GIUSEPPE SCALARINI, UNA PENNA PUNGENTE. DALL’OSTILITA’ ALLA GUERRA DI LIBIA ALLA DIFESA DI TRIESTE ITALIANA

di Walter Galbusera | Il Taccuino di Walter Galbusera,  Presidente Fondazione Anna Kuliscioff Giuseppe Scalarini (Mantova, 29 gennaio 1873 – Milano, 30 dicembre 1948), ebbe una vita intensa e difficile. Disegnatore, giornalista e scrittore, socialista di fede e liberale di spirito, visse da protagonista i grandiosi movimenti politici e sociali a cavallo tra il XIX° e il XX° che accompagnarono l’emancipazione delle masse proletarie. Iniziò a scrivere nei giornali socialisti mantovani, per approdare nell’ottobre del 1911 alla redazione dell’Avanti! di Milano dove rimase fino al 1926, quando il fascismo soppresse la libertà di stampa. Difficile trovare nelle vignette in bianco e nero una capacità comunicativa, un grado di sintesi, un’inventiva inesauribile pari alla sua, basata sulla pura potenza del disegno. La sua “penna pungente” si oppose con intransigenza all’intervento in Libia e alla Prima guerra mondiale, di cui intuì la “tremenda modernità” distruttrice (fino ad allora inimmaginabile) di uomini e cose. I suoi avversari erano i borghesi, gli agrari, i militaristi, i profittatori di guerra e i preti che spesso contrapponeva alla figura di Cristo. Così come lo furono anche i socialisti “interventisti” in Libia e nella “Grande Guerra”. Combatté il fascismo da cui subì violenze e persecuzioni: aggredito, confinato e poi privato del diritto di firmare disegni o scritti. In un’Italia con milioni di analfabeti o semianalfabeti i disegni di Scalarini avevano il valore di articoli di fondo che quotidianamente su “l’Avanti!” ribadivano l’identità politica e sociale del giornale. La sua fu una figura limpida, coerente con le convinzioni che maturava e conseguente negli atteggiamenti e nei giudizi. Il suo acceso senso di ostilità pregiudiziale alla guerra lo portò a non fare sconti a nessuno. Neppure ad Ivanoe Bonomi, (unico politico italiano a ricoprire l’incarico di capo del governo prima e dopo la Seconda guerra mondiale) coetaneo e conterraneo e del quale era stato amico e compagno stretto di lotta politica. La condanna morale di Scalarini è netta: Bonomi, Bissolati ed altri ex socialisti sono passati dal socialismo alla borghesia. Nel 1921 compaiono le vignette più amare contro colui che era stato quasi come un fratello: Bonomi capo di un Governo che ha come alleati e simpatizzanti il Re, Don Sturzo e i fascisti ed è asservito al pescecane capitalista, Bonomi vestito da squadrista che uccide il Bonomi socialista, Bonomi in camicia nera che, armato di un nodoso randello, esegue la pena di morte nei confronti di un socialista. Quando il fascismo diviene dittatura a Scalarini è impedito di firmare qualunque cosa, si tratti di un disegno o di un articolo. L’astio di Mussolini nei suoi confronti è ancora molto forte. Il duce è rimasto profondamente colpito dalla vignetta dell’Avanti! pubblicata nel lontano 23 novembre 1914 in cui l’ormai ex direttore del quotidiano socialista viene presentato come un Giuda che accoltella il PSI, rappresentato da Gesù. Ironia della sorte, si tratta di una delle rare vignette in cui Scalarini disegna Mussolini. Serrati, allora direttore dell’Avanti! aveva dato l’ordine di ignorare del tutto l’odiato ex direttore. Scalarini per sopravvivere collabora ad alcune riviste, tra cui il Corriere dei Piccoli con disegni rigorosamente non firmati e pubblica nel 1930 un libro per bambini, Le avventure di Miglio”, firmato dalla figlia.Negli ultimi giorni della Repubblica di Salò riceve la visita di Carlo Silvestri, un vecchio compagno socialista che ora collabora con Mussolini e che gli porta i saluti del suo vecchio direttore. Scalarini li accetta e lascia a Silvestri un messaggio: “Non porto rancore……” Dopo il 1945 si occupa anche di illustrazioni pubblicitarie, attività già svolta negli anni in cui lavorava all’Avanti! prima del 1926. Ebbe tra l’altro una breve collaborazione con la “Pirelli” e lavorò alla realizzazione del logo pubblicitario del panettone Alemagna. Dopo la lunga notte del fascismo Giuseppe Scalarini torna con la sua tradizionale firma a rebus prima su l’Avanti! poi nel febbraio del 1947 su Mondo nuovo, quotidiano del PSLI, e disegna dal marzo all’agosto 1947 per la nuova testata dello stesso partito L’Umanità. Successivamente dall’aprile del 1948 all’agosto dello stesso anno ancora per l’Avanti! Il tratto della sua penna è quello di sempre. Il messaggio è trasmesso con chiarezza ed efficacia, gli argomenti sono in parte quelli di un tempo, ma non mancano i temi di attualità in un paese che cerca di risollevarsi dalla catastrofe in cui è piombato. In primo luogo, il pericolo di una nuova guerra, resa ancora più terrificante dagli ordigni nucleari. Scalarini riprende anche immagini simili a quelle di trent’anni prima e rappresenta la guerra come un enorme ragno con in capo la corona reale, che tenta di catturare nella sua tela una donna vegliante su una culla.Un altro tema che ritorna prepotentemente di attualità è quello della miseria e della disoccupazione (un proletario morente in una casa poverissima che si raccomanda alla moglie: “un funerale semplice, senza fiori”) accompagnato dalla denuncia dei nuovi pescecani che non conferiscono il grano agli enti pubblici incaricati della raccolta, ma alimentano la borsa nera. La figura di Gesù, in cui Scalarini identifica i valori del socialismo, si oppone alla gerarchia cattolica che fiancheggia la Democrazia Cristiana (“il prete politicante scaccia Cristo dalla Chiesa”, oppure “il falegname socialista ammonisce: nessun padrone!”). Appaiono anche i temi politici di maggiore attualità del secondo dopoguerra. Colpisce l’insistenza di Scalarini nel richiamare la questione di Trieste, del Moncenisio, di Briga e Tenda. Sono tutti territori che in parte l’Italia ha già perso a vantaggio della Francia o che, come Trieste, rischia di consegnare alla Jugoslavia. Nei disegni di Scalarini la perdita di Trieste, che “dall’esame del sangue risulta italiana”, vorrebbe dire l’amputazione di un ramo importante dell’albero che rappresenta l’Italia. L’ostilità nei confronti degli sloveni e di Tito è netta e rasenta il disprezzo quando disegna il confine tra i due paesi, costituito da due negozi: dalla parte italiana c’è una libreria, da quella slovena un negozio di polli. Oppure quando presenta gli sloveni con rozzi tratti somatici di lombrosiana memoria. Non è nazionalismo quello di Scalarini, ma la convinzione irremovibile che senza Trieste, parte integrante della storia e della …

QUI NUOVA YORK, VI PARLA RUGGERO ORLANDO

Ruggero Orlando nacque nel 1907 a Verona, suo padre, insegnante di matematica all’Università La Sapienza di Roma, morì sull’Isonzo nel 1915. Ruggero si iscrive all’università, facoltà di matematica, per lealtà verso il padre, ma la sua passione è il giornalismo. Nel 1936 inizia a collaborare all’Eiar, sostituendo i redattori del Giornale Radio che andavano in vacanza e scrivendo note biografiche su personalità italiane e straniere che diventavano di attualità morendo: “nel 1937 – ricordava Orlando – avevo scritto i necrologi di Guglielmo Marconi e di Angelo Musco, dissi in redazione all’Eiar, che allora stava in via Montello: meno male siamo giunti alla lettera m, senza che nessuno denunciasse il mio macabro augurio a Mussolini…” All’Eiar il direttore dei servizi giornalistici Pio Casali entra in contrasto con Carlo Franzero inviato da Londra, Ruggero Orlando è pertanto mandato nella capitale britannica a sostituirlo. Da Londra manda anche corrispondenze a La Gazzetta del Popolo e Il Messaggero, collabora anche alla Bbc per una sterlina al giorno, una bella cifra per quei tempi. Su invito di Nenni collabora con L’Avanti!, ma sospenderà la sua collaborazione dopo la firma del patto di collaborazione fra comunisti e socialisti. Scoppiata la seconda guerra mondiale viene arrestato, liberato successivamente dirige con compagni e connazionali redige Radio Italia, che il governo britannico finanzia come arma di guerra, i messaggi venivano trasmessi ad onde corte ed erano molto ascoltati in Italia dagli antifascista. Tornato in Italia nell’ultimo anno e mezzo di guerra, nel dopoguerra inizia a trasmettere nella neonata Rai, collabora con L’Opinione diretta da Franco Antonicelli, e con l’Avanti!. Nel 1938 Orlando si iscrive alla Sezione di Londra del Partito Socialista Italiano, e dopo aver sposato il 4 dicembre 1940 Friedl Bamberger, una tedesca di origine ebraiche costretta a lasciare il suo paese per sfuggire alle persecuzioni razziali, fu assoldato dal Political intelligence department, divenendo, con lo pseudonimo Gino Calzolari, uno dei principali redattori di Radio Londra, programma radiofonico in italiano curato dalla BBC nell’ambito dell’European Service. Nel 1941, con Umberto Calosso e i fratelli Paolo e Pietro Treves, fu tra i fondatori del Free Italy movement, sodalizio sostenuto dai laburisti inglesi e finanziato dallo Special operations executive per contribuire alla liberazione dell’Italia dal fascismo. Durante l’ultimo anno di guerra fu attivo anche in Italia come conduttore di trasmissioni dagli studi della RAI, sorta nell’ottobre 1944 dalle ceneri dell’EIAR, e come agente di collegamento tra le truppe angloamericane e i gruppi partigiani del basso Po. Di nuovo a Londra è corrispondente radiofonico della Rai da Londra dal 1948 al 1955, invia corrispondenze anche per Il Messaggero, per il settimanale Epoca, insieme con Luigi Barzini junior scrive il servizio sull’incoronazione di Elisabetta II. Ruggero Orlando si trova in Inghilterra il 20 gennaio 1948, quando viene ucciso il Mathama Gandhi. Affermatosi come uno dei principali referenti del socialismo italiano a Londra (dove nacque anche suo figlio Raffaello, futuro musicista e studioso di culture orientali), nel 1954, proprio mentre in Italia iniziava l’era della televisione, decise di trasferirsi negli Stati Uniti; vi rimase per quasi un ventennio, come inviato della RAI e come collaboratore di alcune testate, tra cui il settimanale L’Europeo. Il passaggio da Londra a New York coincide con l’avvento e la diffusione in Italia della televisione. Inizialmente manda servizi filmati dalle Nazioni Unite, dotate di studi televisivi, poi avrà un proprio studio ed operatori italiani in un centro della bassa città. Sarà corrispondente da New York per la Rai dal 1955 al 1972, corrispondente dall’America anche per L’Europeo, Il Gazzettino di Venezia. L’ufficio newyorkese di Orlando era una specie di attrazione turistica per chiunque arrivava dall’Italia: “mi veniva a trovare gente umile, cantanti, deputati, ministri, io intervistavo tutti, non so quanta della mia roba finisse in onda a Roma. Dicevo di avere probabilità di sopravvivere più a lungo dei miei colleghi della carta stampata, loro vedevano che veniva storpiati e tagliati i loro servizi, io non lo sapevo e quindi evitavo di farmene il sangue marcio. Per la visita di uomini di governo italiani arrivavano gli inviati speciali, i corrispondenti permanenti come me avevano però poco timore di questi concorrenti che si intendevano molto dei gusti personali del politico, ma poco dei problemi da toccare in America. Io me ne infischiavo, continuavo a fare il mio servizio americano”. E’ Ruggero Orlando ad intervistare Marylin Monroe e Frank Sinistra, ricevuto all’istituto italiano di cultura di New York. Ruggero Orlando trascorse in America 18 anni, quelli che vanno dalla presidenza Eisenhewer a quella di Nixon, a differenza dell’Europa negli Stati Uniti non era l’argomento preminente, quindi Orlando si occupa anche di costume. Le sue corrispondenze dagli Stati Uniti ne resero indimenticabili il volto e la voce: “Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando”. Il cenno della mano per chiudere il collegamento e salutare i telespettatori, la erre un po’ blesa, uno strano dimenarsi davanti alle telecamere, erano i tratti distintivi che fecero di Orlando non solo un inconfondibile giornalista, ma anche uno dei soggetti prediletti da Alighiero Noschese per le sue imitazioni. Aveva un rigido purismo, per il quale doveva sempre dire Nuova York e mai New York, ciò diventava modesto rigore nel dare le notizie con un linguaggio secco ed improvvisato, ma sempre chiaro e credibile. Raccontò agli italiani le vicende dei presidenti, la crisi di Cuba, la tragedia di Dallas e la lunga notte dell’allunaggio, quando dagli Stati Uniti andò su tutte le furie perché Tito Stagno, in studio da Roma, aveva anticipato di qualche minuto la notizia del primo storico passo di Neil Armostrong sul suolo lunare. Nel 1972 si dimise dalla Rai e si candidò nelle liste del Partito Socialista Italiano, sarà il primo dei non eletti, ma subentrerà a Riccardo Lombardi, capolista a Roma per ragioni di prestigio, ma che si era impegnato ad optare per il suo collegio milanese. Allorquando venne eletto la sua liquidazione della Rai venne decurtata del 50% dal fisco che l’aveva considerata parte del reddito annuo. “Da deputato andai al ministero delle finanze, sostenendo che la liquidazione era risparmio sulle …

QUANDO CON I RUBLI DI MOSCA NACQUE IL PSIUP

di Fernando Proietti  | L’ordine di pagamento fu impartito nel gennaio 1964, un mese dopo l’uscita dal Psi di Nenni dei “carristi” contrari alla formazione del primo governo di centrosinistra. Nel 1994 furono scoperti i documenti sul partito di Basso, Lussu, Foa e Vecchietti. Per Suslov la scissione avrebbe fatto danni al movimento operaio. Per Macaluso non fu solo un partito alla corte dell’Urss. Dei rubli, meglio dei dollari, ricevuti dal Psiup nel gennaio del ’64, alla vigilia della scissione socialista del teatro “Brancaccio” – la seconda dopo lo strappo di Palazzo Barberini operato nel ’47 da Saragat – fu trovata conferma negli archivi segreti di Mosca. La scoperta si deve a un cronista de “La Stampa”, Cesare Martinetti, che riuscì a mettere le mani su un fascicolo, preziosissimo, che così recitava: “(…) stanziare 240mila dollari per il Psiup da bilancio del Fondo sindacale internazionale per l’assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra presso il Consiglio nazionale dei sindacati della Romania (…). Assegnare al Kgb il compito di consegnare la somma attraverso il Pci“. La data dell’ ordine di pagamento, attraverso i servizi segreti dell’Urss, 6 gennaio ’64, non è un dettaglio di poco conto. L’uscita dei “carristi” del Psi dal partito di Nenni, per impedire l’esperienza del centrosinistra, si sviluppa, infatti, tra il 4-15 dicembre del ’63 (con il no al voto di fiducia al governo Moro e, poi, con l’ assemblea del”Brancaccio”) e il 10 gennaio del ’64, atto di nascita al Palazzo dei Congressi dell’Eur del Psiup di Basso, Valori, Foa, Vecchietti, Lussu. Va anche ricordato che se il Kgb mise mano al portafogli, la nomenklatura russa diffidava dell’ operazione politica.  La scissione del Psi rechera’ un grave danno al movimento operaio italiano”, riferiva al comitato centrale del Pcus Mikhail Suslov. Togliatti la considerava una “sciagura“. Parola di Emanuele Macaluso. Fin qui la storia, documentata, di una vicenda politica che sin dall’allora sembrava scritta non soltanto sui verbali delle assemblee sindacali, ma anche sui libri mastri del Kgb. Qualcuno ricorda ancora quando a Torino nell’agosto del ’68 Lucio Libertini, contrario a votare un documento di piena condanna per l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici (il Pci di Longo espresse, invece, “disapprovazione e dissenso”), alla fine di una assemblea incerta sul che fare si lasciò sfuggire questa battuta: “Compagni, prima di lasciare la federazione ricordatevi di spegnere la luce perchè la bolletta la paga Mosca!” Silvano Miniati, impegnato nel sindacato pensionati dell’ Uil, in un agile e prezioso volumetto (“Psiup. 1964 – 1972, Vita e morte di un partito”, Edimez editore 1981), rivela come il suo partito avesse fatto “ricorso alla solidarietà internazionale anche sul piano finanziario”. Nel suo ultimo libro, “Oro da Mosca” (Mondadori), Valerio Riva dedica un intero capitolo, “50 miliardi per abbattere Nenni“, all’operazione scissione tra i socialisti di Nenni e i “carristi” di Basso e Vecchietti. Infine Bettino Craxi. “Ricordo che poco prima di morire Lelio (…) mi disse che non reggeva più la vita nel Psiup. Fu chiarissimo. Mi disse che il Psiup era un partito finanziato dall’Urss e sistematicamente al servizio dell’Urss”. Già , “un partito alla corte di Mosca“. Eppure alla scissione del ’64 parteciparono in molti. Alcuni giovanissimi e di estrazione politica diversa. Osserva Emanuele Macaluso nel saggio “Da cosa non nasce cosa” (Rizzoli) scritto a quattro mani con Paolo Franchi: “Teniamo conto che nel Psiup non confluisce solo la componente morandiana, di sinistra, ma tutto un composito pezzo del socialismo italiano. C’erano Basso e Foa. C’erano vecchi massimalisti come Malagugini, Schiavetti, Targetti. C’era Emilio Lussu (…)”. Al momento di respingere il “primo abbraccio della sinistra alla Dc“, sono una folla al teatro “Brancaccio”. C’è chi scorge un giovanissimo Giuliano Amato tra gliscissionisti. “L’ho letto da qualche parte, io non lo ricordo. Ma in quegli anni Giuliano era un professorino alle prime armi (…)”. “Dei giovani socialisti se neandarono in tanti, ma non Vincenzino Balzamo, che lavorava al giornalino del laFgs “La conquista“. Ma nella nuova avventura si buttano senza esitazioni Alberto Asor Rosa, uscito dal Pci proprio dopo l’invasione dell’ Ungheria, Silvano Andriani, all’epoca consigliere del Monte dei Paschi di Siena, Fausto Bertinotti, allora giovane sindacalista della Cgil, Luigi Genise, poi portavoce di Craxi, Andrea Margheri, che ora già consulente di Palazzo Chigi, Giacinto Militello, ex presidente dll’ Inps, Alessandro Menchinelli, proboviro del Psi sia con Craxi sia con Benvenuto. L’elezione del primo consiglio nazionale del Psiup riserva altre sorprese. Nel “parlamentino” entrano Gianni Alasia e Walter Alini, segretari delle Camere del lavoro di Torino e Milano, Giuseppe Avolio dell’Alleanza contadini, i professori universitari Alberto Cirese, Cesare Musatti e Bruno Pincherle. Nonchè numerosi deputati e senatori del Psi di Nenni. “La nascita del Psiup non fu un evento imprevisto”, osserva ancora Silvano Miniati. “Alla sua costituzione si arrivò – prosegue – attraverso un lungo e contraddittorio processo sviluppatosi all’interno del Psi”. Ma non fu una “diaspora” tra socialisti. La sua fine è , invece, nota. Dopo la batosta elettorale del ’72 i militanti del Psiup si ritrovano a Firenze. Tocca a Silvano Miniati ordinare di sciogliere le righe. Ma Vittorio Foa non ci sta: “Nell’atto di separarci dai compagni coi quali abbiamo avuto una apprezzabile esperienza comune dobbiamo guardare al di là del nostro partito”. Già , “la politica non ha scorciatoie”. “Psiup, un partito inopportuno” Gaetano Arfe’ SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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IL “VORWÄRTS”, ORGANO CENTRALE DELLA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA

di Gianni Copetti | Il “Vorwärts” (Avanti!) nasce come organo centrale della socialdemocrazia tedesca il 1 ottobre1876: con l’unificazione del partito socialdemocratico dei lavoratori e dell’associazione generale tedesca dei lavoratori durante il congresso di Gotha vengono unificati anche i giornali di partito. Nell’ottobre 1978 la legge bismarchiana volta a soffocare il movimento socialista pone fine alle pubblicazioni socialdemocratiche. La risposta all’autoritarismo viene dall’esilio: dalla fine disettembre 1879 (a Zurigo) e dal 1888 (a Londra) esce come organocentrale “Il socialdemocratico“. Tra i direttori figurano personaggicome Georg von Vollmar e,a partire dal 1881, Eduard Bernstein. La caduta di Bismarck libera la socialdemocrazia dalla clandestinità.L’ultimo numero de “Il socialdemocratico” del 27 settembre 1890, ormai con il sottotitolo “organo della socialdemocrazia di lingua tedesca”, si congeda dai suoi lettori in quanto giornale pubblicato all’estero. Durante lo stesso anno la socialdemocrazia diventa, con più di 1.4milioni di voti, il primo partito in Germania.Il 1 gennaio 1891 il “Vorwärts” riappare con il sottotitolo “giornale popolare di Berlino“, di nuovo come organo centrale. Wilhelm Liebknecht ne é il direttore fino alla sua morte nel 1900.  Nell’agosto 1914 scoppia la prima guerra mondiale. Il 4 agosto, la socialdemocrazia nel Reichstag vota in favore dei crediti per laguerra. La dichiarazione del gruppo parlamentare socialdemocratico, come fu pubblicato dal “Vorswärts” in data 5 agosto 1914, dice tra l’altro: “Adesso ci troviamo difronte al fatto ferreo della guerra. Siamo minacciati da invasioni da parte dei nostri nemici. Non é compito nostro votare pro o contro la guerra, ma dobbiamo decidere sui mezzi finanziari necessari per la difesa del paese…Chiediamo che venga posto termine alla guerra, non appena sarà assicurata l’incolumità della nostra cultura e l’indipendenza del nostro paese e non appena gli avversari saranno propensi ad una soluzione pacifica, tramite una pace che renda possibile l’amicizia con i popoli limitrofi…Speriamo che la crudele esperienza delle sofferenze della guerra faccia nascere in futuro in milioni di uomini l’orrore della guerra e faccia si che essi si schierino dalla parte degli ideali del socialismo e della pace tra i popoli”.  Il 9 novembre 1918 Guglielmo II abdica al trono. Già nel dicembre 1918 si fanno sentire le prime avvisaglie della rivolta spartachista che nel gennaio 1919 cercherà di impedire l’elezione dell’Assemblea Nazionale di Weimar. Il 6 gennaio 1919 i ribelli occupano la sede del “Vorwärts” di Berlino. L’occupazione durerà fino all’11 gennaio, qundo una unità di volontari espugna l’edificio. Si registrano 300 prigionieri tra gli occupanti e 5 morti tra le forze governative. L’11 febbraio 1919 l’Assemblea nazionale di Weimar elegge il socialdemocratico Frederich Ebert come primo capo dello stato repubblicano (277 voti in favore su un totale di 379). Pochi giorni dopo, il 13 febbraio, Ebert, in un incontro con la stampa, dice tra l’altro: “Ora dovranno maturare i tempi per il socialismo”. Nel corso del marzo 1920, durante i disordini causati dal putsch di Kapp, il Cancelliere Gustav Bauer sposta temporaneamente la sede del governo a Stoccarda. La sede del “Vorwarts” viene nuovamente occupata. Sotto l’impressione dell’assasinio del ministro degli esteri Walter Rathenau, si riduce nel settembre 1922 l’unità del movimento socialista tramite l’unificazione tra la SPD e l’USPD. In quest’anni la SPD possiede 169 giornali e 134 tipografie. Come holding viene fondata nel 1925 la”Konzentration” con la ragione sociale di una società per azioni.  Subito dopo l’avvento di Hitler al potere, il 3 febbraio 1933, il “Vorwarts” viene soppresso, dopo una irruzione di squadracce SA nella redazione. Puo’ uscire nuovamente, ma solo per pochi giorni fino a quando le implicazioni dell’incendio del Reichtag portano alla soppressione definitiva ed alla distruzione del potere editoriale della SPD. Nel marzo dello stesso anno viene soppresso per la terza volta nell’arco di poche settimane; la redazione teme che questo divieto sia di più lunga durata. Il “Vorwarts” cerca comunque di mantenera stretti legami con gli abbonati. Nel giugno 1933 esce a Karlsbad il “Neuer Vorwarts”, di nuovo in esilio; poi, dopo la occupazione hitleriana della Cecoslovacchia, la redazione si traferisce a Parigi (dal 1938), dove il giornale prenderà la denominazione di “journal antihitlerien“; in francese “En avant! Hebdomadaire en langue allemande“; in data del 24 settembre 1939 esso pubblica a caratteri cubitali la morte di Otto Wels, Presidente della SPD che nella data storica del 23 marzo 1933 prese la parola come ultimo esponente socialdemocratico prima che la democrazia fosse soffocata dal dominio nazista, per motivare il no compatto della SPD alla legge plenipotenziaria. Egli allora disse tra l’altro: “Ci potranno togliere la libertà e la vita, ma non l’onore“. Seguono gli anni bui della seconda guerra mondiale L’11 settembre 1948 il “Vorwarts” riprende la pubblicazione come organo centrale, titolo che verrà abolito nel 1955. In data del 3 ottobre 1976 il “Vorwarts” esce in veste nuova: formato tabloid, una vignetta in prima pagina, come “settimanale socialdemocratico”. La tiratura si aggira intorno alle 50 mila copie settimanali, con tendenza all’aumento.Il 7 dicembre 1979 il Congresso della SPD a Berlino vota una mozione che riguarda l’impostazione del “Vorwarts”.“La direzione dovrà impegnarsi affinché sia garantita l’esistenza del “Vorwarts” come punto di confronto critico per i militanti del partito e per i simpatizzanti. Proprio l’analisi critica di problemi attuali e futuri, di prospettive socialdemocratiche e di impostazioni politiche diverse fanno del “Vorwarts” una fonte importante di informazioni”. Vorwärts – AVANTI! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GAETANO PILATI

di Maurizio Degl’Innocenti | Gaetano Pilati nacque nel 1881 a San Lazzaro di Savena (Bologna). Primo figlio di una famiglia mezzadrile, a cui seguirono i fratelli Alfonso, Alfredo e Maria. Nonostante il basso livello di istruzione il padre era tra i pochi che leggeva le riviste. Gaetano coltivò la lettura, e si fece una preparazione personale sui manuali Hoepli. La sua scrittura manifestava una sufficiente sicurezza grafica, ma con un disinvolto uso della sintassi e della grammatica. Manifestando una precoce attitudine alla intraprendenza creativa, con un amico prese in affitto terreni vicini al podere paterno e cominciò ad adattare gli arnesi dei campi e i telai di cui si servivano i contadini in casa. Sembra che si costruisse da solo uno strumento musicale imparandolo a suonare, fino a mettere su un’orchestrina. Comunicativo e sociale, scrisse e recitò zirudele, storielle per le feste e le veglie, in campagna. In tali occasioni incontrò Amedea, la futura compagna della vita, anch’essa di povera famiglia contadina. Insieme decisero di crearsi un mondo nuovo, abbandonando quello patriarcale e tradizionale della campagna, e nel 1907 si trasferirono in città, a Firenze. Una città “altra” rispetto alla più vicina Bologna. Fu una scelta anticonformista. Gaetano e Amedea si sposarono nel 1908, e nel luglio 1909 nacque Bruno. A Firenze prese domicilio nel vicolo Morosi, dove risiedeva anche Augusto Mingozzi, compaesano. E mentre Amedea faceva la stiratrice, Gaetano intraprese diversi mestieri prima di essere assunto come manovale dall’impresa edile Donini, che aveva l’appalto della caserma della cavalleria sul Lungarno Pecori Giraldi. Il passaggio dalla condizione di lavoratore dei campi a quella di operaio edile era un passaggio tradizionale, il più semplice. Nella periferia popolare di Firenze Gaetano ricreò un mondo proprio, innanzitutto intorno agli affetti famigliari, e poi coltivando solide relazioni interpersonali: qui potette realizzarsi finalmente nel e con il lavoro. Insomma, sia sotto l’uno sia sotto l’altro profilo fu protagonista di se stesso, al di fuori di vincoli tradizionali, pregiudizi, subordinazioni come quelli che legavano il mezzadro al “padrone”. Gaetano era e si sentiva libero. Dalla corrispondenza con il fratello si evidenziava lo scontro tra due mondi: quello patriarcale del padre, mezzadro, che avrebbe voluto tenere riunita a sé la famiglia, diffidente verso l’innovazione e il futuro; e quello del giovane Pilati, già animato dal desiderio “di combattere le paure e le superstizioni dei contadini”, e che nulla temeva (“io lasciai Bologna mi buttai in Firenze senza amici né conoscenti ma senza paura”). Scrivendo al fratello il 14 aprile 1908, prevedeva le difficoltà di riunire la famiglia nell’eventualità che anche i fratelli si ammogliassero, e comunque negava per sé l’ipotesi di tornare alla condizione di contadino “avendo avuto ora l’esperienza che in qualsiasi mestiere si sta meglio di molto e si guadagna di più”. Fu invece lui a esortare i fratelli a compiere il suo medesimo passo (“io non vi voglio sforzare, pensateci voialtri due che è questo il momento di farmi una posizione”), tanto più che la prospettiva di riscatto politico nelle campagne gli sembrava di lungo periodo (“prima che tra i contadini si sia costituita una Lega cosciente da poter lottare sarà ancora lungo lo sperare e poi in ultimo il contadino deve sparire per potere liberamente lottare contro il capitalismo”). Che cosa rappresentava per un ex-mezzadro il lavoro dipendente, da muratore, in una città? Ricorrendo alle parole dello stesso Pilati: entrate più abbondanti, “tranquillità e mondo più semplice, più bello e comodo di vivere”, ospedale in caso di bisogno, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, “festa e sera di libertà senza paura del secco e della grandine”. L’accenno ai “comodi” e alle entrate più certe, ma anche ai “nuovi” bisogni di sicurezza sociale sembrava preludere alle motivazioni che avrebbero portato nel secondo dopoguerra i giovani rurali all’esodo dalle campagne. Il successo personale e in pubblico non ne modificarono tuttavia la mentalità e il carattere schietto e semplice dei comportamenti, che rimasero quelli di un lavoratore, dei campi o muratore. Quando finalmente abitò in una casa di proprietà, essa venne ammobiliata con gusto ma in modo sobrio, con gran parte dei mobili costruiti da sé medesimo. E’ significativo che già residente in città scrivendo al fratello mostrava di non avere dimenticato “il linguaggio dei campi”, scandendo i tempi con le stagioni dei lavori campestri. Il 29 maggio 1908, dopo avere assicurato piena salute per sé e la moglie, scriveva: “qui splendida campagna uva abbondante; hanno fatto ora la prima annaffiatura di solfato”. E il 28 giugno 1908: “Qui fa caldo la mietitura è al temine”. Collocandolo all’interno dell’ambiente antifascista fiorentino, così si espresse Salvemini: “L’uomo certamente più notevole, per intelligenza e carattere era Gaetano Pilati. Aveva cominciato la vita dalla cazzuola… quando andava a Roma per le sedute parlamentari, neppure desinava in trattoria; comprava in rosticceria un po’ di frittura, che mangiava in piedi, come quand’era muratore. La probità e competenza gli avevano assicurato la fiducia delle banche, e costruiva interi blocchi di case”. Non meno significativa fu la volontà di ricreare a Firenze, presso di sé, l’unità famigliare: il retaggio contadino! Sopra il magazzino del cantiere di proprietà in Via Aretina, si tirò su da solo, un po’ alla volta, i locali dove via via chiamò i famigliari. Alfredo e Alfonso entrarono in società con Gaetano nel 1914, Maria fece la domestica e magazziniera in uno scatolificio di Via Masaccio. Infine anche i genitori si ricongiunsero con i figli. La prospettiva sempre perseguita di indipendenza personale e di auto-emancipazione, la spinta verso l’innovazione, il culto del fare e del lavoro come valore, il costante rapportarsi agli altri, la percezione di un destino condiviso, la frequentazione di un ambiente già predisposto alla acculturazione sociale e politica costituirono il terreno favorevole per il suo passaggio al socialismo, fino all’adesione convinta e sempre più partecipata. Così scriveva al fratello il 1° maggio 1908: “Oggi primo e unico primo Maggio che io abbia avuto il piacere di festeggiare con vera soddisfazione. Qui ad occasione della giunta comunale popolare ha avuto una straordinaria manifestazione benché le classi siano …

IL COOPI, DA PIU’ DI UN SECOLO A ZURIGO. UNA LUNGA BELLA STORIA

di Lorenzo Spignoli | E niente, è successo che i miei figli mi hanno regalato una di quelle piccole diavolerie con cui è possibile leggere i libri in formato digitale. Resto e resterò sempre un affezionato frequentatore e cliente delle librerie, e mai niente potrà sostituire per me il fascino del profumo della carta, dei colori di una copertina, il piacere dello sfogliare. Però ho accolto volentieri il regalo, come un integrativo, come l’occasione, semmai, di rintracciare scritti scomparsi, trovare qualche chicca che non è più su carta, avere una finestra in più sulla produzione editoriale. Così ho acquistato alcuni titoli, fra cui Romanza di Zurigo di Francesca Mazzucato. Zurigo ha sempre esercitato su di me un fascino particolare, per le sue vie, i suoi palazzi, il fiume-lago e le cattedrali, le atmosfere e la storia. La storia dei grandi personaggi come Joyce, Jung, Goethe, ma anche le storie dei tanti nostri emigrati ed esuli, che si sommano in una incredibile stratificazione che ancor oggi vive, non soltanto nei ricordi. Zurigo è fra le città più care d’Europa, ma contemporaneamente anche fra le più ricche di episodi della vita del proletariato e della sinistra. E nel libro di Francesca Mazzucato ho ritrovato un ricordo, bello e coinvolgente, che avevo accantonato, quasi dimenticato. Il Coopi (Ristorante Cooperativo) si trova nel centro della città, al numero 6 di St. Jakobstrasse. Esiste dal 1905. Fu creato dalla Società Cooperativa Italiana di Zurigo, fondata da immigrati socialisti. Fra loro vi erano anche il romagnolo Domenico Armuzzi e l’emiliano Enrico Dezza. Lo scopo originario era quello di poter offrire pasti di buona qualità a prezzo calmierato (gratis per coloro che non potevano permettersi neppure il prezzo calmierato) e anche un luogo di ritrovo (gli italiani politicamente impegnati avevano la consuetudine di riunirsi la domenica mattina) dove ci si potesse sedere ai tavoli senza l’obbligo della consumazione. Al ristorante si affiancarono poi una piccola libreria, una scuola per i figli degli emigrati e la redazione di un giornale: L’Avvenire dei Lavoratori, che viene edito ancor oggi sotto forma di newsletter. Filippo Turati e Giuseppe Modigliani arrivavano al Coopi ad arringare i lavoratori. Pare che il discorso ufficiale per le celebrazioni del 1° maggio 1913 venne a tenerlo un Benito Mussolini ai tempi ancora socialista. Lenin vi consumò l’ultimo pasto zurighese, nel 1917, prima di salire sul treno che lo portò a Pietroburgo e a capo della rivoluzione russa. Probabilmente si trattò di cappelletti, di cui era particolarmente ghiotto. Già allora i buontemponi chiamavano il locale “Marx e pastasciutta”. Poi furono di casa al Coopi anche Pietro Nenni, Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Ignazio Silone, Sandro Pertini e tanti altri. Quando i nazisti occuparono Parigi, il Centro Estero Socialista si spostò al Coopi. Anche l’Avanti! fu stampato lì. Nello stesso periodo, al piano superiore, fu istituita la Scuola Libera Italiana, diretta dal professor Fernando Schiavetti, di fede mazziniana. Per quegli anni presso il Copi si cementò la collaborazione fra socialisti, repubblicani e anarchici. Nel dopoguerra il locale divenne punto di riferimento anche della sinistra zurighese, continuando a contare pure un fervido attivismo svolto dai socialisti ticinesi che si erano insediati nella città. Lì si organizzarono le azioni di contrapposizione alle iniziative xenofobe di Schwarzenbach che voleva rispedire gli italiani a casa loro. Il vento di Tangentopoli ha spazzato via una intera classe dirigente del socialismo italiano con le sue strutture, le sue sedi, le associazioni collaterali, non facendo distinzione alcuna fra coloro a cui erano imputati comportamenti illeciti e quelli che invece continuavano a rappresentare un grande ideale nel modo più onesto e corretto. Il Copi no, il Copi è rimasto in piedi, attivo e solido, e ha continuato a produrre socialità, cultura e iniziative politiche, sempre seguendo il vecchio solco, con Ezio Canonica, Ettore Cella-Dezzi, Andrea Ermano e tanti altri. Non è stato sempre collocato nella sede attuale. All’inizio era in Zwinglistrasse, poi in Militarstrasse e ancora in Strassburgstrasse e in Paradeplatz. Ha girato molto, però più o meno sempre nella stessa zona della città. Me ne aveva parlato il mio maestro e predecessore Ezio Boattini, che aveva vissuto una parte della propria gioventù come emigrato in Svizzera. Approfittai, anni fa, di una veloce gita a Zurigo con amici per due gesti di cuore. Nel pomeriggio presi il treno per Rapperswil e andai a rendere omaggio all’amico Felix, architetto e assessore della città delle rose, scomparso prematuramente. Aveva voluto che le sue ceneri fossero disperse sul lago ed è lì che andai a salutarlo. In serata rientrai e andai a cena al Coopi. Non ricordo assolutamente cosa mangiai. Ricordo però la bella atmosfera, i commensali sorridenti, i quadri di Mario Comensoli alle pareti. Oggi se vai su Tripadvisor vedi che un avventore ha definito il locale gemutlich (che dovrebbe significare, più o meno, intimo, avvolgente, semplice, come a casa) Quando mi presentai, arrivò un signore, un compagno, a sedere al mio tavolo. Bevemmo assieme, o meglio brindammo, e mi raccontò la loro bella storia, compreso l’aneddoto riguardante Bertold Brecht. Il drammaturgo era arrivato al Coopi nei primi anni ’50 e aveva subito chiesto come mai accanto al ritratto di Marx non ci fosse quello di Stalin. “Perché qui per i dittatori non c’è posto neanche sui muri” era stata la risposta. Sono grato a Francesca Mazzucato per avermi restituito questo caldo ricordo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’ADDIO AD ARIS ACCORNERO, UNO STUDIOSO CHE RIMARRA’ PUNTO DI RIFERIMENTO SUL LAVORO

Nella notte tra il 21 e il 22 ottobre è venuto a mancare Aris Accornero, un grande studioso del mondo del lavoro, da sempre amico di Rassegna Sindacale, il giornale della Cgil, di cui è stato anche direttore dal 1968 al 1971. Nato ad Asti nel 1931, professore emerito di Sociologia industriale presso l’Università La Sapienza di Roma, era stato anche dottore emerito in Giurisprudenza, titolo conferitogli nel 2000 dall’Università di Ferrara. La sua esperienza nel mondo del lavoro inizia nel 1946 come operaio, alla Riv di Torino, da cui viene licenziato nel 1957 per rappresaglia in quanto comunista. Nel 1959 venne pubblicato il suo primo libro “Fiat confino. Storia della Osr” (1959), cui seguirà la pubblicazione di numerosi saggi, tra cui “San Precario lavora per noi” (2006), fino all’ultimo “Quando c’era la classe operaia”. Storie di vita e di lotte al Cotonificio Valle Susa (2011). La sua attività di studio e di ricerca è stata di riferimento per numerose analisi del lavoro. Ha curato l’annuale rapporto Cnel sul mercato del lavoro. Ha scritto la voce “lavoro” per l’Appendice 2000 dell’Enciclopedia Treccani.      Faceva parte della direzione de Il Diario del Lavoro ed era nel comitato editoriale dei Quaderni di Rassegna Sindacale. Aris Accornero viene ricordato su Rassegna Sindacale da Patrizio Di Nicola, professore di Sociologia della organizzazione e dei sistemi avanzati all’Università La Sapienza di Roma. “Aris Accornero è stato uno dei miei professori alla facoltà di Sociologia di Roma. Anzi no, è stato “il” mio professore. Con lui ho preparato nel 1981 la tesi di laurea, che ho discusso un anno dopo. Era la prima volta anche per lui: era arrivato all’accademia dopo essere stato operaio (“specializzato” ci teneva a specificare) alla Riv, poi licenziato per rappresaglia, poi giornalista all’Unità, poi sindacalista e infine sociologo dell’industria, tra i migliori in Italia. A metà degli anni ’90, quando già collaboravo con lui da qualche tempo, gli chiesi di raccontarmi la “sua” fabbrica. Mi disse tra l’altro che, dopo 11 anni che ci lavorava, essendo un operaio “che sapeva leggere e scrivere”, si mise a produrre per la commissione interna il giornale di fabbrica. Fu licenziato. Non che non se lo aspettasse, ma gli dispiacque molto di non essere riuscito a terminare la raccolta dei questionari sugli operai per la sua prima ricerca sociologica. Molti anni dopo tornò a Torino su invito del management della Fiat per un seminario sugli anni ’50 in fabbrica e stupì tutti, “perdonando” Valletta per averlo licenziato: in fin dei conti la sua vita ne aveva guadagnato. Lavorare con Aris era una scoperta continua, e anche un divertimento (ma solo se studiavi molto). Preparare un questionario per una ricerca significava innanzitutto rispettare un rigore metodologico, che discendeva dai grandi studiosi: Max Weber, Robert Merton, Paul Lazarsfeld. Una volta trovate le domande perfette ci chiedeva di “indovinare” la percentuale di risposte che ognuna avrebbe ottenuto. Era un modo per misurare la sensibilità sociologica di studenti e ricercatori e la conoscenza dei fenomeni che si volevano studiare. Inutile dire che il migliore in questo “gioco” era Aris. La sua cultura sociologica era immensa, e lo si capisce dai molti e importanti libri che ha scritto, a cominciare da “Il lavoro come ideologia” del 1980, in cui anticipa il venir meno della retorica “eroica” sul lavoro, ricordando che di questo conta il senso e non la nobiltà, sino ai più recenti, dedicati al sindacato, ai nuovi lavori e a quelli precari, alle lotte delle operaie della Val di Susa. Il suo libro di testo Il mondo della produzione, pubblicato per la prima volta nel 1994, per quasi 25 anni è stato aggiornato, espanso e curato, in modo da rimanere una lettura indispensabile per chi vuole capire la sociologia del lavoro e dell’industria. Credo che a lui piacerebbe essere ricordato anche per l’impegno nei confronti degli studenti. Come ho già ricordato in un’altra occasione, quando Aris fu convocato dal presidente della Repubblica, in uno dei pomeriggi che dedicava al ricevimento degli studenti, mise in bacheca un annuncio con il quale si scusava molto con gli studenti per essere costretto ad arrivare in ritardo. Questo era Aris Accornero, il mio maestro, un professore come pochi. Mancherà a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RANIERO PANZIERI

RANIERO PANZIERI – 9 OTTOBRE 1964 Se un uomo come Panzieri restò nel PSI anche nella fase della maggiore “comunistizzazione e stalinizzazione” di questo partito è perché nel PSI aleggiava una storia nella quale la LIBERTA’ (la libertà di ricerca, la libertà politica, la libertà del cittadino) aveva sempre avuto un peso straordinario. [Emanuele Macaluso] Raniero Panzieri nacque a Roma il 14 febbraio 1921 da Alfredo e da Ines Musatti. Dopo aver terminato gli studi medi superiori al liceo Mamiani, nel 1940 si iscrisse al Pontificium institutum utriusque iuris, non potendo frequentare le università pubbliche, in quanto proveniente da una famiglia ebraica, a causa delle leggi razziali emanate dal 1938. Dopo l’8 settembre 1943 si rifugiò nella basilica di San Giovanni in Laterano e, alla liberazione di Roma (4-5 giugno 1944), iscrittosi al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), iniziò a lavorare al Centro studi socialisti, avvicinandosi progressivamente alle posizioni della corrente di sinistra guidata da Rodolfo Morandi. Sostenuti tutti gli esami presso il Pontificium institutum, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Urbino, dove il 30 ottobre 1945 si laureò con Arturo Massolo con la tesi L’utopia rivoluzionaria nel Settecento. Il «Code de la Nature» (1755). Nel marzo 1946 cominciò la collaborazione con l’Istituto di studi socialisti diretto da Morandi, che lo chiamò a far parte della segreteria di redazione della rivista Socialismo. Nel settembre dello stesso anno fu inviato a Bari a svolgere lavoro politico presso la locale federazione del PSIUP, guidata da Ernesto De Martino: l’incontro con l’antropologo, nonostante i contrasti sorti, fu all’origine dell’interesse di Panzieri per il mondo delle classi subalterne e per i temi di quella che successivamente sarà definita «inchiesta operaia». Nel mese di gennaio del 1948 intervenne al XXVI congresso del Partito socialista italiano (PSI), tenutosi a Roma, schierandosi a favore della costituzione delle liste del Fronte popolare. Dopo le elezioni del 18 aprile, vinte dalla Democrazia cristiana (DC), aderì alla mozione della sinistra, guidata da Pietro Nenni e Morandi, che si trovò però in minoranza al congresso di Genova. Per Panzieri, la duplice sconfitta aprì un periodo di grave incertezza sul proprio futuro politico, che lo portò a meditare se iscriversi al Partito comunista italiano (PCI). Nel settembre 1948 sposò Giuseppina (detta Pucci) Saija – da cui ebbe tre figli: Susanna, Davide e Daniele – e, alla fine dell’anno, grazie a Galvano Della Volpe, ottenne l’incarico, che tenne per tre anni, di filosofia del diritto alla facoltà di lettere dell’Università di Messina. Nell’estate 1949, dopo il congresso socialista di Firenze, che riportò la sinistra alla maggioranza, assunse in Sicilia incarichi di direzione politica e, nel marzo 1950, guidò l’occupazione delle terre sui monti Nebrodi (l’anno seguente fu processato e assolto): Panzierì definì questa esperienza come il proprio «punto di Archimede» nella ricerca di una rinnovata identità socialista avente come obiettivo la «rivoluzione democratica» (L’alternativa socialista, 1982, pp. 133 s.). Nel gennaio 1951 partecipò, come delegato della Federazione di Messina, al XXIX congresso nazionale del PSI, tenutosi a Bologna e, su proposta di Nenni, fu eletto membro del Comitato centrale e della Direzione e, pochi mesi dopo, fu nominato segretario regionale in Sicilia. Nell’aprile 1953 assunse l’incarico di responsabile nazionale della stampa e della propaganda (lasciato nel maggio 1955, quando passò alla guida del settore culturale), opponendosi senza successo all’allontanamento di Gianni Bosio, da parte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli con l’accordo della Commissione culturale del PCI, dalla direzione della rivista Movimento Operaio. Nel luglio dello stesso anno uscirono, per le Edizioni Rinascita, i due volumi del libro II del Capitale di Karl Marx, tradotti dalla moglie Giuseppina in collaborazione con Panzieri stesso (seguirono le traduzioni della Situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels e, per le Edizioni Avanti!, della Critica del programma di Gotha di Marx). In quel periodo curò l’organizzazione di alcuni importanti convegni: in difesa del cinema italiano (Venezia, settembre 1954) e sulla libertà della cultura (Bologna, settembre 1954). Quest’ultima iniziativa si concluse con una sessione del Comitato centrale del PSI sul medesimo tema, nel corso del quale Panzieri svolse la relazione principale sottolineando l’inadeguatezza della cultura di sinistra nel comprendere le trasformazioni della società italiana. Panzieri promosse inoltre il convegno su Rocco Scotellaro nel primo anniversario della morte (Matera, febbraio 1955, con la partecipazione di Franco Fortini e Carlo Levi). Anche attraverso questi convegni, Panzieri riuscì a creare una rete di intellettuali che, semplificando, si potrebbero definire «marxisti critici» o appartenenti alla tradizione del «socialismo di sinistra». Nel settembre-ottobre 1955 fece parte della delegazione del PSI guidata da Nenni che compì un viaggio nella Repubblica popolare cinese, e incontrò Mao Zedong. Nell’aprile 1956 fu uno dei fondatori dell’Istituto Rodolfo Morandi, con lo scopo di pubblicare gli scritti del vicesegretario del PSI, morto l’anno precedente. Di fronte all’invasione sovietica dell’Ungheria, nel suo discorso al Comitato centrale del 16 novembre 1956 condannò l’intervento, ma criticò l’identificazione tra stalinismo e comunismo compiuta da Riccardo Lombardi. Per Panzieri, infatti, lo stalinismo, anticipando la trasformazione dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo effettivo delle forze produttive, aveva attuato la separazione di fatto del controllo dei mezzi di produzione dai produttori. La soluzione della crisi richiedeva quindi, attraverso il recupero di tutta la tematica consiliare del Gramsci dell’Ordine Nuovo e del giovane Morandi, il ritorno del movimento operaio alla sua autonomia, attraverso la creazione di nuove forme di democrazia diretta sul piano delle strutture produttive. Sul piano internazionale Panzieri respingeva completamente la concezione dello Stato-guida, attraverso una ripresa dei temi dell’internazionalismo proletario, con una particolare attenzione agli sviluppi della rivoluzione cinese e ai fenomeni di decolonizzazione. Nel gennaio 1957 svolse la relazione introduttiva e le conclusioni al convegno Azione politica e culturale, tenutosi al circolo Carlo Pisacane di Roma, riaffermando il rifiuto della partiticità della cultura intesa come direzione burocratica che riduce la ricerca culturale a strumento tattico dell’azione politica. L’attenzione per questi temi, nell’ottica della morandiana «politica unitaria» (cioè dell’unità di classe dei lavoratori), costituì il filo rosso degli ultimi anni di impegno politico (e di vita) di Panzieri. Al …

RICORDO DI FERNANDO SANTI

Nella foto Fernando Santi precede Giusepppe Saragat durante le operazioni di voto per eleggere il Presidente della Repubblica, svoltati tra il 2 ed il 6 maggio 1962. Nell’occasione fu eletto Antonio Segni. Discorso pronunziato al Teatro Regio di Parma l’11 ottobre 1970 in occasione del primo anniversario della morte. Riccardo Lombardi Compagni, amici, cittadini di Parma, della Parma della Resistenza, della Parma d’Oltretorrente, della Parma di Picelli, della Parma di Fernando Santi, voi comprendete la mia profonda emozione nell’introdurre questa commemorazione di colui che, senza nessuna affettazione, posso considerare, oltre che il mio più caro compagno, il più caro amico di decenni. Fernando Santi è stato uno di quegli uomini la cui figura, il cui insegnamento – egli che si dava delle arie così poco pedagogiche – risulta sempre maggiore quanto maggiore è la distanza nel tempo dalla sua scomparsa; oggi misuriamo davvero, ogni giorno di più, quello che ci è mancato, quello che ci manca. Tutti ricordate la sua figura umana, quel suo modo ironico e scanzonato che appariva agli indifferenti o ai superficiali come un atteggiamento scettico, ed era invece un atteggiamento di pudore; quel suo pudore che gli consigliava, e gli consigliò sempre l’enorme responsabilità che egli attribuiva ad ogni parola, ad ogni comunicazione, poiché le parole, per Fernando Santi, erano generatrici di azioni e quindi premessa di una responsabilità, per chi parlava e per chi ascoltava. Egli ebbe questa straordinaria capacità di tradurre in termini semplici, non semplicistici, le elaborazioni, i risultati più complessi, anche i più sofisticati. Questa sua capacità di semplificazione, di ridurre all’osso – come egli diceva – i problemi essenziali, era davvero stupefacente. Alle volte sembrava che egli scavalcasse tutto il corso di un’elaborazione critica per arrivare immediatamente alla conclusione, e in realtà questo era il suo stile di pensiero, il suo stile di parola. Egli non parlava di cose alle quali attribuiva un’importanza vitale, per sé, per il Partito, per il movimento operaio, con la pretesa di sofisticarle e renderle difficili; egli aveva cioè quella capacità di tradurre in senso comune le elaborazioni più difficili e anche teoricamente più complesse del pensiero socialista, quello che appunto Carlo Marx domandava come premessa, anche morale e psichica, per il passaggio al socialismo, vale a dire la critica al sistema capitalistico, con tutti i suoi orrori, con tutta la sua irrazionalità, con tutta la sua stupidità, ridotta non soltanto alla dimostrazione dei teorici, ma a senso comune. Fernando Santi capiva che il socialismo avrebbe fatto il passo decisivo in avanti quando fosse finita l’egemonia che ancora su tutti noi esercita, come residuo, e qualche volta non solamente come residuo, la cultura, la concezione, la scala di valori della borghesia. Egli capiva questo e riduceva tutto alla necessità di far diventare senso comune la rivolta contro il capitalismo: quel giorno la battaglia per il socialismo sarebbe stata vinta. Ecco perché egli ci appare oggi limpido, chiaro, efficace nella sua prosa volutamente disadorna, e che pure era il frutto di una lunga elaborazione, di un lungo affinamento. Egli faceva un poco come Michelangelo, nel senso di togliere, non di aggiungere. Lavorava, quando egli preparava il modo come manifestare il suo pensiero, la sua opinione, come trovandosi davanti ad un blocco di marmo da cui doveva essere tolto il superfluo perché la figura apparisse in tutto il suo staglio ed in tutta la sua evidenza. Ed e’ per questo che oggi noi – parlo della mia esperienza, ma anche di quella di molti amici che gli sono stati cari, che hanno vissuto con lui fino agli ultimi anni, fino agli ultimi giorni, una vita intensamente comune di pensiero, anche di preoccupazioni – ricordiamo questa sua straordinaria capacità di rendere limpido il discorso che lo fa rimanere, anche nella storia della letteratura e della saggistica italiane, come uno degli scrittori classici nella forma, classici nel sistema di esposizione e profondamente moderno in quello che diceva, in quello che auspicava, in quello che proponeva. Noi, che gli siamo vissuti così vicini, nel Partito, sappiamo che cosa voleva dire il pensiero di Santi. Era naturale in noi, istintivo, quando anche tra di noi c’erano, come ci sono sempre, dissensi, incertezze, preoccupazioni, il fatto che l’ultima parola la riservavamo a Santi, perché sapevamo che egli sarebbe stato in grado, non necessariamente di conciliare, ma di dire quello che importava; quello che era decisivo, di estraneo dalle polemiche, dai dissensi, il nocciolo di verità che finiva per imporsi a tutti. Ed è così che noi amiamo ricordare Santi, vivo, com’era vivo fino agli ultimi giorni, quando dovevamo continuamente informarlo, prima che da Roma si trasferisse a Parma. Ci tempestava di telefonate, voleva che si andasse non a fargli compagnia, ma ad informarlo su che cosa succedeva nel Partito, su che cosa succedeva nel sindacato, ogni particolare. Egli si sentiva tutto una cosa con noi, col movimento politico, col Partito Socialista e si sentiva tutto una cosa con il movimento operaio, con il sindacato, con tutta l’espressione del movimento operaio. Veramente – e credo senza nessuna indulgenza retorica – si può dire che egli fra di noi fu l’uomo più completo, cioè l’uomo in cui esigenze culturali, esigenze pratiche, necessità di concessioni, necessità di intransigenza formavano un tutto, una sintesi da cui nasceva l’uomo politico, ma nasceva soprattutto l’uomo, questa splendida figura, anche fisicamente bello, da giovane e da anziano, nei cui occhi traluceva questo suo immenso amore per gli umili, questo suo immenso amore, questa sua infinita solidarietà con la gente che ha ragione ed alla quale la ragione viene negata. Ecco perché, compagni, amici e cittadini di Parma, questa commemorazione non deve essere e non sarà certamente una semplice rievocazione, come d’uso; deve essere intesa a farci ricordare, non soltanto a farci rimpiangere, – come è ovvio, ma a farci ricordare che c’è un insegnamento prezioso, e non soltanto di contributi, ma anche di stile di vita e di stile politico che Fernando Santi ebbe, una figura veramente fulgida. Ad essa mandiamo il nostro commosso ricordo, alla sua famiglia, alla …

IL PROGRAMMA FONDAMENTALE DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO TEDESCO

Sintesi tratta dalla Tesi di laurea di: Jacopo Perazzoli Il Programma Fondamentale del Partito Socialdemocratico Tedesco Stabilito al congressso straordinario del Partito Socialdemocratico tedesco di Bad Godesberg il 15 novembre 1964. La struttura del Programma fondamentale della SPD La bozza programmatica della SPD venne articolata in otto sezioni differenti, ma strettamente collegate tra loro. Nella prima, I valori fondamentali del socialismo, venne illustrato il rinnovato bagaglio ideologico – culturale del partito di Ollenhauer interpretato non come una rottura con il passato bensì come logica prosecuzione delle “grandi tradizioni del movimento socialista”; il secondo paragrafo, Le esigenze fondamentali di una società degna dell’uomo, fu dedicato alla definizione delle caratteristiche peculiari di una realtà in senso socialdemocratico. Il terzo, il quarto e il quinto, ovvero L‟ordinamento statale, L’ordinamento economico e L’ordinamento sociale, fecero chiarezza sulle linee guida fondamentali che in tali ambiti avrebbero dovuto caratterizzare l’agire quotidiano della Socialdemocrazia tedesca. Nella sesta parte, La vita culturale, si analizzarono gli aspetti culturali della Repubblica di Bonn. In essa venne esposta sia la rinnovata posizione assunta nei confronti delle differenti confessioni religiose sul territorio federale sia la rilevanza dell‟educazione scolastica nell‟ottica del documento progettuale. Infine, se il settimo paragrafo, La comunità internazionale, venne dedicato ai principi della SPD in ambito di politica estera, l’ultimo, La nostra via, presentava, partendo da una breve panoramica storica sulla tradizione del movimento operaio mondiale, i compiti dei socialisti tedeschi tanto verso il governo cristiano – democratico quanto nei confronti del movimento comunista. Il primo paragrafo: I valori fondamentali del socialismo In questa sezione, I valori fondamentali del socialismo, venne messo in luce l’abbandono di qualsiasi ipotesi di trasformazione in senso rivoluzionario della società al fine di poter abbracciare inequivocabilmente il metodo riformista. A tal proposito, il programma dichiarava: “I socialisti pongono in primo piano il libero dispiegamento della propria personalità. […] Libertà e giustizia si intrecciano a vicenda: la dignità dell’individuo consiste sia nel diritto ad una propria, personale responsabilità, che nel riconoscimento del diritto degli altri uomini a mettere in campo la loro personalità per lavorare all’organizzazione della società. La libertà, la giustizia e la solidarietà […] sono i valori fondamentali della volontà socialista. Il socialismo democratico, che in Europa affonda le proprie radici nell’etica cristiana, nell’umanesimo e nella filosofia classica, non ha la pretesa di annunciare nessuna verità suprema, non per mancanza di comprensione o per indifferenza riguardo alle diverse concezioni del mondo o delle verità religiose, ma per rispetto delle scelte di fede da parte dei singoli uomini, sul cui contenuto non devono intervenire né un partito politico né lo Stato. Il partito socialdemocratico tedesco è il partito della libertà di spirito. Esso è una comunità di uomini che provengono da diverse correnti di pensiero e di fede. […] Il socialismo è un compito ininterrotto volto alla conquista della libertà e della giustizia, alla loro tutela e al loro consolidamento”. Il secondo paragrafo: Le esigenze irrinunciabili di una società degna dell’uomo Nella seconda parte, le esigenze fondamentali di una società degna dell’uomo, venne illustrata l’adesione alla forma democratica, poiché “espressione del rispetto per la dignità della persona umana e la responsabilità dell’individuo”, corrispose al deciso rifiuto di qualsiasi metodo dittatoriale, autoritario nonché totalitario, dal momento che “non rispettano la dignità dell’individuo, ne annullano la libertà ed invalidano il diritto”, ma anche perché “il socialismo si attua solo attraverso la democrazia e la democrazia attraverso il socialismo”. In quest’ultima dichiarazione era implicita una forte critica all’azione dei comunisti i quali, oltre a “richiamarsi erroneamente alle tradizioni socialiste”, avrebbero avuto come unico obiettivo l’instaurazione della “dittatura del loro partito”. Al contrario la SPD avrebbe dovuto operare per l’affermazione della libertà e della giustizia mediante la costituzione di uno stato realmente democratico. Il terzo paragrafo: L’ordinamento statale Nel terzo, l’ordinamento statale, la piattaforma programmatica, dopo un’eloquente professione di fede alla legge fondamentale della Repubblica federale, sottolineò l’esigenza della Socialdemocrazia di superare la divisione della Germania poiché necessario “per l’intero popolo tedesco”. Con questo presupposto, gli autori ribadirono la bontà sia del sistema democratico, “nel quale il potere dello stato proviene dal popolo e il governo è responsabile, in qualunque momento, di fronte al parlamento”, sia della competizione elettorale necessaria per assumerne il controllo che, secondo il Grundsatzprogramm, sarebbe dovuta essere “conforme per tutti i partiti favorevoli alla democrazia”. In ottica strutturale, gli autori approvarono la separazione dei tre poteri fondamentali, ossia il legislativo, il cui fulcro era individuabile nelle due assemblee parlamentari, l’esecutivo, rappresentato dal governo e, in ultima istanza, il giudiziario, ovvero la Bundesverfassungsgericht. Inoltre, si volle sottolineare come l‟articolazione del controllo pubblico a livello federale, regionale e comunale avrebbe dovuto “ripartire il potere, rafforzare le libertà nonché conferire ai cittadini, attraverso la partecipazione e la corresponsabilità, molteplici accessi alle istituzioni democratiche”. Sempre in ambito partecipativo, veniva evidenziata l‟importanza delle differenti associazioni, descritte come “dispositivi necessari di una società moderna”, presenti sul territorio tedesco perché fautrici della collaborazione “degli uomini dei più disparati ceti sociali”. Infine, nel corretto funzionamento dello stato, era di fondamentale rilevanza il concetto di indipendenza, da applicare sia al settore giudiziario sia a quello dei media. Quest’ultimo, al cui interno erano invidiabili la stampa, la radio, la televisione e la cinematografia, era di fondamentale importanza al fine di permettere l’esistenza di un elemento decisivo per il corretto funzionamento di qualsiasi stato democratico come l’opinione pubblica. Parallelamente, anche l’ambito giudiziario avrebbe necessitato della maggior indipendenza possibile “per servire la giustizia in nome del popolo”. In aggiunta a ciò, gli autori approntarono un’apposita sezione, denominata difesa nazionale, allo scopo di mettere in luce l’assenso della SPD relativamente all’ipotesi della difesa militare dei confini della Repubblica di Bonn. Difesa nazionale Nell’elaborazione di questa parte si decise di adottare quanto indicato da Fritz Erler fin dal congresso di Berlino del 1954. Al rifiuto dell’equipaggiamento atomico, che, a detta del programma, non sarebbe stato possibile né utilizzare né produrre sul territorio tedesco, doveva corrispondere un controllo da parte degli organismi democratici dell’apparato militare. A riguardo di ciò, il documento progettuale asseriva: “le forze armate devono essere subordinate alle …