INTERNO AL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO. DAL PROGETTO DI UNIFICAZIONE ALLA NUOVA SCISSIONE: 1964 -1969

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   INTRODUZIONE La nascita del Partito socialista unificato segnò una tappa importante nella storia del socialismo italiano. Il lento cammino che portò alla riunificazione dell’anima socialista con quella socialdemocratica, separate dal 1947, si rivelò irto di ostacoli. Il difficile processo di unificazione, iniziato nel 1956 a Pralognan con l’incontro di Pietro Nenni con Giuseppe Saragat, ritornò al centro del dibattito politico socialista, diventandone la questione più rilevante solo nel 1964. Lo stesso anno vide, nell’ingresso del Psi al governo, con la conseguente scissione dell’ala sinistra del partito, e nell’elezione a Presidente della Repubblica di Giuseppe Saragat, leader socialdemocratico, elementi significativi che diedero avvio al processo di unificazione. Molte furono le difficoltà che i due partiti dovettero affrontare prima di giungere alla nascita del nuovo partito, il 30 ottobre del 1966. La Costituente socialista, che segnò l’inizio della storia del Psu, nasceva in un momento storico difficile. L’instabilità dei governi di centro-sinistra e le gravi crisi internazionali crearono forti tensioni all’interno del Psu, minacciando la stabilità di un partito già profondamente diviso. I contrasti interni e le polemiche sorte, in questi anni, intorno ad importanti questioni, contribuirono a portare il partito ad una nuova scissione il 4 luglio del 1969. In tale contesto si inserisce questa ricerca il cui obiettivo primario è quello di ricostruire ed analizzare il dibattito relativo alla questione della politica estera sorto all’interno del Psu. La storia del Partito socialista unificato non è stato un tema trattato in modo specifico dalla storiografia socialista che ha preferito inserirlo nella trattazione generale della storia dei due singoli partiti. Sono stati, di conseguenza, tralasciati aspetti specifici relativi alla politica del Psu e tra questi anche la questione della politica estera che risulta essere, quindi, un argomento poco approfondito dalla ricerca storica. Un contributo utile, anche se limitato e poco esaustivo, è risultato il volume “La dimensione internazionale del socialismo italiano. 100 anni di politica estera di Psi” nel quale, vengono trattate alcune questioni di politica estera del periodo preso in esame 1. Il materiale archivistico si è rivelato, pertanto, una fonte utile e preziosa per la ricerca. Per effettuare un’attenta ricostruzione del dibattito socialista è stato necessario analizzare i documenti custoditi presso la Fondazione di Studi Storici Filippo Turati di Firenze, che raccoglie il materiale relativo al Psi, al Psdi ed al Psu. Importanti per il lavoro si sono rivelati i documenti contenuti nella Serie Sezione Internazionale relativi alla politica estera e quelli presenti nella Serie Comitato centrale e Serie Congressi nazionali ed internazionali. La ricerca archivistica si è poi concentrata sul materiale documentario conservato presso la Fondazione Pietro Nenni di Roma che ha riguardato in particolare la Serie Partito. Fondamentale per lo studio è risultato, inoltre, lo spoglio dei giornali socialisti: del quotidiano “Avanti!”, del settimanale del Psdi “Socialismo Democratico” fino al 1966, anno in cui terminarono le pubblicazione in seguito all’unificazione, del mensile “Mondo Operaio” e di “Critica Sociale”. La stampa ha permesso di seguire in modo attento il dibattito interno ai due partiti socialisti relativo alla politica estera ed, al contempo, in seguito all’unificazione, ha consentito di ricostruire le differenti posizioni presenti nel nuovo partito. Dallo studio dei documenti d’archivio e dall’analisi degli articoli pubblicati sui giornali socialisti è emerso come la questione della politica estera rappresentasse un tema importante affrontato nei dibattiti politici all’interno del Psu e come fosse presente un problema legato alla formulazione di una coerente ed univoca linea di politica internazionale che potesse rappresentare tutte le componenti interne al partito. Tale problematica rappresentava un’eredità lasciata dal processo di unificazione. L’analisi del materiale raccolto ha permesso di verificare, inoltre, come all’interno dei due partiti socialisti il dibattito relativo al progetto dell’unificazione trascinasse con sé tematiche complesse e tra queste, quella legata alla politica estera, o meglio ai principi guida di questa politica. Nel lungo ed approfondito dibattito che accompagnò la formazione del Partito socialista unificato la politica estera ebbe, dunque, un ruolo significativo. Alcuni dirigenti della sinistra interna al Psi, ostili e contrari al progetto di unificazione, posero al centro delle proprie critiche tale rilevante questione, spinti dal timore di una possibile socialdemocratizzazione del partito che avrebbe potuto modificare i principi ideologici della tradizione socialista. I differenti orientamenti che, sino a quel momento, avevano indirizzato i due partiti socialisti nelle scelte relative a questioni di politica estera, in seguito alla riunificazione, si trovarono costretti a convivere nello stesso partito. La tradizione del Psdi fondata su una indiscussa fede atlantica intesa come “scelta di civiltà” ed appoggio incondizionato alle scelte degli Stati Uniti, mal si conciliava con i principi della tradizione socialista riconosciuti nell’internazionalismo, nel pacifismo e nell’antimperialismo. Il tentativo di conciliare i differenti orientamenti presenti all’interno del nuovo partito si concretizzò con la stesura della Carta ideologica dell’unificazione. Nel documento elaborato da Pietro Nenni era affrontata anche la questione relativa alla politica estera che risultò essere l’insieme di temi tradizionali ed indirizzi nuovi. Secondo le condivisibili analisi di Alberto Benzoni, il documento risultò per alcuni aspetti un paradosso; erano molte, infatti, le contraddizioni che furono prontamente colte da alcuni dirigenti socialisti, i quali le posero al centro delle proprie critiche 2. Il congresso dell’unificazione dell’ottobre del 1966, preceduto dai congressi straordinari dei due partiti socialisti, i cui atti sono interamente raccolti nel volume “Partito socialista italiano, il 37° congresso e l’unificazione socialista, Roma ottobre 1966” stabilì l’ingresso del Psu nell’Internazionale socialista 3. Il ritorno dei socialisti italiani nell’organizzazione dei partiti socialisti d’Europa rappresentava un atto significativo nella storia del Partito socialista italiano. Per l’analisi di tale aspetto della ricerca è risultato fondamentale lo studio del materiale archivistico custodito presso l’Archivio dell’International Institute …

L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA: CONCLUSIONI

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI – PESCARA DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE “L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA” RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti LAUREANDO Dario Lorè Matricola n. 3171312 ANNO ACCADEMICO 2016/2017   [avatar user=”Dario Lore” size=”thumbnail” align=”left” /] di Dario Lorè Alla fine di questo lavoro, per l’ampiezza e la complessità del materiale analizzato, è giusto fare delle considerazioni. Il linguaggio utilizzato nell’ambiente politico in questi ultimi anni è direttamente condizionato dalle trasformazioni che la politica sta subendo, trasformazioni dalle mille sfaccettature, la maggior parte delle quali destano preoccupazione. Questa ricerca ne è la dimostrazione in ogni suo aspetto. E allora viene spontaneo farsi delle domande: è in crisi la democrazia? È in atto un irrimediabile deterioramento dei regimi democratici, tale da lasciare presagire un triste futuro, una fine irreversibile? È sempre più accentuato il contrasto tra democrazia e demagogia, perché si fa un uso spropositato, individuale e personalistico della prima a tal punto da derivare nella seconda. <<La democrazia non gode nel mondo di ottima salute, e del resto non l’ha mai goduta anche in passato, ma non è sull’orlo della tomba>>[1]. Una riflessione di Bobbio ci aiuta a non insistere su accenti negativi; realistica e disincantata, e insieme animata da una grande passione civile, sortisce piuttosto esiti di vigile ottimismo e di pacata speranza. È possibile <<rendersi conto delle contraddizioni in cui versa una società democratica senza smarrirvisi, riconoscere i suoi vizi congeniti senza scoraggiarsi e senza perdere ogni illusione nella possibilità di migliorarla>>. A tutto questo va appunto accostata l’importanza del linguaggio, perché attraverso la sua forza è capace di veicolare il progetto democratico. Qui abbiamo principalmente osservato le differenze occorse tra la Prima e la Seconda Repubblica. In questa differenza si è rilevato il fulcro della ricerca, segnalando a tratti involuzioni e a tratti evoluzioni della lingua, a riprova del fatto che il progresso non sempre porta con sé venti di positività. Più e più volte negli ultimi anni la grammatica italiana si è vista “mancata di rispetto” – se così si può dire – da parte di numerosi uomini politici. Nonostante tutto, oggi, grazie alla rete, lo spazio della parola si è allargato a dismisura. Questo consente a ogni parola, specie se furbamente falsa, di raggiungere in pochissimo tempo un numero di persone impensabile fino a poco tempo fa. È anche così che le parole stanno paralizzando la politica. I demagoghi, però, c’erano anche quando l’agorà non era quella planetaria di Internet, ma solo una piazza della polis di Atene. <<E già all’epoca si poneva la questione della parresìa su cui>>, come ricorda Antonelli, <<si è soffermato anche Michel Foucault in una serie di conferenze tenute a Berkeley nel 1983. La parresìa (parola che appare per la prima volta in Europide) è una sorta di libertà di parola a cui è strettamente legata la nozione di verità. O almeno di sincerità: l’etica di parresìa prevede che ciascuno dica ciò che effettivamente pensa, ciò che effettivamente crede vero>>[2]. Questa trova il suo limite e la sua negazione nella retorica. Come spiegava bene Lorella Cedroni, <<la pratica della parresìa nell’antica Grecia a un certo punto si altera, rivelandosi, così, pericolosa per la democrazia: se ciascun cittadino può dire la sua e tutte le opinioni si equivalgono avendo pari dignità, l’accesso alla verità diventa problematico e, a volte, definitivamente precluso. Sorge allora l’esigenza di stabilire chi è titolato a esprimere la verità, avendo le capacità cognitive per discernere il vero dal falso>>[3]. E allora guai a considerare la tecnologia – Internet, i social network, gli smartphone – come qualcosa di negativo in sé. Si finirebbe col perpetuare quell’atteggiamento apocalittico troppo spesso assunto da una parte degli intellettuali italiani. E invece non bisogna fare l’errore storico che fece la sinistra demonizzando la televisione, in base a quell’atteggiamento di odio verso la novità che anche Pasolini aveva ereditato dalla scuola di Francoforte: <<la televisione emana da sé qualcosa di spaventoso>>[4]. Un atteggiamento che è durato per tutto il Novecento (ancora negli anni novanta, Bobbio sosteneva che la televisione era <<naturaliter di destra>>[5]) e ha finito col preparare il terreno all’avvento di Berlusconi. Lo stesso rischia di succedere ora con Internet e il movimento di Grillo. Nella mistica grillista si avverte la continuazione di quella mitologia che ha accompagnato la rete al momento della sua apparizione. È questa la sensazione di Giuseppe Antonelli che, personalmente, mi sento di condividere dopo aver scandagliato con attenzione le reti sociali e lo sproporzionato utilizzo fattone dai nostri politici. Quella della rivoluzione digitale come rivoluzione non solo culturale e antropologica, ma anche politica. Una visione utopica e totalizzante di cui ultimamente ha fatto argomento di ricerca Evgeny Morozov in un libro intitolato Internet non salverà il mondo. La rete non è né di destra né di sinistra: la rete è solo un mezzo. E il mezzo non è il messaggio né tantomeno il linguaggio. Bisogna reagire a questo determinismo tecnologico, cominciando col ripensare daccapo l’uno e l’altro. Partendo non dalle esigenze comunicative della rete, non dai dettami del marketing politico o dai risultati dell’ultimo sondaggio, ma dall’analisi della realtà. Prima il messaggio e poi il linguaggio. In un dibattito del 1968, l’onorevole Malagodi esprimeva <<l’augurio che il nuovo governo possa agire per servire esclusivamente gli interessi obiettivi dell’Italia e non in vista della realizzazione di forme politiche eventuali e future delle quali è difficile oggi immaginare e valutare il contenuto concreto>>[6]. Con quella tipica “formula incantatoria” volutamente indecifrabile i liberali negavano fiducia al centrosinistra. Niente di più distante dallo stile politico attuale, tutto frasi brevi, enunciati diretti e <<vaffa>>, privo di sfumature e omologato sì, ma verso l’urlo e non verso i mezzi toni. Quella che Eco definiva <<pericolosa vacuità>> non viene più declinata per via di concettosità astratte, ma per via di una pseudo concretezza solo in apparenza più accessibile. Innumerevoli gli esempi: <<Dobbiamo creare competenze nella scuola e ripartire dalla capacità …

LESSICO RICORRENTE NELLA LINGUA DELLA POLITICA (IV capitolo – 2.)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI – PESCARA DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE “L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA” RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti LAUREANDO Dario Lorè Matricola n. 3171312 ANNO ACCADEMICO 2016/2017   Nel seguente paragrafo sono stati individuati 100 tra lemmi e locuzioni utilizzati correntemente dai nostri politici. Alcuni sono neologismi, altri prestiti dalle lingue straniere, altri ancora vocaboli già ben affermati nella lingua italiana. Il metodo di analisi è stato il seguente: ricerca della presenza o dell’assenza del lemma su due dizionari (il Dizionario Devoto-Oli 2018 e il Dizionario Treccani Online); ricerca del lemma sugli archivi online di tre quotidiani italiani (“La Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano”, Il Giornale”) con relativi esempi. Abolizionismo s.m. Movimento o indirizzo rivolto a modificare o abolire una condizione esistente per consuetudine fondata su norme legislative (per es. la schiavitù, la pena di morte e, come si sta assistendo durante la campagna elettorale delle elezioni politiche 2018, la volontà da parte di diversi partiti/gruppi a voler abolire numerose leggi degli ultimi). Der. di abolizione. Il lemma è presente in entrambi i dizionari analizzati. “La Repubblica”: <<Una nuova corrente di pensiero, trasversalmente spontanea, sta prendendo corpo in questa Italia pre-elettorale del 2018: l’abolizionismo.>> (S. Messina, 11/01/2018) / “Il Fatto Quotidiano”: <<Neofondamentalismi sono infatti quelli che nell’anno 2013 riguardano le donne. Celebrati sulla nostra pelle che alcuni vorrebbero tenere sottovetro, in Italia sommano le posizioni di pezzi di partiti, tipo il Pd, in cui lotta al femminicidio, tesi antiabortiste e abolizionismo della prostituzione coincidono.>> (Blog di Eretica, 31/12/2013) / “Il Giornale”: << A sorpresa questa mattina sul blog del leader è stata indetta una consultazione tra gli iscritti. Il nodo da sciogliere è quello sul reato di clandestinità e il comico passa la palla direttamente agli iscritti “certificati”, di fatto tagliando fuori i parlamentari che si erano già espressi, tra le polemiche, a favore dell’abolizione del reato.>> (L. Pennucci, 13/01/2014) Altermondialismo s.m. Movimento sociale che si oppone ad alcuni aspetti della globalizzazione, propugnando un modello di sviluppo mondiale più equo. Comp. del lat. alter ‘altro’ e mondialismo, sul modello del fr. altermondialisme. Il lemma è presente in entrambi i dizionari analizzati. “La Repubblica”: <<Ecco, noi avevamo sempre sottovalutato, tra le varie ricadute positive della cacciata di Prodi, la possibilità di poter finalmente vivere l’esperienza dell’altermondialismo da Porto Alegre a Genova.>> (M. Serra, 14/03/2012) / “Il Fatto Quotidiano”: <<Non solo presunti nemici dell’Islam, ma anche un economista di valore, giornalista e umorista, uomo poliedrico capace di rientrare nella categoria dell’altermondialismo e, allo stesso tempo, di sedere nel Consiglio generale della Banca di Francia.>> (S. Cannavò, 09/01/2015) / Nessuna attestazione su “Il Giornale”. Antieuropeismo s.m. Atteggiamento di netta opposizione al processo di integrazione economica e politica promosso dall’Unione Europea. Der. di europeismo, col pref. anti-. Il lemma è presente solo sul Devoto-Oli. “La Repubblica”: <<Allarmata da razzismo, populismo, antieuropeismo e promesse fatali per i nostri conti, l’Europa è costretta ad entrare nella campagna elettorale italiana schierando tre pezzi grossi della Commissione Ue: Timmermans, Moscovici e Katainen.>> (A. D’Argenio 17/01/2018) / “Il Fatto Quotidiano”: <<Un piano che non dovrebbe prescindere dal sostegno del M5S, il cui leader talvolta si è espresso, pur nel modo confuso e ondivago che gli è proprio, contro l’austerità. Ma sinistra e grillini, si sa, hanno altro a cui pensare. E a noi toccherà tenerci l’antieuropeismo da bar del cavaliere.>> (F. Sabatini, 18/06/2013) / “Il Giornale”: << Intende, naturalmente, il M5S, mentre sulla Lega sua alleata garantisce che, al di là dei toni, non c’è antieuropeismo da temere.>> (A.M. Greco, 15/12/2017) Antisistema s.m. Sistema, spec. politico, che si fondi su istituzioni e prassi di governo opposte a quelle esistenti. Der. di sistema, col pref. anti-. Il lemma è presente in entrambi i dizionari analizzati. “La Repubblica”: <<Io a quella riunione non c’ero. E chi ha fatto le indagini neanche lo sapeva». Pensa a un accanimento sul sindaco di una forza antisistema come il Movimento 5 stelle, Nogarin.>> (Redazione, 21/01/2018) / “Il Fatto Quotidiano”: <<I migliori e più chiari giungono dalle istituzioni. Grazie alla nuova legge elettorale che quasi certamente impedirà ai movimenti antisistema di andare al governo, il sistema ricomincia pian piano a funzionare.>> (P. Gomez, 03/01/2018) / “Il Giornale”: <<Alcuni imprenditori che hanno partecipato al dibattito con Di Maio, Matteo Salvini e Giovanni Toti, spiegano che Di Maio ha molto annacquato la carica antisistema dei pentastellati: “Creare e non distruggere”, sottolinea Di Maio. Incalzato dal finanziere Davide Serra, vicino al Pd di Renzi, Di Maio ridimensiona persino l’importanza del referendum per uscire dall’euro.>> (L. Romano, 03/09/2017) Austerity s.f. invar. Nel linguaggio giornalistico, austerità. Voce ingl., propr. “austerità”. Il lemma è presente in entrambi i dizionari utilizzati. “La Repubblica”: <<È un Natale veramente atipico, in stile austerity. Senza luminarie, senza attrazioni e giochi di luce, Napoli quest’anno sembrerebbe una città poco propensa a festeggiare, quasi a lutto.>> (A. Coppola, 23/12/2017) / “Il Fatto Quotidiano”: <<Non mi pare che l’austerity sia alle spalle visto che ci chiedono una manovra da diversi miliardi.>> (M. Lanaro, 18/01/2017) / “Il Giornale”: <<La Consulta ha dato un duro colpo all’austerity. La sentenza 247, pubblicata alla fine di novembre, ribalta l’impianto legislativo, introdotto dal governo Monti e solo parzialmente modificato dall’esecutivo Renzi, secondo cui gli avanzi di amministrazione e i contestuali contributi al Fondo pluriennale vincolato siano indisponibili, cioè non utilizzabili dagli enti locali.>> (G.M. De Francesco, 09/12/2017) Autogoverno s.m. Facoltà riconosciuta a gruppi etnici o sociali di amministrarsi da soli. Comp. di auto– e governo. Il lemma è presente in entrambi i dizionari analizzati. “La Repubblica”: <<Polemico l’intervento del filosofo Biagio de Giovanni che, pur non nominandola, attacca l’amministrazione di Luigi de Magistris: «Alla città servono regole, non l’autogoverno del popolo. Bisogna evitare eccessi di napoletanità e creare una alleanza tra scuola, istituzioni ed associazionismo». (A. Di Costanzo, 21/01/2018) / “Il Fatto Quotidiano”: <<È questo il grido di dolore lanciato da Mario Cavallaro, capo del Consiglio di presidenza della …

COME SCRIVONO I POLITICI E I LORO SEGUACI NEL 2018 (IV capitolo – 1.)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI – PESCARA DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE “L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA” RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti LAUREANDO Dario Lorè Matricola n. 3171312 ANNO ACCADEMICO 2016/2017   IV capitolo – 1. Analisi della campagna elettorale 2018 su Facebook In questo paragrafo, sulla base di quanto già osservato nel terzo paragrafo del secondo capitolo, s’intende analizzare i fenomeni linguistici ricorrenti nei post sulle pagine Facebook di Berlusconi, Di Maio, Renzi e Salvini. In special modo verranno trattati i post relativi all’ultimo periodo, gennaio-febbraio 2018, in cui i leader politici sono impegnati con la campagna elettorale per le elezioni che si terranno il prossimo 4 marzo. Per questa ricerca sono stati esaminati sei post per ogni politico preso in considerazione: Silvio Berlusconi (3 gennaio, due post dell’8 gennaio, 11 gennaio, 14 gennaio, 16 gennaio); Luigi Di Maio (20 gennaio, 22 gennaio, 23 gennaio, 27 gennaio, 2 febbraio, 4 febbraio); Matteo Renzi (9 gennaio, 14 gennaio, 17 gennaio, 28 gennaio, 2 febbraio, 3 febbraio); Matteo Salvini (19 gennaio, 23 gennaio, 26 gennaio, 1 febbraio, 2 febbraio, 3 febbraio).  Una peculiarità, già notata nei capitoli precedenti, è saltata subito all’occhio: tutti e quattro “rispettano” le nuove regole del marketing politico e i loro post per la campagna elettorale sono quasi del tutto farciti di slogan e promesse bizzarre; i commenti della gente comune il più delle volte possono essere paragonabili al tifo da stadio. Tutto questo, ovviamente, viene amplificato dalla presenza delle reti sociali, le quali permettono, al giorno d’oggi, il raggiungimento di un’elevata soglia di lettori, attraverso le reazioni ma, soprattutto, attraverso le condivisioni: sono queste il vero “cavallo di battaglia” della campagna elettorale per le elezioni del 2018. A coppie, poi, i post si contraddistinguono per altre caratteristiche notate immediatamente: Salvini e Berlusconi, per esempio, preferiscono un post semplice, non troppo lungo, spesso formato da sole tre o quattro brevi frasi, facilmente comprensibili e memorizzabili da parte degli utenti; non a caso sono i due che utilizzano di più gli slogan e, il più delle volte, ricondividono loro interviste su quotidiani nazionali. Di Maio e Salvini invece hanno entrambi la particolarità di condividere molto frequentemente dei post: questo è possibile sia dovuto a una scelta di “marketing”, i due politici sono coscienti che possono attingere dal web e, in special modo, dai social network, una buona fetta del loro elettorato. Torniamo ora al fulcro del nostro studio e mostriamo come tutti e quattro i politici in questione non rinuncino in ogni caso alle figure retoriche di ripetizione. Ricorre ovviamente l’anafora[1]: BERLUSCONI (16 gennaio 2018): <<Le elezioni sono una sfida a due: da una parte i cinque stelle, dall’altra la nostra coalizione. Da una parte il loro statalismo, la loro incompetenza, il loro giustizialismo. Dall’altra la nostra esperienza, le nostre proposte concrete, il nostro amore per la libertà!>> DI MAIO (4 febbraio 2018): <<…Gli impresentabili e riciclati li ha messi lui nelle liste con un atto d’imperio fregandosene degli iscritti e della democrazia interna del suo partito. Gli impresentabili sono nelle liste di un centrosinistra che ha rinnegato la lezione di Berlinguer sulla questione morale…>> RENZI (17 gennaio 2018): <<…Ci sono 132 mila insegnanti che erano precari, che noi abbiamo assunto e che tornerebbero a fare i precari. Ci sono gli aumenti previsti sia dal rinnovo del contratto che dalla Card Docenti che loro considerano mancia elettorale ma che per noi sono importanti. Ci sono gli investimenti sull’edilizia scolastica che sfiorano i dieci miliardi di euro e superano i livelli degli ultimi 30 anni…>> SALVINI (3 febbraio 2018): <<…L’immigrazione fuori controllo porta al caos, alla rabbia, allo scontro sociale. L’immigrazione fuori controllo porta spaccio di droga, stupri, furti e violenze…>> È ancora presente l’anadiplosi[2]: BERLUSCONI (8 gennaio 2018): <<L’idea che l’Italia possa cadere nelle mani dei Grillini è pericolosissima, ed è un pericolo reale, immediato…>> DI MAIO (23 gennaio 2018): <<La qualità della vita è al centro del programma del Movimento 5 Stelle, è il filo rosso che lega i 20 punti che abbiamo presentato domenica a Pescara. Parliamo di qualità della vita perché quello che ci sta a cuore è che gli italiani possano vivere bene nel loro Paese, senza essere costretti ad andare via oppure a rassegnarsi…>> RENZI (2 febbraio 2018): <<Gli altri propongono il paese dei balocchi, noi no: noi siamo altro…>> SALVINI (1 febbraio 2018): <<…Non scappava dalla guerra, la guerra ce l’ha portata in Italia…>> È scomparso quasi del tutto assente l’utilizzo del poliptoto temporale[3], probabilmente ritenuto poco efficace dai nostri politici, riscontrato solo in un paio di casi: RENZI (2 febbraio 2018): <<…Non vi chiediamo un voto a scatola chiusa, vi chiediamo solo di leggere ciò che abbiamo fatto. E che vogliamo fare. Tutto qui.>> DI MAIO (2 febbraio 2018): <<…L’accozzaglia di impresentabili che per mesi abbiamo annunciato ha creato solo caos…e così sarà per l’Italia se non governerà il MoVimento 5 Stelle…>> Onnipresente e sempre ad effetto, soprattutto dal punto di vista “pubblicitario”, resta il tricolon[4]: BERLUSCONI (14 gennaio 2018): <<ONESTA’. ESPERIENZA. SAGGEZZA.>> Come si può notare in “onestà” è stato utilizzato un apostrofo in luogo dell’accento, probabilmente sarà stata una svista dell’editore del post. Unica pecca: il post, purtroppo, è andato a finire anche sui cartelloni pubblicitari e i banner in giro per l’Italia. Interessante, inoltre, che Berlusconi usi una parola, onestà, ormai divenuta un cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle. DI MAIO: <<Partecipa. Scegli. Cambia.>> Non è presente nei post analizzati ma è frequentissimo nei suoi discorsi, poiché adottato dal MoVimento 5 Stelle come slogan per questa campagna elettorale. Da notare, in questo caso, la scelta dell’allocutivo tu, che rende il post molto simile a un payoff pubblicitario. SALVINI (26 gennaio 2018): <<…Ma il 4 marzo è vicino, non vedo l’ora di riportare un po’ di ORDINE, LEGALITÀ e BUONSENSO in questo Paese.>> Anche in questo caso sono presenti i “luoghi della quantità” e i “luoghi …

IL LATO OSCURO DEI SOCIAL NETWORK: L’ANALFABETISMO FUNZIONALE (III capitolo – 3.)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI – PESCARA DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE “L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA” RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti LAUREANDO Dario Lorè Matricola n. 3171312 ANNO ACCADEMICO 2016/2017   Uno dei problemi derivati dal diffondersi delle reti sociali, dal loro utilizzo abusato e dalle scelte poco oculate di alcuni personaggi politici, risulta essere, recentemente, l’analfabetismo funzionale. Ma in cosa consiste? Ultimamente sono numerosi gli articoli che circolano sull’argomento. Qui se ne analizzano alcuni per cercare di capire e spiegare il fenomeno che, secondo le recenti ricerche, colpisce quasi il 70%[1] degli italiani. Però, per non incappare nell’errore e, ingenuamente, nel fenomeno di cui ci stiamo occupando, è necessario fare una distinzione tra analfabetismo strutturale e analfabetismo funzionale. L’analfabetismo strutturale è proprio di chi non sa né leggere né scrivere e oggi, per fortuna, in Italia investe meno del 5%, una percentuale resa irrisoria da politiche di alfabetizzazione applicate, soprattutto, a partire dal secondo dopoguerra. Gli analfabeti funzionali invece si trovano in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso non se ne rendono nemmeno conto.[2] Non è un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po’ dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre società occidentali (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale), se anche quelle società denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia, e alla Spagna. Il discorso è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non è che la scuola renda intelligenti, però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentici ignoranti, però è molto più probabile trovare ignoranti tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, è poco più della metà dei paesi più sviluppati). Un dato impressionante ce l’ha fatto conoscere l’Istat, non molto tempo fa: il 18,6%[3] degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non è azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quel 70% di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità). E da qui, poi, il livello e il grado della partecipazione alla vita della società, le scelte e gli stili di vita, il voto elettorale, la reazione solo di pancia – mai riflessiva – ai messaggi dove la realtà si copre spesso con la passione, l’informazione e la sua contaminazione con la pubblicità e tant’altro che ben si comprende. Il discorso ha al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’è un discorso da riconsiderare. Tramite un articolo comparso su “L’Espresso” il 7 marzo 2017, possiamo appurare che gli analfabeti funzionali mediamente hanno più di 55 anni, sono poco istruiti e svolgono professioni non qualificate. Oppure sono giovanissimi che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare. O, ancora, provengono da famiglie dove sono presenti meno di 25 libri. È “low skilled”[4] più di un italiano su quattro e l’Italia ricopre una tra le posizioni peggiori nell’ indagine Piaac[5], penultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e quartultima su scala mondiale rispetto ai 33 paesi analizzati dall’Ocse (con performance migliori solo di Cile e Indonesia). Non si parla in questo caso di persone incapaci di leggere o fare di conto, piuttosto di persone prive <<delle competenze richieste in varie situazioni della vita quotidiana», sia essa «lavorativa, relativa al tempo libero>>, oppure <<legata ai linguaggi delle nuove tecnologie>>[6], precisa Simona Mineo, ricercatore Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (ex Isfol). <<Chi è analfabeta funzionale non è incapace di leggere – continua Mineo, che è stata anche National data manager per l’indagine OCSE-PIAAC condotta in Italia – ma, pur essendo in grado di capire testi molto semplici, non riesce a elaborarne e utilizzarne le informazioni>>. Un monito che riguarda gli italiani tutti perché, come conferma all’Espresso Friedrich Huebler, massimo esperto di alfabetizzazione per l’Istituto di statistica dell’Unesco: <<Senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse anno dopo anno>>[7]. Come a dire che analfabeti non si nasce ma si diventa. Al centro dell’analisi dell’esperto dell’Unesco ci sono proprio i dati dell’analisi Piaac che mostrano come, nonostante l’Italia abbia un tasso di alfabetizzazione che sfiora il 100%, la percentuale di analfabeti funzionali è la più alta dell’Unione europea. D’altronde, <<anche se la maggior parte degli abitanti dei paesi ricchi è capace di leggere e scrivere – chiude Huebler – non si deve dimenticare come i livelli di alfabetizzazione non sono gli stessi per tutta la popolazione>>. Solo il 10 percento è disoccupato, fanno lavori manuali e …