DINO RONDANI (1868-1951) “COMMESSO VIAGGIATORE” DEL SOCIALISMO

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani   Gli inizi dell’attività politica nel socialismo milanese Il movimento operaio e socialista biellese La “conquista” del biellese Nella svolta reazionaria di fine secolo Il ’98 a Milano Dall’esilio al ritorno nell’Italia giolittiana ”Ispettore” dell’emigrazione Tra impresa libica, Grande guerra, dopoguerra L’esilio a Nizza (1926-45) 10 Nel secondo dopoguerra (1945-51)   Premessa Turati così lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene quattro conferenze al giorno ed è fresco come una rosa!”[1] un corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se l’abbia a male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei conferenzieri socialisti. Il suo facile eloquio è tutto infiorato di osservazioni argute, di facezie brillantissime”[2] e così Morgari ne schizzava il ritratto: “sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento perpetuo“[3] tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso viaggiatore del socialismo[4] Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era  temperamento di sedentario e uomo di penna. Ingegno brillantissimo e organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le dottrine e le polemiche”[5]. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui particolare rilevanza: ammirava il grandioso slancio creatore del progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro individuale al contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà. Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di trasferire sul piano ideologico o in scritti di qualche respiro la sua vasta esperienza umana e sociale.[6]  Per la sua avversione alle lotte di tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come chiacchiere inconcludenti, non ebbe ruoli di protagonista nei Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale. Tutto questo spiega, anche se non giustifica, l’oblio di questo pioniere del socialismo italiano. Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone[7], nella Romagna culla dei partiti sovversivi, dal repubblicano[8] all’anarco-internazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di Andrea Costa,[9]  in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina Bravetta era figlia di Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure degli stati preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia[10]. Egli restò sempre molto legato alle sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però prematuramente nel giro di pochi anni:  nel 1908 morì sua sorella Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina[11] Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo spiega i frequenti  spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino frequenta il liceo[12] e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi  alla repubblicana Società democratica di Novara. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800 uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico oltre che del “socialismo dei professori“ Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a Milano, negli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900 il maggior centro economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato che si andava organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo soccorso, Cooperative di consumo e di lavoro, Camere del lavoro. In questo periodo  si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere esclusivamente classista, che contese ai radicali la rappresentanza politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato operaio e dando vita al Partito Operaio Italiano (1885)[13].  La fusione con la Lega socialista di Turati, composta da intellettuali di provenienza repubblicana e “scapigliata”, e la fondazione del Partito Socialista su base nazionale a Genova nel 1892 diede all’organizzazione più ampio respiro ma fu anche l’inizio di una lotta per l’egemonia con alterne vicende tra rivoluzionari e riformisti, i quali disponevano della rivista “Critica sociale” cui collaboravano professionisti e studiosi di spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi[14], Fausto Pagliaro, Luigi Montemartini[15] di impronta più radical-democratica che marxista.  A Milano inizia la sua attività politica[16] nel circolo di Dario Papa, repubblicano “avanzato” e  disponibile alla collaborazione col socialismo, ma nel 1890 incontra Turati e si iscrive alla sua Lega socialista milanese[17] e per la sua rivista scrive un articolo “dottrinario” piuttosto schematico[18].Nel 1891 è al centro delle diffidenze degli ambienti del Partito Operaio non ancora superate per gli «avvocati e i dottori»[19] e nel 1892 partecipa al congresso costitutivo del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti della provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente segretario della Lega Cooperative, consigliere del circolo socialista di Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della “Lotta di classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri propagandistici tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del partito e di proselitismo: nell’autunno 1892 inaugura due circoli a Voghera[20]  e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi[21]. Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa” viene denunciato e subisce una condanna a 29 giorni emessa dal pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi in un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu colpito con 5 mesi di confino a Domodossola[22] utilizzando questo periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e propagandista del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità[23]  Nel luglio 1895 da Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno Micca dopo aver scontati i sei mesi di confino. Di lì si recò a Biella con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla “Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese andò oltre  e quel viaggio fu determinante anche per lo sviluppo del movimento socialista della zona[24] Le origini del movimento operaio e socialista biellese La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contemporanea da una forte influenza dell’istituto comunitario, …

DALLA PARTE DELL’ESSERE UMANO. IL SOCIALISMO DI RODOLFO MONDOLFO

 di Elisabetta Amalfitano A tutti quelli che non hanno chiuso gli occhi di fronte alle idee impossibili   INTRODUZIONE La prima volta che lessi di Rodolfo Mondolfo era il 1996, quando per la mia tesi di laurea in filosofia della storia studiavo Augusto Del Noce, pensatore cattolico integerrimo, filosoficamente assai ben attrezzato, critico acuto del marxismo. Ero molto lontana da un personaggio che voleva ripristinare la superiorità morale e politica della Chiesa sullo Stato e che nella sua opera più importante, Il problema dell’ateismo 1, sosteneva che il grande male dell’epoca moderna e contemporanea fosse l’abbandono del sacro e l’allontanamento da Dio. Ma il mio professore di tesi mi convinse ad accettare la sfida con due motivazioni: la prima era che la sinistra doveva conoscere a fondo il nemico, le sue argomentazioni, il suo linguaggio; la seconda, per me più forte, era che Del Noce nel 1978 aveva scritto un libro dal titolo Il suicidio della rivoluzione 2, in cui adduceva i motivi per cui la filosofia marxista e la prassi comunista erano necessariamente destinate al fallimento storico e politico. Volevo capire su quali basi un cattolico imputava alla sinistra una simile fatalità e, al tempo stesso, da studentessa di sinistra impenitente, non potevo esimermi dal prendere atto di una sconfitta della sinistra che agli inizi degli anni Novanta era davanti agli occhi di tutti. Mi imbattei così in Rodolfo Mondolfo, personaggio che Del Noce collocava all’origine di quella linea del marxismo italiano detta ‘filosofia della prassi’ che comprendeva principalmente tre autori – Antonio Labriola, Rodolfo Mondolfo e Antonio Gramsci – e che a detta del filosofo cattolico compiva il grande ‘peccato’ di sostituire l’uomo a Dio. Per la prima volta venni a conoscenza di una differenza esistente fra il materialismo storico di Marx, il ‘socialismo scientifico’ e la ‘filosofia della prassi’. Il socialismo scientifico pretendeva di studiare in modo rigoroso e fondato i difetti dell’economia borghese e capitalistica e di prevedere il corso della storia. La società comunista, basata sull’eliminazione della proprietà e sull’uguaglianza tra gli esseri umani, sarebbe sopraggiunta non in maniera naturale o attraverso un’alleanza tra proletariato e padroni – come avrebbero voluto i socialisti utopisti di fine Ottocento –, ma con l’abbattimento rivoluzionario e violento del modo di produzione capitalistico. La filosofia della prassi, invece, attuava un cambiamento di prospettiva rispetto al marxismo ortodosso e al centro collocava l’uomo con la sua coscienza. Non si doveva cambiare la struttura economica per rivoluzionare le coscienze degli uomini, ma occorreva rivoluzionare gli individui per poi modificare la società, la storia e il mondo. La dialettica, la legge che regolava il movimento delle cose nella realtà, non procedeva più principalmente dalle strutture (economia) alle sovrastrutture (coscienze), ma dava luogo a un movimento reciproco fra uomo e mondo, e partendo dal soggetto ritornava sul mondo e viceversa. Mondolfo era colui che in Italia, nel 1909, aveva introdotto l’espressione «prassi che si rovescia», dove la particella riflessiva ‘si’ stava proprio a indicare l’influsso reciproco fra uomo e ambiente. Così diventava centrale il concetto di ‘trasformazione’: gli individui potevano e dovevano, attraverso la prassi, trasformare se stessi per poi trasformare il mondo, in una dialettica infinita. Questo non convinceva affatto il filosofo Del Noce: l’allontanamento da Dio stava diventando un destino inesorabile dell’umanità. Ma convinceva tantissimo me. Fu così che, molti anni dopo, durante il dottorato decisi di proseguire il discorso lasciato in sospeso anni prima. E il mio progetto di ricerca si incentrò sull’umanesimo di Rodolfo Mondolfo che divenne tesi di dottorato. Questo libro proviene quindi da molto lontano: sedici anni in cui, è il caso di dire, sono successe molte cose nella realtà storica e sociale che ci circonda. Se negli anni Novanta la tradizione filosofica, storica e politica della sinistra si trovava di fronte a una svolta determinata dal crollo del Muro di Berlino che imponeva all’Europa intera di ripensare il proprio passato, le proprie risposte, gli antichi maestri e i grandi ideali, nel nuovo secolo la crisi a sinistra è profonda più che mai e, contemporaneamente, assistiamo alla crisi del sistema economico e culturale a essa antagonista: il liberismo. Una cosa oggi è certa: se i regimi dell’ex Unione Sovietica hanno mostrato il loro volto totalitario negando agli uomini gran parte dei diritti fondamentali, anche il liberismo e la logica di mercato, portando alla bancarotta i paesi ricchi del globo, hanno oppresso gran parte della popolazione sotto il giogo della disoccupazione, della povertà e dell’angoscia del futuro. Parallelamente alla disgregazione economica si affianca poi, soprattutto nel nostro paese, la dissoluzione politica: il sistema dei partiti sta vivendo una crisi ben più profonda di quella conseguente alla Tangentopoli degli anni Novanta e al sistema di corruzione che i giudici smascherarono. Nel 2012 è quindi forte l’esigenza di ricollocare l’uomo al centro del vivere sociale, economico, politico e culturale. Oggi più che mai l’umanesimo di Mondolfo torna di attualità: per ridisegnare una strada che riporti la politica, l’economia, la cultura ‘dalla parte dell’essere umano’. Si attua quindi una scelta all’interno della vastità della produzione filosofica di Mondolfo che, nel lunghissimo arco dei 99 anni della sua vita, è stato un grandissimo conoscitore e un fine traduttore dei filosofi greci antichi e dei filosofi della tradizione moderna italiana e non. Nonostante tutta la sua produzione abbia una coerenza interna saldissima ho deciso di privilegiare gli scritti politici, in particolare quelli prodotti in Italia dal 1909 al 1938. Mondolfo, di famiglia ebraica, nel 1939 è costretto a emigrare in Argentina a causa delle leggi razziali fasciste e da lì proseguirà la sua produzione letteraria fino alla morte. Ho scelto comunque di soffermarmi sugli scritti italiani, perché ritengo che il suo pensiero sia contenuto già tutto in quegli anni e che in Sudamerica egli riprenda, affini e approfondisca temi e problematiche già impostate in Italia. Anche in questo caso la mia lente di ingrandimento è una lente politica. Questa scelta mi è apparsa lecita prima di tutto perché Mondolfo prende sul serio lo studio dell’opera di Marx e dà un contributo originale …

DA OLTRE 70 ANNI BRUNO BUOZZI ATTENDE GIUSTIZIA

di Vittorio Valenza Nella notte fra il 3 e il 4 giugno del ‘44, mentre gli alleati entravano in Roma, un reparto di SS in ritirata si portò dietro, su alcuni camion, i prigionieri politici rinchiusi nelle segrete di via Tasso. Sull’ultimo veicolo, insieme ad altri 13 antifascisti, c’era il sindacalista socialista Bruno Buozzi. In località La Storta, sulla via Cassia, l’automezzo si fermò per un guasto. Il tempo stringeva e l’affanno aumentava. A un certo punto, qualcuno diede l’ordine di uccidere i 14 passeggeri. All’alba della Liberazione, a poche ore dalla stipula del “Patto di Roma”, che ridiede vita al sindacato democratico, Buozzi fu assassinato. Misteri Qualche anno fa, Cesare De Simone, nel libro Roma città prigioniera, avanzò l’ipotesi che a comandare le Schutz Staffeln, responsabili dell’eccidio, fosse l’hauptsturmführer Erich Priebke. Ad accusarlo sarebbe stato lo sturmbannführer Karl Hass, personaggio misterioso e controverso. Il 16 agosto 2001, la notizia era stata ripresa anche dal Corriere della Sera. Ma le cose, a quanto pare, non erano andate in quel modo. Infatti, l’Hauptsturmführer, dall’ergastolo, sporse querela. E, nell’ottobre 2001, il Tribunale gli ha dato ragione. Cosicché, su chi diede l’ordine permane il mistero. Ma un altro e più inquietante enigma avvolge ancora la fine di Buozzi: l’oscura vicenda che portò al suo arresto. Nel ‘26, il leader sindacale era espatriato in Francia. In esilio, tenne in vita la Cgl. Diresse il giornale l’Operaio italiano. Militò nella Concentrazione antifascista. All’inizio del ‘41, fu arrestato dai nazisti. Consegnato ai fascisti, fu inviato a Ventotene. Di qui, a Torino, come vigilato speciale. Liberato dopo il 25 luglio, si trasferì a Roma, in quanto nominato “commissario” dei sindacati dei lavoratori dell’industria. L’occupazione tedesca dell’Urbe lo costrinse alla clandestinità. Con i documenti di Mario Alberti, ingegnere di Benevento, abitava in Trastevere, presso un compagno. Qui, il 13 aprile 1944, fu arrestato. Racconta Pietro Bianconi in 1943: la Cgl sconosciuta, “Un giorno viene operata una perquisizione perché il padrone di casa è sospettato di possedere un apparecchio radio clandestino. Il proprietario è assente e la perquisizione ha luogo senza risultato. Nessuno sospetta dell’ingegnere Mario Alberti, ma gli viene chiesta la carta di identità. Poiché la polizia è a conoscenza che al Comune di Benevento sono state sottratte delle carte di identità e il documento mostrato dall’ingegnere proviene da quel Comune, Buozzi viene tradotto in questura per accertamenti, in attesa dei quali lo si assegna al carcere di via Tasso”. Questa ricostruzione ha sempre destato perplessità. Non può sfuggire, infatti, che, all’epoca, Benevento si trovava nell’Italia liberata. E, quindi, c’è da chiedersi come facessero i nazifascisti ad avere quelle informazioni anagrafiche. Ma Buozzi attende anche un’altra giustizia: la giusta valutazione della sua opera. Da sempre, infatti, il suo lavoro è stato o nascosto o stravolto. Eppure, tutta la nostra vita sindacale riporta alla sua opera. La contrattazione e il ruolo delle strutture che ne hanno la titolarità, le “categorie”. Il legame tra i livelli del negoziato e l’organizzazione del sindacato: per esempio, l’idea e la realizzazione delle “commissioni interne”. L’“indennità di carovita”, rivendicata già nel 1920. Anche gli attuali punti di crisi sono tali, perché alcune sue idee non hanno trovato adeguata realizzazione. Per esempio, il nostro pluralismo sindacale ha fatto arrivare al pettine il nodo della rappresentatività del sindacato. Che un accordo sia sottoscritto da un sindacato e non da un altro non dovrebbe destare scandalo. Tuttavia, gli accordi producono degli effetti che interessano tutti i lavoratori. Quindi, per un primordiale principio, un contratto destinato a produrre effetti su tutti deve essere stipulato da chi rappresenta almeno la maggioranza. Ma come si può accertare questa maggioranza, se non ricorrendo a un garante della democrazia. Non è giunto il tempo dell’Articolo 39 della nostra Costituzione? Biografia Buozzi era nato a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, nel 1881. Operaio metallurgico lavorò alla Marelli e alla Bianchi. Giovanissimo attivista della Federazione italiana operai metallurgici, ne divenne segretario nel 1911. Da quel momento, fu uno dei più popolari esponenti della corrente riformista. Finita la Guerra, sotto la sua direzione, le conquiste dei metalmeccanici furono di enorme portata. Tra il 1918 e il ‘21, i salari reali raddoppiarono. I metallurgici furono la prima categoria a conquistare le mitiche “8 ore”. E, poi, le ferie pagate. Il contratto nazionale divenne prassi organica. E, per renderlo inderogabile, furono fatte riconoscere le “Commissioni interne”: il sindacato sul posto di lavoro, con il compito di vigilare sull’applicazione degli accordi. Buozzi fece della Fiom “la punta avanzata del movimento”. La sua filosofia politica è tutta racchiusa nelle parole pronunciate al Congresso della categoria del novembre 1918: “Noi siamo risolutamente contrari alla teoria che l’organizzazione debba sempre seguire la massa anche se disorganizzata. Tale teoria rende inutile l’organizzazione. Serve a formare dei ribelli di un’ora, ma non mai delle coscienze rivoluzionarie; ad organizzare improvvisamente delle migliaia di operai facili da condurre al macello ma che se ne andranno immediatamente non appena finita l’agitazione per la quale si sono associati. La coscienza delle masse si sviluppa e si dimostra con l’opera perfezionata, illuminata e disciplinata, la quale solo attraverso anche a qualche rinuncia che è spesso un segno di forza sa conquistare e conservare per prepararsi a nuove conquiste.” Idee chiare e distinte, una idealità razionale, ancoraggio agli interessi concreti dei lavoratori, amore per la partecipazione disciplinata, senso di responsabilità e fiducia nel metodo democratico. L’occupazione delle fabbriche La disgraziata vicenda del settembre 1920, l’“occupazione delle fabbriche”, vide lo scontro tra questi principi e il misticismo psudorivoluzionario di dubbio fondamento, ma sempre, ahimè, di alto richiamo. Esemplare prodromo del settembre, è lo scontro che si consumò, a Torino, roccaforte di quelli che nel ’21 diventeranno comunisti, alcuni mesi prima, proprio sull’istituzione delle “Commissioni interne”. Buozzi intendeva la conquista delle “Commissioni interne” come un primo mutamento nei rapporti di potere all’interno dell’impresa. Con la presenza del sindacato in fabbrica, si sarebbe sviluppata la discussione “non solo sui salari, ma sull’effettiva distribuzione del lavoro tra le forze del lavoro e gli industriali”. A questo gradualismo, si opposero i “rivoluzionari” con …

COSTANTINO LAZZARI. VITA DI UN SOCALISTA LOMBARDO DA BERTANI A LENIN(1857-1927)

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani 1. Da Cremona a Milano 2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni 3. Il Circolo operaio. Eliseo Reclus 4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro 5. L’incontro con Bertani e l’inchiesta agraria 6. La Federazione Regionale dell’Alta Italia del Partito Operaio Italiano 7. Dalla costituzione del POI ai Congressi di Milano e Mantova (1885). 8. Turati scrive l’Inno dei lavoratori per il Partito Operaio 9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti 10. La ripresa dell’attività del POI. Il congresso di Pavia (1887) 11. Parentesi di vita privata 12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890) 13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892) 14. Trasferimento a Busto Arsizio 15. Nascita della Camera del lavoro e della Società Umanitaria 16. Amministratore della Lotta di classe 17. L’adesione di De Amicis al PSI 18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma 19. Polemiche sulla tattica 20. Il domicilio coatto a Borgotaro 21. Il giurì per la gestione della Lotta di classe 22.Commesso viaggiatore del socialismo 23. Dimostrazioni per il pane 24. Il “novantotto” 25. Finalborgo 26. Propagandista e canditato 27. Enunciazione della linea politica 28. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario 29. “I principi e i metodi del Partito Socialista” 30. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire” 31. Nuova carcerazione 32. Nel dopoguerra; La terza Internazionale 33. Gli ultimi anni Conclusione   Amministratore della “Lotta di classe” Col concorso di così favorevoli circostanze i socialisti di Milano, allo scopo di orientare lo sviluppo del movimento proletario, avevano iniziato nel luglio 1892 la pubblicazione di un settimanale col titolo Lotta di classe, mediante la formazione di una società di azionisti, i quali si impegnavano al pagamento di almeno un’azione di L. 250. A dirigere il giornale era stato chiamato da Torino il giovane avvocato Claudio Treves, abile e coraggioso polemista, al quale era affidato l’incarico anche della compilazione e redazione.Si trattava dunque di un organo squisitamente politico destinato a dare e mantenere alla organizzazione una rigorosa unità di indirizzo, consolidandovi le aspirazioni socialiste  Il successo fu rapidissimo, tanto che si rese presto necessario il lavoro continuo e quotidiano di un impiegato amministrativo e contabile per secondare lo sviluppo dell’azienda. “Si misero gli occhi sopra di me e l’ing. De Franceschi cominciò a farmene la proposta mostrandomi i diversi aspetti convenienti materialmente o moralmente per me. Mi schermii per qualche tempo … ma la sua insistenza fu tanta, l’impegno scritto che egli si prese di farmi assegnare uno stipendio di almeno 200 lire al mese era cosi serio, che io finii per arrendermi ed in principio del 1893 ritornai a Milano, andando ad abitare colla moglie e coi figli di Viscardi” Col suo lavoro regolare e continuo l’azienda giornalistica acquistò subito un carattere di serietà e di solidità fino allora sconosciuto. Però il Consiglio d’Ammini­strazione, viste le forti passività del primo bilancio, trovò opportuno ridurre il suo stipendio a sole 150 lire mensili e “questa fu una mia prima delusione. Protestai tanto che in seguito il mio povero stipendio venne portato a 175 lire mensili”.  L’adesione di De Amicis al Partito socialista Fu in questo frattempo che ebbe occasione di entrare in rapporti personali con Edmondo De Amicis, “le cui simpatie per le idealità socialiste io riuscii a convertire in una vera e propria adesione politica.” Già attratto e sedotto dallo stile e dallo spirito degli articoli di Filippo Turati che comparivano sulla “Critica sociale”, De Amicis aveva domandato di sottoscrivere una azione della Cooperativa “Lotta di classe”. Come amministratore Lazzari gli mandò il titolo da firmare e cominciò così un’amichevole corrispondenza in seguito alla quale, avendo avuto occasione di andare a Torino lo andò a trovare a casa. “Egli mi raccontava come le sue prime impressioni di carattere sociale si fossero formate assistendo dalle finestre della sua abitazione alla brutale repressione poliziesca di uno dei primi cortei del 1° Maggio… ammirava lo spettacolo grandioso di quella folta schiera ordinata e pacifica di uomini e di donne del ceto operaio che sfilava lenta e solenne cantando non più gli inni dei vecchi ideali, ma le aspirazioni nuove.  Ad un tratto un gruppo di poliziotti, di questurini e di delegati colle insegne della patria si gettava contro quel corteo e lo scompigliava atterrando uomini e donne, mentre compariva sulla piazza uno squadrone di cavalleria colle sciabole sguainate..” Questo attacco al pacifico diritto di riunione, che era stata la gloriosa rivendicazione statutaria della vecchia generazione, lo aveva colpito e da allora si era messo a riflettere profondamente, a osservare e studiare il mondo dei proletari e quella questione sociale che sollevava i furori della legge e dell’ordine. “Egli mi diceva che pensava di scrivere un libro per glorificare gli stenti e i diritti della folla povera ed innumerevole, io gli mostravo che c’era qualcosa di più direttamente utile da fare, dal momento che la lotta era dichiarata: mettersi di qua o di là. E questo era il mio ritornello favorito sul quale io picchiavo sempre, fin quando egli mi annunciò di essersi deciso per la vita e per la morte, iscrivendosi nella Sezione di Torino. E mantenne la parola fino alla fine” Le sue opere letterarie dopo d’allora hanno tutte la sua nuova ispirazione; il suo discorso del 1895 alla Associazione Universitaria di Torino è un invito alla gioventù a partecipare alla lotta socialista e dietro insistenza di Lazzari scrisse due articoli pubblicati poi sulla “Lotta di classe”. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma Nel settembre 1893 ebbe luogo a Reggio Emilia il secondo Congresso Nazionale, alla presenza di 300 delegati: qui prese il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, il programma fu completato e confermato, il Gruppo parlamentare vi ebbe il suo primo riconoscimento e la sua disciplina (fu questa un’innovazione, imitata poi dagli altri partiti quandi si formarono), il giornale …

BUFFONI CHE NON POSSONO RIDERE

Un’opera di Giuseppe Scalarini Da qualche giorno nell’Avanti! il grammofono Scalarini ha impostato un disco originale: il Partito comunista è uno strumento del capitalismo; il Partito comunista è un sicario di cui il capitalismo si serve per accoltellare alla schiena il proletariato; il Partito comunista difende i profitti di guerra del capitalismo; il Partito comunista si fregia di una decorazione guerrafondaia; il Partito comunista porta sempre in tasca una bottiglia di alcool puro, e così via. Il disco nuovo e originale di Scalarini non ci ha emozionati; per tre ordini di considerazioni. Primo Ordine. Può darsi che Scalarini creda di aver ragione. Nel convegno dei concentrazionisti, tenuto recentemente a Milano, l’onorevole Claudio Treves, brillantemente sfoggiando quelle doti magnifiche di formidabile dialettico che lo hanno reso meritatamente celebre in tutti i salotti intellettuali d’Italia di Francia e di Navarra, sostenne questa tesi: i socialisti anelando al governo, non devono porre innanzi nessuna pregiudiziale antimonarchica; essere antimonarchici significa rendere il più grande servizio alla monarchia. Se questa posizione dialettica di Claudio Treves viene universalizzata si ha: la pregiudiziale anticapitalistica è utile solo al capitalismo; il Partito comunista, per la sua pregiudiziale anticapitalistica, non può che essere un vile sicario del capitalismo. Dunque Scalarini può credere di aver ragione: dunque non bisogna arrabbiarsi contro Scalarini. Treves e Scalarini hanno avuto dei precursori illustri. Il giorno prima che la guardia bianca di Noske uccidesse Liebknecht, il Vorwärts (che in tedesco significa “Avanti!” è l’organo del Partito socialdemocratico tedesco ndr.) pubblicò una vignetta in cui era rappresentato Spartaco che pugnala alle spalle il proletariato tedesco. Il giorno dopo l’uccisione di Liebknecht, Scheidemann scrisse un articolo per sostenere che finalmente per merito del compagno Noske, il proletariato tedesco era stato liberato dal suo peggior nemico: infatti Liebknecht, per la sua pregiudiziale anticapitalista, non poteva non essere che un sicario del capitalismo e per la sua pregiudiziale rivoluzionaria non poteva essere che un agente provocatore della guardia bianca; invece Noske, capo della guardia bianca, era il vero rivoluzionario, in quanto applicava una abilissima tattica di compromessi. Scalarini è d’accordo con Treves, con Noske, con Liebknecht: è una posizione politica “rispettabilissima”, e a noi non rimane che levarci il cappello dinanzi e alla franchezza e alla sincerità di Scalarini. Secondo Ordine. Scalarini ignora ciò che si è svolto nel Partito socialista, allo stesso modo che il disgraziato pappagallo Serrati ignorava ciò che si era svolto alla Camera del lavoro di Milano. Serrati era veramente convinto che a Milano l’organizzazione sindacale socialista andasse a gonfie vele; non è la prima volta e non sarà l’ultima volta questa di Serrati, preso amabilmente per il fondo dei pantaloni dai riformisti. Un’opera di Giuseppe Scalarini Serrati credeva che a Milano la sezione metallurgica avesse conservato i suoi 40.000 iscritti del bel tempo che fu; perciò con la sicumera del professore Lollobrigida, abbaiava contro i comunisti torinesi: ‘’disgregatori, guastatori, seminatori di sale!’’. E’ bastato che noi rimettessimo le cose a posto, scoprendo che a Milano, per virtù dei socialisti, i 40.000 soci della Fiom erano diventati 4.000, mentre a Torino dei 35.000 ancora 16.000 erano rimasti fedeli alla Fiom, perché il Lollobrigida Serrati si tacesse come per incanto. Così Scalarini. Egli pone una bellissima decorazione guerraiola sul petto del Partito comunista. Ingenuo e candido Scalarini! Se il Partito comunista avesse nel suo seno degli interventisti, in ogni caso li avrebbe ereditati dal Partito socialista; il Partito socialista però dopo Livorno, accolse nel suo: Francesco Repaci corrispondente da Torino del ‘’Popolo d’Italia’’ e del ‘’Fronte interno’’ (nel ‘’Fronte interno’’ il Repaci scriveva una rubrica intitolata: Disonoriamo il PSI). Pietro Nenni, redattore del popolo d’Italia, direttore del massonico interventista Giornale del mattino di Bologna, che denunciò e fece arrestare nel 1917 un gruppo di giovani socialisti bolognesi. Gerolamo Lazzeri, redattore del popolo d’Italia, accanitissimo nel combattere i socialisti, come ben ricordavo, per esempio, i socialisti di Varese, redattore dell’Italia del popolo, Giornale Willsoniano, e del Lavoro di Genova: Raniero Niccolai, redattore della Perseveranza, che faceva stampare i suoi libri da Guido Podrecca. Quinto Tosatti, redattore della Voce politica, democratico interventista, diretta dall’on. De Viti De Marco. E la lista potrebbe continuare. Ingenuo, Candido Scalarini, che non si è accorto che mezza redazione del Popolo d’Italia (anche Giuseppe De Falco ha ricevuto assicurazione per la sua riammissione e nel partito e nell’Avanti!) è rientrato nel Partito Socialista dopo Livorno. Terzo Ordine. I comunisti hanno questa superiorità assoluta sui disgraziati pipilanti animalocci del Barnum: i comunisti possono serenamente ridere di tutti i giochi di Serrati, di Scalarini, di Gian La Terra, di Baratono; questa gente invece non può ridere dei nostri attacchi, delle nostre burle, delle nostre risate. I socialisti sanno di essere da noi disprezzati, essi invece non possono disprezzarci, anzi nel loro intimo sono costretti a rispettarci. Noi siamo contenti della scissione: essi rimpiangono l’unità, essi invocano l’unità perduta. Ecco la superiorità dei comunisti, ecco la irrimediabile inferiorità dei socialisti. I socialisti sono dei buffoni, che hanno la coscienza di essere buffoni e perciò non possono ridere. Chi non sa ridere non è uomo: i socialisti sono dei disgraziati, come Giuseppe Scalarini e G. M. Serrati. (Non firmato, “L’Ordine Nuovo’’ 21 Novembre 1921) Un ringraziamento al Prof. Michele Donno per averci segnalato questo documento.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’ANARCHICO MICHELE SCHIRRU. L’UOMO CHE PENSO’ DI UCCIDERE MUSSOLINI

L’anarchico Michele Schirru viene fucilato per aver organizzato un piano per uccidere Mussolini. Nato in Sardegna, ma naturalizzato statunitense, Schirru torna in Italia nel 1931, con la convinzione che uccidere il Duce è l’unico modo per liquidare il fascismo. Schirru alloggia all’albergo Royal a Roma per oltre 2 settimane, in attesa del momento giusto per attuare il suo piano. Ma il 3 febbraio viene arrestato. È processato e condannato con questa motivazione: «Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell’Italia, attenta all’umanità, perché il Duce appartiene all’umanità». RaiStoria di Egidio Lobina Michele Schirru nasce a Padria nell’ottobre 1899, ma cresce e si forma a Pozzomaggiore, paese della madre. Giovanissimo, lascia l’Isola alla volta degli Usa, dove aderisce agli ideali anarchici. Da qui, nel ’31, torna in Italia con l’intenzione di uccidere il Duce, nella convinzione che con l’eliminazione del suo leader lo stesso partito fascista, e quindi la dittatura, sarebbero crollati in breve tempo. Purtroppo per lui la polizia politica italiana, informata da una spia fascista a New York, lo coglie in un albergo romano in compagnia di una ballerina ungherese e lo prende in consegna. Durante l’interrogatorio, al grido di Viva l’anarchia, Schirru cerca, maldestramente, di suicidarsi, finendo per ferire alcuni carabinieri oltreché se stesso. Trovato in possesso di due bombe e di una rivoltella, viene processato per aver “pensato di attentare”, per sua stessa confessione, alla vita del capo del governo italiano. Condannato a morte per fucilazione alla schiena, la sentenza viene eseguita da un plotone scelto di camicie nere sarde il 29 maggio del ’31. La storia del giovane anarchico sardo ha ispirato il celebre film di Lina Wertmuller: Storia d’amore e d’anarchia, interpretato da Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. Il passo che segue è tratto dal volume di Giuseppe Fiori: Vita e morte di Michele Schirru. L’anarchico che pensò di uccidere Mussolini, edito da Laterza. La gabbia, alla sinistra del presidente, è ancora vuota. Battiti di tacchi di stivaloni speronati segnalano l’arrivo di ufficiali dell’esercito e della milizia, che assisteranno al dibattimento, in tribune laterali, insieme a personalità del fascismo. Nella zona centrale dell’aula, i banchi per il difensore, in prima fila, e per i giornalisti, un’ottantina, parte dei quali stranieri… Mike Schirru entra in aula (sono le 9.20) sereno, però senza jattanza. Insiste nel contegno di chi ha scelto una linea di riparazione-dimostrazione-espiazione. Salutando D’Angelantonio, con un sorriso e un movimento del capo, si mette seduto in gabbia. […] Entrano, separati, l’accusatore Carlo Fallace, secco, stempiato, la bocca a taglio di coltello, quasi senza labbra, poi i consoli del collegio giudicante (‘Sui loro petti brillano i segni del valore: una medaglia d’oro e quindici d’argento’), poi, ‘alle 9.30 precise, con puntualità militare’, il presidente Cristini. Tutti, anche l’imputato, si levano in piedi. Militi e carabinieri sono irrigiditi sull’attenti. La ‘colazione del cannibale’ comincia. Schirru è chiamato al pretorio: l’affiancano due carabinieri.  Cristini. Dunque, voi avete ammesso nei vostri interrogatori di essere venuto in Italia col fermo proposito di attentare alla vita del Primo Ministro, è così? Schirru (freddamente). Sì.  […] L’Avanti! di Zurigo, 6 giugno 1931: Poteva negare, arzigogolare, trincerarsi dietro il fatto che il delitto attribuitogli non aveva avuto nessun principio di esecuzione. Il solo testimone d’accusa era lui, Michele Schirru. Tranquillo, ha detto come sorse nel suo spirito l’idea di un attentato contro Mussolini; come, questa idea avendo messo radice, egli si preparasse a darle forma; come, giunto a Roma, egli esitasse, davanti alla possibilità che gli si offriva di compiere l’attentato durante una pubblica cerimonia. Non era in lui alcun sadismo di strage e di sangue. Mussolini impersonava, ai suoi occhi, un sistema, e Mussolini doveva essere colpito. Non altri. Fonte: lacanas.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COSTANTINO LAZZARI. VITA DI UN SOCALISTA LOMBARDO DA BERTANI A LENIN(1857-1927)

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani 1. Da Cremona a Milano 2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni 3. Il Circolo operaio. Eliseo Reclus 4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro 5. L’incontro con Bertani e l’inchiesta agraria 6. La Federazione Regionale dell’Alta Italia del Partito Operaio Italiano 7. Dalla costituzione del POI ai Congressi di Milano e Mantova (1885). 8. Turati scrive l’Inno dei lavoratori per il Partito Operaio 9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti 10. La ripresa dell’attività del POI. Il congresso di Pavia (1887) 11. Parentesi di vita privata 12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890) 13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892) 14. Trasferimento a Busto Arsizio 15. Nascita della Camera del lavoro e della Società Umanitaria 16. Amministratore della Lotta di classe 17. L’adesione di De Amicis al PSI 18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma 19. Polemiche sulla tattica 20. Il domicilio coatto a Borgotaro 21. Il giurì per la gestione della Lotta di classe 22.Commesso viaggiatore del socialismo 23. Dimostrazioni per il pane 24. Il “novantotto” 25. Finalborgo 26. Propagandista e canditato 27. Enunciazione della linea politica 28. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario 29. “I principi e i metodi del Partito Socialista” 30. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire” 31. Nuova carcerazione 32. Nel dopoguerra; La terza Internazionale 33. Gli ultimi anni Conclusione   Introduzione L’aggettivo usato nel sottotitolo individua una caratteristica fondamentale del personaggio,  lombardo per la matrice culturale che, se nei “momenti bassi” si esprime in un “buonsenso” un po’ gretto  e provinciale individuato con ironia da compagni e avversari[1], si manifesta in positivo nell’agire concreto dell’organizzatore di circoli, dell’ amministratore di iniziative editoriali, del tessitore di reti di sezioni; il suo antiriformismo non è retorico “atteggiamento” ma espressione di una diffidenza classista nei confronti dei politici di professione e degli intellettuali, come si vedrà più avanti nell’episodio del segretario del carcere di Finalborgo “…non saremo noi Milanesi ignoranti che andremo a prendere lezione di socialismo dai Napoletani sapienti, perché noi nella vita sociale facciamo già pratica militante della poli­tica socialista” [2]. Abbiamo utilizzato l’autobiografia scritta nel 1926[3] – ma che si arresta alla fine dell’Ottocento – riproducendone ampi stralci, per l’esposizione  vivace, con qualche eccesso “cruento” (probabile derivazione dalla “letteratura d’appendice). Questo scritto aveva anche una motivazione pratica perchè la “Fondazione Giacomo Matteotti” (istituita nel 1925 allo scopo di raccogliere autobiografie di organizzatori del movimento socialista), aveva offerto a Lazzari, che aveva perso l’indennità parlamentare e si avviava ai 70 anni con a carico la moglie e una figlia adottiva, una modesta retribuzione in cambio della sua collaborazione a questo progetto. “Tra poco avrò raggiunto i settant’anni della vita. Arrivato a quest’ultimo periodo della vita, povero e proletario come sono nato, trovo di non possedere altra ricchezza che la coscienza tranquilla e la fede sicura nell’avvenire del socialismo …. Come si è formata in me questa fede e come ho acquistata questa tran­quillità di coscienza? Non è possibile rispondere a queste domande senza avere la conoscenza dell’ambiente sociale in cui sono cresciuto e il cui carattere ebbe certamente una influenza capitale nel determinare in me la comprensione completa delle dottrine egualitarie moderne.” Da Cremona a Milano Così inizia le sue memorie, e prosegue “Sono figlio della gleba cremonese per parte della stirpe paterna (una mia nonna contadina morì suicida in un accesso di pellagra)” ma la madre, Anna Grandi “apparteneva ad una discendenza di privilegiati decaduti, imparentata con una delle più illustri famiglie di Lombardia”, mentre il padre era insegnante di storia e letteratura nelle scuole secondarie. Pur enfatizzando l’ ascendenza contadina dal lato paterno, è comunque difficile definirla una famiglia proletaria. Problemi dovettero sorgere presto in famiglia perchè (secondo la sua versione non molto chiara) “l’ardente idealismo con cui mio padre diede inizio alla vita della propria famiglia, fu causa di gravi e profondi turbamenti nei nostri reciproci rapporti,” per cui a otto anni  si trasferisce col fratello maggiore dai nonni materni impiegati dell’Istituto tecnico ”Santa Marta” di Milano. Nel 1857 Cremona aveva circa 30.000 abitanti e, pur essendo solo il capoluogo di una provincia lombarda, era però negli anni tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo del ‘900 ricca di personalità di rilievo nazionale[4], come Guido Miglioli, organizzatore delle “leghe bianche” (cattoliche) contadine, il radicale Ettore Sacchi, il socialista lriformistia Leonida Bissolati, il repubblicano Arcangelo Ghisleri, il cattolico Stefano Jacini, il vescovo Geremia Bonomelli; ma la precoce partenza dalla città natale non gli consentì un radicamento nell’ambiente locale, immergendolo nella realtà milanese fin dalla prima adolescenza. Dopo le classi elementari, per le ristrettezze economiche familiari, frequenta non il ginnasio, che preparava agli studi universitari, ma la scuola tecnica, preferita dalla piccola borghesia perchè dava immediato accesso agli impieghi, e quì inizia ad interessarsi di problemi sociali e politici  “Gli avvenimenti della vita italiana esercitavano su di me una strana attrattiva ed io con avidità ed entusiasmo leggevo i letterati che vi avevano dedicato le loro opere : Guerrazzi, Berchet, Massimo D’Azeglio, Manzoni, Grossi, Niccolini, ecc.” La scoperta della politica avviene anche tramite un compagno di classe  “Enrico Dalbesio, un simpatico giovanotto proletario di vivace ingegno e di cuore ardentissimo. Da certi parenti che aveva in Francia egli riceveva molte di quelle pubblicazioni che al tempo della Comune di Parigi e dopo avevano circolato per l’Europa. Noi le leggevamo di nascosto ed erano l’argomento favorito dei nostri discorsi: così si iniziò nel mio animo il primo germe delle cognizioni sociali.” Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni Finita la scuola tecnica, è costretto a cercare un impiego a quindici anni – età non precoce in quel tempo per l’ingresso nel mondo del lavoro, che anzi nei ceti proletari avveniva anche molto prima – entrando “come garzone di magazzino presso la ditta del sig. Luigi De Giorgi, una vecchia e riputata …

ODDINO MORGARI (1865-1944). BIOGRAFIA POLITICA DI UN “CITTADINO DEL MONDO”

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani   1. Il personaggio 2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900 3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto 4. L’ostruzionismo (1899) 5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905) 6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi 7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902) 8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906 9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900 10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08) 11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo “dialogo” coi cattolici 12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11) 13. Con Salvemini per la questione Meridionale 14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14) 15. Lo scoppio della guerra 16. L’incontro di Lugano (1915) 17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna 18. Nel Paese in guerra (1915-16) 19. Da Zimmerwald a Kienthal 20. La Missione Ford 21. Nel Paese in guerra (1917-18) 22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918) 23. La Comune di Budapest (1919) 24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936) 25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)   Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14) Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del gruppo parlamentare[1].  In una lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse: ”Sono un po’ sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l’azione diretta del socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l’azione parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l’azione nel paese con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei movimenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti». Nell’agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò l’invito di Alfredo Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 l’ “Avanti!” pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora all’estero e il 29 agosto il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive. Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica. L’incarico del deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell’interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza… dalla parvenza che io avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente per raccattare un’indennità” Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e ne attendeva con impazienza l’arrivo. Egli giunse a Torino il 15 agosto  accolto trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: “C’è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie, anche grandiose, delle organizzazioni operaie”. Nell’ottobre venne rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV legislatura. Morgari era partito dall’Italia poco prima dell’inizio dell’impresa libica, restando quindi estraneo alla lotta politica interna al PSI che travolse la dirigenza riformista coinvolta dal rapporto con Giolitti e portò, al Congresso di Reggio Emilia del 1912,  alla direzione degli “intransigenti” Giovanni Lerda, Costantino Lazzari, Giacinto Serrati, Benito Mussolini. Salvemini così gli scrisse rievocando le cause della sua uscita dal PSI “Per la primavera e l’estate del 1911 io feci la Cassandra inascoltata, cercando di eccitare i dormienti per Tripoli. Mentre ferveva la campagna nazionalista l’ “Avanti!” taceva. Quando l’inerzia del Partito, i cui capi dormivano sulle ginocchia di Giolitti, ebbe preparato via libera all’impresa e la guerra parve ineluttabile, solo allora l’Avanti! cominciò a protestare disordinatamente e incoerentemente. E fu inscenato uno sciopero generale buffonesco, che si sapeva non sarebbe riuscito. Questa commedia mi tolse il velo dagli occhi. Sentii l’abisso morale di  uomini in cui avrei voluto sempre vedere non solo maestri di idee, ma modelli di carattere. E feci fagotto“[2] Dieci anni prima, nell’aprile 1902, Morgari era stato a Tripoli in missione esplorativa e alla partenza aveva confidato al console generale Scaniglia “il concetto complessivo che mi sono formato della Tripolitania è che è di molto superiore all’Eritrea; che è parzialmente colonizzabile, ma non è tale da offrire larghissimo sbocco alla nostra emigrazione; salva la pregiudiziale delle terre incolte d’Italia che aspettano braccia e capitali, ed ammessa per un momento l’utilità di un’occupazione, bisognerebbe limitarla alla costa”[3] I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28 aprile relazionò sull’attività del GPS. La relazione scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all’attività parlamentare). Sulla sua relazione presero la parola ”… tra gli altri: ”Niccolini che dichiarò degna di …

ODDINO MORGARI (1865-1944). BIOGRAFIA POLITICA DI UN “CITTADINO DEL MONDO”

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani   1. Il personaggio 2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900 3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto 4. L’ostruzionismo (1899) 5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905) 6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi 7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902) 8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906 9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900 10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08) 11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo “dialogo” coi cattolici 12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11) 13. Con Salvemini per la questione Meridionale 14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14) 15. Lo scoppio della guerra 16. L’incontro di Lugano (1915) 17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna 18. Nel Paese in guerra (1915-16) 19. Da Zimmerwald a Kienthal 20. La Missione Ford 21. Nel Paese in guerra (1917-18) 22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918) 23. La Comune di Budapest (1919) 24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936) 25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)   A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902) Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo  raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI.  In una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l’alleanza con la piccola borghesia impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i 48.000 voti costituzionali e  14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti. Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L’equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni del ‘900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la massa operaia. Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla tattica, propose l’alleanza tra i partiti popolari come elemento permanente della politica socialista, incontrando resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners. Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica. A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi  e la solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio sull’intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente fallì, senza che  l’organizzazione delle leghe di mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l’inizio del 1902, la Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se confrontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli. L’occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti in città scendono in sciopero. L’agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante della CdL e quello della Federazione nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane. Scontata è l’intransigenza delle due società produttrici che han­no già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non previsto rende problematica una favorevole risoluzione della vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i gasometri e contribui­sca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli spazzini comunali. Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l’operato del prefetto   e fa presente che ad Alessandria, in un’analoga situazione, non vi era stato l’invio della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati. È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l’altro: “Questo non si chiama garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro. Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”. Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12 febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da una convenzione con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze a presentarsi al lavoro. L’appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa L’intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel servizio d’illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione …

LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA IN SARDEGNA

Nell’immagne di copertina: Giuseppe Cavallera La prima sezione, anche se poi si riduceva ad un circolo propagandistico, del Partito Socialista nacque a Tempio per iniziativa di giovani intellettuali borghesi per sensibilizzare i lavoratori del sughero. Nel 1895 venne costituito un circolo di ispirazione socialista a Cagliari e nel 1896 a Sassari. Le difficoltà generali della situazione sarda non poterono certamente non sentirsi anche e soprattutto dal punto di vista politico. La nascita dei circoli e delle sezioni erano i primi timidi passi di un partito di classe che stentava a crescere dal punto di vista numerico, politico e organizzativo. La nascita e l’espandersi dell’organizzazione fu per certi versi un fenomeno indotto, risultato cioè della propaganda e dell’azione di singoli esponenti socialisti agit-pro del partito, oppure di gruppi che esportarono in terra sarda esperienze politiche maturate nelle realtà industrialmente avanzate del settentrione d’Italia. Questa fu la contraddizione propria dell’elaborazione socialista: la trasposizione nella realtà sarda, a preminente economia agricola, di una linea politica nata e sviluppata per un proletariato delle grandi industrie del Nord. In Sardegna non venne detto nulla a proposito della realtà contadina col solo risultato di far nascere già debole ed isolata l’organizzazione socialista nelle poche, rispetto a tutto il resto, realtà minerarie. Il forte carisma e le capacità organizzative di Giuseppe Cavallera riuscirono a dare una svolta nell’organizzare il Partito che nel 1898 fece il suo primo Congresso Regionale proprio in vista di una scadenza elettorale. Di questo primo congresso, nato prima e principalmente come incontro di quadri di Partito e poi, per la scadenza elettorale divenne una vera e propria assise congressuale, leggiamo un documento prezioso: Oristano, 28 febbraio: Fatta la verifica dei mandati si trovano rappresentate le sezioni di Cagliari, Atzara, Cabras, Oristano, Ozieri, Tempio, Terranova, il circolo « Gioventù Socialista » di Cagliari ed i nuclei di Arbus, Guspini, Monastir, Carloforte, Ussana, Villaspeciosa e Sanluri. Non hanno mandato rappresentanti pur aderendo le sezioni di Sassari e Lanusei. Si proclama presidente il compagno prof. Giuseppe Fasola (Terranova) segretario Loi Cesare, medico (Arbus). Si leggono vari telegrammi di adesione e di augurio e su proposta del compagno Tamburlini (Cagliari) si spedisce un telegramma all’Avanti! annunciando ai compagni del continente il Congresso e salutandoli fraternamente. Sul 1° articolo dell’ordine del giorno (Relazione morale e finanziaria delle singole sezioni) singoli rappresentanti riferiscono verbalmente la storia delle loro sezioni, che generalmente procedono bene per la parte morale, ma tutte a corto di quattrini per la propaganda ed organizzazione. Cavallera propone, vista la scarsezza dei denari delle sezioni e le molte quote del Partito arretrate, di domandare all’U.E.C. che queste quote vengano condonate a tutte le sezioni Sarde e comincino queste i pagamenti dal mese di marzo; questa proposta è accettata senza discussioni. Si dichiara costituita la Federazione Regionale Sarda e se ne approva con leggeri emendamenti lo Statuto preparato dal compagno Cavallera. I membri del Comitato Regionale saranno tanti quanti sono i collegi della Regione ove esistano delle sezioni federate. Al 3° art. (Elezioni, situazione, condotta da seguirsi) dopo lunga discussione provocata da C. Demartis (Tempio), il quale per il suo collegio e comune desidererebbe una sanatoria dal Congresso, essendo – egli dice – disposta la sezione di Tempio nelle elezioni politiche ad appoggiare l’avv. Moro, repubblicano-socialista alla Colajanni, e nelle elezioni amministrative a fare una lista concordata con la parte meno retriva del paese. A lui rispondono energicamente Tamburlini, Cavallera, Casano, ed il Congresso riafferma il deliberato di Firenze dopo un plauso ai compagni di Tempio per l’energica lotta sostenuta contro le camarille locali. Proclama candidato di Tempio e di Ozieri il compagno Demartis Virgilio (Virgilio Demartis per ragioni locali e personali, che non furono ritenute valide dal Consigliere Nazionale portatosi espressamente a Tempio, rifiutò la candidatura. Così anche nei collegi di Tempio e Ozieri si votò per Nicola Barbato) , si riserva sul candidato di Isili e Cagliari, e per tutti gli altri collegi della provincia, i socialisti si affermeranno sul nome di Nicola Barbato. Sui metodi di propaganda (art. 4) si delibera la fondazione di un giornale regionale settimanale, e se ne incarica il Comitato Regionale, il quale dovrà pure curare la ristampa degli opuscoli più utili alla propaganda in Sardegna ed alla pubblicazione di un opuscolo originale di propaganda popolare, che sarà ritenuto degno di premio da una Commissione appositamente eletta. Si raccomandano le conferenze in dialetto e le scuole di alfabeto, di socialismo e di propaganda nelle sezioni. Riguardo alle cooperative ed alle leghe di resistenza viene approvato un O.d.G. presentato da Armeni (Carloforte) col quale si lascia piena libertà ai compagni di organizzare le suddette istituzioni, senza che si impegni il partito prima che in esse non si sia recisamente mostrata una coscienza socialista. Si propone che il Congresso accetti che per la Sardegna si diffonda al più presto una tessera di riconoscimento unica con retro caselle per le firme dei pagamenti mensili, e, ritenendo utilissimo questo metodo di riconoscimento, se ne raccomanda l’applicazione all’U.E.C. Art. 5 (Manifestazione del 1’ maggio). Essa sarà solenneggiata con la pubblicazione di un Numero Unico, con conferenze nelle sezioni ed in quanti piu circoli si potrà, coll’ astensione dal lavoro, coll’erogazione di tutto o parte del salario della giornata da parte di quei compagni impossibilitati ad astenersi, e con tutti quei mezzi di propaganda riconosciuti idonei all’occasione, talché, il 1’ maggio invece di essere giorno di festa, sia per tutti i socialisti giornata di massimo lavoro di propaganda. A Consigliere nazionale è acclamato il compagno Cavallera Giuseppe. Sede del Comitato Regionale sarà fino al II Congresso la città di Cagliari, suo segretario Cavallera. Art. 8 (Sede e data del futuro Congresso). Sias Giovanni (Atzara) raccomanda al Comitato Regionale, al quale si lascia l’incarico di prescegliere la sede e la data del II Congresso di tener conto nella scelta della sede di quel paese o regione, dove, coi lavori del Congresso, si potrebbe portare un risveglio socialista. Il Congresso si chiude dopo sentiti discorsi di Demartis, Toro, Cavallera, Casano, tra l’entusiasmo generale e inneggiando al socialismo. Sono …